Rosso Fiorentino - luglio 2003

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Rosso Fiorentino - luglio 2003
Il Teatro, il Sale, la Vita
Apre il CIRCO-LO creativo di Sant’Ambrogio. Il teatro del sale di Fabio Picchi e Maria Cassi.
Le reazioni sono di due tipi. Ma – per il momento - la seconda ci interessa meno. Arrivo in via de’
Macci e mi trovo davanti i due ingressi di quello che tra poco si chiamerà CIRCO-LO creativo
d’intrattenimento culturale S. Ambrogio. Teatro del Sale. Cibrèo città aperta 2002. Firenze.
Quello che vedo è un grosso fondo, con il bandone semi abbassato e una catena per impedire il
passaggio ai non addetti a quei lavori che vanno avanti da alcuni mesi. E davanti – inspiegabilmente,
misteriosamente – capannelli di giovani, di persone del quartiere, di turisti: tutti a curiosare. Ma a
curiosare cosa? Dovremmo essere in pochi a sapere che dal mese di luglio prenderà vita «la
creatura» di Fabio Picchi e di Maria Cassi: il Teatro del sale, appunto. Eppure la gente si ferma.
Qualcuno entra. Ed ecco la reazione del primo tipo. 78 anni, napoletano, entra, si gira di scatto e
abbraccia – ringraziandolo – il Picchi, che tira su con le narici, gonfia il petto e s’inorgoglisce. Già
perché il lavoro per mettere insieme questo – chiamiamolo così, per il momento – «spazio», è stato
massacrante. E poi Picchi ha evidentemente la consapevolezza che in Italia non esiste (né potrebbe
esistere) niente del genere. Si narra (ma sarà già la prima leggenda metropolitana sullo spazio in
questione?) che il buon Carlo Monni, all’entrata, per l’emozione sia scoppiato a piangere.
Allora, cos’è questo «spazio»? Verrebbe spontaneo iniziare a dire che non è un teatro, non è club,
non è un ristorante, non è un circolo ricreativo, non è un luogo di ritrovo per intellettuali, non è uno
spazio per convegni, incontri, corsi, laboratori, workshop, dibattiti, conferenze stampa. Non è uno
spazio per concerti, né un locale. Il problema è che il «luogo» in questione è esattamente tutte queste
cose – ai loro massimi livelli – sommate insieme, a formare una roba che in Italia non conosciamo, e
allora dovremmo inventare un nome ad hoc. E allora vale la pena semplicemente di chiamarlo
CIRCO-LO.
Com’è dentro? Prima di tutto è diviso in due. Da una parte un negozio/gastronomia per la vendita di
pochissimi prodotti selezionati: acciughe, miele, vino, olio, sale, formaggi. Alle spalle del negozio
una cucina per così dire «antica», per niente tecnologica, con il forno a legna, qualche fiamma.
Giusto così, per sfornare cose semplici, magari anche da portare via nei contenitori appositi (con le
forchettine di legno, mene vedo in piazza D’Azeglio). Separato dal negozio, c’è lui, il
«luogo» (sembra di essere «all’estero» dicono alcuni). Che per descrivere non so cosa dovrei
scrivere (per la quantità di Bellezza). E allora vi parlerò degli oggetti che è possibile trovare tra il
negozio e il «luogo»: le ceramiche di Vieri Chini, il Sale da bagno di Lorenzo Villoresi, i bicchieri di
vetro ricavati delle vecchie bottiglie bordolesi, le forbici e i coltelli artigianali fatti a Scarperia. A
proposito, erano quarant’anni che nessuno chiedeva più di forgiare delle forbici. Mentre il modello
del coltello è «il Fiorentino» con il manico in legno di bosso selvatico dell’Appennino e la lama
ricavata da lime riforgiate. E poi – impedibile - la poltrona fatta a Parigi su modello delle vecchie
poltrone in uso nel New England (si accettano scommesse su chi riesce – una volta seduto – a tenere
gli occhi aperti per più di 10 secondi). E ancora, sul palco che domina la zona degli spettacoli, un
mezza coda, lo Steinway & Sons del 1911, data ultima della fabbricazione del principe dei pianoforti
con l’avorio. E così il negozio comunica col salotto, che comunica con il teatro che, sopra le quinte
piombate, insieme al camerino accoglie anche un mini appartamento per gli ospiti di turno. Domina
il rosso e il legno.
Ora, però il problema è che il centro di tutta la faccenda non è una cosa o l’altra (la musica o il teatro
o il cibo). Il centro del luogo è il luogo. È il formato che andrà a condizionare i contenuti. Fa ridere –
e può dirlo solo chi non ha visto il posto o nutre invidie personali – chi pensa che il «posto» nasca
per nascondere un altro ristorante. Picchi ne ha già due e credo che gli bastino. Però la battuta non è
così peregrina, dal momento che nel nostro paese esistono Rotary e similari, club e circoli che spesso
servono proprio a questo, a nascondere qualcosa, nella fattispecie un ristorante, ma potremmo anche
dire di altro. E allora il centro del luogo è il luogo, a patto – dice Picchi – che non sia mai un luogo di
confusione, di intrattenimento senza la volontà di rintracciare fili culturali o senza leggerezza
calviniana. Il CIRCO-LO ha così una sorta di statuto-decalogo per la frequentazione, dove si leggono
parole desuete tipo «silenzio», «etica», «ricerca della qualità della vita». L’apertura – dopo tutto
quanto detto dovrebbe essere superfluo dirlo – non avrà inaugurazione ufficiale con lista di invitati,
pubblicità, cartelloni, programmi. Sara aperto 220 giorni l’anno e ogni giornata sarà divisa in tre
fasce. La mattina – deputata principalmente alle conferenze stampa e presentazioni simili – il
pomeriggio, luogo di seminari, lezioni, letture, laboratori; ed infine la sera che accoglierà gli
spettacoli. I tre momenti della giornata sono punteggiati dal pranzo, dalla merenda, dalla cena. Roba
semplice, come detto, per tenere insieme «i vecchini del quartiere e le grandi intelligenze della scena
internazionale». Per accedere bisogna essere soci e ogni evento avrà uno costo. Ma – chiedo a Picchi
– sarà un posto per ricchi? Risposta: «Magari! Ne avremmo bisogno, ma non sarà così. Questo
spazio è prima di tutto un servizio al quartiere e alla città, anche se per metterlo in piedi non abbiamo
chiesti finanziamenti a nessuno, se non alle banche». Ecco, forse questa è la chiave anomala di
questa impresa anomala. È un’impresa vera, senza soldi pubblici e similari.
A fare tutto questo sono in due (si fa per dire, perché come mettere da parte Annalisa Passigli,
Franziska Eggimann e Debora McKenna): Maria Cassi, di professione attrice, che curerà la direzione
artistica, e Fabio Picchi, di professione cuoco, che farà l’impresario, come a New Orleans, nel 1940.
Entro in via de’ Macci e lo vedo di spalle, a cavalcioni di uno sgabello e le immagini sono in bianco
e nero. Parte la musica ed inizia uno spettacolo, si direbbe, tutto nuovo.
Ps. La reazione di secondo tipo? Ah, già. Dice: c’è una colonna davanti alla visuale del palco, avresti
potuto toglierla, no? Risposta: per la verità l’ho chiesta io.
Ppss. Domanda: perché si chiama anche Cibèo città aperta 2002, se apre nel 2003? Risposta: scusate,
ma voi dove eravate il 9 novembre del 2002?
errepi Raffaele Palumbo · Rosso Fiorentino · luglio/agosto 2003
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