Il mediterraneo: esiste un`estate araba dopo la primavera?

Transcript

Il mediterraneo: esiste un`estate araba dopo la primavera?
Il mediterraneo: esiste un’estate araba dopo la primavera?
Relativismi e fondamentalismi
Se non pretendiamo di poterci opporre a ogni forma di neologismo, confessiamo però di
avere una particolare idiosincrasia verso quelli che terminano in “ismo”, come “moderatismo”, o in
“ista”, come “islamista”, assumendo così il carattere di una ideologia anche nel contesto di una
espressione religiosa, salvo in questo caso esemplare dove tali termini servono proprio a
smascherare che ci si trova di fronte alla parodia o alla contraffazione del vero significato delle
parole “moderazione” e “Islam”, come “pace interiore nella sottomissione alla volontà del Dio
Unico”.
Parlare di un musulmano moderato sembra voler designare qualcuno che è tiepido nella
propria islamicità, mentre è proprio la forza della sua sottomissione a Dio che può renderlo
tollerante o ancor meglio accettante dei possibili limiti attuali nei confronti del prossimo, sia
questo non credente oppure appartenente ad un’altra rivelazione ortodossa. Il dialogo e la
riconciliazione fra religiosi consiste infatti nell’assunzione dell’universalità insita nella propria
identità dottrinale e della corrispondente pratica rituale e di conseguenza nel riconoscimento
della validità salvifica dell’ortodossia e dell’ortoprassi relative alle altre fedi.
Certe iniziative della Chiesa Cattolica al riguardo tendono invece a un “nuovo
umanesimo”, livellando così orizzontalmente alla dimensione umana, mentalmente e
sentimentalmente, le differenze delle varie dottrine teologiche, per la ricerca non più di una
trascendenza, ma di un cosiddetto “trans-umanesimo”, in realtà un “infra-umanesimo”
preludio dell’avvento di un “nuovo rinascimento” che non corrisponde certo a una attesa
cristiana resurrezione.
Questo infatti non riguarda più una “trans-formazione” o metànoia dell’individuo che,
secondo le parole di un sufi del XX secolo, dovrebbe verticalmente “elevare lo Spirito al di
sopra di sé stesso”, e opera invece un transfert del “Culto”, nella sua derivazione o deviazione
che sia, nella sola “cultura”, originando una pseudo-civiltà matrice di una volontà di potenza
che conduce a scontrarsi con le vere Civiltà.
E se il Papa Benedetto XVI ha dichiarato che il dialogo non si può fare sul terreno delle
teologie, egli ha reso vano e nullo, come già aveva fatto quand’era Cardinale, con la dichiarazione
“Dominus Jesus”, lo slancio che il suo predecessore aveva impresso con l’incontro di Assisi nel
1986, incontro di cui conserviamo un ricordo indimenticabile, in vista di affermare il reciproco
riconoscimento della validità salvifica di tutte le religioni che erano presenti.
Siamo pienamente d’accordo sul fatto che non si possa fare un dialogo fra teologie che, in
quanto Rivelazioni del Dio Unico, non dovrebbero divenire oggetto di discussioni. Ma, per la stessa
ragione, non possiamo nemmeno ridurre il dialogo a un livello solamente culturale, come sembra
confermare l’eliminazione del Segretariato per il dialogo interreligioso, che è stato sostituito da un
organismo rivolto al dialogo tra le culture.
È preoccupante il fatto che quest’ultimo sembrerebbe orientarsi verso un razionalismo di
stampo hegeliano (come è stato rilevato da diverse parti), considerato quale unico presunto
antidoto a ogni forma di fondamentalismo e prerogativa esclusiva dell’uomo moderno. Non
sarebbe forse invece necessario recuperare quella autentica dimensione della fede che non è certo
irrazionale, ma sovrarazionale, e cioè quaerens intellectum, quella che si realizza unicamente nella
ricerca conoscitiva di certezze intellettuali che solo Dio può svelare?
Fortunatamente, il suo attuale successore, che ha preso il nome del Santo che ebbe
l’occasione di incontrare a Damietta il Sultano d’Egitto, senza per questo pretendere di
convertire né lui, né i suoi sudditi, alla religione che ha finito per predominare in Occidente,
questo nuovo Francesco sembra aver potuto ristabilire la possibilità di tale “dialogo al vertice”
che abbiamo sempre auspicato, e per il quale ci siamo recati con una delegazione a
Gerusalemme durante la sua visita ai luoghi santi, che, ricordiamo, essere comuni alle tre
Rivelazioni del Dio Unico di Abramo, in quanto discendenza legittima dei suoi due figli.
