COMPRAVENDITA - USUCAPIONE

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COMPRAVENDITA - USUCAPIONE
Norme e tributi 35
Il Sole 24 Ore
Mercoledì 5 Agosto 2015 - N. 214
GIUSTIZIA E SENTENZE
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Cassazione. Il rinvio dovrà sciogliere il contrasto sui rimedi da utilizzare in caso di abusi degli uffici
Patti a termine e Pa alle sezioni unite
Da definire come determinare il risarcimento per il lavoratore
Crisi d’impresa. Respinte le questioni di costituzionalità
Al Senato oggi l’ultimo sì
al decreto sui fallimenti
Alessandro Galimberti
Patrizia Maciocchi
ROMA
pSaranno le Sezioni unite a sce-
gliere il criterio di risarcimento da
riconoscere al lavoratore quando la
Pa abusa dei contratti a termine.
La Sezione lavoro della Corte di
cassazione, con l’ordinanza interlocutoria 16363 depositata ieri,
ammette il contrasto sul tema e
passa la parola alle sezioni unite.
L’occasione per chiedere lumi arriva da un ricorso con il quale
un’azienda ospedaliera contestava la posizione della Corte d’appello che, in linea con il Tribunale,
aveva ritenuto adeguato il solo
criterio forfettizzato dettato dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il datore era stato condannato a pagare 20 mensilità: cinque
come misura minima per il licenziamento non valido e 15 in sostituzione della reintegra.
Un verdetto, a parere della Corte d’appello, in linea con le indicazioni fornite dalla Corte di giusti-
zia Ue in seguito alla domanda
pregiudiziale proposta proprio
dal Tribunale di primo grado. I
giudici di Lussemburgo (Causa C53/04), pur affermando che la norma statale(articolo 36 del Dlgs
165/2001, modificato dal Dl 112/08)
la quale esclude per i dipendenti
pubblici la trasformazione del
contratto a tempo indeterminato
in conseguenza dei rinnovi illegittimi non entra in rotta di collisione
con la direttiva comunitaria in
materia (1999/70) chiariscono
che il “gap” rispetto al lavoro privato deve essere colmato con misure adeguate e garanzie equivalenti. Per essere in armonia con il
diritto comunitario il danno risarcito deve avere: un’efficacia dissuasiva, non produrre conseguenze di minor favore di quelle
previste per i privati e non rendere
troppo difficile la tutela contro il
ricorso eccessivo ai rinnovi.
Secondo i giudici di merito la liquidazione equitativa è garantita
dalla disciplina dell’articolo 18,
che avebbe anche un potere dissuasivo. La tesi, però, non è condivisa dai giudici di legittimità che si
“spaccano” indicando altre leggi
come utili sia a porre rimedio al
danno sia a prevenirlo.
Secondo la Cassazione 19371 del
2013, in caso di violazione della legge imperativa sui rinnovi, ferma
restando la preclusione alla trasformazione del rapporto in tempo indeterminato ritenuta legittima anche dalla Consulta (sentenza 98 del 2003), resta solo la strada
del ristoro dei danni subiti. La legge da applicare, d’ufficio e anche in
sede di legittimità, sarebbe la 183
del 2010 che, con l’articolo 32, prevede un’indennità omnicomprensiva la quale spazia tra un minimo
di 2,5 mensilità a un massimo di 12.
Una norma da applicare a prescindere dalla costituzione in
mora del datore e dalla prova concreta del danno.
La scelta non è però condivisa
QUOTIDIANO DEL DIRITTO
Rassegna di massime
sugli atti processuali
in lingua italiana
Nel numero odierno la rassegna
di massime a cura di Lex24 è sul
principio di obbligatorietà della
lingua italiana per gli atti
processuali ex art. 122 del Cpc.
dai colleghi della stessa sezione
che, con la sentenza 27481 del 2014,
pur mantenendo fermo il paletto
dell’impossibilità di costituire
rapporti a tempo indeterminato,
prendono come parametro per il
risarcimento il “danno comunitario” configurabile come sanzione
per legge a carico del datore. Per liquidare il danno comunitario va
applicato il criterio indicato dalla
legge 604/1966, articolo 8, che fissa un risarcimento che varia dalle
2,5 alle 6 mensilità che possono
“lievitare” fino a 14 in virtù dell’anzianità. Mentre sarebbe sbagliata
sia la scelta dell’articolo 18, perché
privo di qualunque attinenza, sia
quella della misura omnicomprensiva dettato dalle legge
183/2010. Sulla stessa linea si è
mossa anche la Cassazione 13655
del 3 luglio scorso. Per i giudici è il
caso di correre ai ripari prima che
la “confusione” sulle sanzioni da
applicare alla Pa aumenti.
