Ascoltare un minore in un ambito giudiziario del prof. Ugo
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Ascoltare un minore in un ambito giudiziario del prof. Ugo
COMMENTO A CURA DEL PROF. UGO SABATELLO a) cosa vuol dire "ascoltare" un minore in un ambito giudiziario per un esperto dell'area Psicologica L’ascolto del minore in ambito civile si pone come esercizio di un diritto (il diritto di esprimere la propria opinione e le proprie esigenze) e si distingue dalla testimonianza, (rendere memoria di un fatto) la quale attiene ad un fatto storico al quale si è assistito e di cui si relaziona. I due ambiti (i due “ascolti”) si differenziano profondamente: se nel secondo caso l’esperto è tenuto a salvaguardare anzitutto la precisione, l’integrità e la genuinità del racconto, focalizzando l’attenzione sulle circostanze fattuali ed esperienziali utili per il giudizio; in ambito civile si tratta piuttosto di comprendere in primo luogo i vissuti e gli orientamenti che il bambino esprime. Come scrivevano Michielin e Sergio (2001) 1, si tratta di una “cooperazione attiva all’atto comunicativo, cooperazione in cui è importante sforzarsi di capire piuttosto che giudicare, prestare attenzione a tutto il discorso del soggetto e aiutarlo a riformulare le parti confuse o contraddittorie, formulare sintesi e giudizi solo quando vi sono tutti gli elementi per farlo”. Si pongono tuttavia spesso problemi relativi alle applicazioni ed ai limiti dell’esercizio di questo diritto, specie quando ci troviamo di fronte ad un minore coinvolto nel conflitto tra i genitori con problemi inerenti il suo affidamento e la sua custodia. Quali sono i confini che definiscono la facoltà che un minore possiede di esprimere i propri orientamenti e la sua capacità di autodeterminarsi, specie in situazioni che chiamano così profondamente in causa i suoi affetti e i suoi equilibri relazionali? La valutazione dell’ascolto è quindi opera particolarmente delicata che richiede al Giudice, ed al suo esperto, una notevole serenità ed equilibrio nel giudizio dal momento in cui il bambino si trova ad esprimere delle opinioni che, forse, potrebbero essere indotte e non spontanee. Inoltre, non sempre il giudizio e l’opinione di un bambino corrispondono a ciò che è meglio per lui. Tradurre il diritto ad essere ascoltati nel diritto, tout court, che le proprie considerazioni 1 Michielin P, Sergio G., Comunicare con il minore. In: A. Forza, P. Michielin, G. Sergio (a cura di), Difendere, valutare, giudicare il minore. Giuffré Editore, Milano, 2002. abbiano valore di giudizio e i propri desideri esauditi, non corrisponde per nulla al “miglior interesse del minore”. La Suprema Corte (sent. 7282/2010) ha precisato che, mentre per ogni accertamento istruttorio è necessario che il diritto di difesa sia pienamente garantito, comunicando alla parte la sua assunzione, così non è per l’audizione. Questa, infatti, non è atto istruttorio, ma riflette una nuova considerazione del minore portatore di bisogni e interessi che, se consapevolmente espressi, pur non vincolando il giudice, non possono essere da lui ignorati e che lo obbligano anzitutto ad ascoltarlo nella misura consentita dalla capacità del bambino di autodeterminarsi. Spetta al giudice il compito di eseguire l’audizione in modo che sia protetta da interferenze, turbamenti o condizionamenti, adottando cautele e modalità suggerite dalle circostanze concrete. Ne consegue che, in ragione delle specifiche peculiarità di ogni persona minore di età che deve essere sentita, e a tutela del suo superiore interesse, le modalità dell’audizione vanno modulate di volta in volta, essendo anche possibile escludere genitori e difensori dall’audizione, ma debitamente motivando e consentendo il contraddittorio prima e dopo l’audizione in senso stretto; non è viceversa possibile l’esclusione generalizzata a priori della difesa. Soprattutto in caso di esclusione della difesa, la verbalizzazione del detto e del contesto deve essere dettagliata e aderente, tanto che il sistema più efficace resta la video- registrazione, al fine di consentire l’esame dell’opinione realmente espressa dalla persona minore così da esplicitare le considerazioni e gli eventuali mezzi di gravame, in proposito. L’audizione del minore, pur non essendo atto istruttorio, è però certamente un atto processuale che si caratterizza, cioè, per la sua qualità di costituire elemento del processo, e di realizzazione della tutela giurisdizionale, in quanto atto coordinato all’esercizio della giurisdizione in materia di diritti dei minori. L’ascolto del minore è finalizzato a recepirne nel processo: opinione, vissuto, istanze ed esigenze. Non è mezzo istruttorio, in quanto non è volto alla verifica di un fatto posto dalla parte alla base delle domande di parte. Non è, quindi, assimilabile alla testimonianza in quanto non è diretto a recepire fatti