Il bicchiere è fresco sotto le mie dita. Accarezzo distrattamente lo

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Il bicchiere è fresco sotto le mie dita. Accarezzo distrattamente lo
Il bicchiere è fresco sotto le mie dita. Accarezzo distrattamente lo stelo e mi volto al lontano suono della
voce di Stefania. Siamo amiche da una decina di anni noi due, quasi sorelle grazie al primo, disastroso,
esame universitario in cui l’ira del professore ci ha unite in una comune disperazione.
Ed è da allora che l’aperitivo del mercoledì è diventato per entrambe una sorta di rifugio dall’impazzire del
quotidiano. Ma non è un abitudine, no. Piuttosto è un bisogno di incontrarci reale, voluto forte della
consapevolezza di saper trarre energia l’una dall’altra. Siamo tutte e due figlie uniche ma per confermare
quella legge che dichiara che gli opposti si attraggono siamo davvero una il contrario dell’altra. Io sono alta,
bruna, con lunghi capelli color ebano e un carattere schivo e solitario mentre Stefania è piccolina, solare e
disinvolta, con una massa di riccioli rame sua dichiarata eterna disperazione.
Sono solamente le 19 di un assolato pomeriggio settembrino ma oggi ho voluto arrivare al ‘nostro’ bar in
anticipo per poter gustare in solitudine la fresca sensazione di sedermi all’alto sgabello di metallo
appoggiato al lungo bancone in vetro. E mi accorgo di sentirmi un po’ a casa, tanto è il piacere che mi
avvolge. Inizio lentamente ad accarezzare la superficie e ne avverto la lucentezza sotto le dita, la solidità, e
anche le mille situazioni di cui è stato testimone silenzioso ed inconsapevole. Concentrandomi sui suoni,
invece, riconosco le note dei Coldplay in sottofondo, la voce di Marco, il titolare del Wine&Coffee che parla
al telefono e mille altri piccoli suoni caratteristici di un bar: l’espresso che scende gorgogliando nella sua
tazzina, un piatto che sbatte inavvertitamente contro l’altro, una lavastoviglie che gira furiosa e il tintinnio
dei bicchieri portati sui vassoi. Le voci invece sono tante…arrabbiate, decise, confuse, dubbiose, felici o
deluse. Troppe e troppo diverse per poter afferrarne una in particolare.
Ma è lo stappare di una bottiglia che mi riporta nuovamente alla realtà. Sono uscita di casa in anticipo
proprio perchè volevo il tempo, desideravo quell’ alleato prezioso che mi avrebbe aiutata e consigliata nello
scegliere il vino perfetto.
Il vino infatti , per me e Stefania, era diventato negli anni una sorta di ‘termometro emozionale’: a seconda
dell’umore momentaneo, del risultato emotivo dei giorni appena trascorsi o del fluttuare nell’aria di
qualsivoglia preoccupazione futura sceglievamo. Il Rosso corposo, potente, austero ed equilibrato in caso di
problemi da risolvere o riflessioni importanti da esporre mentre il Bianco leggero, sbarazzino, fresco e
invitante era nostro amico speciale nei momenti allegri e spensierati.
E oggi la scelta era mia di diritto in quanto avevo appena cambiato lavoro e dalla sensazione positiva che
continuavo ad avere potevo ben sperare che finalmente avevo trovato ‘il’ lavoro, quello giusto, destinato a
coinvolgermi per tutta la vita.
Dopo aver riflettuto attentamente chiedo con una certa sicurezza al barman di versarmi due bicchieri di
Gewurztraminer. Un vino bianco scoperto nei ripetuti aperitivi delle serate universitarie. Un vino felice,
sincero che profumava di amicizia e libri e esami.
Un vino che adoro per il suo gusto fresco, pieno, intenso. Mentre scivola con familiarità nei bicchieri ne
riconosco l’aroma intenso, speziato, con un inconfondibile sentore fruttato ed improvvisamente vengo
catapultata nell’estate appena trascorsa. Avverto nuovamente la sensazione dell’erba fresca sotto i miei
piedi percepita durante le lunghe e rilassanti passeggiate nel bosco fatte con Luna, il mio Golden Retriever.