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MILANO
pCon il voto di fiducia del-
l’Aula del Senato - chiesto ieri
dal ministro per i rapporti con il
Parlamento, Maria Elena Boschi - si conclude oggi a mezzogiorno il percorso di conversione del decreto legge 83/2015
«Misure urgenti in materia
fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria» che, salvo (improbabili)
sorprese, diventerà definitivamente legge.
Il testo uscito dal veloce dibattito assembleare di Palazzo
Madama è identico a quello licenziato dalla Camera la scorsa
settimana, nonostante le aspre
polemiche delle opposizioni
che ancora ieri hanno caratterizzato la discussione. Discussione che, dopo l’introduzione
del relatore Felice Casson, ha
subito archiviato cinque que-
stioni pregiudiziali di costituzionalità (Stefani, Buccarella,
Caliendo, De Petris, Bruni) a temi molto ampi, ma soprattutto
centrate sui presupposti di necessità e urgenza della decretazione e - in particolare -sulla vasta eterogeneità dei temi coinvolti - dai fallimenti al processo
esecutivo e telematico, dalle
banche all’organizzazione giudiziaria e fino alla continuità
delle imprese indagate per reati ambientali. A queste il senatore D’Alì ha aggiunto l’articolo 22, della legge - copertura finanziaria - «rimasto immutato
rispetto al provvedimento iniziale, nonostante le numerosissime aggiunte, alcune costose,
che sono state introdotte dalla
Camera dei deputati» (tra cui il
credito d’imposta di 250 euro
per gli avvocati).
«Frustrazione» è stata
espressa dal collega Orellana
(commissione Giustizia) per
un testo «passato troppo rapi-
damente senza poter approfondire adeguatamente i contenuti e le implicazioni, nonostante il nostro intento migliorativo». Secondo Orellana,
peraltro, «i tempi tecnici per
una terza lettura alla Camera
dei deputati ci sarebbero stati,
in quanto il dl va convertito entro il 26 agosto». Drastico Puglia (M5S) secondo cui «finalmente esaminiamo un provvedimento che tratta di fallimenti, anche se a mio avviso l’unico
fallimento è questo governo».
Caliendo è tornato, infine,
sui magistrati tributari e la
«norma vergognosa sul ricambio generazionale dei cinquantenni. Nella magistratura onoraria l’esperienza, la professionalità, l’età contribuiscono a un
equilibrato giudizio, specialmente in quelli che non sono
professionalmente giudici».
Tra poche ore il via libera
alla legge.
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Diritti reali. Ma se l’utilizzo del bene si prolunga nel tempo apre la strada al «possesso» e al passaggio di titolarità
Prevenzione mafiosa. Finanziamento su immobili poi confiscati
La tolleranza esclude l’usucapione
Credito salvo se in «buona fede»
pSe un bene è utilizzato da un
soggetto diverso dal proprietario
per tolleranza di costui, l’utilizzatore non si trova in una situazione
di «possesso» ma di mera «detenzione», cosicchè non può maturare l’usucapione (che presuppone
appunto una situazione di «possesso»). La tolleranza, e cioè la
condiscendenza, è una situazione
che si verifica specialmente in ragione dei rapporti tra il proprietario e l’utilizzatore: amicizia, parentela, vicinato. Se però, nel caso dei
rapporti di amicizia e di buon vicinato, l’utilizzazione del bene altrui
dura per un lungo periodo, la situazione evolve in vero e proprio
«possesso», il che legittima la for-
mazione dell’usucapione. È quanto la Cassazione ha deciso nella
sentenza n. 16371 del 4 agosto 2015.
