Zucchi Federico - Succede solo a Bologna

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Zucchi Federico - Succede solo a Bologna
Corso di prima difesa
di Federico Zucchi
Quando qualcuno si avventa sui tuoi polmoni
e ti soffia l’alito guasto della paura e vuole
convincerti che non è umano chi dorme
sulle panchine e puzza di piscio e dolore,
quando qualcuno ti chiede un attestato
di correttezza sulle parole e poi ti invita
ad unirti alla Crusca dei doganieri,
quando qualcuno ti incolpa
di marinare la scuola della realtà
perché indossi criniere consunte
di notti agitate e nella valigia
trasporti l’uva passa della memoria
come riserva d’acqua sorgiva,
quando qualcuno vuole incollarti
la sua verità e impugna i versi più sacri
per degradare il volto di un uomo,
quando qualcuno ti invita
a tradire la fiamma più antica
per risparmiare sulla bolletta,
quando qualcuno ti spoglia
di vera presenza e ti esorta
a trovare l’essenza
nella Siberia
dell’abbandono,
tu non arretrare, ma vai
verso il tuo mare profondo
il tuo punto stellante
e lascia che il pane nero
dell’immaginazione
ti cresca piano addosso
fino a coprire lo strappo
con un rammendo
di luce vitale.
La mia Saratu!
-Saratu è una delle ragazze rapite - insieme ad altre 275 compagne - a Chibok (Nigeria) da Boko Haram.
La madre, Rifkatu Ayuba, l’ha riconosciuta in un video girato dai terroristi-.
di Federico Zucchi
Dopo tutto, un nome non è molto.
I merli che vedo al mattino
ne fanno volentieri a meno
e persino i gatti che saettano
dietro la stalla in disuso
sfrecciano lievi senza
il retaggio di una missione.
L’erba non battezza i suoi fiori
i millepiedi si spostano silenziosi
sulle minuscole piste del sottobosco.
Tutto si parla senza chiamare,
senza violare l’anonimato
di ogni minimo essere.
Ma il nome umano ha un’altra misura
perché vibra e risuona quando l’amore
accorre a stanare, quando la morte
rinchiude le imposte, quando l’odio
ti spoglia di ogni saputa
aderenza amorosa.
Per questo il tuo urlo, madre,
il tuo grido verso tua figlia
- La mia Saratu! la lama del tuo pianto sullo
schermo, sono come nostri.
Perché un nome che il male
costringe ad essere spettro,
è un ammanco infinito
che mai lasceremo
colmare da orci
di resa.
Strabismo di Venere
di Federico Zucchi
Dall’oculista baravo sulla grafia
spietata del tabellone luminoso,
inventavo lettere, componevo
alfabeti per restare aggrappato
al convoglio della chiarezza.
Oggi non temo più la sfasatura
ho imparato a vedere senza stanghette
novene di parole rimaste abbozzate
riverberi di sentimenti stralciati
da un esatto campo visivo.
C’è un mondo che teme di essere visto
che si dispone per dettagli evasivi,
c’è un mondo che amo che tende
a sottrarsi, a non farsi notare, a disporsi
sul limitare di una radura scontrosa.
Ci vuole uno spreco di lenti sbagliate
per avvicinarsi a vedere la vita
senza stampelle di bende oculari,
per dire ti amo senza terrore
che il buio ricopra il nitore.