Le clausole sociali negli appalti pubblici: tra libera iniziativa

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Le clausole sociali negli appalti pubblici: tra libera iniziativa
Opinioni
Appalti e lavori pubblici
Bando di gara
Le clausole sociali negli appalti
pubblici: tra libera iniziativa
economica e tutela della
coesione sociale e territoriale
di Valerio D’Adamo *
La finalità dell’elaborato è quella di identificare l’esatta portata della clausola sociale, inserita in numerosi
bandi di gara ai sensi dell’art. 69 codice appalti, con la quale si impone all’affidatario di assorbire ed utilizzare, prioritariamente, gli stessi addetti che operavano alle dipendenze del precedente affidatario. L’analisi tiene conto di due importanti pronunce, l’una dell’AVCP e l’altra del Consiglio di Stato, che mirano a confinare
la portata di simili clausole al fine di bilanciare le esigenze sociali, sottese all’inserimento di simili clausole,
con il principio di libera iniziativa economica sancito dall’art. 41 Cost., cosı̀ come interpretato alla luce dell’ordinamento comunitario.
Le clausole sociali: ratio e normativa
di riferimento
Sebbene il sistema comunitario sia improntato ad
una forte tutela del libero mercato, ciò non costituisce un dogma e, a volte, la regola viene sottoposta a deroghe (1).
Per citare un caso in cui la normativa comunitaria
volta a garantire le logiche concorrenziali a tutela
di un mercato libero possa cedere il passo ad interessi ritenuti di maggiore rilevanza, si pensi ai servizi d’interesse economico generale, i quali si caratterizzano per la loro finalizzazione alla tutela e al benessere della persona (2).
Eadem ratio regge anche la previsione attraverso la
quale si permette, alle stazioni appaltanti, di inserire clausole sociali all’interno dei bandi di gara o dei
capitolati d’oneri speciali (3).
In particolare, il legislatore comunitario, nell’attuare queste politiche volte alla tutela di interessi
ritenuti primari, ha previsto che, nell’acquisire beni, servizi o forniture, gli Stati membri possano decidere di perseguire, al contempo, esigenze sociali
Note:
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
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(1) Per un esame dell’evoluzione interpretativa del principio di
concorrenza, v. P. Cerbo, La scelta del contraente negli appalti
pubblici fra concorrenza e tutela della «dignità umana», in Foro
Amm. TAR, 2010, 1875, il quale, nel citare N. Lipari, Diritto e valori sociali: legalità condivisa e dignità della persona, Roma,
2005, ricorda come «il punto di tensione di qualsiasi diritto sulla
concorrenza [...] risiede nel rapporto tra ‘‘persona’’ e ‘‘mercato’’».
(2) Art. 106 TFUE (ex art. 86 TCE): «1. Gli Stati membri non
emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche
e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna
misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle
contemplate dagli artt. 18 e da 101 a 109 inclusi. 2. Le imprese
incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle
norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei
limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento,
in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.
Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione. 3. La Commissione vigila sull’applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni».
(3) Come messo in evidenza nella pubblicazione della Commissione Europea, dell’ottobre 2010, dal titolo ‘‘Acquisti sociali: una
guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici’’, «effettuando acquisti responsabili, le autorità pubbliche possono promuovere opportunità di occupazione, lavoro dignitoso,
inclusione sociale, accessibilità, progettazione per tutti, commercio etico e mirare a una conformità più estesa con gli standard sociali»; il tutto attraverso lo sfruttamento delle «opportunità offerte, dall’attuale quadro giuridico dell’UE, alle autorità pubbliche di tenere conto degli aspetti sociali nei propri appalti pubblici, in un’ottica non legata esclusivamente al prezzo ma anche
al miglior rapporto qualità/prezzo».
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come la tutela dell’ambiente o la coesione sociale (4).
In merito, le direttive CE n. 17 e n. 18 del 2004, rispettivamente agli artt. 38 e 26, hanno disciplinato
le ‘‘condizioni di esecuzione dell’appalto’’ (5). Attraverso di esse viene lasciata la facoltà agli Stati
membri di prevedere, nella normativa di recepimento, la possibilità per le stazioni appaltanti di inserire nei contratti d’appalto le cc.dd. clausole sociali, quali clausole per l’esecuzione dei contratti.
