Alla lettura del documento congressuale appare subito evidente un
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Alla lettura del documento congressuale appare subito evidente un
OLTRE LE FORMULE E IL DOGMATISMO Alla lettura del documento congressuale appare subito evidente un grave problema: la forma e i contenuti del testo sono oggettivamente da ostacolo alla comprensione da parte dei delegati, quindi alla loro possibilità di decidere consapevolmente, nel momento del voto. E’ un problema serio, che oggi riguarda il documento, cioè una sciocchezza come la decisione della linea teorica, politica, programmatica, del sicobas, ma che in generale investe tutta l’attività dell’organizzazione, soprattutto nelle fasi decisionali. In altre parole si tratta di aver ben presente che con questa situazione ci sono tutte le condizioni perché nel sicobas si mantenga una struttura assolutamente dirigistica, verticale, con dirigenti e diretti; con ambiti di decisione riservati, ed ambiti di semplice esecuzione, lontana anni luce dai principi di orizzontalità, parità, protagonismo effettivo dei lavoratori, cioè dai principi costitutivi stessi del sicobas. E’ un problema risolvibile data la situazione reale, cioè composizione, origini, nazionalità, lingua dei lavoratori? Ma soprattutto, c’è la volontà di affrontarla da parte del gruppo dirigente? E’ chiaro che la soluzione della questione non è, né potrà essere per il futuro, la semplice traduzione della documentazione, come ci pare di aver letto in qualche comunicato, né pensiamo che la soluzione sia dietro l’angolo, è certo però che, quanto meno, deve esserci una chiara manifestazione di volontà da parte del gruppo dirigente di porlo, e mantenerlo, all’ordine del giorno. Vedremo. In attesa della soluzione di questa problematica, non ci resta che adeguarci, in questa sede, alle forme e i modi espressi nel documento congressuale ufficiale. Partiamo quindi da una valutazione complessiva, per poi esprimere, sugli elementi secondo noi critici, sui quali non siamo in sintonia, le nostre valutazioni. Una valutazione d’insieme del testo porta a dire che siamo in presenza di un documento di ampissimo respiro, talmente ampio da esporre a rischio di iperventilazione e svenimento chi lo legge. Al suo interno, vi si compie, probabilmente, un’analisi corretta sulle origini della crisi e sulla situazione economica attuale, se l’analisi avviene secondo lo schema marxista-leninista, ma è invece certo che, nel complesso, risulta miope ed insufficiente sul piano della comprensione dell’attuale realtà sociale, politica e ideologica. Non per niente nella stesura definitiva è sparito ogni riferimento al neoliberismo, presente invece nella bozza, dove pur mostrandosi superficiale, scolastica applicazione dei dettami della concezione volgare del marxismo, con la riproposizione della prevalenza assoluta della struttura sulla sovrastruttura, poneva quanto meno all’attenzione questo elemento; rimandiamo al seguito del discorso l’analisi di questo aspetto. Per quanto riguarda la parte di economia politica, quindi quella relativa alla crisi, alle sue cause, ai suoi effetti, agli interventi per affrontarla ecc, il doc congressuale ha questo taglio scientifico ortodosso, o almeno ne avrebbe l’intento, limitandosi in effetti alla riproposizione di schemi interpretativi estratti pari pari da formule che certo non possono trovare meccanica applicazione nel 2015, salvo portare a fraintendimenti che non sono utili all’azione dell’organizzazione, perché insufficienti nel cogliere aspetti determinanti della realtà. Quindi, ben lontani da ogni lettura realmente scientifica (vedi Althusser, Della Volpe, ecc) di Marx, agli estensori del documento non è restato altro che ripetere le formule che hanno imparato da giovani. Ma questo ovviamente non giova a nessuno, neppure al sicobas, perché va bene rifarsi alle tesi leniniste, ma se da una parte è sciocco escludere a priori teorie, analisi, non specificamente riferite al marxismoleninismo (vedi ad esempio il pensiero critico dei francofortesi, o il lavoro di Foucault, ecc), dall’altra è un errore clamoroso non riflettere sull’ambito umanista del pensiero marxista, sul peso della componente utopica, anche in relazione all’azione del sicobas ed alla sua vita interna. Chi ha prodotto il documento dovrebbe fare i conti con la storia, in primis con la “follia” staliniana, durante la quale il materialismo dialettico fu ridotto, o erto, a strumento dogmatico di controllo, repressione, istupidimento di masse di proletari, ed ogni