Art App - Teatro del Sale
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teatro La commedia umana di Maria Cassi Un’artista completa. che unisce la. comicità del clown,. del giullare e del. personaggio dei. fumetti, incanta il. pubblico con la sua. galleria di personaggi. raccolti per strada. hanno paragonata a Jacques Tati, Jerry Lewis e Charlie Chaplin, Buster Keaton, Roberto Benigni, Paolo Poli e Robin Williams – stranamente tutti uomini, quasi la comicità sia prerogativa maschile – ma è stata accostata anche a tre attrici americane molto diverse tra loro: Lucille Ball, indimenticabile protagonista della serie Tv anni ’50 Lucy e io; Lily Tomlin (Nashville e Radio America) e Whoopi Goldberg, stella di L’ a cura di Elena Rossi fotografie di James O’Mara 40 Art|App numero 3 Broadway e protagonista di innumerevoli film sia comici che drammatici, da Ghost a Sister Act. Ma in fondo quando si cercano paragoni è per dire che sulla scena è comparso qualcosa di nuovo. Maria Cassi ha all’attivo un’intensa produzione come attrice, autrice e regista, ma è negli ultimi anni che la sua stella è esplosa in tutta la sua luminosità. Una svolta importante è stata nel 2003 l’apertura del Teatro del Sale, insieme al marito Fabio Picchi. Da allora lo spazio fiorentino è diventato un punto di riferimento culturale e registra sempre il tutto esaurito quando è Maria a esibirsi. Qui la vide per la prima volta il produttore e regista teatrale Peter Schneider, che nel 2008 la portò a Los Angeles con lo spettacolo Crepapelle e che sta preparando con lei e con Patrick Pacheco il nuovo spettacolo My life with men and other animals - La mia vita con uomini e altri animali, che verrà presentato al New York Stage and Film Festival nel luglio 2010. Maria Cassi continua a collaborare con attori e registi del calibro del praghese Bolek Polivka. Nel 2009 il suo Crepapelle è andato in scena per cinque Something in the way she moves settimane al Théâtre du Rond Point di Parigi, su invito del direttore artistico Jean Michel Ribes. E mentre il teatro registrava il tutto esaurito, France 2 e France Musique la chiamavano in importanti programmi culturali televisivi e radiofonici per intervistarla e farla cantare dal vivo. Niente di quello che fa Maria passa inosservato; il suo spettacolo dedicato ai Beatles è stato molto apprezzato da Elvis Costello, che intrattiene con lei un’intensa corrispondenza progettuale. La Porta Aperta, tratto dal saggio di Peter Brook, è stato richiesto dal grande clown Dimitri nel suo Teatro di Verscio in Svizzera, dove Maria è ospite da molti anni. Innumerevoli sono le sue incursioni nel mondo musicale, come nello spettacolo Suoniemozioni ispirato a Lucio Battisti o il recente Concertino d’amore - le mie canzoni d’amore preferite; d’altronde la sua voce straordinaria e il canto sono sempre importanti comprimari dei suoi spettacoli. Ma lasciamo che a parlare siano i mille volti di Maria e le voci di chi l’ha conosciuta e ha lavorato con lei. Guardo Maria muoversi sul palco in lontananza e non capisco quello che dice. È forse un dialetto che mi sfugge? Aspetto, senza sapere cosa fare. Poi mi rendo conto che già dopo qualche istante è riuscita a far scivolare clandestinamente dentro di me un linguaggio. I suoi gesti sono diventati verbo. Si tratta di qualcosa di diverso, qualcosa che viene prima delle parole e anche dopo. Com’è possibile che questo corpo che si muove voglia dire qualcosa? Qualcosa che comprendo ancora meglio di tutte le frasi che mi spiegano il mondo. È perché si avvale dell’idioma di una cultura che ha fatto della gestualità fisica l’elemento cruciale del suo comunicare. Quando Maria si muove nello spazio, capisco perché l’Italia si è fatta tanto amare nel mondo. Questa donna porta nella pelle gli accenti impercettibili della voce degli anziani che noi abbiamo quasi dimenticato. Ci ricorda cose che vanno oltre la memoria del nostro vocabolario. Come ha potuto un paese così piccolo diventare così grande? Come ha potuto umanizzarsi così all’estremo a partire dal suo essere carnale? Maria trasuda gioia e malinconia, il lato popolare e la raffinatezza di un mondo così complesso che, alla fine di tutto, dopo quello che viene detto senza parole, non rimane che una sola cosa: l’accettazione di se stessi. Non so come faccia, ma mi dice che bisogna dare alla luce il meglio e il peggio di ciò che siamo e che noi siamo così soprattutto nel nostro corpo. Allora è magia, e tutto diventa bello, e come i suoi vecchi contadini che arrivano a ridere del grosso naso rosso e peloso che hanno al centro del viso, tutto si trasforma in bellezza. Bisogna