Il «possesso» è una situazione
di fatto che si ha quando un soggetto si comporta verso un dato
bene altrui come se ne fosse il proprietario, senza però esserlo; la
«detenzione» è invece la situazione in cui si trova chi utilizza il
bene altrui, riconoscendo l’altrui
diritto. Possessore è il ladro (perché si comporta verso il bene rubato come se ne fosse il proprietario, ma non ne matura l’usucapione perché si tratta di un possesso
acquistato violentemente); detentore è l’inquilino, perché, pagando (o dovendo pagare) il ca-
none, riconosce il diritto di proprietà del soggetto che gli ha concesso in locazione il bene che
l’inquilino utilizza.
L’usucapione è l’acquisto della
proprietà del bene altrui per effetto del «possesso» perdurato per
un certo tempo indicato dalla legge. Per aversi usucapione, occorre
il possesso; la mera detenzione
non porta all’usucapione. Per il
maturare dell’usucapione, il possesso deve essere continuato (e
cioè non discontinuo), non interrotto ( non cessato per il venir meno dell’inerzia del titolare del diritto), pacifico (non conseguito con
violenza) e non clandestino (non
conseguito nascostamente).
Si dice «tolleranza» la situazione in cui l’utilizzatore di un dato
bene altrui ne abbia la disponibilità per il fatto che il proprietario ne
sia condiscendente (in modo
esplicito o implicito); in sostanza,
si tratta del proprietario che “chiude un occhio”: ad esempio, Tizio
tollera che il suo vicino di casa Caio parcheggi nel posto-auto di Tizio mentre costui è in vacanza.
La tolleranza massimamente
si ha per il fatto che proprietario e
utilizzatore sono amici, parenti o
vicini. Ma se l’utilizzo tollerato di
un dato bene dura assai a lungo,
c'è da chiedersi se tratti sempre
di tolleranza (e quindi di “detenzione”) o se il rapporto tra pro-
prietario e utilizzatore sia evoluto in una situazione diversamente qualificabile.
Ebbene, secondo la Cassazione,
se è vero che i rapporti di parentela, di amicizia e di buon vicinato sono indice di tolleranza; è pur anche
vero che se l’utilizzazione dura per
lungo tempo, questo fatto rende
improbabile la qualificazione della situazione in termini di tolleranza, in quanto, qualora almeno si
verta in tela di rapporti di amicizia
o di buon vicinato, che sono di per
sé labili e mutevoli, la lunghezza
del periodo di utilizzo fa propendere per una situazione di vero e
proprio “possesso” e cioè una situazione da cui può in effetti derivare l’usucapione del bene da parte del soggetto che lo utilizza.
A.Bu.
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pL’opponibilità del credito
del terzo alla confisca/misura
di prevenzione ha natura civilistica, anche se innestata in un
procedimento penale, e quindi
spetta alla parte dimostrare la
propria «buona fede».
La Prima penale della Cassazione (sentenza 34106/15, depositata ieri) torna su un tema
sempre molto attuale - basti
considerare l’ingentissimo patrimonio ormai gestito dall’Agenzia dei beni sequestrati e
confiscati, e il relativo contenzioso- per ribadire l’onere che
incombe sulla banca per evitare la “nazionalizzazione” del
credito in caso di confisca del
DIRITTO DELL'ECONOMIA
In breve
CLAUSOLE VESSATORIE
Numero e lettera
sono obbligatori
Le clausole vessatorie di un
contratto per adesione
devono essere approvate
per iscritto, requisito
richiesto dall’articolo 1341
del codice civile, e
specificate idoneamente
(quanto meno con il numero
e la lettera che le
contraddistingue). Ciò per
suscitare l’attenzione del
contraente senza necessità
di sottoscrizione integrale
del contenuto della clausola.
Corte di Cassazione, sezione
VI civile, ordinanza del 21
luglio 2015 n. 15278
RISCOSSIONE
Cartelle esattoriali
e notifiche tardive
La notifica tardiva della
cartella di pagamento
impugnata non è un vizio
proprio di questa tale da
legittimare in via esclusiva
l’opposizione del
concessionario della
riscossione in un giudizio di
impugnazione.
La legittimazione passiva,
pertanto, spetta all’ente
titolare del credito
tributario e non già al
concessionario.
Questi, se destinatario
dell’impugnazione, ha
l’onere imperativo di
chiamare in giudizio l’ente
creditore, se non vuole
rispondere all’esito della
lite, non essendo il giudice
tenuto a disporre d’ufficio
l’integrazione del
contraddittorio, in quanto
non è configurabile un
litisconsorzio necessario.