Al fine di ribadire la legittimità di simili clausole, si
può citare anche quanto affermato nel 338 considerando della direttiva CE n. 18 del 2004, ad avviso
del quale «le condizioni di esecuzione di un appalto sono compatibili con la presente direttiva» (6).
Da un’attenta lettura delle norme citate sino ad ora
- e degli artt. 2 e 69 del D.Lgs. n. 163/2006, di cui
si dirà in seguito - viene subito in rilievo che, tanto
la normativa comunitaria quanto la normativa nazionale di recepimento, prevedono che debba trattarsi di clausole di esecuzione del contratto e non
di condizioni per la partecipazione alla gara.
Il legislatore nazionale, nel recepire e rendere esecutiva la normativa comunitaria, ha dedicato diverse disposizioni volte a contemperare i principi che
fanno capo al codice degli appalti pubblici con le
esigenze che possono insorgere dal contesto sociale.
Ci si riferisce, in particolare, agli artt. 2 («Principi»), 52 («Appalti riservati) (7) e 69 («Condizioni
particolari di esecuzione del contratto prescritte nel
bando o nell’invito») del D.Lgs. n. 163/2006.
Volendo focalizzare l’attenzione su quanto di nostro
interesse, ossia le ‘‘clausole particolari’’, inserite nei
contratti d’appalto, volte a garantire la continuità
lavorativa dei dipendenti del precedente affidatario
del servizio, si analizzeranno due dei tre articoli richiamati: l’art. 2 e l’art. 69.
Partire dall’art. 2 è d’obbligo, dato che fissa i principi - ergo le linee guida - che reggono l’architettura
del codice degli appalti pubblici. Questo, al primo
comma, enuncia che «l’affidamento e l’esecuzione
di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del [...] codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l’affidamento deve altresı̀ rispettare i principi di libera
concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello
di pubblicità con le modalità indicate nel presente
codice». Subito dopo aver enunciato quelli che sono i principi generali del codice, il legislatore delegato si è affrettato a specificare, nel comma 2 dello
stesso articolo, che «il principio di economicità può
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essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile».
Analizzando l’art. 2 codice appalti, diversi sono gli
aspetti che meritano di essere posti in risalto.
In primis è possibile riscontrare diverse ipotesi in
cui può essere derogato il comma 1.
In particolare, il comma 2, diversamente da quanto
fatto dalla Commissione in sede comunitaria, fa un
generico riferimento alle ‘‘esigenze sociali’’, alla ‘‘tutela della salute’’, alla ‘‘tutela dell’ambiente’’ e alla
‘‘promozione dello sviluppo sostenibile’’. Salvo quest’ultimo, il cui contenuto potrebbe essere delimitato
attraverso un’attenta analisi del D.Lgs. n. 152/2006,
il legislatore si limita ad un rinvio a criteri che, di
volta in volta, vanno riempiti di significato (8).
Note:
(4) In questo senso v. anche G. Bartoli, L’introduzione delle
clausole sociali negli appalti riservati, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2004, il quale, consapevole del fatto che
«la politica sociale ha svolto [...] un ruolo fondamentale nella costruzione della potenza economica dell’Europa, grazie all’elaborazione di un modello sociale unico nel suo genere», mette in risalto come «da alcuni anni l’Unione Europea persegue una politica di inclusione attiva. Il legislatore comunitario ha infatti contribuito notevolmente ad elevare il sistema di protezionismo sociale attraverso la promozione di incentivi al lavoro, sempre più
efficaci, allo scopo di creare una stretta interrelazione tra politiche socio-lavorative ed economiche [...] Si tratta di una strategia, volta, in particolare, a garantire un’interazione positiva e dinamica delle politiche economica, sociale e dell’occupazione e a
creare un consenso politico che mobiliti tutti gli attori chiamati
ad operare di concerto per la realizzazione del nuovo obiettivo
strategico».
(5) Per una ricostruzione puntuale della normativa e della giurisprudenza comunitaria in tema di clausole sociali, v. P. Cerbo,
La scelta del contraente negli appalti pubblici, cit.
