La Geometria e il genio di Pitagora
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La Geometria e il genio di Pitagora
! ! La Geometria ed il genio di Pitagora “Ciò che io intendo per bellezza delle forme non è la bellezza dei corpi viventi o la loro riproduzione a mezzo del disegno. Io intendo le linee rette o curve, le superfici e i solidi, che derivano dalla retta e dal cerchio, con l’ausilio del compasso, della riga e della squadra”. Così scriveva Platone nel Timeo, mettendo in evidenza il fascino che la geometria, fin dalle prime origini, ha esercitato nella storia dell’umanità. Geometria è un termine greco che deriva da “geo”, “terra”, e da “metria”, “misurazione”, e vuol dire “misura della terra”. Erodoto fa risalire l’origine di questa disciplina agli antichi Egizi perché furono loro che inizialmente la idearono per ristabilire i confini di proprietà dei terreni riemersi dopo le inondazioni del Nilo; fu così che in Egitto si svilupparono tecniche di misurazione lineare, eseguite con semplici funi, che prevedevano la divisione di quelle superfici in poligoni ed in triangoli. Uno dei testi più antichi che trattano di matematica e geometria è il Papiro di Rhind o Papiro di Ahmes, del 1650 a.C., contenente più di ottantacinque problemi geometrici con relative soluzioni, differenti tipi di frazioni ed una prima rappresentazione del Teorema che poi svilupperà Pitagora. Una conoscenza simile era già maturata in Mesopotamia tra il 1900 ed il 1700 a.C.; infatti risale a quel periodo storico il ritrovamento di 13 piccole tavolette babilonesi in argilla, contenenti calcoli matematici che risultarono basilari per lo studio dell’astronomia e dell’astrologia e che misero in luce conoscenze che poi Pitagora amplierà. Tra queste tavolette si ricordano la Plimpton 322 e la YBC 7289, così chiamate dal nome dei due collezionisti che ne entrarono in possesso: nella 1 prima sono riportati numeri in scrittura cuneiforme e la dimostrazione del futuro Teorema di Pitagora, nella seconda invece vi è inciso un quadrato con le sue diagonali e una sequenza numerica che riporta la soluzione dei relativi calcoli. Queste notizie ci fanno riflettere sull’esistenza di un “sapere” molto antico che ebbe la sua culla di origine in Mesopotamia e in Egitto, ma che maturerà e si svilupperà in Grecia. Dal VII secolo a.C. in poi, le menti greche più illustri privilegiarono la geometria in ogni settore dell’operato umano; filosofi e matematici cercarono di interpretare l’universo attraverso l’armonia e le relazioni che scaturiscono dall’applicazione delle leggi che lo regolano. Talete, verso la fine del 600 a. C. pose la geometria come fondamento dei suoi studi; fondò a Mileto la Scuola Ionica e, sotto la sua guida, portò gli alunni ad indagare sul “Principio” di origine dell’Universo investigando sulla formazione del mondo e sul movimento rotatorio, o vortice cosmico, che sembrava averne determinato la sfericità. Soprattutto nell’arte ceramica, molto sentita nella Grecia classica, si avvertì la spiccata predisposizione a voler prediligere motivi geometrici semplici, quali il cerchio, il triangolo, il quadrato ed il trapezio fino a dare quella stessa forma anche alle parti anatomiche del corpo umano. Nel tempo, a quelle figure, si aggiunsero rombi, spirali, reticoli e soprattutto meandri ad angolo retto - le cosiddette “greche” - e croci semplici o gammate. La Natura fu intesa come un grande organismo vivente che segue le sue precise regole e le forme geometriche decorative si ispirarono proprio a quel mondo; per volerle riprodurre nella loro perfezione, si arrivò a tracciarle in maniera così definita da essere necessario l’utilizzo della riga e del compasso. L’intento del mondo culturale greco era di unificare tutte le arti e le scienze in rapporti armonici precisi che riproducessero la perfezione della Creazione. In quel periodo storico scienza e filosofia si fusero in un insieme unico che prediligeva la “bellezza”, intesa 2 come fondamento matematico di perfetta proporzione; la Bellezza per i Greci rappresentava l’ordine dell’universo e la geometria fu reputata la scienza più idonea a riprodurre quelle stesse corrispondenze e simmetrie. Bisognerà arrivare alla “Scuola Pitagorica”, fondata a Crotone dal grande matematico, tra il 532 ed il 500 a. C., perché l’arte greca raggiunga le più alte vette di