i fili di Arianna - Accademia della Gru

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i fili di Arianna - Accademia della Gru
i fili di Arianna
N. 17
Associazione Culturale “ACCADEMIA della GRU” – P.za IV Novembre, 4 – 20124 Milano
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La domanda che molti investitori si pongono sul senso degli eventi di mercato è una domanda che, il più
delle volte, nasce dalla loro sofferenza ed in particolare dalla sofferenza di ritrovarsi “invischiati” in un
mercato che non è più disposto ad assecondare le loro attese iniziali. Quel mercato che un tempo li aveva
pienamente (o quasi) convinti ormai non c’è più e quel che n’è rimasto ha finito con l’assumere tutt’altro
significato: da amico che era, d’improvviso s’è fatto ostile… Ma se l’assenza di senso dei mercati è un
problema che sorge all’interno d’una sfera propriamente individuale, allora sarà proprio e solo all’interno
di quella sfera che si dovrà cercar la soluzione. E se la soluzione, o quanto meno una sua parte, si riuscirà
a trovare, allora la stessa non potrà che essere ricercata in una possibile riconciliazione con la realtà
dei mercati finanziari e dei propri investimenti.
(Filo n°14… più o meno)
Noi s’è portati a dar sempre e comunque una “rappresentazione soggettiva di tutto quel che ci sta
di fronte”. Ed anche se sappiamo che la stessa non è e non potrà mai dirsi “oggettiva”, non riusciremo
mai ad impedirci di crederle. D’altra parte: potremmo forse non credere a quella rappresentazione che
proprio noi s’è data a quant’accade sotto i nostri occhi?… Non abbiamo, però, alcun motivo per sentircene
in colpa, perché è proprio e solo così che van le cose: siamo uomini, dunque “soggetti” coi nostri pensieri.
E son pensieri che corrono così veloci che quasi mai è possibile fermarne del tutto la corsa.
Ma c’è, soprattutto, il fatto che non esiste e non potrà mai esistere un “mercato finanziario oggettivo” cui
carpire i segreti: piuttosto, esistono ed esisteranno sempre (e forse anche “solo”) rappresentazioni, più o
meno soggettive/oggettive, d’un mercato che sempre e comunque rivendicherà la libertà di non venir mai
confuso con la rappresentazione che noi si vorrebbe dar di esso. Confondere il proprio ordine mentale con
un presunto ordine dei mercati, infatti, è quel che solitamente fanno i paranoici: a gioco lungo non si
rivela quasi mai un’esperienza felice, anzi…
(Filo n°15… più o meno)
Alla crisi che nasce dalla sofferenza di ri-trovarci in un mercato d’improvviso ostile, è possibile dar
soluzione solo attraverso il riconoscimento d’una ragione, d’un disegno che riesca a conferire unità e
significato alle scelte (nonché alle esperienze) d’investimento che proprio noi s’è compiute. Persino contro
quella stessa nostra impressione d’un percorso da investitore che, invece, parrebbe essersi dispiegato tra
frammenti d’eventi sostanzialmente slegati tra loro: eventi dettati dal caso e dei quali noi si sarebbe stati,
in fondo ma soprattutto nostro malgrado, solo vittime ignare. Per trovare detta soluzione, tuttavia, è di
primaria importanza il riconoscimento nonché l’accettazione della seguente conclusione, una conclusione
che potremmo definir “quasi schopenaueriana”:
sempre e comunque, nella nostra vita ed in particolare nelle nostre scelte d’investimento
(come nella loro stessa gestione), s’intrecciano due scopi fondamentali ma diametralmente
opposti: da una parte, infatti, vi sono tutte “le nostre intenzioni propriamente coscienti”,
dominate da un forte desiderio di auto-affermazione, e dall’altro invece v’è “il disegno
tracciato dal nostro destino personale”, un disegno che in realtà non è detto sia del tutto
coincidente con tali intenzioni e che, anzi, porta spesso queste ultime a fallire il proprio
obiettivo.