Corte di Cassazione, sezione
Tributaria, sentenza del 22
luglio 2015 n. 15393
A CURA DELLA REDAZIONE
LEX 24
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Eredità Ue, scatta la legge
della «residenza abituale»
Dal 17 agosto in vigore il nuovo regolamento sulle successioni
Angelo Busani
li più semplici perché dal 17
agosto prossimo si applicherà
la legge del luogo di «residenza abituale». Da tale data infatti, per chi vive e opera nella Ue,
non vi dovrebbero essere più
dubbi su quale sia la legge applicabile alla successione mortis causa del signor Otto Müller,
immaginario cittadino tedesco
residente abitualmente in Italia,
che lasci la moglie Bernadette
(francese, sposata in Spagna) e
due figli (Vladimir, nato in Russia
ma residente in Messico, e John,
nato in Inghilterra, ma residente
in Serbia), la cui eredità sia composta da un conto corrente in una
banca dell’Olanda, da una casa in
Francia e da azioni di una società
del Canada.
L’”internazionalità” di una
successione come quella appena
descritta poteva in effetti dar luogo a un’inestricabile conflitto tra i
giudici dei vari Paesi coinvolti
(per ragioni soggettive o oggettive) da questa successione, poiché
ciascuno di essi avrebbe individualmente applicato le regole del
proprio diritto interno dettate
per casi del genere.
Il 17 agosto 2015 - spinto dall’idea
che l’odierna mobilità delle persone e dei patrimoni reclamava una
omogeneitàdidisciplina-entrainvece in vigore il Regolamento n.
615/2012, le cui norme, da tale data,
costituiranno il diritto internazionale privato uniforme delle successioni a causa di morte nei Paesi
Ue (escluse Inghilterra, Irlanda e
Danimarca, che continueranno a
utilizzare le proprie norme di diritto internazionale privato).
L’affermazione che il Regolamento n. 615/2012 detta il diritto in-
cessi di mafia. La banca sosteneva nel ricorso di aver svolto i
controlli sul cliente con ordinaria diligenza, non potendo contare su autonomi poteri di investigazione. La Prima però ha ribadito che «il soggetto terzo
deve allegare elementi idonei a
rappresentare non solo la sua
estraneità all’illecito pregresso
(...) ma anche l’affidamento incolpevole inteso come applicazione , in sede contrattuale, di
un livello di media diligenza da rapportarsi al caso in esame teso ad escludere rimproverabilità di tipo colposo».
A.Gal.
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Diritto privato internazionale. Stop ai conflitti sulle regole nei casi transfrontalieri
pSuccessioni internaziona-
bene finanziato. Nel caso specifico, ipotesi peraltro frequentissima nella prassi, un istituto
di credito chiedeva al Tribunale di Palermo l’ammissione al
pagamento del credito ipotecario, credito vantato su immobili
oggetto di confisca definitiva in
un provvedimento di prevenzione antimafia. Presupposto,
ovviamente, era il riconoscimento della buona fede al momento della conclusione del
contratto di mutuo, tutto incentrato sulla reale «conoscibilità» del destinatario del finanziamento - soggetto che, nel
caso specifico, aveva avuto vari
problemi con inchieste e pro-
ternazionale privato Ue in materia di successione mortis causa significa che esso contiene (non le
regole che disciplinano concretamente una data devoluzione ereditaria, ma) le regole in base alle
quali si stabilisce di quale Paese sia
la legge che deve disciplinare un
dato caso (la legge applicabile a un
dato rapporto, in base alla individuazione che ne faccia il diritto internazionale privato, è designata
dai giuristi come la “legge materiale” di quel dato rapporto). In altri termini, la legge di diritto internazionale privato designa la legge
materiale concretamente applicabile a una certa vicenda giuridica; la legge materiale è quella vi-
LA PAROLA
CHIAVE
I patti successori
7Con il Regolamento numero
615/2012 diviene possibile
stipulare, anche in Italia, patti
successori: ad esempio, il patto
con cui Tizio promette a Caio di
nominarlo erede nel suo
testamento.