voce critica, quando non direttamente zittita, tacciata di eresia. E’ il caso di ripensare queste analisi sul piano teorico concettuale, mantenendone intatto tutto il valore intrinseco, ma adeguandole alla mutata realtà ed associandole ad altri strumenti di indagine ed interpretazione dei rapporti sociali in atto. Per quanto ci riguarda, noi non buttiamo via aprioristicamente niente, i dirigenti del sicobas, facciano come meglio credono. Congresso SI Cobas maggio 2015 – Cobas Poste 1 La proposizione di uno schema di valutazione fondamentalmente determinista ed economicista, rende forse intelligibili i risultati ottenuti nell’azione rivendicativa nella logistica ma non riesce a fare altrettanto nei confronti dell’assenza dalla scena politico-sindacale della grande maggioranza dei lavoratori salariati di questo paese, nè dare ragione della loro passività, e della loro progressiva ed inarrestabile deriva di destra, contrassegnata da razzismo, xenofobia, degrado morale e culturale. E’ questo uno dei punti critici del documento, e l’analisi insufficiente, sostanziata attraverso parole d’ordine generiche di lotta al sistema, in assenza degli attori reali di queste fantomatiche lotte, senza voler fare i conti con la realtà del proletariato moderno, trincerandosi dietro formule stantie e precotte del più volgare marxismo-leninismo anni ’70, rende incapaci di comprendere la complessità del presente. Sul tema si dice :”dentro il sistema capitalistico non esiste né può esistere la possibilità per i proletari di autodeterminare le proprie condizioni di esistenza, se non nel movimento per emanciparsi dal dominio del capitale”, vero, ma se neppure si tenta di comprendere come, attraverso quali dispositivi e pratiche, questa condizione viene imposta e determinata dalla classe dominante, limitandosi appunto a rimasticare vecchie litanie, certamente non si fanno passi in avanti. E ancora: “Un’organizzazione sindacale classista come la nostra, quindi, che persegue l’unione degli sfruttati come unica strada per combattere l’offensiva padronale e statale, sforzandosi di inquadrarla in una coerente lotta anticapitalistica, deve necessariamente fare proprie una visione politica e una pratica internazionalista che sappiano unire in un unico fronte di lotta i differenti segmenti del proletariato, cogliendone le differenti condizioni immediate per superarle, attraverso la conduzione di battaglie politiche generali e rivendicazioni immediate, capaci di far valere contro la borghesia gli interessi generali del fronte proletario e di attrarre settori di piccola borghesia in via di proletarizzazione”. Bene, ma siamo sicuri che i proletari di oggi (individuati come soggetti che vedono dipendere la loro esistenza dalla vendita della loro forza lavoro, anche intellettuale), nelle società occidentali, in Italia (per evitare di spararla troppo grossa...), siano quelli che hanno in mente i dirigenti del sicobas? Oppure il legame di “cointeressenza” (termine usato nel documento, ma in un senso non esprime il nostro punto di vista, che esporremo più avanti) con la borghesia ha mutato sul piano “genetico” questa classe, mantenendone solo la condizione di destino ma nella totale incoscienza dei soggetti? Su questo nodo, che questo congresso dovrebbe sciogliere, il sicobas si gioca una delle sue ragioni costitutive. Il sicobas nasce come sindacato intercategoriale, nell’ottica di superare la frammentazione dei singoli interessi di settore per la ricomposizione dell’azione dei lavoratori in base all’unica ed indiscutibile condizione determinata dall’appartenenza di classe (tralasciamo qui di discutere sulle tesi di una sparizione delle classi in seguito alla totale individualizzazione dei rapporti economico-sociali in seguito allo sviluppo del pensiero neoliberale). La storia di questi cinque anni di vita del sicobas ha invece prodotto un soggetto sindacale che vede la sua azione incentrata in maniera quasi assoluta sul settore della logistica, e sulle connesse cooperative. I lavoratori immigrati d’altro canto costituiscono il 99% degli aderenti al sicobas (non ci sono dati esatti, ma la percezione è questa). Gli altri settori sono essenzialmente legati ai servizi in senso lato (pubblici o ex pubblici privatizzati/liberalizzati) con presenza esclusiva di lavoratori italiani. Questi ultimi cobas sono quelli che hanno fondato il sicobas; a questi cobas appartengono o hanno appartenuto gli attuali dirigenti del sicobas. Le lotte, la crescita, le conquiste, le sconfitte nella logistica, sono note a tutti. Su