(6) Considerando n. 33 della direttiva 2004/18/CE: «le condizioni
di esecuzione di un appalto sono compatibili con la presente direttiva a condizione che non siano, direttamente o indirettamente, discriminatorie e siano indicate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri. In particolare esse possono essere finalizzate alla
formazione professionale nel cantiere, alla promozione dell’occupazione delle persone con particolari difficoltà di inserimento,
alla lotta contro la disoccupazione o alla tutela dell’ambiente. A
titolo di esempio, si possono citare, tra gli altri, gli obblighi applicabili all’esecuzione dell’appalto di assumere disoccupati di lunga durata o di introdurre azioni di formazione per i disoccupati o
i giovani, di rispettare in sostanza le disposizioni delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro
(OIL) nell’ipotesi in cui non siano state attuate nella legislazione
nazionale, di assumere un numero di persone disabili superiore
a quello stabilito dalla legislazione nazionale».
(7) Per un’accurata analisi di questo articolo, si rinvia a G. Bartoli, L’introduzione delle clausole sociali, cit.
(8) Più chiara è stata la Commissione Europea, nella pubblicazione dell’ottobre 2010, cit., la quale, nel proporre un elenco esemplificativo, chiarisce che «potrebbero essere rilevanti i seguenti
(segue)
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Come accennato in precedenza, svariate sono le occasioni in cui il legislatore comunitario, quando si
tratta di garantire la coesione sociale e territoriale,
lascia ampie facoltà agli Stati membri. Il classico
esempio è quello dei servizi di interesse economico
generale di cui all’art. 106 TFUE, settore nel quale
gli Stati membri hanno un elevato livello di discrezionalità (9) nell’individuare i servizi che, in concreto, verranno considerati di interesse economico
generale.
Lo stesso sembra potersi dire della previsione di cui
al comma 2 dell’art. 2 codice appalti.
Lo Stato italiano, nel recepire la normativa comunitaria, non ha fissato limiti precisi per la deroga ai
principi che fanno capo al codice degli appalti pubblici, bensı̀ ha individuato macrocategorie di interessi cui far riferimento nella predisposizioni di
clausole sociali.
Ulteriore aspetto da porre in evidenza, con riferimento alla formulazione del comma 2 dell’art. 2 codice appalti, è la possibilità, per le stazioni appaltanti, di derogare esclusivamente il principio di
economicità.
Il mancato richiamo del comma 2 a tutti i principi
enunciati nel comma 1 non può essere considerato
una svista del legislatore ovvero un richiamo meramente esemplificativo; lo dimostra il fatto che la
previsione sia stata inserita subito dopo il comma 1,
in cui vengono richiamati espressamente i principi
di economicità, efficacia, tempestività, correttezza,
libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità. Questo non può voler dir altro che, per esigenze sociali (ovvero di tutela della salute, dell’ambiente o dello sviluppo sostenibile), l’unico principio derogabile tra quelli richiamati dal comma 1, è
quello di economicità. In altre parole, la stazione
appaltante potrà decidere discrezionalmente - e
non liberamente (10) - di prevedere l’inserimento
di una clausola sociale nel contratto d’appalto, ma
lo dovrà fare nel rispetto di tutti quei principi, richiamati dal primo comma dell’art. 2 codice appalti, e non esclusi dal comma 2 dello stesso articolo,
primo fra tutti quello di libera concorrenza. Libera
concorrenza che, in queste ipotesi, assumerà un’accezione peculiare, volta a salvaguardare la non discriminazione e la parità di trattamento nella scelta
del contraente e non l’affidamento del servizio a
colui il quale riesce ad elaborare l’offerta economica
migliore. Ne deriva, quindi, che qualora si inserisca
una clausola sociale all’interno di un bando di gara,
o di un capitolato d’oneri speciale, il principio di libera concorrenza debba ritenersi pienamente rispet-
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tato, in quanto la clausola sociale è valevole per
qualunque operatore economico voglia presentare
un’offerta.
Diretta applicazione di quanto previsto dal secondo
comma dell’art. 2 codice appalto, è l’art. 69 dello
stesso codice. Quest’ultimo, al primo comma, prevede espressamente che «le stazioni appaltanti possono esigere condizioni particolari per l’esecuzione
del contratto»; al contempo si affretta a specificare
che, conditio sine qua non per la previsione delle
stesse è la loro compatibilità con «il diritto comunitario e, tra l’altro, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione (11), trasparenza, proporzionalità».