Ciò a condizione che il patto
successorio (che, nonostante sia
stipulabile in Italia, rimane
comunque vietato dalla legge
successoria italiana) sia
ammesso dalla legge del luogo di
residenza abituale del de cuius o
dalla legge nazionale del de cuius
qualora questi l’abbia scelta
come legge regolatrice della
propria successione.
gente nel Paese che viene indicato
dalle norme di diritto internazionale privato come il Paese la cui legislazione è quella applicabile a
un certo rapporto.
Ogni Paese ha una propria legge di diritto internazionale privato; in Italia si tratta della legge 218
del 31 maggio 1995, il cui articolo 46
si occupa appunto del problema
di quale sia la legge materiale da
applicare in Italia (in particolare,
in un giudizio innanzi all'autorità
giudiziaria italiana) per una successione ereditaria che, come
quella dell'immaginario signor
Otto Müller, esemplificata
nell'esordio di questo articolo,
presenti elementi di internazionalità (invero, se una successione
non presenti caratteri di internazionalità, ma abbia solo elementi
di diritto italiano, il diritto applicabile è evidentemente quello italiano, senza doversi porre problemi
di diritto internazionale privato:
si pensi alla morte di un cittadino
italiano, residente in Italia, che lascia congiunti italiani e asset tutti
allocati in Italia).
Ebbene, il pregio del Regolamento n. 650/2012 è proprio quello
di superare le diverse norme di diritto internazionale privato vigenti nei Paesi Ue in materia di successione mortis causa, sostituendole
con nuove norme di diritto internazionale privato, finalmente uniformi per tutti i Paesi Ue: non potrà
più accadere, ad esempio, come
può accadere fino al 16 agosto 2015,
che la legislazione italiana dichiari
applicabile il diritto successorio
francese alla successione dell'immaginario cittadino francese Bernard Corlande, e che, al contempo,
la legislazione successoria francese dichiari applicabile il diritto
successorio italiano per i beni che
detto signor Corlande abbia nel
nostro Paese. In particolare, per
noi italiani, con il Regolamento si
avrà un epocale cambiamento dello scenario che veniva delineato,
nella vigenza della legge 218/1995,
nel caso di una successione a causa
di morte che presentasse elementi
di internazionalità: fino al 17 agosto
2015, infatti, il criterio di “collegamento” utilizzato dalla legge italiana per individuare la legge applicabile a una successione internazionale è quello della “nazionalità” del
defunto;inaltritermini,ritornando
all'esempio con cui è stato aperto
questo articolo, la legge applicabile
alla successione del signor Otto
Müller che muoia prima del 17 agosto 2015 è quella della Germania.
Invece, se il decesso di questa
persona avvenga dopo il 16 agosto 2015, il criterio di collegamento (e cioè la metodologia che la
legge usa per stabilire quale sia la
legge applicabile) muta radicalmente, poiché il Regolamento n.
650/2012 lo stabilisce con riferimento al nuovo concetto di “residenza abituale” del defunto: pertanto, utilizzando sempre il medesimo esempio, se gli eredi di
Otto Müller litigassero in ordine
alla devoluzione dell'eredità e la
lite giungesse (come in effetti deve giungere, ai sensi del Regolamento n., 650/2012) nelle aule di
giustizia italiane, il giudice italiano non applicherà più la legge tedesca per decidere la lite (come
sarebbe avvenuto se il decesso si
fosse verificato prima del 17 agosto 2015), ma dovrà applicare la
legge italiana, in quanto legge vigente nel luogo in cui il defunto
aveva la sua “residenza abituale”.
A quest'ultimo concetto è dedicato l'articolo qui a fianco.
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Gli effetti. Per decidere su testamento, legittima e quote da attribuire
Le norme italiane si applicano
agli stranieri che vivono qui
pA partire dalle successioni
che si apriranno dal 17 agosto
2015 in poi, dunque, i Paesi Ue riconosceranno come “legge materiale” di una successione ereditaria (e cioè la legge che, ad
esempio, stabilisce chi sono gli
eredi legittimi in mancanza di
un testamento e cosa spetta a
ciascuno di essi) quella vigente
nel Paese in cui il defunto aveva
stabilito la sua «residenza abituale». Pertanto, se muore il signor Mario Rossi, cittadino italiano che risiedesse abitualmente in Inghilterra, sarà la legge inglese a regolare la sua
successione; se invece muore il
signor Raul Olivares, cittadino
spagnolo residente abitualmente in Italia, è la legge italiana quella che deve applicarsi.