amare dannatamente la vita per muoversi così, come fa Maria. Bisogna amare gli altri, soprattutto. Abbiamo sempre saputo che la comunicazione è fatta di qualcosa di ben più forte della parola e della ragione, che siamo una specie animale che deve la sua sopravvivenza all’emozione. Maria me l’ha fatto capire muovendo semplicemente nello spazio le sue braccia, le sue mani, i suoi occhi e la sua bocca da clown. L’ho capito come dovette capirlo un giorno George Harrison, quando disse di una donna something in the way she moves. Juan Pittaluga Cineasta Uruguaiano, vive a Parigi. Dopo aver collaborato con Jonathan Nossiter in Mondovino. La guerra del gusto, Sélection Officiel a Cannes 2004, nel 2005 ha presentato a Cannes il suo primo film Orlando Vargas. numero 3 Art|App 41 teatro Una fiorentina a Parigi Senza sforzo Maria evoca un’intera gamma di umanità, non solo con umorismo e brio, ma anche con compassione e con un grande cuore Visto per l’America Un paio d’anni fa arrivai a Firenze per un corso intensivo di italiano. Ricevetti invece una lezione intensiva sulla difficile arte della comicità fisica. La lezione arrivò per gentile concessione di Maria Cassi, che conobbi quando, su suggerimento di un amico americano, cenai una sera al Cibrèo e più tardi al Teatro del Sale. Comprendevo appena qualche parola di italiano quando la vidi in scena – evidentemente il corso intensivo non aveva funzionato. Ma non importava. A parlarmi fu il suo vocabolario di gesti. Tanto che, dopo una serata di Maria, seguita da una cena superba e del buon vino, le proposi di presentare il suo spettacolo Crepapelle a Pasadena, in California. Ero sicuro che il genere unico della sua teatralità sarebbe andato oltre i confini della lingua. E così fu. Non solo riuscì a trasmettere la sua ironia e il pathos, ma anche la sua carismatica capacità di incarnare ciò che gli americani amano della Toscana – il cibo, il vino, la gente e la bellezza del paesaggio. È sempre difficile, se non impossibile, analizzare la magia della recitazione. Ma ho il sospetto, con Maria, che ciò abbia a che fare con la sua fluida capacità di scivolare in una grande varietà di personaggi diversi per sesso e per età. E di farlo sembrare facile. Ciò che è sorprendente in lei è che in scena non appare mai due volte nello stesso modo. Può apparire tanto predatrice quanto vulnerabile, tanto ingenua quanto autorevole, seducente come inaccessibile. Con il più piccolo dei gesti può avere l’agilità fisica nel movimento e nell’espressione di alcuni dei più grandi clown d’America, non solo leggende come Jerry Lewis e Lucille Ball, ma anche Lily Tomlin e Whoopi Goldberg. Ma mentre molti attori dalla comicità fisica risultano asessuati o di genere neutro, Maria abbraccia una sensualità mediterranea che la rende unica. Ha una freschezza da ragazzina che rende la sua disinibizione sul palco ancor più attraente, sorprendente, divertente e innocente. In questo modo invita il pubblico ad apprezzare tutti gli aspetti della commedia umana, in particolare l’eterna interazione tra i sessi, in modi che sono alternativamente leggeri e toccanti. Senza sforzo, Maria evoca un’intera gamma di umanità, non solo con umorismo e brio, ma anche con compassione e con un grande cuore. Peter Schneider già presidente della Walt Disney e produttore di Broadway 42 Art|App numero 3 Bisogna amare dannatamente la vita per muoversi così, come fa Maria. Bisogna amare gli altri, soprattutto Maria Cassi è una raffica ininterrotta di umorismo, emozione, fascino e un sacco di cose folli. Una sorta di Stromboli seducente e burlesque di cui ogni eruzione vi proietta nella gioia di ridere fino alle lacrime. È un sogno di Fellini, Roberto Benigni ed Ettore Scola. In breve, Maria Cassi è forse la migliore definizione della parola “irresistibile”. Il suo spettacolo è lo sguardo di una fiorentina innamorata di Parigi. Acrobatica, barocca e clownesca, ci racconta in scena il suo amore, Parigi, i parigini, i monumenti, i piccioni e il dolce grigiore che si estende dall’Etoile alla Bastiglia ed entro cui per muoversi le persone continuano a dire “Pardon, pardon, pardon...” E Parigi, con Maria Cassi, diventa improvvisamente una città dove splende il sole italiano. Jean Michel Ribes Direttore del Théâtre du Rond Point – Parigi Un fremito di ciglia Chi è | James O'Mara Fotografo, filmmaker e graphic designer, ha iniziato la carriera come pittore e ha prodotto documentari, campagne pubblicitarie e video nei settori della musica, della moda dei viaggi. Le sue foto - dai ritratti di Andy Wharol a quelli di Bob Dylan ed Elvis Costello sono state esposte