L`inesauribile necessità di narrare e ascoltare storie

Transcript

L`inesauribile necessità di narrare e ascoltare storie
Utente e-GdP: sosvillaggio - Data e ora della consultazione: 3 settembre 2012 15:11
22 Cultura
TEATRO
GIORNALEdelPOPOLO
+
SABATO 1 SETTEMBRE 2012
Oggi e domani il clou del festival di Arzo, iniziato giovedì
L’inesauribile necessità
di narrare e ascoltare storie
Con Natalia Lepori, membro della commissione
artistica, entriamo nel merito dei criteri e delle scelte
alla base di una manifestazione che, giunta alla sua
13ª edizione, conosce un successo costante. Qualche
consiglio anche sugli spettacoli da non perdere...
di MANUELA CAMPONOVO
Edizione numero tredici, il teatro di narrazione ormai non è più una riscoperta,
ma una realtà consolidata. Natalia Lepori, con quale spirito avete affrontato
questa nuova edizione e guardate al futuro?
Il successo di pubblico delle precedenti edizioni ci conferma che benché
il teatro di narrazione non sia una “novità” si è imposto, oseremmo dire, come un’esigenza o perlomeno risponde a un bisogno reale e sentito di tornare alla dimensione
dell’ascolto in un
mondo che sembra
sempre più orientato
a una comunicazione visiva, rapida e superficiale. È vero che
il successo del teatro
di narrazione, dovuto
forse anche ai suoi
costi di produzione
ridotti rispetto ad altre forme teatrali, ha
portato al proliferare
di esperienze non
sempre di qualità, sia
nelle produzioni per
adulti che in quelle per bambini. Per
questa ragione è sempre più importante valutare criticamente l’offerta ed
è per questo che la commissione artistica si impegna a visionare tutte le
proposte prima di inserirle nel programma. Difficile definire una precisa poetica del festival ma sicuramente le scelte si orientano verso racconti che hanno una motivazione sociale di essere narrate, storie che inducono alla riflessione riportando alla memoria collettiva eventi significativi. E
questo è tanto più necessario in un
contesto sociale caratterizzato dal radicale appiattimento sul presente.
Questa dimensione la ritroviamo,
sebbene in forma diversa, nelle proposte per i più piccoli, dove resta centrale la volontà di contribuire ad un’educazione all’ascolto che consenta di
esercitare la capacità immaginativa.
spontaneo di esperienze di vita. Una
delle cose curiose è che spesso tra i più
affascinati spettatori della Corte dei
miracoli troviamo gli artisti ospiti del
Festival. Nella Corte dei miracoli si sono aperti anche spazi per un incontro aperto tra gli artisti che raccontano l’esperienza di ricerca che ha preceduto lo spettacolo e il pubblico. Dallo scorso anno inoltre abbiamo aperto una corte ai cosiddetti esordienti,
raccontatori non professionisti che
trovano in questo
spazio la possibilità
di sperimentare davanti al pubblico il loro interesse per la
narrazione. La scelta
dei candidati si basa
su parametri diversi
da quelli applicati per
la programmazione
degli artisti, ma anche in questo caso resta importante riconoscere nel narratore
una valida motivazione per raccontare
la sua storia e una capacità di coinvolgere chi lo ascolta.
La vostra è una vocazione anche internazionale, come recita il sottotitolo della manifestazione, in quell’“altrove” che
voi sondate, dove magari la tradizione
orale non si è mai interrotta, trovate delle differenze nella tecnica, nelle tematiche ma anche nel tipo di fruizione? Insomma: si racconta sempre allo stesso
modo e le stesse cose?
Il festival è nato proprio dall’intento
di intrecciare esperienze culturalmente e linguisticamente diverse e resta fedele a questa prima intenzione
anche se la maggior parte degli spettacoli sono in italiano. Con una certa
approssimazione possiamo dire che
nel teatro di narrazione italiano che
ospitiamo al Festival prevale la dimensione dell’impegno civile e della de-
Visto che ci sono diversi spettacoli in
contemporanea, per questa sera e domani, cosa non si dovrebbe assolutamente perdere?
