Teatro del Sale / Questa sera si cena a soggetto
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Teatro del Sale / Questa sera si cena a soggetto
Teatro del Sale / Questa sera si cena a soggetto L'ultima trovata del patron del Cibreo, del Cibreino, del Caffè Cibreo, Fabio Picchi, è sicuramente la più ludica: un teatro dove oltre al rito della parola si consuma quello del cibo e una cucina dove per tre volte al giorno si recita a soggetto. La parte è quella di un gran maestro dei fornelli, ma non solo, un giullare, nel senso più nobile del termine. Un gran gigione con l'arte della buona cucina nel sangue. Alto, una barba folta quasi bianca, occhi verdi e gran bella voce, Fabio Picchi qualche mese fa, dopo averlo sognato per vent'anni, ha aperto i battenti del Teatro del Sale, in via de' Macci. Un antico magazzino che due anni di lavoro hanno trasformato in quel posto speciale che è oggi: «Un «circo-lo» creativo d'intrattenimento culturale», recita uno snello pamphlet che riceve chi varca la soglia di questo magico salotto di tutti per la prima volta e diventa socio (5 euro la quota per i soci ordinari, 300 per i sostenitori; 5 euro la prima colazione, 13 il pranzo, 20 la cena). Direzione artistica di Maria Cassi, attrice comico-musicale, moglie di Fabio Picchi. Già 7000 i soci, abitanti del quartiere, ma anche del resto della città, e qualche straniero che «ama frugare», dice Fabio, «ed è ben informato sulle novità che contano». Un'entrata da vero teatro anticipata da due panchine e una piccola fontana. All'ingresso l'emporio col lungo bancone in legno, dove si vende solo sale, pasta, pelati, olio, vino e miele in bella confezione. Ma è nel «retrobottega» che la cosa si fa interessante. Perché il Picchi si diverte ai fornelli e gli a avventori si divertono ancora di più. Il rito della colazione, come quelli del pranzo e della cena, sono tutti da vivere. La gente arriva alla spicciolata. A quota 99 si chiude: di più non ne entrano. Chi si ferma a leggere i giornali sulle vecchie poltrone di pelle, chi si ritira nella sala del fumo, boiserie alle pareti e l'aria di un vecchio club inglese, chi fa acquisti. In platea, una grande sala col soffitto e il pavimento di legno, colonne in pietra e ampie volte, tavoli sparsi e poltroncine rosse davanti al palco, comincia lo spettacolo. Man mano dalla grande cucina a vista tutta vetri, dove campeggia un enorme forno a legna, un girarrosto col fuoco vivo, pentole di rame appese e una sfilza di piastre e fornelli, cominciano ad arrivare i piatti del giorno sul buffet: si aprono i giochi. D'ora in poi sarà un fuoco di fila di sorprese: ricette di casa, sapori della tradizione ai quali il Picchi con una squadra di sei cuochi aggiunge un tocco di estro, note trasgressive, un pizzico di ironia. E allora ecco arrivare la polenta alla cannella, le aringhe al forno, il polpettone al pistacchio, il rigatino, le cipolle di pollo. Silenzio in sala quando si apre una delle vetrate della cucina, si affaccia il Picchi, annuncia uno dei suoi manicaretti, apostrofa chi ha osato avanzare qualcosa nel piatto, rivela qualche segreto del dietro le quinte. Una vera performance gastroculturale. Ci si siede dove si vuole, si cambia di posto, si chiacchiera con l'uno o con l'altro, magari si aiuta a sparecchiare perché questo non è un ristorante e sembra proprio di essere a casa di amici dove è facile fare amicizia. Se il rito si consuma di sera, alle 21.20 scende una veneziana davanti alle vetrate, il sipario cala sulla cucina e i riflettori si accendono su altri attori, musicisti e poeti. Inizia lo spettacolo, l'altro. Laura Ruggeri · Vie del gusto · gennaio 2004 stampa articolo