dei quali una persona possa riferire: anzi è il suo esatto contrario, in quanto nella testimonianza sono da escludere le valutazioni e le opinioni, mentre nell’ascolto il minore è chiamato a manifestare la sua opinione. Nemmeno è assimilabile all’interrogatorio formale: la prospettiva di confessione della parte di circostanze alla stessa sfavorevoli è, evidentemente, estranea all’audizione del minore che è elemento estraneo al sistema delle prove Non trattandosi di una vera e propria “prova”, il contraddittorio non deve essere disposto nel momento dell’ascolto (come imporrebbe la giurisprudenza CEDU) ma in una fase successiva. Piena attuazione del contraddittorio e di diritti di difesa, pretenderebbe che l’audizione del minore avvenisse alla presenza dei difensori anche delle parti (genitori o tutore o parenti a seconda del procedimento). Ma è altresì evidente che, vigendo nei procedimenti minorili la clausola generale del ‘superiore interesse del minore’, questo debba essere considerato anche nella prospettiva processuale del contraddittorio e dei diritti di difesa della stessa persona minore di età, che potrebbe trovarsi intimidita, o peggio non libera di esprimersi, alla presenza dei difensori delle parti, in ragione della sua situazione di particolare vulnerabilità, a seconda anche della sua età. A tale proposito si deve, infatti, sottolineare che l’audizione concerne anche i cd. ‘grandi minori’, che possono avere fino ai 18 anni di età: ne deriva l’ovvia constatazione che l’eventuale compressione del diritto di difesa, non può essere astrattamente previsto, in via anticipata, ma può essere invece modulato di volta in volta in ragione delle diverse e particolari situazioni Possiamo poi distinguere tra ascolto diretto e ascolto indiretto e, quanto a quest’ultimo, si considera la possibilità che esso sia inserito in un adempimento più complesso, quale l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio. -Per quanto riguarda l’ascolto diretto mi sembra resti ancora da definire la “competenza” di chi lo attua. Il problema non è, infatti, risolvibile secondo la filosofia del “buon padre (o madre) di famiglia”, non si tratta, infatti, di interagire con un bambino in una situazione comune ma, piuttosto, di sostenerlo in un procedimento che può essere doloroso e porlo di fronte a dilemmi insolubili quali, ad esempio, la scelta preferenziale tra madre e padre. Ogni tentativo, quindi, di banalizzare l’ascolto e di ricondurlo alle modalità di una interazione “familiare” non ci sembra adeguato, non perché la tecnica (che esiste e deve essere conosciuta) sia particolarmente complessa, ma perché “la posizione interna” di chi ascolta richiede “un’astinenza che sia partecipe” ed una “distanza ottimale non facile da definire” che sono acquisizioni complesse, frutto di approfondimento teorico e di esperienza. Per quanto riguarda l’ascolto indiretto possiamo distinguere: Ascolto Pedagogico: Rivolto a rendere edotto il minore delle prospettive che stanno maturando e che partecipa al Diritto del minore ad essere informato Ascolto valutativo: occasione prevista in cui i soggetti interessati possono incontrare chi deciderà sulle loro istanze. L’occasione, infatti, consentirà al giudice/all’esperto una valutazione delle pregnanza dei problemi alla luce del miglior interesse del minore. E’ evidente che in ogni tipo di ascolto si ponga la necessità di valutare anche il “discernimento” del fanciullo, onde consentirgli una partecipazione più attiva e, contemporaneamente, fornire indicazioni per una considerazione più ponderata delle sue affermazioni. 2 Ascolto volto alla valutazione della personalità del fanciullo per accertare bisogni/problemi/ esigenze. Il fanciullo viene ascoltato quando i familiari non sono in grado per problemi personali/relazionali di cogliere i suoi effettivi bisogni. Ascolto come occasione per acquisire informazioni/per formulare valutazioni e prognosi al fine di individuare gli interventi più congrui. Ascolto giudiziario come fonte d’informazioni/di prova per pervenire ad un 2 convincimento e alla decisione (in sede civile e penale). Lo sviluppo non è sincrono. Vi sono bambini, seppure nel range della normalità, più o meno competenti, più o meno in grado di elaborare un proprio pensiero e di criticare le eventuali influenze suggestive, in maniera non sempre direttamente corrispondente all’età cronologica. In tal caso il bambino è oggetto/strumento di indagine, la sua soggettività, piuttosto che essere al centro dell’ascolto è secondaria in ombra. La categoria del “discernimento” non è qui utilizzabile ma si ricorre, piuttosto al concetto di “idoneità” generica e specifica alla testimonianza. b) quale deve essere il comportamento dell'esperto nello "adempimento" processuale civilistico. La tecnica dell’ascolto del minore in sede di testimonianza (penalistica) è oramai stabilita e definita