evoluzione stilistica e di pensiero. Così Empedocle descrisse Pitagora: “V’era tra quelli un uomo di straordinaria conoscenza,/ il quale acquisì un’immensa ricchezza d’ingegno,/ e in sommo grado padroneggiava ogni sorta d’opere di sapienza.” La storia ricorda Pitagora per la Tavola Pitagorica e per il Teorema che lo resero famoso, ma ben altre conoscenze segnarono la sua vita. Il grande matematico nacque a Sidone nel 571 a.C. da Mnesarco e da Pitaide, la donna più bella di Samo, ma l’oracolo di Delfi vide nel dio Apollo il suo vero padre; paternità divina che spiegherebbe la nascita di un figlio “di straordinaria bellezza e d’una intelligenza superiore a quella di tutti i tempi”, come riporta anche Giamblico nel suo “De vita Pythagorica”. E’ soprattutto grazie alle testimonianze raccolte da Giamblico e da Porfirio, se oggi siamo in grado di conoscere le esperienze più salienti della vita di Pitagora e del suo operato. Pitagora dimostrò subito uno spirito libero ed una capacità di apprendimento straordinaria; fu allievo di Ferecide, di Anassimandro e di Talete che, impressionato dalle capacità intellettive del giovane allievo, decise di trasmettergli tutte le sue conoscenze; stessa cosa avvenne quando partì alla volta della Fenicia dove apprese ogni segreto della scienza dei numeri e del calcolo. Allo studio Pitagora univa anche la preghiera e la meditazione e si racconta che durante il suo soggiorno in Fenicia, amasse ritirarsi sulla sommità del monte Carmelo, chiamato Roch Kadosh o 3 “monte di Dio”, luogo di culto di grande sacralità. Fu proprio in occasione di un ritiro su quella sacra vetta che Pitagora scorse nella baia sottostante la nave che lo avrebbe condotto in Egitto e quindi messo a stretto contatto con quell’antica Sapienza. Anche l’atteggiamento che tenne sulla nave rimanendo immobile per tre giorni e due notti, senza mangiare, né bere, né dormire, fece intendere la grandezza della sua persona. I sacerdoti egizi gli accordarono ammirazione e affetto e all’interno di quei Templi egli apprese conoscenze di astronomia, di astrologia e di geometria, di cui gli egiziani erano grandi cultori. Giamblico ricorda che Pitagora trascorse più di ventidue anni in Egitto, raggiungendo presso quelle scuole misteriche i massimi gradi di Iniziazione. Poi quando cominciarono a imperversare le prime battaglie nel bacino del Nilo, fu costretto a lasciare quella terra per raggiungere, attraverso il deserto, la Mesopotamia; durante il tragitto fu catturato dai soldati di Cambise e portato a Babilonia dove restò prigioniero per ben dodici anni. Pitagora così ebbe modo di entrare in contatto anche con il mondo culturale mesopotamico e soprattutto con le tre correnti religiose che dominavano in quella regione: il sacerdozio caldeo, il magismo persiano ed il giudaismo. Presso i Caldei apprese ulteriori conoscenze di astronomia, astrologia, medicina e di geometria, infine entrò in contatto con la dottrina persiana di Zoroastro e fu il profeta stesso ad iniziarlo ai suoi Misteri; la sua continua ricerca sapienziale lo portò a conferire anche con i sacerdoti dell’India, acquisendo da essi nuove importanti conoscenze. 4 Fu con questo ricco bagaglio culturale che Pitagora tornò a Samo. Dopo un breve soggiorno nella sua città, il “Samio dai lunghi capelli”, come veniva chiamato, passò a visitare i maggiori santuari greci e, dopo aver presieduto ai Misteri Eleusini, giunse a Delfi, cuore spirituale di tutta la Grecia. All’interno del Tempio di Delfi, Pitagora conobbe la sacerdotessa Temistoclea, dalla quale apprese dottrine segrete che chiarirono il ruolo della Donna nell’Iniziazione; Pitagora a sua volta rivelò alla profetessa i misteri di cui era venuto a conoscenza, la istruì e la consacrò Pizia di Delfi. Fu dopo quel prezioso incontro che il grande matematico partì alla volta della penisola italica con l’intento di divulgare lì tutto il suo sapere. Giamblico racconta che l’arrivo di Pitagora a Crotone, nel 530 a.C., fu accompagnato da un’adesione immediata da parte di tutta la popolazione. Si dice che in una sola lezione pubblica conquistasse più di duemila “uditori”: molti di questi non tornarono alle loro case, ma lo seguirono per non lasciarlo più. In Pitagora si riassumevano tutte le conoscenze dello scibile umano; le sue scoperte geometriche e matematiche, il messaggio etico che sapeva divulgare