Facendo seguito a quanto detto in precedenza, attraverso un’interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt. 2, comma 2, e 69, si deve
ritenere che i principi richiamati da quest’ultimo
costituiscano un elenco esemplificativo, cui vanno
aggiunti quantomeno i principi di efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza e pubblicità,
Note:
(segue nota 8)
aspetti sociali: 1. Promozione delle opportunità di occupazione,
ad esempio: promozione dell’occupazione giovanile; promozione dell’equilibrio di genere; promozione delle opportunità di occupazione per i disoccupati di lunga durata ed i lavoratori anziani; politiche a favore delle diversità e opportunità di occupazione
per le persone appartenenti a gruppi svantaggiati; promozione
delle opportunità di occupazione per le persone con disabilità,
anche attraverso gli ambienti inclusivi e accessibili; 2. Promozione del lavoro dignitoso [...]; 3. Promozione dell’osservanza dei
diritti sociali e lavorativi, quali: osservanza delle normative e dei
contratti collettivi nazionali conformi con il diritto dell’UE; osservanza del principio della parità di trattamento tra uomini e donne, tra cui il principio della parità di retribuzione per il lavoro di
uguale valore e la promozione della parità di genere; osservanza
delle normative in materia di salute e di sicurezza sul luogo del
lavoro; lotta alla discriminazione basata su altri criteri; 4. Supporto dell’inclusione sociale e promozione delle organizzazioni dell’economia sociale [...]; 5. Promozione dell’accessibilità e progettazione per tutti [...]; 6. Considerazione degli aspetti legati al
commercio etico; 7. Sforzo ad ottenere un impegno più esteso
di natura volontaristica verso la responsabilità sociale di impresa
[...]; 8. Protezione dall’inosservanza dei diritti umani e promozione del rispetto degli stessi; 9. Promozione delle piccole e medie
imprese [...]».
(9) V. art. 14, TFUE e art. 1, direttiva 2006/123/CE.
(10) Anche la normativa comunitaria è chiara nel ribadire che
non si tratta di libertà. V. 18 considerando della direttiva 2004/
18/CE, secondo il quale, tramite i criteri di aggiudicazione, vi è
«la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di soddisfare
le esigenze del pubblico interessato, tra l’altro in materia ambientale e sociale, purché tali criteri [...] non conferiscano all’amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta».
(11) Cosı̀ come previsto dal 338 considerando della direttiva
2004/18/CE, ad avviso del quale le clausole sociali devono ritenersi legittime «a condizione che non siano, direttamente o indirettamente, discriminatorie».
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oltre tutti quei principi costituzionali che, di volta
in volta, possono trovare applicazione.
Nell’ipotesi delle clausole sociali volte a tutelare i
livelli occupazionali, il riferimento ai principi costituzionali non può che richiamare l’attenzione sul
principio di libera iniziativa economica, di cui all’art. 41 Cost. Quest’ultimo, a seguito dell’ingresso
dell’Italia nell’Unione Europea, trova sempre maggior tutela (12) nel nostro ordinamento e, qualora
le stazioni appaltanti, attraverso clausole sociali, arrivino ad imporre agli operatori economici specifici
modelli organizzativi, potrebbe vedersi violato.
L’esatta portata della clausola sociale
con la quale si obbliga il nuovo affidatario
ad assorbire ed utilizzare,
prioritariamente, i dipendenti
del precedente affidatario, alla luce
del parere dell’AVCP del 23 gennaio 2013
Ai sensi dell’art. 69, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006,
è stato richiesto all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di esprimere il proprio parere sulla
clausola sociale inserita in un bando di gara ad avviso del quale «in caso di cambio gestione, si stabilisce per l’affidatario l’obbligo di assorbire ed utilizzare prioritariamente nell’espletamento del servizio,
qualora disponibili, i lavoratori che già vi erano
adibiti quali soci lavoratori o dipendenti del precedente aggiudicatario» (13).
Prima di procedere all’analisi del caso posto alla sua
attenzione, l’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP) illustra il quadro normativo di riferimento attraverso il
quale si legittima la previsione di una simile clausola in una gara d’appalto; solo successivamente passa
ad esaminare i limiti che definiscono la possibile
portata delle cc.dd. clausole sociali.
Quanto al primo aspetto, vengono richiamati gli
artt. 26 e 38, rispettivamente delle direttive CE n.
18 e n. 17 del 2004, e l’art. 69 del D.Lgs. n. 163/
2006 con il quale si è recepito nel nostro ordinamento il combinato disposto delle direttive appena
richiamate.