a Siena, Vancouver, Napa Valley, Londra e sono presenti in molte collezioni private. Quanti muscoli ci sono in una faccia? Cento? Mille? Diecimila? Non ne ho la minima idea, ma quello di cui sono sicuro è che, qualunque sia questo numero, Maria Cassi ne ha il doppio. Chi ha avuto la fortuna di vederla almeno una volta in palcoscenico capisce benissimo perché lo dico e a che cosa mi riferisco. La cosa meravigliosa è che lei li comanda tutti, uno per uno, un ordine specifico per ognuno, un ordine affettuoso e impercettibile, apparentemente senza fatica. Siamo molto lontani dalla famosa maschera del teatro giapponese, la maschera del Cattivo su cui riflette Brecht in una sua bella poesia sottolineando come i tanti muscoli contorti e le tante vene gonfiate stanno lì a dimostrare quanta fatica costi l’essere cattivi. I muscoli del volto di Maria hanno aspettative, compiti e sogni molto più belli, molto più affascinanti. Non lavorano come stakanovisti per costruire la feroce espressione della paura o della cattiveria e nemmeno si distendono larghi e sereni per tranquillizzare gli spettatori con un sorriso serafico. Il terreno su cui li guida Maria è quell’immensa prateria in cui stanno le mille e mille espressioni dell’umanità intorno a noi, dalle più vive alle più inerti, dalle più imprecise alle più ambigue, un lavoro sorprendente e complesso: un sopracciglio di un millimetro più alto o un fremito di ciglia più alterato del solito ed ecco apparire il nuovo personaggio rubato dalla realtà e portato sulla scena. Vi sembrerà strano, forse sorriderete un po’ scettici, ma vi assicuro che la poesia, la grande poesia di Maria parte proprio dall’uso sapiente di questa micro struttura muscolare, sono i suoi movimenti che danno il “la” a tutta la scena e sulla loro indicazione si muove il resto del corpo, la postura del collo, del torso, il movimento delle braccia e delle gambe, fino alle mille voci che Maria sa far scaturire dalle sue corde vocali. È una cosa che mi affascina e quasi mi ipnotizza, predisponendomi a godere di ogni invenzione dei suoi spettacoli. Mi affascina per molte ragioni, la prima delle quali è il coraggio perché ci vuole veramente molto coraggio per salire sul palco e mettersi a fare le linguacce agli spettatori e non contenta storcere la bocca, strabuzzare gli occhi, inghiottirsi la lingua e mille altre cose ancora. Per farlo tranquillamente ci vuole tutta la beata innocenza dei bambini oppure tutta la grande intelligenza autocritica degli adulti. Maria, per nostra fortuna ne ha moltissime di entrambe, ma soprattutto della seconda. Ancora oggi qualcuno pensa che la poesia nasca e fiorisca nei luoghi più ponderati e seriosi e che il gioco, l’irriverenza e il prendersi in giro mal si adatti al trattar temi che raccontano di emozioni e sentimenti. Maria fa tabula rasa di questi pregiudizi e proprio attraverso il funambolismo delle sue espressioni e delle sue caratterizzazioni, come i grandi clown contemporanei da Charlie Chaplin a Paolo Poli, evoca immagini poetiche di grande forza, risibili o commoventi, ironiche o tragiche. Nelle sue espressioni vivono e agiscono sul palcoscenico uomini e donne a noi simili, figurine che coglie al volo nei paesaggi urbani, negli autobus, nel metrò, nei grandi magazzini, nei caffè, sui lungarni o affacciata alle finestre di qualche vicolo, un po’ come i nostri macchiaioli o forse come un pittore impressionista, un novello Monet. Anche lei, in fondo, come Monet, percorre le strade della città con gli occhi ben aperti, osservando e ascoltando e laddove Monet, a Rouen, coglieva il variare delle luci e delle ombre della cattedrale nelle diverse ore del giorno e le riportava sulle sue tele, Maria, a Firenze o a Parigi, coglie umori, sentimenti, brandelli di vita che poi con intelligenza sarcastica o tenera ci riporta in teatro in un linguaggio universalmente comprensibile. Anche questo fa parte della magia del suo racconto: la forza poetica della mimica che riesce a rendere comprensibili espressioni verbali di lingue conosciute poco o per nulla. Quando ho visto Maria a Parigi al teatro Rond Point ero in compagnia di Jean Plantou, disegnatore satirico di Le Monde e di una sua amica, una giovane giornalista cinese che parlava poco e male francese e non conosceva nulla di italiano. Eppure sono rimasto incantato nel vedere come seguiva tutta l’azione teatrale comprendendo ogni risvolto, ridendo o commuovendosi nei punti giusti, come se, invece che a Shanghai, fosse vissuta da sempre vicino alla casa di aa Maria, giusto all’angolo tra Rue de Rivoli e via de’ Macci.● Sergio Staino numero 3 Art|App 43