Domanda difficile. In realtà non si dovrebbe perdere niente, ma effettivamente è impossibile, anche se gli spetDall’alto, in
senso antiorario:
Nicolas
Buenaventura
(oggi, 18.30),
Margherita
Coldesina (oggi,
20.30) e
Domenico
Pugliares (oggi
e domani,
18.30).
Che tipo di rapporto s’instaura tra il narratore professionista, da palcoscenico,
e il raccontatore, il testimone comune
che ha comunque una storia da raccontare, nel confine tra arte e non arte?
Da sempre il festival ha voluto creare
un’occasione di scambio tra i narratori professionisti e chi invece è spinto verso la narrazione dalla necessità
di testimoniare. Le diverse realtà trovano nel programma collocazioni distinte: accanto al programma “ufficiale” vive da sempre la Corte dei miracoli che in questi anni si è trasformata restando tuttavia fedele alla sua vocazione di spazio per il racconto
CANTAR DI PIETRE
nuncia, mentre gli artisti di “altrove”
spesso si rifanno all’antica tradizione
del racconto propria del loro paese
d’origine e a un repertorio di storie tradizionali, anche se la loro ricerca va
sempre nella direzione di un recupero non folcloristico ma innovativo. Per
il pubblico locale è un’occasione importante per avvicinare in maniera più
intima e partecipe una cultura “altra”
e paradossalmente sembra che la
parola, che si potrebbe immaginare
una barriera tenace, sia un veicolo importante di condivisione. La lingua
nella sua oralità e musicalità consente di creare una relazione emotivamente molto coinvolgente. Ed è probabilmente una sorpresa scoprire
che gli archetipi che sorreggono storie appartenenti a paesi geograficamente lontani ci risuonano molto familiari. Quest’anno ci sarà al Festival
Nicolás Buenaventura, un narratore
colombiano che appartiene a una famiglia di cuenteros dalla quale ha ereditato una ricca tradizione che trasforma e valorizza nella sua ricerca artistica.
tacoli di domenica sera sono presentati anche il sabato. Sicuramente va
ascoltato Nicolás Buenaventura se
non si ha in programma un viaggio in
Colombia prossimamente. A chi vuole rivisitare alcuni importanti eventi
recenti che gli organi d’informazione
ci presentano troppo spesso in chiave sensazionalistica, consigliamo sicuramente lo spettacolo di Margherita
Coldesina, scritto da Francesco Niccolini, che nel drammatico incontro
tra una donna irachena e un soldato
americano tra le quattro mura di una
casa di Falluja, restituisce l’orrore di
una guerra che sta già per essere dimenticata, così come Non abbiate
paura. Grand hotel Albania, anch’esso scritto da Niccolini e interpretato
da Luigi D’Elia che ripercorre lo sbarco dei profughi albanesi attraverso lo
sguardo dei cittadini di Brindisi, celebrandone la generosa e coraggiosa accoglienza. A chi ama riscoprire la storia più remota attraverso le vite di coloro che ne sono considerati solitamente semplici comparse, diremmo
di non perdere gli spettacoli di Ombretta Zaglio e del Teatro dell’Orsa: la
prima ricostruisce la vicenda di Giuseppe Borsalino, l’impresario che
fondò la celebre fabbrica di cappelli,
offrendo un ricco affresco della vita
quotidiana dell’Ottocento, i secondi
raccontano il travagliato percorso
dell’ emancipazione femminile attraverso le vite di alcune donne emiliane il cui nome non figura in nessun libro di storia. Ma da non perdere è anche Domenico Pugliares non solo per
le sue sorprendenti doti affabulatorie
ma anche perché il suo racconto
concilia magicamente intimità e denuncia e lo spettacolo Fratelli della
giovane Compagnia Quindici Febbraio che affronta coraggiosamente il
tema della fragilità delle relazioni familiari attraverso una doppia narrazione che ci ricorda che ogni storia è
unica perché unico è il vissuto di ciascuno di noi. E forse sta proprio qui il
fascino della narrazione e dell’ascolto.