un aspetto, per molti qui, il solo e fondamentale, quello delle rivendicazioni, dell’azione sindacale, non c’è da dire altro che il trend è positivo, che, solo per esemplificare, l’accordo con i grandi carrier che di fatto annulla accordi nazionali interconfederali, costituisce un dato di rilievo assoluto, indipendentemente da valutazioni più specifiche sul tema. Ma il problema è: il sicobas vuole rimanere (o finalmente diventare) intercategoriale nell’accezione che abbiamo espresso? O, in altri termini, vuole provare realmente a gettare un seme per la costituzione di un sindacato di classe, in grado di incidere complessivamente per modificare l’attuale condizione di operai e proletari? Congresso SI Cobas maggio 2015 – Cobas Poste 2 Il minimalismo di questa domanda, se rapportata ai contenuti del documento, la fa apparire banale. Lì si vola ben più alti, lì si passa da una visione del sicobas della logistica quale “espressione organizzata di un percorso di lotta che sappia condurre il proletariato sul terreno dell’autonomia di classe” supplente di “una forza politica che sia in grado di dirigere la lotta per la difesa economica” della classe; all’affermazione che dietro l’azione dei dirigenti del sicobas c’è stato in questi anni “il tentativo di far maturare tra gli operai più coscienti la necessità di creare le migliori condizioni per favorire la formazione di un’organizzazione politica di classe che sappia interagire con la nostra azione sindacale per muoversi alla conquista della massa lavoratrice quando le condizioni oggettive saranno più favorevoli”. Vi si trova anche un’ipotesi di risposta alla domanda che ci siamo posti, là dove viene detto chiaramente che oggi “pur con un gruppo limitato di lavoratori, ci disponiamo ad aprire un ciclo di lotte in grado fin d’ora di collegarsi ad altri settori del lavoro che si oppongono alla guerra scatenata dal capitale; anche a quei lavoratori che si attardano ad abbandonare l’illusione di poter tornare a vivere come prima, beccando le briciole che la propria borghesia imperialista elargisce rapinando le economie dei paesi “poveri” del globo.” Peccato però che, questo movimento inarrestabile (le lotte nella logistica) “sebbene di forte portata ed estesa influenza su altri settori del proletariato, non porteranno di per sé a catalizzare un movimento per la costruzione di un sindacato di classe” ma solo perché (udite udite) “dopo la Rivoluzione d’ottobre in Russia e dopo le esperienze rivoluzionarie dei primi anni Venti, si è interrotta una spinta verso la rivoluzione su scala internazionale e si è spenta la luce del faro politico che fino a quegli anni aveva ispirato il proletariato”. Quindi se la luce del faro (accesa fino agli anni venti) non si fosse spenta, oggi, nel 2015, potremmo costruire un sindacato di classe! Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire, citare un’epoca ed esperienze rivoluzionarie di quella portata per fare oggi un sindacato di classe? Neppure per fare la rivoluzione proletaria? Se si deve spararle grosse lo si faccia con un certo stile e senza pudori! Ma soprattutto, l’autore, o gli autori del testo, per caso sono rimasti fermi agli anni venti? Si sono accorti che da allora, come si suole dire, molta acqua è passata sotto i ponti? Che sia sul piano economico, che politico, che ideologico, il mondo, nel suo complesso, è passato attraverso fasi, crisi, guerre, evoluzione del pensiero, fino all’attuale squallido 2015, che poco o nulla ha a che fare col famoso faro? In effetti qualche dubbio assale l’estensore del documento riguardo al percorso delineato quando dice che bisogna fare i conti con il proletariato nella sua oggettività per cui sarà necessario “spezzare il legame di cointeressenza tra borghesia e proletariato” e, con ciò, “l’influenza che la borghesia esercita nella classe tramite l’aristocrazia operaia” facendo i conti con l’azione della borghesia e delle sue istituzioni statali, che “attraverso l’esercizio di cultura, scuola, stampa, e attraverso la corruzione materiale, hanno reso il proletariato schiavo delle coordinate economiche, politiche, culturali che stanno alla base della dittatura borghese.” Ma ciò potrà essere superato con la volontà di dar vita ad “un’attività politica e sindacale in grado di catalizzare il malcontento, capace di dare una risposta reale alle politiche controrivoluzionarie. Solo una tattica organizzata sul piano dell’autonomia di classe sarà in grado di indicare obiettivi e forme di lotta adeguati allo scontro che diventerà inevitabile”, attraverso