Il criterio di collegamento
non cambia se si tratti del decesso di un soggetto che non sia cittadino di un Paese Ue o che non
abbia la residenza abituale in un
Paese Ue; e così sarà sempre la
legge italiana a regolare la successione del canadese John
Smith che risieda abitualmente
a Venezia o del cinese Bing Tao
che risieda abitualmente a Firenze. Ma, mentre nel caso della
successione di Raul Olivares in
tutta la Ue, per effetto del Regolamento n. 650/2012, non si dubita che sia la legge italiana
quella che regola detta successione, nel caso di John Smith e di
Bing Tao non è escluso che i giudici canadesi o cinesi la pensino
diversamente sul punto di quale sia la legge da applicare alla
successione dei loro cittadini
residenti abitualmente in Italia.
Con l’entrata in vigore del
Regolamento n. 650/2012 in Italia dovremo dunque iniziare a
maneggiare questo concetto di
«residenza abituale» finora
sconosciuto alla materia della
successione a causa di morte. Il
Regolamento non ne dà una
specifica definizione, ma offre
comunque (nel suo ventitreesimo «Considerando») i parametri con i quali si deve giungere a
stabilire dove una data persona
abbia avuto la sua residenza
abituale. Si può dunque affermare che, per aversi la residenza abituale di un individuo in un
determinato luogo, dovrebbe
sussistere una sua stretta e stabile relazione con quel territorio, ciò che si dovrebbe realizzare con il concorso di due elementi (l’uno oggettivo e l’altro
soggettivo) di pari e imprescindibile rilevanza, vale a dire:
e la circostanza oggettiva che
un dato soggetto permanga
stabilmente in un determinato
luogo, situazione che si rileva
prendendo in considerazione
NAZIONALITÀ SUPERATA
I nuovi parametri
si basano sul luogo
in cui si vive, se costituisce
la sede principale
dei propri affari e affetti
la durata della permanenza, le
ragioni di essa e le sue caratteristiche (con la conseguenza
che il concetto di residenza
abituale non dovrebbe concretarsi se non si tratti di una situazione tendenzialmente permanente, come accade nel caso
della presenza che una persona
abbia in un dato luogo per ragioni di vacanza o di cura, e ciò
anche se si tratti di una situazione che si protragga per un
tempo non breve);
r la circostanza soggettiva attinente alla effettiva intenzione
di una data persona di voler stabilire la propria residenza in un
dato luogo, al di fuori del Paese
del quale tale persona abbia la
cittadinanza.
Puntando sul criterio della
residenza abituale si ha innegabilmente una situazione di minor certezza rispetto al previgente criterio della nazionalità,
in quanto, mentre la cittadinanza è una situazione oggettiva, il
concetto di residenza abituale
costringe a un non facile (e opinabile) lavoro di ricerca del luogo in cui si trovava il centro degli interessi del defunto al tempo della sua morte. Tuttavia, il
concetto di residenza abituale
meglio indubbiamente si adatta
all’obiettivo di ancorare la procedura successoria al luogo nel
quale il defunto ha dispiegato i
suoi interessi e i suoi affetti.
Volendo “tradurre” il concetto di residenza abituale con
espressioni familiari al gergo
giuridico italiano, ben si potrebbe dire che possa coincidere con il «domicilio» del de
cuius, ove questi abbia vissuto
nel luogo in cui egli abbia «stabilito la sede principale dei
suoi affari e interessi» (articolo 43 del Codice civile); altrimenti, se il de cuius lavorasse in
un luogo (ad esempio in Svizzera) che egli raggiungesse
con viaggi quotidiani dal luogo
di residenza suo e della sua famiglia (ubicato invece in Italia), e se nel luogo di lavoro egli
non abbia esplicato alcun altro
interesse diverso dalla sua attività lavorativa (essendo stati
concentrati nel luogo di residenza tutti gli interessi non
meramente professionali di tale soggetto), si dovrebbe concludere che, in questo caso, il
concetto di residenza abituale
di cui al Regolamento n.
650/2012, coincida con il luogo
in cui egli ha la propria «residenza» ai sensi della normativa civilistica italiana (e cioè il
luogo di «dimora abituale»).
A.Bu.
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