www.festivaldinarrazione.ch
Personaggi per l’estate
di Michele Fazioli
Rossella O’Hara
(“Via col vento”)
«Rossella O’Hara non era una bellezza,
ma raramente gli uomini, quando subivano il suo fascino, se ne accorgevano». E’ uno
degli incipit più famosi della letteratura.
Ma Via col vento si permette anche un finale altrettanto
celebre. Quella
stessa Rossella
O’Hara che non
era una bellezza
ma
piaceva
molto, dopo anni (e centina di
pagine) di amori, prove, drammi, fughe, ritorni, si accorge
che l’uomo che
l’aveva ostinatamente amata e
che lei credeva
di non amare, è
l’uomo della sua
vita. Ma lui alla
fine s’è stufato.
Lei non si dà per vinta: «Avrebbe riconquistato Rhett. Sapeva di poterlo fare. Non era
mai esistito un uomo che ella non potesse
avere, se lo voleva – Penserò a tutto questo
domani, a Tara. Sarò più forte, allora. Domani penserò al modo di riconquistarlo.
Dopotutto, domani è un altro giorno». Fine. Questo sguardo liberatorio sul domani
è la filosofia spicciola di Rossella: quello che
non sai fare oggi, rinvialo a domani, che poi
tutto si aggiusta. E il finale resta così aperto al punto che si poteva pensare a un sequel di Via col vento: la sua autrice, Margaret Mitchell, anche se avesse voluto non
potè farlo: appena conosciuto l’enorme
successo del suo unico romanzo, a soli 49
anni venne travolta in strada da un automobilista ubriaco e morì. Fine di una vita, inizio di un mito. Certo, il film con Vivien Leigh nei panni di Rossella e il fascinoso Clark
Gable in quelli del cinico e beffardo Rhett
Butler ci mise del suo per trasformare Via
col vento in uno dei grandi titoli del ’900. La
storia privata si staglia sullo sfondo della
guerra civile americana, una specie di
Guerra e Pace made in USA naturalmente
senza il genio di Tolstoj ma con una innegabile bravura narrativa e con una profonda conoscenza dei caratteri, della vita. Il
punto di vista, per una volta, sta dalla parte dei perdenti, i Confederati sudisti: un
mondo conservatore, arcaico, destinato
alla sconfitta ma provvisto di valori e solide radici morali. Uno sguardo diverso, Via
col vento dalla parte dei vinti.
E veniamo a Rossella. Non è una bellezza,
appunto. Ma il corpicino aggraziato, i bellissimi occhi verdi e una inclinazione alla
seduzione per natura ne fanno una ragazza guardata e desiderata dagli uomini. E’ capricciosa, volubile, orgogliosa, contraddittoria. Innamorata dell’esangue Ashley,
quando non lo può avere per ripicca si mette con il primo che si ritrova sottomano, salvo poi tornare a insidiare Ashley. Nel dramma della guerra vien fuori però anche la sua
tempra forte e generosa. Oltre a sé stessa
ama soltanto la sua cara, vecchia fattoria di
Tara, con la irresistibile bambinaia nera
Mammy. Nella sua vita compare Rhett Butler, avventuriero spregiudicato che intuisce tutto di Rossella (carattere, bugie) ma ne
è profondamente conquistato. Rossella ci
mette un intero romanzo a capire che lui è
l’uomo che lei ama davvero, ma troppo tardi. Eppure domani, dopotutto è un altro
giorno.