Vengo avvolta dalla stessa freschezza marina che mi avvolgeva nelle lenzuola durante le notti in cui tenevo
la finestra socchiusa…e posso ancora sentire le voci danzanti dei bambini impegnati a costruire qualcosa di
magico sulla spiaggia.
Non mi accorgo che Stefania e il suo ciclonico entusiasmo mi hanno raggiunta fino a che non sento sulla
pelle il suo familiare abbraccio. Sorrido al suo travolgermi e ai suoi riccioli impertinenti e lascio che la sua
voce cristallina mi riconduca pienamente alla realtà della nostra serata.
Solo allora le indico il suo calice e nel contempo afferro il mio. All’improvviso però il bicchiere oppone
resistenza sotto la pressione di una mano delicatamente racchiusa sulla mia. Perplessa mi volto e scopro
che le dita che mi impediscono di gustarmi il vino scelto con cura sono quelle di un ragazzo. Ha una presa
gentile ma ferma ed è evidente che ha confuso il suo aperitivo con il mio. Ma Andrea, così lo chiamano i
suoi amici mentre escono nel dehors, continua a voler il bicchiere a tal punto, e nonostante le mie proteste,
che pur avendo la mia mano ancora sulla sua, si porta il vino alle labbra e ne assaggia un lungo sorso.
Sempre più frastornata lo sento poi avvicinarsi, annusarmi delicatamente i capelli e affermare con un
mezzo sorriso di poter sentire su di me lo stesso odore del vino appena assaggiato.
Con la sua mano ancora legata in quel strano modo alla mia mi giro verso Stefania per capire se si è accorta
di ciò che mi sta succedendo. Nulla, non si è accorta di nulla. E’ talmente impegnata in un’animata
discussione con il barman riguardo il giusto abbinamento cibo-vino che non ho altra soluzione che rigirarmi
verso lo sconosciuto e chiedergli il motivo del suo gesto. All’improvviso però sento le sue mani lasciare il
bicchiere e con un’insolita fitta allo stomaco capisco che sta per andarsene. Non mi ha risposto, non si è
presentato. Mi ha solo sussurrato quella frase all’orecchio e un momento dopo se n’è andato. L’aria vicino a
me diventa improvvisamente vuota e questa sensazione di tristezza non mi abbandona fino a che la voce di
Stefania penetra nei miei offuscati pensieri chiedendomi di assaggiare lo speck da lei scelto appositamente
per - parole sue - ‘tener buona compagnia al nostro palato affinato dal sapore del vino’. Sono incapace di
parlare ora. Vorrei raccontarle il minuto appena trascorso ma allo stesso tempo capisco che è mio, e che,
come sempre, è diventato già un ricordo. E come tale deve essere sepolto in fretta.
Mi concentro nel piatto che ha scelto Stefania e trovo speck, un ottimo prosciutto crudo tagliato sottile,
crostini ricoperti da patè di fegato e fettine di pane appesantite da minuscoli pezzettini di zucca. Ma la
parte del piatto che mi convince fino in fondo è quella riservata ai formaggi: morbidi e cremosi, di quelli
che si sciolgono in bocca. Un grissino dopo l’altro, il tempo passa veloce e in men che non si dica i calici
vengono nuovamente riempiti mentre le nostre parole volano leggere nell’aria. Racconto a Stefania
aneddoti del mio nuovo lavoro e la ascolto mente mi parla del suo nuovo fidanzato. Io rido, lei si fa attenta,
lei si commuove, io la sprono. Fra noi funziona così da tempo immemore. Ma questa sera, solo questa sera
non riesco ad esser del tutto sincera con lei e per la prima volta in vita mia ne son spaventata.
Mercoledì di una settimana dopo, ore 20.20. Arrivo trafelata al bar consapevole di esser in ritardo ma
Stefania non c’è. Al suo posto trovo un calice di vino che dopo un attento e scrupoloso esame scopro
essere il ‘mio’ Gewurztraminer. Un calice solo con insieme un piattino di stuzzichini identico al mercoledì
passato. Prendo il cellulare e compongo il numero di Stefania ma mi risponde la voce beffarda della sua
segreteria telefonica. Preoccupata e confusa riprovo fino a che lo avverto.
Leggero, delicato, timoroso. Ho la sensazione di esser stata catapultata in un ricordo ma so che non è così.