(Filo n°16… più o meno)
Se non vogliamo rimaner del tutto invischiati, oltre che nei mercati, anche nella crisi patita per
la delusione arrecataci da questi ultimi, dobbiamo anzitutto riconoscere che proprio tale crisi
potrebbe rappresentar una santa opportunità per svelarci il nostro “errore innato”. Perché sarà
proprio movendo da tale primario riconoscimento che noi, finalmente, si potrà giungere ad un
radicale cambiamento nel nostro “orientamento sui mercati” (quali investitori). Se tutto questo
dovesse davvero accadere, allora quella riconciliazione con la realtà dei mercati finanziari,
nonché dei nostri investimenti, potrebbe forse dirsi “a portata di mano”. “Forse”, ovviamente…
Il termine “riconciliazione”, ad ogni modo, ci fornisce già una prima traccia di quel che noi, in
fondo, si vuol sostenere:
c’è un primo momento, invero decisivo, caratterizzato da una “ingenua fiducia” in
mercati disposti a venir sempre e comunque incontro ai nostri desideri: senza tale
primo “sentimento”, infatti, nessuno mai assumerebbe degli investimenti;
allo stesso segue poi, quasi inevitabile, il momento della crisi: il venir meno della
fiducia… a causa della netta contraddizione manifestatasi tra i nostri desideri ed il
corso reale degli eventi;
infine, v’è il momento della “riconciliazione”, grazie ad una rinnovata fiducia, non
più soltanto ingenua, nei mercati e nei nostri investimenti: una fiducia che dovrà
muovere, però, da criteri di giudizio ben diversi da quelli avuti in precedenza.
I primi due momenti possiamo quasi intenderli come una necessità cui, quasi inevitabilmente,
tutti noi si va incontro, il terzo invece non lo è affatto e richiede uno sforzo notevole da parte
nostra perché possa esser concretamente vissuto. D’altra parte, l’intero percorso prende avvio
da un’esperienza di dolore e lo sbocco non potrà che trovarsi attraverso il dolore… della fatica.
Ad ognuno di noi tocca l’arduo compito di sciogliere l’intrico che spesso ci porta ad un corto
circuito tra i fili delle nostre “intenzioni”, più o meno coscienti, ed i fili di quel “destino” che ci
segue appresso da sempre, anche se noi, in realtà, non ne siamo mai del tutto consapevoli. È
un’idea antica quanto l’uomo, in fondo, quella che ci vede muoverci all’interno d’un disegno già
tracciato e che ci consentirebbe la libertà di far solamente quello per cui noi s’è comunque già
predisposti: ogni qualvolta volessimo uscir dai nostri legittimi confini… ecco, infatti, l’inciampo
in quel “daimon” che parrebbe esserci toccato in sorte al momento della nascita. Sarebbe lui,
dunque, ad impedirci in vari modi d’andar oltre i nostri limiti… e, il più delle volte, proprio
attraverso l’esperienza d’un dolore patito nostro malgrado.
Del daimon assegnatoci dalla sorte per controllare che il nostro percorso di vita (e, quindi, anche
da investitore) non debba mai scostarsi troppo dal nostro destino, noi s’è già detto, e pur molto,
in un filo dedicato al Mito di Er (Filo n°8). Nel caso specifico il daimon c’era assegnato in sorte,
ma quel destino su cui il daimon avrebbe dovuto vigilare era scelto da noi soli, ancor prima di
nascere e con tutta calma. Che di tale scelta poi, bevendo l’acqua del fiume Lete (“il fiume della
dimenticanza”), a noi non fosse rimasto che un tenue ricordo non sposta però il tema di fondo:
non c’è alcun bisogno di credere alla reincarnazione delle anime, infatti, per dubitare che forse
v’è “un” nostro destino personale, sempre pronto ad accompagnarci, passo passo, nella vita.
Attenzione: non vi stiamo chiedendo di crederci, ma solo di dubitarne. D’altronde, anche fosse,
non potremmo mai dimostrarne la veridicità. Ed il dubitarne, in fondo, non vi costa molto, su…
Che poi si voglia chiamarlo “daimon”, come facevano gli antichi greci (in particolare Platone nel
Mito di Er), o “ghianda”, come invece s’è visto far da Hillman (Filo n°7 - qui sotto), poco importa:
“Se sei una ghianda, non potrai che diventare una quercia, un giorno: per quanto tu possa tentare di
deviare il corso degli eventi, o di forzarne la natura, il tuo destino è di diventare una quercia. Nient’altro
che una quercia. È il tuo daimon, in fondo. Esiste forse qualcosa, in ciascuno di noi, che c’induce ad esser
in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie, anche se talvolta simili passaggi possono
sembrarci casuali od irragionevoli?… Se esiste, allora quello è il “daimon”: quel “demone” che ciascuno di
noi riceve, come compagno, prima della nascita (almeno secondo il mito di Er, come lo racconta a noi
Platone). Se esiste, allora è ciò che si nasconde dietro parole come “vocazione”, “chiamata”, “carattere”.