D’altra parte le tendenze universalistiche di certi pseudo-sufismi, sofismi o
sofisticazioni, che pretendono condurre ad una falsa concezione metafisica intesa come il
superamento delle religioni in una artificiosa unificazione o globalizzazione che rappresenta la
maschera dell’Unità e dell’unicità del Dio di Abramo, vorrebbero cancellare le varie identità
delle dottrine rivelate in una vaga astrazione misticheggiante o misteriosofica in cui si ignorano
le vere
cause dei
Abramico.
conflitti, ascritti erroneamente alle stesse rivelazioni del monoteismo
Come nella triade medievale, la dimensione spirituale e verticale dell’Aql, dello spiritus,
trascende infatti anima e corpus, così come trascende la convenzionale contrapposizione fra fides e
ratio, la quale ultima conduce invece alla psicosi delle moderne tendenze occidentali e orizzontali,
dimentiche della Verità, unico vero scopo di ogni religioso, che fa di tutti gli uomini le sole creature
fatte “a immagine e somiglianza di Dio”.
“Se Dio si è fatto uomo è perché l’uomo si faccia Dio”, e questo adagio della Chiesa
Ortodossa non ci rimanda soltanto alla vocazione di una Theosis o Deificatio sempre attuabile
per una minoranza elitaria, ma alla necessità anche per quest’ultima della rigorosa
partecipazione a quell’ortoprassi, che abbiamo visto da sempre accomunare in Russia.
Nel 2004, in occasione di una conferenza dell’Unesco a San Pietroburgo, una nostra
richiesta di incontro con il Patriarcato di Mosca è stata esaudita nel giro di 24 ore, e si è svolta nella
piena sintonia delle reciproche ortodossie, sino a sfociare nel progetto di un prossimo incontro
dove si possa ancora distinguere tra fede e terrorismo, a differenza della confusione che se ne fa in
Europa occidentale. Erano i giorni in cui il ritratto della Vergine di Kazan veniva riportato
dall’allora Patriarca Alessio II e anche quelli della strage di Beslan, che non avevano pertanto
inficiato il riconoscimento da parte del governo russo di un Islam presente dal più antico
Medioevo, le cui moschee ricevono attualmente la profonda devozione di musulmani russi
“bianchi”, atteggiamento così simile anche nelle sue gestualità a quello notato nelle Chiese
Ortodosse.
L’Italia, invece, è l’unico Paese al mondo a non riconoscere l’Islam come religione,
nonostante la presenza attuale di circa un milione di musulmani per i quali è prevista una sola
moschea ufficiale a Roma.
Quando abbiamo palesato tale assurdità ai nostri correligionari stranieri, non ci hanno
creduto. Non pensiamo però che un Paese come il nostro possa ancora rimanere sospeso fra diritto
e sicurezza, negando all’Islam il riconoscimento del suo inserimento nel Monoteismo abramico.
Tale riconoscimento è l’antidoto a certo esclusivismo confessionale, a certo
fondamentalismo o fanatismo religioso, a certo moderatismo relativista e finalmente a ogni
tendenza ossessivamente laicistica che pretenda tollerare e perfino dubitare della nostra
integrità religiosa per trascinarci fuori da un immaginario integralismo verso una reale profana
integrazione.
Se il Marocco è l’estremo Occidente dell’Islam, e non per questo è necessariamente
“estremista”, noi, i primi musulmani italiani, dopo settecento anni di assenza dell’Islam
dall’Italia,
non
siamo
certamente,
come
qualcuno
pretenderebbe,
l’
“avanguardia
dell’islamizzazione in Europa”; ma, in questo paese che accoglie la più antica comunità ebraica,
presente ancora prima dell’Impero Romano, e che allo stesso tempo è sede del Vaticano,
potremmo rappresentare i pionieri di una riconciliazione delle differenti teologie delle
Rivelazioni del Monoteismo abramico, riavvicinando le rive del Mediterraneo nel mare comune
dell’Unicità di Dio.
Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini
Presidente COREIS (Comunità Religiosa Islamica) Italiana