Margaret Mitchell, “Via col vento”, Mondadori
Si parte stasera a Castel San Pietro con l’amor fiorito nella corte di Isabella d’Este
L’irresistibile fascino del Medioevo in note
di ENRICO PAROLA
Compie 25 anni, Cantar di Pietre,
rassegna nata con la missione di divulgare nel Ticino il repertorio medievale, e non solo non mostra segni di
stanchezza o di scadimento nella
routine, ma anzi esibisce una freschezza, una ricchezza di temi e
un’originalità di spunti che ben corroborano la piena maturità ormai
raggiunta. Un non piccolo merito è
insito innanzitutto nello stesso tema
che ispira il ciclo, il Medioevo: «Di
questo periodo conosciamo ancora
ben poco» esordisce il presidente Luigi Quadranti. «Ogni anno avvengono
scoperte che ci costringono a riscrivere testi e saggi fino a quel momento ritenuti delle auctoritas assolute».
Da quei secoli di cui tanto si sa e di
cui ancor più si ignora il direttore artistico Giovanni Conti ha attinto note e parole che si coagulassero attorno al tema Lacrime e Sangue.
Dopo i cartelloni dedicati alla figura
della donna o a Gerusalemme, il titolo 2012 non vuole essere un’allusione alla tanto sbandierata crisi finanziaria e ai provvedimenti appunto “lacrime e sangue” varati da non pochi
governi europei. No, lacrime e sangue, come sottolinea Conti «sono
semplicemente due tra le parole-icona più ricorsive nella letteratura, nel
teatro e ovviamente nella musica del
Medioevo. Lacrime d’amore sacro e
d’amor profano, lacrime di Maria davanti al Figlio inchiodato alla croce,
ma anche le lacrime per una passio-
ne finita o mai corrisposta; e allo stesso modo abbiamo il sangue “sacro”
della Passione di Cristo e il sangue
“profano” versato dai guerrieri».
L’appuntamento inaugurale di stasera (Castel San Pietro, Chiesa Rossa, alle 20.30) parte dall’amor non solo genericamente cortese, ma fiorito nella corte di Isabella d’Este, che meritò
l’appellativo di Signora del Rinascimento per l’attenzione e il sostegno
dato alla musica e alla poesia: la voce di Elena Carzaniga, accompagnata dal liutista Luca Pianca, intona i
versi di Cara, Trombomcino e Francesco da Milano. Si continua nel filone profano l’8 con Marco Beasley
(Biasca, ss. Pietro e Paolo) attore e
cantante in uno spettacolo teatralmusicale che rievoca i romanzi me-
dievali e rinascimentali incentrati su
“le dame, i cavallier, l’armi e l’amori”, e il 15 (Cademario, s. Ambrogio)
con Barbara Zanichelli, cantante prediletta da Stockhausen per il nitore
della voce, accompagnata alla tiorba
da Michele Pasotti nelle Lacrimae di
John Dowland, incise anche da Sting.
Dopo l’omaggio al veneziano Giovanni Gabrieli nel 400° dalla morte (il 23,
conferenza e concerto dell’organista
Diego Cannizzaro a Bellinzona) il filone sacro vive il suo trittico più intenso il 6 ottobre (Maggia, s. Maurizio) con l’Ensemble Adiastema a ricordare Maria Iuxta Crucem Lachrimosa, il 13 (Biasca) con il Canto d’Orfeo a riecheggiare le vertiginose Lacrime di San Pietro di Orlando di Lasso e il 21 (Tesserete, s. Stefano) con i
Modulata Carmina a riscoprire Le lagrime del Peccatore di Ludovico Agostini, prete-compositore che per tutta la vita non si cimentò mai nel repertorio sacro. Proprio per la sua ultima opera scelse i testi del Tansillo
usate da Lasso per le Lagrime di San
Pietro; il Peccatore potrebbe essere
proprio lui, l’Agostini, che fa ammenda proprio all’ultima ora.
Il filone sacro
vive anche del
Canto d’Orfeo,
a riecheggiare
le “Lacrime di
San Pietro”.