Repubblica.it, 2016-03-27

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Musica > Rockbackstage: in un libro i retroscena delle copertine più famose della storia
MUSICA
Ro ckbackstage: in un libro i retro scena delle
co pertine pi¹ fam o se della sto ria
di LU CA VALTO RTA
Aggiornato il 27 marzo 2016 Pubblicato il 27 marzo 2016
Lo leggo dopo
Dalla "m acelleria" b eatlesiana a quello "sp orco" d eb utto d ei Ram ones fino
alla "d istruzione" targata The Clash. Dietro le foto d i alb um d iventate icone
gli uom ini che le scattarono: Rob ert Whitaker, Ed o Bertoglio e Rob erta
Bayley. Ecco com e sono nate e com e un'im m agine p u· cam b iare la storia
d ella m usica
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Le rassicuranti facce dei Beatles sorridono felici. Indossano camici bianchi da
macellaio imbrattati di sangue e in mano, in grembo o sulle spalle, hanno bambole
decapitate, pezzi di carne, frattaglie. Punk ante litteram, anticipatori anche in questo.
Per la raccolta prevista solo per il mercato americano intitolata Yesterday and Today la
Capitol stampò ben 750.000 copertine, molte delle quali non uscirono dallo stabilimento
viste le proteste dei primi negozianti a cui erano state inviate. I Beatles, stanchi dei
Ro ck o ltre co rtina, la
co lo nna so no ra del
blo cco so vietico
DEKO DER
di Anto nio D ipo llina
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"soliti, noiosi servizi fotografici", avevano infatti voluto usare uno scatto del fotografo
Robert Whitaker per una performance di arte concettuale intitolata A Somnambulant
Adventure, diretta a un pubblico assai più elitario e abituato alle provocazioni. Tra gli
stessi componenti del gruppo non c'era concordia su quell'immagine scioccante, con
Paul McCartney che l'aveva voluta e John Lennon che la definì "as relevant as
Vietnam", mentre George Harrison la considerava "un'idea stupida e volgare". Tra le
voci sul motivo per cui avessero voluto mettere quella foto in copertina c'era anche
quella secondo cui il "macello" (quel disco prenderà in futuro proprio il nome di "butcher
cover") fosse una polemica contro la Capitol che fabbricava a tavolino un album, una
compilation che non esisteva, contro il volere della band. Tutto questo contribuì a
renderla una delle copertine più rare e introvabili della storia, valutata a prezzi
incredibili.
La direzio ne giusta di
Astro sam antha
CO RAZZATA PO TEMKIN
di da go stini_1
La m acchinazio ne: Il
Paso lini di Grieco
PO ST TEATRO
di a ba ndettini
"P ics O ff!", 1976-1982,
l'estetica della nuo va o nda
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Lars vo n Trier co l
to vaglio lo in testa
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SCE G LI
SO LO LA CITT¬
Oggi, in tempi di musica liquida, le copertine contano molto meno di un tempo, il che è
un peccato per molti motivi. Già con le dimensioni ridotte del cd infatti c'era stata una
perdita di rilevanza; da alcuni anni si registra, per fortuna, anche un'inversione di
tendenza con il fenomeno del ritorno del vinile, non legato a pochi nostalgici ma anche
e soprattutto alle nuove generazioni che riscoprono il piacere del grande formato.
Attraverso uno scatto quelle copertine potevano raccontare un intero mondo. E
realizzare un servizio fotografico nel mondo del rock'n'roll era una delle prove più difficili
che potesse toccare a un fotografo professionista. Che il più delle volte, prima di
essere un professionista, era probabilmente anche un appassionato di musica che col
tempo avrebbe dovuto scoprire di doversi trasformare, all'occorrenza, anche in un
esperto psicologo (o meglio, psichiatra): avere a che fare con rockstar come David
Bowie, Lou Reed o Johnny Rotten può essere una delle esperienze più destabilizzanti
di sempre.
Storie analoghe le vediamo raccontate nelle pagine del libro Pics Off!, una galleria di
foto raccolte da Matteo Torcinovich, che mette a confronto l'immagine di copertina
scelta con gli altri scatti scartati durante il servizio fotografico. Sono testimonianze,
come dicevamo, di un modo di lavorare che va scomparendo, artigianale e a suo modo
molto romantico, che contempla un contatto diretto con l'artista, oggi quasi impossibile.
Da un lato per i mille filtri che le star frappongono tra sé e il mondo (ufficio stampa,
agenti, sponsor), dall'altro per il contatto diretto con i fan che oggi i social network
consentono. Incontri come quello di Roberta Bayley con i Ramones o di Edo Bertoglio
con i Blondie e Madonna raccontano l'essenza del personaggio a volte meglio di
un'intervista perché colgono aspetti di cui lo stesso artista a volte non è conscio. E
SO LO LA P RO VIN CIA
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spesso neppure il fotografo. Ma è proprio da questa combinazione che può nascere la
magia.