la costituzione di un “fronte unico dal basso, quindi, con tutti i lavoratori iscritti e non iscritti ai sindacati che si vogliono battere contro le politiche borghesi”. Infine, ecco la risposta definitiva: “il sindacato che vogliamo costruire deve porsi in questa condizione prospettica, organizzandosi territorialmente e intercategorialmente, ricercando l’unità operaia come stimolo e forza contro l’avversario, favorendo anche la formazione della propria organizzazione politica”. Alla quale segue l’apoteosi: “il S.I. Cobas è parte di un processo più ampio che vedrà i lavoratori protagonisti assoluti del cambiamento e del rivoluzionamento del sistema”. Il dogmatismo del marxismo volgare al confronto è acqua fresca, perché qui ci troviamo in presenza di misteri divini (la più alta forma di dogma) i quali, secondo la definizione del Concilio Vaticano “eccedono di loro natura talmente l’intelletto creato, che anche insegnati per rivelazione e ricevuti per fede, restano tuttavia coperti dal velo della fede stessa e come avvolti in una caligine” (Conc. Vat., sess. III, can. 2). Di fronte a tante certezze, determinazione, consapevolezza, chiarezza tattica, complessità strategica, spessore ideologico, ogni altra considerazione, dubbio, necessità di analisi, sembrerebbe inutile; affidiamoci completamente a questi condottieri e via fino alla vittoria. Congresso SI Cobas maggio 2015 – Cobas Poste 3 Ma siccome siamo allergici ai Conducător, ai rivoluzionari professionisti, a chi in generale è portatore di certezze assolute, restiamo dell’idea che si debba risolvere, o almeno affrontare, il nodo che dicevamo. Come? Quanto meno mutando radicalmente la percezione del neoliberalismo, nelle cui ragioni fondanti, crediamo possano essere individuati molti delle cause del problema. Per far questo bisogna andare oltre lo schema marxista-leninista che, come abbiamo detto, secondo noi non offre in questo caso gli strumenti interpretativi adeguati, perché insufficienti, alla bisogna. A proposito del neoliberismo nella bozza del testo congressuale si diceva: ”La stagione dell’attacco sistematico alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato trova la sua adeguata cornice ideologica e politica con l’avvio del cosiddetto neo-liberismo, che non è altro che la sanzione della fase di crisi permanente in cui si trova impantanato il sistema capitalistico e dei suoi sforzi per uscirne”. Niente più e niente meno di una lettura scolastica del rapporto tra struttura e sovrastruttura. Sarebbe sin troppo facile smontare questa lettura con una semplice citazione di Engels: F. Engels, Lettera a J. Bloch del 21 settembre 1890. “Secondo la concezione materialistica della storia il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. Di piú non fu mai affermato né da Marx né da me. Se ora qualcuno travisa le cose, affermando che il fattore economico sarebbe l’unico fattore determinante, egli trasforma quella proposizione in una frase vuota, astratta, assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della soprastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i suoi risultati, le costituzioni promulgate dalla classe vittoriosa, le forme giuridiche, e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi partecipano, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le concezioni religiose e la loro evoluzione ulteriore sino a costituire un sistema di dogmi – esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante. ….... Se non fosse cosí, l’applicazione della teoria a un periodo qualsiasi della storia sarebbe piú facile che la soluzione d’una semplice equazione di primo grado”. Marx, Le lotte di classe in Francia, Editori Riuniti, Roma, 1962, pagg. 40-41, nota 2. Niente di sofistico quindi, il cofondatore della dottrina marxista esprime esattamente i termini del problema. Si potrebbe continuare con citazioni e analisi, da Gramsci ad Altusser, autore, quest’ultimo, di una lettura teoretica e dichiaratamente scientifica del marxismo, che in “Per Marx” sostiene l’intreccio tra struttura e sovrastruttura, mostrando come la contraddizione principale tra capitale e lavoro sia fortemente condizionata dagli elementi sovrastrutturali (in soldoni). Con le citazioni ci fermiamo qui, avendo mostrato in modo più che sufficiente come il documento congressuale sia sul tema almeno superficiale. Ma veniamo al punto. Non faremo la storia del neoliberalismo, del dibattito avviato sin dal 1938 sulla necessità del rinnovamento del liberalismo in crisi, sia per sfuggire alla soluzione socialista che a