Norma di riferimento interna è, dunque, l’art. 69
codice appalti (14), a mente del quale «le stazioni
appaltanti possono esigere condizioni particolari
per l’esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto comunitario e, tra l’altro, con i
principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, e purché siano precisate nel bando di gara, o nell’invito in caso di
procedure senza bando, o nel capitolato d’oneri».
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Lo stesso articolo, al comma 2, specifica che «dette
condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali o ambientali».
Come anticipato nel paragrafo precedente, le previsioni di cui all’art. 69 codice appalti vanno lette alla luce del 338 considerando della direttiva 2004/
18/CE il quale, oltre a subordinare la legittimità comunitaria di simili «condizioni di esecuzione» alla
circostanza che «non siano, direttamente o indirettamente, discriminatorie e siano indicate nel bando
di gara o nel capitolato d’oneri», con riferimento
alle esigenze sociali contemplabili puntualizza che
esse «possono essere finalizzate alla [...] lotta contro
la disoccupazione».
Alla luce di quanto detto sino ad ora appare chiaro
come, tanto le norme interne quanto quelle comunitarie, oltre a legittimare l’apposizione di simili
clausole, prevedono espressamente che debba trattarsi di condizioni di esecuzione del contratto (15),
come tali non costituenti barriere di ingresso alla
gara. In altre parole, se queste clausole possono costituire parte integrante di un contratto a favore di
terzi, non possono assolutamente costituire requisiti
economico-finanziari o tecnico-professionali per la
partecipazione alla gara (16).
Note:
(12) Sull’evoluzione interpretativa che ha caratterizzato l’art. 41
Cost. e, più in generale, la nostra Costituzione economica, v. V.
Cerulli Irelli, Impresa pubblica, fini sociali, servizi di interesse generale, in Riv. It. Dir. Pub., 2006, 747.
(13) Atto AVCP, AG 41/12, diretto al Comune di Asti.
(14) Per un richiamo alle normative precedenti in tema di clausole sociali, v. G. Bartoli, L’introduzione delle clausole sociali,
cit.
(15) Gli artt. 26 e 38, rispettivamente delle direttive CE n. 18 e
17, le definiscono «condizioni di esecuzione dell’appalto».
(16) A riguardo si è espressa anche la Commissione Europea,
nella pubblicazione dell’ottobre 2010, cit., p. 35, la quale specifica che «è possibile applicare criteri di aggiudicazione basati su
aspetti sociali a condizione che: siano collegati all’oggetto dell’appalto; non conferiscano una libertà incondizionata di scelta
all’amministrazione aggiudicatrice; siano espressamente menzionati nel bando di gara e negli atti di gara; rispettino i principi
fondamentali del diritto UE». Per una breve riflessione su quanto enunciato dalla Commissione Europea nella pubblicazione appena richiamata, v. Appalti pubblici e politiche attive del lavoro:
le clausole sociali, in www.sanitaeassistenza.com. A riguardo v.
anche P. Cerbo, La scelta del contraente negli appalti pubblici,
cit., secondo il quale «si tratta [...] di criteri che non concorrono
a definire la migliore offerta dal punto di vista economico-qualititavo, con la conseguenza che, anche se in astratto l’amministrazione può introdurre criteri per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa ulteriori rispetto a quelli elencati dalla
legge (art. 83, D.Lgs. n. 163 del 2006), risultano anch’essi di
dubbia legittimità». L’Autore, procedendo in ordine cronologico,
passa in rassegna numerose decisioni della Corte di giustizia e
prese di posizione della Commissione Europea in tema di clausole sociali. Sempre sulla possibilità di inserire le clausole sociali
nei criteri per la scelta del contraente attraverso il criterio dell’of(segue)
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L’AVCP, dopo aver verificato l’espressa previsione
nel bando di gara ovvero nel capitolato d’oneri speciale della clausola sociale, cosı̀ come richiesto dal
338 considerando e dall’art. 26 della direttiva 2004/
18/CE, oltre che dall’art. 38 della direttiva 2004/
17/CE (17), è passata alla valutazione circa la legittimità di una simile imposizione nel caso concreto.
Inoltre, approfittando dell’opportunità, ha fornito
un valido sussidio per l’esatta interpretazione dell’art. 69 codice appalti.