Sento che il calice viene sollevato e la mia mano, in riflesso, tocca l’aria in attesa. Sento prima le sue dita,
poi la sua forza che mi avvolge la mano e mi aiuta a bere un sorso di vino. Il biondo fuoco liquido non mi è
mai sembrato così buono ma indecisa, o forse incapace di affrontare la situazione, non mi volto e aspetto
un suo gesto. I battiti del mio cuore sono come impazziti ma non succede nulla e rimaniamo immobili
entrambi per quella che mi pare un’eternità. Riesco ad accordare il mio respiro al suo mentre finalmente si
avvicina e mi chiede se può. Una semplice parola. Potere. Non vuole avvicinarsi se non lo voglio anche io.
E allora decido di rischiare. Tenendo ancora il calice nella mano mi giro in modo tale che possa scorgere
perfettamente il mio viso ma resto stranamente delusa dalla sua reazione. Andrea è lì, senza dire una
parola, che aspetta. Non decide, non parla, mi aspetta. Rimango sbalordita dalla sua reazione a tal punto
che il bicchiere mi scivola dalla mano e si frantuma a terra. Ed è lui che infrange l’immobilità della
situazione chinandosi a raccogliere ciò che resta della mia sicurezza di tutta una vita.
Sento la sua voce, faccio mio il suo profumo e la sua voglia di vivere. Lui ordina altro vino per entrambi e un
piatto di aperitivi tale da poterci saziare per ore e mi parla. Mi parla. Mi parla. Di sé, della sua famiglia, di
come i suoi amici lo avessero preso in giro il giorno ‘dello scambio’, di Stefania e della sua immensa amicizia
nei miei confronti. E poi mi prende una mano e se la porta al viso facendomi sentire i suoi capelli un po’
lunghi e mossi, il suo naso aquilino e la sua mascella decisa. Mi soffermo sulla bocca fino a che compare un
sorriso birichino ed allora, finalmente, sorrido anche io.
Siamo arrivati. Lo capisco dall’emozione che ha improvvisamente scosso l’aria che mi circonda. Andrea mi
prende delicatamente la mano fra le sue e mi aiuta a scendere dalla macchina. Pochi passi e avverto il suo
tocco lasciarmi per aprire una porta. La prima cosa che mi colpisce è il rumore. Inesistente o silenzioso. Il
locale è pieno di sussurri, piccole risate, movimenti leggeri. Ma è come se mi trovassi immersa in
un’immensa bolla di cotone.
L’atmosfera è delicata ma l’odore che permea il luogo è deciso, accogliente, invitante. Ancora pochi passi
ed una sedia viene delicatamente sospinta verso la mia schiena. Ho come l’impressione di non capire fino in
fondo cosa stia succedendo. Avverto il cameriere avvicinarsi ma prima di potergli esporre i miei dubbi colgo
il frusciare leggero di una stoffa e il sentito ringraziamento di Andrea. Sempre più confusa gli tocco una
mano e lui lentamente, molto lentamente, se la porta al viso. Lo accarezzo, e con un sussulto, mi accorgo
che Andrea si è fatto bendare gli occhi.
Sono completamente impreparata a questo e lacrime improvvise minacciano di rovinarmi le parole. Ma lui
capisce e mi porta un dito alle labbra mentre il cameriere si avvicina nuovamente con due calici di vino che
appoggia con grazia sul tavolo.
Resto immobile mentre sento Andrea cercare il bicchiere, avverto i suoi gesti goffi e la fatica con cui sta
cercando di non rovinare tutto. Sono incapace di aiutarlo, sopraffatta dalla situazione e dai miei pensieri
che vorticano come impazziti. All’improvviso sospira, un piccolo sospiro soddisfatto, e mi porge un calice, lo
stesso che ha in mano lui. E finalmente capisco.
Oggi è il due ottobre. Il mio trentesimo compleanno. Forse non vedrò mai il suo viso o i suoi meravigliosi
occhi verdi perché fin dalla nascita i miei occhi difettosi scorgono solo un buio tanto perfetto quanto
terribile nella sua solitudine. E Andrea ha voluto capire fino in fondo. Capirmi nei silenzi, nella sofferenza e
fin all’interno di quel buio così profondo in cui solo grazie a lui ora non mi smarrisco più.
Assaggio il vino e un ampio sorriso mi si allarga nel volto: è il ‘nostro’ Gewurztraminer.