quella fascista, agli sviluppi del dopo guerra, con la scuola austriaca, quella tedesca, infine quella americana. Non ci dilungheremo, se non con cenni su come gli ordoliberali tedeschi abbiano accompagnato, determinato, sostenuto la ricostruzione dello stato tedesco, e abbiano condizionato in modo decisivo la stessa costituzione europea, e quindi, ancora oggi, la realtà economica, politica, sociale in cui viviamo. Ci soffermeremo solo sui concetti essenziali ed in modo estremamente sintetico, lasciando a coloro che ne avessero voglia di approfondire il tema. L’interpretazione corrente del NL è stata quella di essere un’ideologia che ha ispirato una politica economica basata sul concetto di naturalità dei mercati. Quindi una sorta di radicalizzazione del liberalismo classico e dei suoi principi: laissez faire, prerogative autoregolatrici del mercato, ritirata dello stato sia come controllore dei mercati, che dei conflitti attraverso le funzioni del welfare state. Questo è stato effettivamente l’impianto dell’azione della politiche della Thatcher e di Regan negli ‘80, ma questo non coglie compiutamente la realtà; il punto vero infatti, evidenziato dalla storia degli ultimi trenta anni, ed oggi al culmine (anche da noi in Italia), è che il NL costituisce un insieme normativo capace di decidere dall’interno le pratiche dei governi, delle imprese, e delle stesse persone, senza che queste Congresso SI Cobas maggio 2015 – Cobas Poste 4 ultime ne siano consapevoli. L’assenza di risposte (per non dire lotte) contro gli effetti del NL, contro le crisi ricorrenti, contro la crisi attuale e la devastazione che sta producendo, è un esatto segnale di questo dato. L’azione del NL non è solo di segno negativo, di sottrazione (eliminazione di ambiti istituzionali, normativi, giuridici, pubblici), ma è soprattutto positivo, con la determinazione di specifiche forme di relazioni sociali riferite al mercato, di vita e di soggettività riferite ai concetti di impresa, concorrenza, competizione. Gli effetti di questi processi si manifestano sul piano economico, su quello sociale, su quello soggettivo, ma il dato complessivo, unificante, è che il NL è diventato “una ragione globale”, “la ragione del capitalismo contemporaneo” che va ben oltre il piano economico per integrare in modo totalizzante tutte le dimensioni dell’esistente. L’analisi marxista, fondata sulla tesi della logica invariabile del capitale, espressa nel processo di valorizzazione ed accumulazione, indipendentemente dalle forme e delle sue fasi, è incapace di chiarire il motivo per cui nonostante le crisi successive dalla metà degli anni 70 ad oggi, il NL sia in continua evoluzione e diffusione. Questo tipo di analisi è presente anche nel testo congressuale, in cui, in modo troppo deterministico ed a senso unico, vengono riproposte le tesi classiche relativamente alla subordinazione del ruolo dello stato agli interessi della classe dominante, alla concentrazione dei capitali, alla necessità della sconfitta del proletariato con la riconquista da parte della borghesia di ogni diritto acquisito nei decenni precedenti dal proletariato, ecc, in funzione dell’appropriazione di una maggior quota di profitti. In altre parole il capitalismo sarebbe sempre uguale a se stesso, dalle origini ai giorni nostri, in base alla sua logica interna e che le classi siano rimaste immutate sin dalla loro costituzione; questa affermazione ha un po’ lo stesso sapore della tesi fondante e cara ai capitalisti, sulla naturalità del sistema di mercato. Ma la realtà non è questa, la storia mostra infatti come sia per esempio variata la relazione con l’ambito giuridico statale che da elemento sovrastrutturale è entrato direttamente nei rapporti di produzione per dare forma all’economico dall’interno. A sua volta il sistema giuridico, nella forma di stato, viene mantenuto ma svuotato dall’interno, lo stato non deve recedere per far posto al privato, ma deve agire nell’ambito pubblico per consentire la realizzazione degli obiettivi individuali, basando ogni suo intervento su una valutazione di carattere economico in termini di costi e benefici, realizzando una aziendalizzazione della sua attività. In questo senso, secondo gli ordoliberali tedeschi il capitalismo è oggi una figura economico-istituzionale storicamente singolare, ben al di là della semplice manifestazione della legge di accumulazione. Piuttosto che un semplice modo di produzione economico si tratta di un complesso economico-giuridico fondato su tecnologie di potere che non sono riconducibili