Quel che da subito rileva l’AVCP è il possibile
contrasto tra la previsione della clausola sociale e il
principio di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.
A riguardo il parere è tranchant.
Per l’AVCP, al fine di evitare un palese contrasto
con la normativa fondamentale del nostro ordinamento, nel prevedere la clausola sociale con la quale si obbliga il nuovo affidatario ad assorbire ed utilizzare i dipendenti del precedente affidatario, la
stazione appaltante deve evitare qualsiasi forma di
automatismo nell’applicazione della stessa. Quanto
appena detto si deduce dal passaggio in cui, nel dichiarare legittima la clausola contenuta nel bando
posto alla sua attenzione, l’AVCP afferma che «la
clausola [...] non sembra prevedere, per come formulata, automatismi nell’applicazione dell’istituto,
ma una priorità tanto nell’assorbimento quanto nell’utilizzo in fase esecutiva, escludendo un obbligo
assoluto di totale riassorbimento dei lavoratori del
pregresso appalto, senza che si tengano in considerazione le mutate condizioni del nuovo appalto, il
contesto sociale e di mercato o il contesto imprenditoriale in cui dette maestranze si inseriscono».
Il passaggio motivazionale merita una breve riflessione.
L’AVCP esclude l’illegittimità di una clausola sociale siffatta partendo dal presupposto dell’inesistenza di qualsiasi automatismo nella sua applicazione; la clausola inserita nel bando oggetto di parere,
infatti, si limitava a prevedere (non un mero obbligo bensı̀) un obbligo di priorità nella scelta dei lavoratori da assumere, a condizione che l’appaltatore ne
avesse avuto bisogno.
Ciò ha portato l’Autorità a concludere che «secondo un’interpretazione comunitariamente conforme
[...] la clausola sociale di cui trattasi, con l’utilizzo
della formula ‘‘prioritariamente’’, appare implicitamente contemperare tale obbligo a condizione che
il numero dei lavoratori e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa della ditta aggiudicataria e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste».
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Conclusioni, queste, che trovano un valido sostegno giurisprudenziale nel Consiglio di Stato che,
già nel 2009, con la sentenza n. 3900, era giunto
ad affermare, seppur con parole diverse, quanto ora
sostenuto dall’AVCP. In particolare, nella sentenza
appena richiamata, la Corte aveva affermato che
«la cd. clausola sociale va interpretata nel senso
che l’appaltatore subentrante deve prioritariamente
assumere gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell’appaltatore uscente, a condizione che
il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante».
Da un’attenta lettura delle affermazioni del Consiglio di Stato si scorge molto più di quanto sostenuto dall’AVCP. Difatti, se quest’ultima si è limitata
a verificare la legittimità della clausola sociale posta
alla sua attenzione, il Consiglio di Stato ha dettato
quella che è la guide line nell’interpretazione di tali
clausole. In altre parole, se l’AVCP ha dato parere
positivo circa la legittimità di clausole sociali simili
a quelle poste alla sua attenzione, il Consiglio di
Note:
(segue nota 16)
ferta economicamente più vantaggiosa, la giurisprudenza comunitaria, nella sent. Corte giust. CE 28 marzo 1995, C-324/93, ha
avuto modo di affermare che «la scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa lascia alle amministrazioni aggiudicatrici
la decisione sui criteri di attribuzione dell’appalto che intendono
adottare, purché questa decisione verta unicamente su criteri rivolti a identificare l’offerta economicamente più vantaggiosa».
Non è un caso che, l’art. 83 codice appalti, nell’indicare gli elementi che le stazioni appaltanti possono valutare nella scelta del
concorrente attraverso il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa, non faccia alcun riferimento ad elementi sociali
volti alla tutela di interessi non economici. Tuttavia, questo
orientamento cosı̀ restrittivo, sembra essere superato da altre
prese di posizione della Commissione e della Corte di giustizia:
v. Corte giust. CE 26 settembre 2000, C-225/98, punto 50, secondo la quale la direttiva «non esclude tutte le possibilità, per
le amministrazioni aggiudicatrici, di ricorrere ad un criterio come
la condizione connessa alla lotta contro la disoccupazione ammesso che una siffatta condizione rispetti tutti i principi fondamentali del diritto comunitario»; Corte giust. 17 settembre
2002, C-513/99, secondo la quale la norma sull’offerta economicamente più vantaggiosa non deve essere interpretata «nel senso che ciascuno dei criteri di attribuzione adottati dall’amministrazione aggiudicatrice al fine di individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa debba necessariamente essere di natura meramente economica»
(17) Sull’obbligo di prevedere simili clausole all’interno del bando di gara ovvero nel capitolato d’oneri, è di recente intervenuta
l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sent. n 19/
2013, seppur con riferimento a gare per l’affidamento di concessioni di servizi. La sentenza, nonostante sia di scarso rilievo con
riferimento all’appalto di servizi, mette in luce la ratio sottesa alla previsione di un simile obbligo Secondo la Corte «la norma è
destinata a salvaguardare il principio [...] non eludibile, che il
concorrente sia messo in condizione di conoscere, prima della
presentazione dell’offerta, quali oneri assume con la partecipazione alla gara».