Se esiste, allora è la chiave per leggere il “codice dell'anima”: quella sorta di linguaggio cifrato che ci
spinge ad agire ma che non sempre noi capiamo. Se la psicologia, in fondo, s’è dimostrata incapace di
spiegar le scelte più profonde che decidono la vita di tutti noi è proprio perché la stessa ha perso contatto
con il daimon, questo compagno segreto dal quale, in fondo, e più che da ogni altro elemento, la nostra
vita probabilmente dipende.”
Non è un caso che, per indicar la felicità, gli antichi greci usassero il termine “eudaimonia”:
eu
bene
daimon
demone
eudaimonia
realizzare il proprio demone (in senso lato, da “il bene del demone”)
Detto altrimenti:
solo se le nostre intenzioni, più o meno coscienti, aiuteranno il nostro destino a
realizzarsi… allora potremo finalmente raggiungere la felicità.
Tutto ciò, ovviamente, vale soprattutto sul piano degli investimenti, laddove l’idea di un nostro
destino che possa esser per noi più importante del destino dei mercati è indubbiamente un’idea
contro-intuitiva. Tutti noi, ad esempio, s’è portati a pensare che se i mercati azionari salgono e
noi s’è investiti sui mercati azionari… anche il grado della nostra felicità sia “destinato” a salire,
tuttavia le cose non sono affatto così lineari ed il rapporto col nostro demone è forse decisivo,
sebbene di lui noi non si sappia ancora nulla. In un nostro precedente pezzo (Filo n°13) s’era
mostrato come, in passato, fosse necessario disporre d’un orizzonte temporale d’almeno dieci
anni per esser sicuri che un investimento sul mercato azionario americano potesse battere il
rendimento ottenuto nel frattempo dalle obbligazioni emesse dal Tesoro USA. Ora, anche solo
per ipotesi, immaginiamo che tale regola (in passato è sempre accaduto, in fondo) v’abbia convinto
e che proprio sulla base della stessa abbiate scelto di far un investimento sul mercato azionario
americano. Nelle vostre (ben) consapevoli intenzioni, avete anche stabilito che non chiuderete
la vostra posizione (salvo che le cose, nel frattempo, non siano andate benissimo!) prima che siano
trascorsi i canonici dieci anni. Come spiegare, però, quel vostro andar di continuo a spiare la
situazione?… O, peggio ancora: come spiegare quel dolore che vi prende allo stomaco nel caso
in cui, anziché guadagnare, doveste accorgervi che state perdendo quattrini e, forse, anche
molti più di quelli che in un primo momento avevate immaginato?…
Ci sarebbe, forse, una spiegazione possibile ed anche molto probabile, nel caso però che voi
siate disposti a credervi… a dispetto della sua evidente “irragionevolezza”:
quel vostro investimento, ancorché cosciente e convinto, non era affatto in linea
con quel “vostro destino” su cui di continuo vigila quel demone toccatovi in sorte.
Guardate che non è un problema di poco conto! Quando le banche tracciano il vostro profilo da
investitori, vi fanno un test (e non potrebbero far altrimenti) cui voi date, si spera convintamente,
molte risposte: orbene, queste ultime corrispondono alle vostre intenzioni coscienti, ma non è
detto che tali risposte siano poi le stesse che avrebbe dato il vostro demone. Se non lo fossero,
com’è invero molto probabile, ve n’accorgereste, forse, solo fuori tempo massimo…
Il problema, allora, è:
come posso riconoscere quel “mio destino” di cui, in realtà, io non ho quasi mai
alcuna autentica consapevolezza?
Tranquilli: siamo qui anche per questo…
Alla prossima.