esclusivamente ai processi di accumulazione, e che in nome della libertà degli individui ne orienta i comportamenti e la vita stessa. Dietro il NL non vi sono solo crisi di accumulazione ma anche di governamentalità (concetto espresso da Foucault, da non intendere come ideologia, né come teoria politica, ma arte di governo attraverso istituzioni, procedure, analisi, riflessioni, calcoli e tattiche; finalizzata alla determinare i campi delle possibili forme di condotta. In altre parole si tratta dell’attuazione di tecnologie per la condotta (governo) degli altri e del sé attraverso le quali i soggetti modellano anche se stessi); questo sin dagli anni ‘70. Già allora infatti, mentre lavoratori, studenti, si illudevano di essere riusciti finalmente a cambiare la loro condizione, se non il mondo, attraverso l’acquisizione di risultati concreti sul piano economico, ma anche nelle forme di rappresentanza politica, così come nell’immaginario collettivo, ha avuto inizio la risposta neoliberale alla crisi delle forme di potere in atto. L’azione ha avuto successo, ed il governo, il controllo, la direzione delle popolazioni è attualmente al culmine, ben oltre la semplice sfera economica, attraverso l’estensione della razionalità del mercato all’intera esistenza, con la generalizzazione della forma-impresa, attraverso una tecnologia del sé che produce (ha prodotto) una concezione della vita umana sul modello dell’impresa che sopravvive perché efficiente. Campagne ideologiche straordinarie (attraverso libri, articoli, lavori accademici, trasmissioni televisive), anche, o soprattutto, ad opera delle menti più brillanti della scuola di Chicago (Friedman, Becker, entrambi premi Nobel) sono riuscite a rimettere il capitalismo al centro della scena di fronte al crollo di ogni credibile alternativa concreta. Congresso SI Cobas maggio 2015 – Cobas Poste 5 Quanto all’ipotesi che il neoliberismo sia la semplice evoluzione del liberismo ci sarebbe da dire. I temi fondamentali del ruolo dello stato, dei limiti da porre alla sua azione rispetto al mercato, ai diritti, all’utilitarismo, sono passati in subordine, sostituiti dal come fare del mercato il principio del governo degli uomini e di sé; come razionalità il NL è esattamente l’applicazione della logica di mercato alla logica normativa dello stato fino ai meandri della soggettività. L’attuale, è una crisi globale del NL come modalità di governo delle società, ma pensare che sia il segnale della fine del sistema è un errore; la crisi finanziaria si è tramutata in crisi complessiva, ma l’impianto neoliberista tiene, anzi si è rafforzato nei suoi effetti e manifestazioni, dando vita sul piano politico ai piani di austerità e all’imperativo delle riforme, sempre necessarie, indispensabili, non rinviabili per poter consentire ai paesi con capitalismo straccione (Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, ecc) di restare al passo dei tempi. Riforme, è forse il caso di ricordarlo, che da noi hanno come obiettivi: ridurre o eliminare diritti ai lavoratori in ogni forma e ambito (dal welfare, al mercato del lavoro); ridurre il peso dell’apparato dello stato (pubblica amministrazione); ridurre gli ambiti formali di democrazia (senato, legge elettorale); adeguare ancor più la forza dell’apparato scolastico in funzione della trasmissione del pensiero neoliberale. Nella condizione neoliberale sono venuti meno gli spazi di confronto/scontro tra varie concezioni politiche essendo diventata la ratio economica il fondamento di tutte le griglie di intelligibilità del reale, non solo in ambito di ricerca e studio ma persino nel senso comune, nella mentalità, nell’immaginario collettivo, dove è presente la concezione dell’immutabilità delle cose e dell’impossibilità di altro. Sono spariti gli ambiti pubblici che lasciavano pensare alla possibilità di modificare la situazione esistente e la propria condizione sul piano personale e/o collettivo. Prevale la percezione della intangibilità del sistema, della sua immutabilità, come entità in qualche modo metafisica. L’attenzione quindi va posta sui processi di soggettivazione, cioè quei processi che portano un soggetto a definirsi tale, a riconoscersi come tale, a comportarsi secondo modelli solo in parte scelti consapevolmente e che per lo più non dipendono dalla volontà dei singoli. Sarebbe opportuno soffermarsi sul termine soggettivazione perché può risultare problematico. Riferendosi ai giovani immigrati che lavorano nella logistica, nel doc congressuale si parla di “verginità”; supponiamo che ci si