da una serie di linee guida e di manuali propri della letteratura scientifica internazionale e nazionale. La tecnica dell’intervista ha sicuramente una maggiore rilevanza in sede penale e si svolge secondo passaggi definiti che bisogna conoscere ed applicare e che rendono l’intervista di un minore una attività professionale specializzata che dovrebbe essere svolta dopo uno specifico addestramento e supervisione. L’ascolto civilistico, rivolto ad accogliere l’opinione del bambino pone, apparentemente meno problemi tecnici, ma mette in causa, in modo determinante, la posizione interna e la capacità empatica dell’ascoltatore. Una citazione di Auden ritengo chiarisca cosa intenda: È pungente a toccarlo, come un pruno, o lieve come morbido piumino? È tagliente o ha gli orli lisci e soffici? La verità, vi prego, sull’amore. W.H. Auden Auden chiede che gli si spieghi cosa sia l’amore, al di là dei luoghi comuni e delle opinioni. La sua posizione è “di chi non sa e vorrebbe sapere” di chi ha ridotto al minimo i propri preconcetti (che è impossibile non ci siano) ed è disposto ad ascoltare perché nulla sa di quanto gli potrebbe venir detto. In una posizione di simile astinenza, di profondo “non sapere” dovrebbe trovarsi chi ascolta un bambino. Ciascuno di noi è convinto di sapere quale sia la soluzione migliore, quale sia il “bene” di un minore ma, un ascolto, che sia davvero tale, deve presupporre una epoxé, una sospensione del giudizio che permetta all’opinione dell’altro, almeno, di essere ascoltata e, oltre a ciò, sostenga empaticamente senza confondere ruoli e funzioni. Sincerità e rispetto sono essenziali per facilitare il rapporto di fiducia e di calore con il quale il bambino chiede aiuto all’adulto e diviene capace di esprimere i propri desideri. Brevi istruzioni per un uso corretto dell’Ascolto • il minore deve essere informato (preferibilmente dai genitori o dal suo curatore/tutore) in precedenza dell’incontro con il giudice e delle condizioni del suo • svolgimento; il minore non deve subire, quando convocato, lunghe attese (orari e tempi che • rispettino le capacità attentive); • quanto spesso o troppo affollati o al contrario desolati); il minore non deve essere incontrato in luoghi spersonalizzati o a lui non adatti (in il minore deve essere messo a proprio agio, pertanto è necessario lavorare accuratamente sulla sua accoglienza. Il giudice deve presentarsi puntualmente e • adeguatamente nonché informarlo sulle motivazioni per cui ha richiesto l’incontro; il minore è preferibile che interagisca con un unico interlocutore, che possa essere chiaramente identificato (giudice o meglio un suo esperto-delegato) e che • possibilmente rimanga suo referente nel tempo; • mantenere il segreto sul suo ascolto, in quanto parte integrante del giudizio; il minore non deve essere ingannato in relazione alla possibilità che il giudice possa il minore deve avere spazio/tempo per potere raccontare ed in tal senso il giudice, o meglio l’esperto di questi, deve mettersi in una posizione di “ascolto attivo” e formulare le sue domande solo dopo aver instaurato con lui, un rapporto fiduciario; • il minore deve essere approcciato attraverso un linguaggio semplice e il più possibile adeguato alla sua età, evitando termini giuridici/psicologici da parte di chi lo ascolta • che creano distanza; il minore non va in alcun modo pressato, ossia non bisogna tentare di far dire al bambino qualcosa che possa confermare ciò che chi ascolta già crede, conosce, o • desidera; al minore deve avere spiegato, alla fine del suo ascolto, il significato che ha avuto l’incontro con chi l’ha sentito e per quanto possibile, che la natura e il contenuto delle decisioni che lo riguarderanno, terranno conto di quanto da lui detto, ma potranno essere diverse. Questo breve “vademecum” è ugualmente riferibile alle molte figure professionali che, oggi, sono astrattamente incaricate di “ascoltare”, nelle diverse sedi e nei diversi ruoli che rivestono, il bambino o l’adolescente in ambito giudiziario civile. A fianco delle sedi “giudiziarie” di ascolto, in sede sia civile sia penale, compaiono sempre più di frequente figure che rivestono una funzione clinica (neuropsichiatri infantili, psicologi), psico-sociale (assistenti sociali), educativa (insegnanti, educatori), di controllo e di sicurezza (nell’ascolto del bambino testimone). Ognuna di esse utilizza i propri metodi di valutazione e d’indagine. Questa “moltiplicazione degli ascolti” in senso quantitativo e questi diversi punti di osservazione, sono spesso in grado di produrre evidenze e indicazioni contradditorie, a volte addirittura confusive e suggestive, a meno che esse non si fondino su presupposti comuni, su criteri condivisi sulla base di un sapere egualmente condiviso. L’ascolto cosiddetto “non direttivo” rappresenta, in questo senso, il primo passo per una comunicazione autentica.