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Stato ha fornito le basi per orientarsi nell’interpretazione di tali clausole a prescindere dalla completezza della loro formulazione.
Quanto appena detto porta a ritenere che, quantunque nel bando (o nel capitolato d’oneri speciale) sia richiamato un generale obbligo di priorità
nell’assunzione di dipendenti, questo debba sempre
essere letto in considerazione del principio di libera
iniziativa economica che, nel caso di specie, si concretizza nel fabbisogno dell’imprenditore subentrante.
Solo se interpretata cosı̀ la disposizione di cui all’art. 69 codice appalti può portare ad un corretto
contemperamento - o, per meglio dire, ad un contemperamento costituzionalmente legittimo - degli
interessi che intende regolare, ossia tra le esigenze
sociali che possono spingere la stazione appaltante
a prevedere clausole sociali da un lato, e la libertà
imprenditoriale degli operatori economici potenziali aggiudicatari dall’altro lato.
nella L. n. 241/1990, sono stati cristallizzati negli
artt. 1 e 3-bis, ossia i principi di economicità, efficacia ed efficienza. Sebbene il principio di economicità, per espressa previsione dell’art. 2, comma 2 codice appalti, sia derogabile qualora la stazione appaltante rappresenti esigenze sociali ritenute rilevanti, non si può non tener conto che l’efficacia e,
soprattutto, l’efficienza, continuano a costituire
principi cardine dell’operare amministrativo, a prescindere dall’applicazione del D.Lgs. n. 163/2006.
Infine, se si tiene conto che l’attività della p.a. è
sempre un agire finalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico, merita di essere posta in risalto anche l’ulteriore considerazione che, quel che l’amministrazione ottiene in risparmi di spesa nel porre in
essere alcune attività, può logicamente essere rinvestito in altre attività. Considerazione non da poco
se sol si tiene conto della congiuntura economica
che caratterizza questo momento storico e delle esigenze, di ordine sociale, che essa comporta.
Conclusioni
Le conclusioni cui perviene l’Autorità di vigilanza
per i contratti pubblici appaiono pienamente condivisibili.
In esse si evidenzia come una clausola sociale che
preveda una priorità nella riassunzione di personale,
possa dirsi legittima nei limiti in cui non imponga
automatismi tali da inficiare la libertà degli imprenditori nell’organizzare la propria attività d’impresa.
Appare logico che, lasciare agli operatori economici
la possibilità di abbassare i costi dei servizi resi mediante una riduzione del personale utilizzato, non
solo garantisce agli stessi la libera iniziativa economica, bensı̀ offre anche l’opportunità, alla p.a., di
aggiudicare gli appalti a prezzi più convenienti rispetto alle aggiudicazioni precedenti. Inoltre, non si
può non tener conto di come i contesti sociali e
tecnologici mutino continuamente e permettano,
in quasi tutti i settori, di raggiungere i medesimi risultati attraverso un utilizzo sempre minore di risorse umane.
La previsione di una clausola sociale che imponga,
senza se e senza ma, la riassunzione del personale
utilizzato dal precedente aggiudicatario, frustrerebbe
il processo evolutivo dei metodi di realizzazione di
opere, servizi e forniture il quale, col passare degli
anni, porterebbe indubbiamente ad una progressiva
riduzione dei costi che fanno capo alle amministrazioni. Non solo: una siffatta previsione presta il
fianco a contrasti con quei principi che dovrebbero
costituire il faro dell’agere amministrativo e che,
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Urbanistica e appalti 1/2014