riferisca all’assenza di pratica politica e sindacale, oppure all’assenza degli effetti negativi di una contiguità di qualche tipo col sistema, o di entrambe queste condizioni, che avrebbero facilitato, per predisposizione individuale, una radicalità nell’azione sindacale, che ha avviato un processo di soggettivazione determinato dalla materialità del conflitto. Abbiamo già detto nel documento dello scorso anno cosa pensiamo di queste valutazioni. Oggi però vorremmo aggiungere un’altra considerazione legata alla presunta “verginità” di questi giovani. Questo concetto, se da una parte può apparire la riproposizione del tema del buon selvaggio, dall’altra dimostra una certa superficialità in chi l’ha esposto. Secondo costui, oggi, nell’epoca del capitalismo globalizzato, di internet, dei social network, possono esistere giovani alieni dalle condizioni e valori della vita occidentale, immuni agli effetti del sistema neoliberista? Sappiamo che così non è, che le interconnessioni economiche e ideologiche legano il mondo intero in un unico grande abbraccio, da cui non sfuggono neppure gli immigrati. Ne conoscono gli effetti sul piano economico sin dai loro paesi di origine, così come ne hanno conosciuto lo sfruttamento nei magazzini. E’ probabilmente vero, che la condizione materiale contingente abbia reso possibile l’estensione e la radicalità dell’azione sindacale, ma la prova sulla presunta “bontà” del processo di soggettivazione non si avrà fin quando anche per questi lavoratori si potrà parlare di una condizione lavorativa e sociale “normale”, nel senso di uguale a quella dei salariati occidentali. Fino ad allora, ben vengano le lotte rivendicative, ben venga la determinazione, ben venga tutto ciò che è avvenuto in questi brevi anni, ma non si compia l’errore di attribuire a questi proletari qualità e compiti, connessi ad una visione salvifica, tali da sostituire il venir meno allo stesso ruolo e compiti da parte del proletariato occidentale. Il capitalismo neoliberale, è la sola ragione del mondo attuale, e nessuno ne è indenne, neppure i giovani nordafricani, o senegalesi, o asiatici. L’attrazione che questo determina dal punto di vista economico si accompagna in modo inevitabile con tutti gli elementi che abbiamo già detto a proposito della pervasività del sistema. Non esistono vergini su questo mondo, ma soprattutto non lo sono i malandrini che Congresso SI Cobas maggio 2015 – Cobas Poste 6 organizzano “la reazione proletaria alla crisi davanti ai cancelli”; ma per questi, in ragione dello status di rivoluzionari professionisti che si sono assegnati, portatori della ragione rivoluzionaria, non può esserci né comprensione né giustificazione. Abbiamo detto di come il NL sia stato supportato da campagne ideologiche mirate ma questo non basta a spiegarne i suoi effetti di verità. Non vi è solo un travalicare dall’economico a tutte le funzioni dell’esistenza, perchè il nodo vero sta nell’aver imposto un sistema di soggettivazione che vede i soggetti disposti a rinunciare ad uno spazio di libertà pubblico, all’agire politico. Dalla misura in cui hanno, o avranno, la volontà di riconquistare questo spazio, modificando il quadro imposto e predeterminato in cui si trovano ad agire e vivere, dipenderà forse la possibilità, non di fare la rivoluzione proletaria come dice qualcuno del sicobas, ma almeno divenire soggetti sociali autonomi, non eterodiretti, questa volta sì, non più disponibili a far parte di un sistema in cui la prevaricazione, lo sfruttamento tra uomini, sia una ragione d’essere. Ci fermiamo qui, ma si dovrebbe continuare; sintetizzando si potrebbe aggiungere che chiunque volesse provare a modificare lo stato di cose esistente dovrebbe fare i conti con i soggetti prodotti da questo sistema, che siano lavoratori salariati o ceti medi, unificati in un solo modello, eterodiretti, ed autodiretti, secondo i principi neoliberali. Spettatori della politica, fissi nella convinzione che nulla può esistere al di là del dato attuale, che la vita è questa e non può esserci altro. Confrontarsi con questi soggetti proponendo la necessità dello scontro di classe, sulla base esclusiva della contraddizione capitale-lavoro, con lo scopo di instaurare la dittatura del proletariato, è fatica improba e vana. Si potrebbe, su questo argomento, per esemplificare la drammaticità della situazione, riferirsi all’esperienza dei compagni del comitato cassaintegrati-licenziati di Pomigliano (ai quali va naturalmente la nostra solidarietà, naturalmente ed indiscutibilmente), in conflitto