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Quando nel 1977 uscì "Heart of Glass" dei Blondie, il singolo venne giudicato "troppo
commerciale" dalla scena new-wave newyorkese. Ma si trattava di una sapiente
miscela pop tra la disco e il rock, accompagnata da un video accattivante, che fece la
fortuna della band. Meno nota è la sua versione originale, che fu poi velocizzata e
trasformata in una hit mondialeUna canzone per un giorno di Andrea Silenziriprese di
Luciano Coscarellamontaggio di Mariagrazia MorroneRepTv News, il magazine
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Tornando alle copertine, ciò che inevitabilmente viene da chiedersi guardando i provini
è se le cose sarebbero andate bene ugualmente se fosse stato scelto un altro scatto. Il
più delle volte la risposta è no. È ovvio che se fosse stata selezionata una foto dei
Ramones che ridono per l'incidente occorso a Dee Dee di cui parla Roberta Bayley
si sarebbe perso completamente il senso di cos'era la band in quel momento: l'icona
stessa del punk. È questo che ci dice, persino al di là della sua volontà, quella foto.
L'estetica povera, in bianco e nero, che riduce tutto all'essenziale, non è casuale. Così
come non è casuale la scelta di un luogo all'apparenza così banale e scontato: la
strada. Anzi, ancora meglio: un muro coperto di scritte in una periferia senza nome. E,
naturalmente, quattro giubbotti di pelle. Quella foto diventa un'icona insuperata perché
in uno scatto rivela uno stile di vita: nuovo, vero, intenso.
Joey, Johnny, Dee Dee e Tommy Ramone attaccanno "Blitzkrieg Bop": con l'"one-twothree-four" scandito dal batterista e l'"Hey Ho! Let's Go" gridato da Joey nasce
un'icona: il brano, diventato un cult, è qui eseguito dal vivo sul palco del Rainbow
Theatre di Londra nel dicembre 1977.
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L'altra grande immagine che rappresenta il punk è quella di Pennie Smith per London
Calling dei Clash, che ritrae Paul Simonon mentre distrugge il suo basso durante il
concerto al Palladium di New York il 21 settembre 1979. La Smith accompagnò i
Clash durante tutta la tournée, stando giorno e notte insieme alla band, vivendo le loro
stesse avventure. Ma, se fosse stato per lei, non avrebbe mai voluto usare quella foto
perché "non a fuoco". Fu proprio il cantante della band, Joe Strummer, a volerla,
insieme al grafico Roy Lowry che l'assocerà come omaggio (ma molti ai tempi la
lessero invece come contrasto e presa in giro) al primo album di Elvis Presley, con lo
stesso lettering e quegli assurdi colori verdi e rosa che diventeranno un'altra bandiera
del punk (vedi il primo album dei Sex Pistols, Never Mind the Bollocks, tutto colori
acidissimi). Nel 2002 quello scatto verrà segnalato dalla rivista Q come "miglior foto
rock di tutti i tempi" perché "rappresenta lo stato d'animo più puro del rock'n'roll: la
totale perdita di controllo". Simonon dichiarò che fece quel gesto perché era
arrabbiatissimo con i buttafuori che non permettevano agli spettatori di alzarsi dalle loro
sedie per ballare. Di leggende, fantasie e fraintendimenti, è costellata la storia delle
copertine del rock.
Un'altra cover controversa è stata quella di Born in the U.S.A., di un personaggio oggi
amato da tutti, Bruce Springsteen. Quella copertina lo vede di schiena contrapposto
alla bandiera americana. Viste le sue posizioni politiche fortemente anti establishment
di quel periodo - era il 1984 di Reagan - a un certo punto si diffuse la leggenda che in
realtà fosse intento a urinare sulla bandiera. Fatto da Springsteen smentito in
un'intervista a Rolling Stone: "Non c'era alcun significato segreto, davvero.
Semplicemente guardando le foto scattate sembrava che sulla copertina ci stesse
meglio il mio sedere piuttosto che la mia faccia". Resta il dubbio che quelle spalle
voltate, quel cappellino "working class" che spunta dalla tasca, quei jeans sdruciti e
quelle parole ("born down in a dead man's town/ the first kick I took was when I hit the
ground) qualcosa sul sogno americano lo volessero dire. Ogni copertina, riuscita o
meno, è uno scrigno di segreti che lascia le porte aperte al sapore della leggenda. E
qui abbiamo così bisogno di storie.
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