ed il saper toccare il cuore di chi lo ascoltava, lo portarono a fondare proprio a Crotone quella Scuola che ben presto diventò il “centro permanente di Iniziazione” nel quale si condensò “scienza” e “religione”. La Scuola Pitagorica accoglieva uomini e donne, perché Pitagora dichiarò la donna idonea alla vita iniziatica e alla celebrazione dei Misteri. Egli invitò le donne di Crotone ad affrontare prove di purificazione ascetica al fine di diventare le collaboratrici preziose da affiancare all’uomo, per poter salire insieme i gradini che conducevano al Tempio. La 5 preparazione della comunità iniziatica femminile, ben distinta da quella maschile, fu affidata a Théano, moglie di Pitagora e sua giovane ispiratrice. Pitagora predicava alle moltitudini, ma pochissimi erano gli “eletti”. Nella Scuola chi superava il primo periodo di attesa e di studio, entrava a far parte dei Matematici e qui apprendeva la geometria, la scienza dei numeri e la musica; infine chi era in grado di assimilare quelle segrete conoscenze entrava a far parte dei Fisici, cioè di coloro che venivano iniziati allo studio dell’Alchimia, della Cosmogonia e della Metafisica. Le prove iniziatiche che i discepoli dovevano sostenere, servivano per verificarne l’ardimento e la perseveranza; solo a chi dimostrava ferrea volontà e sforzo costante nello studio e nelle ascesi, era data la possibilità di venire a conoscenza dei “Misteri”. Pitagora voleva formare delle personalità “nuove”, sagge e forti, la cui cultura doveva fondarsi su basi scientifiche così solide da diventare loro stessi le nuove “guide dell’Umanità”. Porfirio, ricorda che Pitagora si batté fermamente contro ogni forma di ignoranza e riportò tra i suoi scritti una frase che il matematico era solito ripetere: “Occorre bandire e estirpare con ogni mezzo, col ferro e col fuoco e ogni altro espediente, la malattia dal corpo, l’ignoranza dall’anima, la smoderatezza dal ventre, la sedizione dalla città, la discordia dalla casa e insieme la dismisura di tutte le cose.” L’eloquenza, accompagnata dalla dignità della sua figura, faceva accorrere al suo cospetto un numero sempre maggiore di “uditori”; dopo Crotone, anche Sibari, Locri, Reggio, Metaponto, Catania, Agrigento, Taormina e altre città limitrofe, aderirono alla Scuola Pitagorica e quell’area geografica, nel sud della penisola italica, nel 500 a. C., si ampliò talmente da prendere il nome di Magna Grecia. 6 Il messaggio che Pitagora voleva diffondere era di grande apertura: egli aveva capito che niente deriva dal “caso”, che l’Universo è retto da regole precise di ordine e di armonia e che ogni piccolissima parte è in contatto e sintonia con il resto dell’Universo. Egli poneva lo studio, la purezza interiore e la temperanza come punti di partenza per arrivare alla Sapienza, unica via di salvezza per l’umanità. La Geometria ed il Numero assunsero per i Pitagorici un’importante sacralità. E s s i , n o n vo l e n d o t r a s m e t t e r e verbalmente le conoscenze acquisite, fecero ricorso alla rappresentazione di figure geometriche: invece di scrivere volumi su volumi sull’origine del Cosmo, utilizzarono il cerchio, il triangolo, il quadrato, il pentagono ed i numeri loro corrispondenti, nascondendo dietro a quelle immagini conoscenze simboliche molto profonde. Pitagora asseriva che il numero è la “chiave” del mondo, l’espressione sensibile dell’ordine e dell’armonia universale e che ad ogni numero corrisponde una “potenza”; tra tutti i numeri, l’uno, il quattro e il dieci furono per lui degni di una speciale attenzione. Dio è il Numero ineffabile, il principio di ogni cosa, il numero Uno da cui tutto diviene e da cui derivano tutti gli altri numeri; il quattro rappresenta il mondo prodotto e la sua evoluzione ciclica ed il dieci il numero che li raccoglie tutti, il “fondamento e guida” della vita divina e di quella umana. Pitagora riunì questi tre numeri nella “Divina Tetraktys” o “Divino Quaternario” rappresentato dal Delta, quarta lettera dell’alfabeto greco dalla caratteristica forma di triangolo, il cui valore numerico è dieci. Secondo il grande matematico è nel ciclo quaternario che si rivela il numero Uno: Dio, attraverso l’azione dinamica della sua Potenza, separa e ordina la sostanza universale nei quattro 7 Elementi (fuoco, acqua, terra, aria) costitutivi di tutte le forme; non a caso il numero