con padroni, istituzioni, sindacati e lavoratori, condannati a restare espressione di una marginalità priva di ogni forza per incidere e mutare la loro condizione. Certo il documento congressuale dice altro al riguardo, cita l’indomita lotta, la resistenza agli attacchi padronali (tutto vero e ammirevole), ma da ciò a trarne un segnale di controtendenza rispetto al quadro generale, glorificando la presenza ai cancelli dei facchini (centinaia? forse sarebbe il caso di rileggersi i comunicati dell’epoca) un giorno del 2013, significa fare opera di mistificazione, che può servire a sollevare gli animi, ma nulla produrrà di effettivo e reale nello scontro di classe. Si devono trovare gli strumenti ed i mezzi per affrontare questo avversario; restare solo sul piano del conflitto di lavoro non è sufficiente, bisogna scendere sul terreno del nemico. Come: primo, conoscendolo nei suoi contenuti, forme, ragioni costitutive, processi che l’hanno prodotto, storia, teorie che l’hanno aiutato ad affermarsi. Quindi fare uno sforzo per diventare capaci di intervenire nel sistema di rappresentazioni sul quale si regge. Un sindacato come il nostro deve fare questo, o meglio, può fare questo? Può essere questo il suo compito? Per il documento congressuale no, il tema non è neppure posto, come abbiamo visto. Perchè basta avere fede, basta scrivere in ogni dove (il documento né è pieno!) che l’azione del sicobas deve essere inquadrata in una prospettiva anticapitalista, sollecitando ed invitando lavoratori e proletari ad unirsi per dar luogo ad un’azione politica comune contro il sistema e l’obiettivo, siate certi, si raggiungerà. Inutile quindi ipotizzare di allargare l’orizzonte del pensiero e del fare, è tutto già dato. Amen. Nel concreto, partendo da situazioni che dovrebbero essere già alla portata del sicobas, pur nella consapevolezza che sarebbero insufficienti, se non insignificanti per efficacia, in rapporto all’obiettivo, si potrebbe, per esempio, dotarsi di una sorta di ufficio stampa-propaganda, almeno per ribattere colpo su colpo agli interventi delle forze che vengono colpite dalle lotte (penso per esempio alla campagna Granarolo per il passato, e all’attuale situazione a Ferrara, dove, ci sembra di capire, è in corso una campagna leghista dai toni ed obiettivi pericolosi). Ma questo, pur importante, non sarebbe sufficiente, il salto qualitativo andrebbe fatto anche sul terreno teorico, le forme e i modi per far questo potrebbero essere seminari, pubblicazioni (il famoso giornale?) video....... e i veicoli i social media, i siti. (Apro e chiudo una breve parentesi sul sito: in questo momento fa pena, non è niente di più di un Congresso SI Cobas maggio 2015 – Cobas Poste 7 doppione di un profilo facebook, votato all’istantaneo, ma morto sul piano dell’articolazione e della sedimentazione dei contenuti, espressione dell’incapacità di un pensiero strutturato in chi lo gestisce). Molti sarebbero i punti ancora da trattare, già affrontati nel documento dello scorso anno “Sicobas tra mito e realtà”, non ci ripetiamo e rimandiamo a quel testo chiarendo che, secondo noi, alcuni di quei temi sono purtroppo ancora attuali e temiamo che niente sia cambiato in particolare per quanto riguarda il discorso che titolavamo “Falsa coscienza” . I comportamenti, le omissioni, espressi dai dirigenti del sicobas in occasione delle dimissioni di Francesco nei mesi scorsi, sono lì a dimostrarlo. Sugli altri temi: coscienza di classe e soggettività dei lavoratori-delegati, militanza a pagamento, ambito e manifestazione della religiosità, nel documento dello scorso anno, col quale abbiamo segnato la nostra posizione critica rispetto al quadro complessivo, ci eravamo espressi in modo negativo, sulla base delle valutazioni dell’epoca; oggi sarebbe sbagliato affidarsi ad un pre-giudizio, quindi aspettiamo l’evolversi del congresso ed il suo esito finale per trarre conclusioni pertinenti, in base alle quali decidere sul nostro prossimo ruolo nel sicobas. Per concludere, citiamo in epigrafe una frase dal documento congressuale che esprime in modo superlativo la ratio del gruppo dirigente del sicobas: “Pensiamo che sia necessario riconquistare la massa dei lavoratori a un’azione di classe che abbia uno stretto legame con l’organizzazione rivoluzionaria che, qualora nascesse e si sviluppasse, sarebbe come un “lievito” politico per le lotte stesse”. Insomma, se fossimo verdi e avessimo le antenne sulla testa potremmo andare su marte. Altro non c’è da aggiungere. Congresso SI Cobas maggio 2015 – Cobas Poste 8