quattro trova riferimento con l‘antico simbolo della croce che regola e dispone il “caos” primordiale in “Cosmos”. Per i Pitagorici in quel Delta si riassumeva dunque una conoscenza simbolica molto antica strettamente legata alla Creazione Divina, e per gli Iniziati all’Ordine divenne il simbolo sul quale prestare giuramento: “Io lo giuro per colui che ha trasmesso alla nostra anima la Tetraktis, nella quale si trovano la sorgente e la radice dell'eterna natura." Questa dottrina matematico-geometrica trovò una sua corrispondenza anche nella Musica. Pitagora ideò un mezzo sperimentale semplice e ingegnoso che si basava sulla costruzione di una cassa di risonanza sulla quale aveva teso una corda elastica tirata ai lati da due pesi; egli si accorse che variando la lunghezza, il materiale e la tensione alla quale la corda veniva sottoposta, variava anche la frequenza e l’intensità del suono. Anche se il mito ipotizza che sia stato Orfeo a diffondere la musica in Grecia, spetta a Pitagora il merito di averla introdotta per primo. Pitagora capì che i numeri sono presenti in tutte le cose del creato e che le armonie celesti corrispondono a rapporti numerici precisi. Quest’arte eccelsa l’aveva acquisita dai sacerdoti egizi e dai Magi di Babilonia, ma fu il suo genio a scoprire la potenza segreta del suono e i rapporti puri e perfetti che intercorrono tra la Natura ed i piani superiori dell’Universo. Quelle magiche corrispondenze non potevano che portare alla scoperta di una proporzione geometrica perfetta che si può ritrovare in tutti i regni del creato e che artisti, musicisti e architetti, sensibili a questa tematica, hanno studiato e messo in pratica: la “proporzione aurea” o “divina proporzione”. 8 Fu Pitagora ad intuire che nel Cosmo vi è una sequenza ritmica nella quale le singole parti hanno una precisa correlazione proporzionale tra loro; quei suoni vennero graficamente raffigurati con segni, o “note”, che furono trascritte sul rigo musicale o Pentagramma. Il termine “pentagramma” venne adottato dai Pitagorici non solo per definire una scrittura musicale, ma anche per dare nome ad una precisa figura geometrica: un pentagono regolare con le sue diagonali tracciate. “Penta” in greco significa “cinque” e “gramma” vuol dire “linea”: il Pentagramma è dunque un poligono regolare che presenta al suo interno una stella a cinque punte, formata da cinque linee o segmenti che si intersecano tra loro; per “sezione aurea” s’intendeva il rapporto intercorrente tra la diagonale tracciata all’interno del pentagono ed il lato del pentagono stesso. I Pitagorici adottarono il “Pentagramma stellare” come loro segno di riconoscimento e lo caricarono di una precisa sacralità; quella figura geometrica così perfetta nella sua realizzazione, divenne per loro il simbolo di armonia e di proporzione e, al tempo stesso, segno di potenza e di “luce” che illumina il cammino spirituale dell’uomo. Nella “Stella a cinque punte” fu individuato il simbolo dell’Uomo perfetto, perché per i Pitagorici la perfezione di una figura geometrica doveva corrispondere anche a quella ideale da interiorizzare. La ricchezza misterico-sapenziale di cui il grande matematico si fece carico e che condensò in un insieme armonioso di dottrine, fu messa a disposizione dell’umanità, ma non tutti la seppero ascoltare. L’ignoranza, le invidie e le terribili avversioni che la Scuola Pitagorica dovette strenuamente combattere fino a venirne sopraffatta, trovano plausibile spiegazione nelle parole di Giamblico: “perché un fitto intrico di sterpaglie cresce intorno alla mente e al cuore di 9 quanti si sono iniziati alla scienza in modo impuro e fa ombra alla parte buona e ragionevole dell’anima, impedendo all’intelletto di svilupparsi e di mettersi in luce liberamente”. Lo scopo di Pitagora era di contribuire a correggere la vita dell’uomo e della donna, portandoli alla comprensione di una Conoscenza scientificospirituale, che lega il mondo umano con il Divino, fatta di infinite relazioni e impensabili corrispondenze. L’uomo per estirpare quelle “sterpaglie” dovrà portare “misura” ed ordine ai suoi studi e al suo cuore, e la Geometria - come Pitagora sosteneva - sarà la Scienza più idonea per realizzare una simile esperienza. !!!! " ! " ! " “Dio crea il mondo con il compasso” (miniatura dalla Bibbia di San Luigi del XIII sec.) 10 ! ! ! 11