Religone-Religioni tra storia e antropologia

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Religone-Religioni tra storia e antropologia
RELIGIONE / RELIGIONI
Frammenti di definizione
Tra STORIA (e ANTROPOLOGIA)
“Religione è un concetto astratto e del resto un concetto relativamente
recente ed esclusivamente occidentale, ha cambiato e continua a
cambiare nel tempo.”
Angelo Brelich (dispense 1968/69)
Così scriveva Angelo Brelich nelle note di dispensa destinate ad un corso
universitario di Storia delle Religioni nell’anno accademico caldo del 1968
all’università di Roma La Sapienza.
E ancora:
“Ogni tentativo di definire il termine religione deve tener conto che si
deve anzi tutto prima sapere come vogliamo definire un termine
impiegato in vari sensi, onde poterlo usare a fini scientifici, una volta
rivestito di un significato che non offra pretesto ad equivoci. In campo
storico contrariamente a quanto avviene per la matematica o per la
logica - una definizione aprioristica più o meno precisa è perfettamente
inutile; la condizione di una sua utilità è che a questa definizione
corrisponda effettivamente una realtà storica coerente e precisa.”
in Storia delle Religioni: perché?, Napoli 1979 :p. 141. Opera postuma.
Karl Marx, nell’introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel
afferma che “la critica della religione è il presupposto di ogni critica”. E ancora:
“La religione è il sospiro della creatura oppressa ,il sentimento di un
mondo senza cuore… l’oppio dei popoli. Eliminare la religione in
quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale.”
in Karl Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel.
Introduzione, in Annali franco tedeschi, 1844 (Marx Engels Werke
MEW, I, 378)
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E, nella Questione Ebraica (1844): “La religione per noi non costituisce più
il fondamento, bensì ormai soltanto il fenomeno della limitatezza mondana."
(MEW I, 347)
Walter Benjamin, in Scritti Politici (1921):
“Nel capitalismo può ravvisarsi una religione ,vale a dire, il capitalismo
serve essenzialmente alla soddisfazione delle medesime, sofferenze,
inquietudini, cui un tempo davano risposta le cosiddette religioni.”
Per l’antropologo di scuola boasiana, relativista, Clifford Geertz la “religione”
è componente fondamentale ed autonoma di ogni cultura dove per cultura si intende
“un modello di significati manifestati da simboli trasmessi storicamente, un
sistema di concetti ereditati espressi in forme simboliche per mezzo delle quali gli
uomini comunicano, mantengono e sviluppano conoscenza e attitudini riguardo la
vita.”
La religione in questa prospettiva risulta:
“un sistema di simboli efficaci per stabilire nel gruppo umano attitudini
e motivazioni potenti,persuasivi e duraturi basati sulla formulazioni di
concetti che riguardano il generale ordine di esistenza avvolgendo questi
concetti con una tale aura di possibilità di realizzazione che sentimenti e
motivazioni appaiono assolutamente realistici.” (Clifford Geertz,
“Religion as Cultural System”, in Banton M., Anthropological
Approaches to the Study of Religion, 1979, pp. 1-46).
E ancora, per il filosofo Plutarco, vissuto tra il I-II secolo d.C., grande
interprete della cultura greca e romana all’apogeo dell’epoca imperiale romana, la
“religione”, termine latino di difficile corrispondenza in greco, si concentra nel
concetto di sacro e di divino .
“Potresti trovare comunità che vivono senza la protezione delle mura,
ignorano la scrittura e non riconoscono un’autorità sovrana, non hanno
case né moneta non sanno cosa sia un teatro o un ginnasio ma non
potrai scoprire una comunità ignara del sacro e del dio (anieros kai
atheos). (Plutarco, Adversus Colotem 1125 e, I-II secolo d.C.)
Le definizioni potrebbero continuare. E sono innumerevoli i testi che si
occupano di “religione” quasi sempre al singolare dai punti di vista più svariati e
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dove si da per scontato che il concetto di “religione esista ovunque come
riconoscimento di una situazione “altra” essente, dalla quale l’umanità e il cosmo che
l’umanità comprende, in vario modo dipendono .
La definizione del termine “religione” come parametro di valore assoluto
può essere rischiosa . Tuttavia, ancora più rischiosa l’equazione religione-cultura
secondo la definizione dell’antropologo relativista Clifford Geertz.
Se tutte le culture hanno giustamente riconosciuta parità di diritti, se una cultura
rubrica sotto il segno assoluto della religione una serie di comportamenti
“umanamente”, nel senso dei diritti umani, inaccettabili, i problemi che si pongono
diventano irrisolvibili, anche sul piano della multicultural jurisdiction.
Ad esempio, una “cultura” che esprime il suo sistema culturale, cultural system,
attraverso una “religione” che ponga paradossalmente al centro il sacrificio umano
come l’antico sistema simbolico della grande cultura azteca o, per venire a situazioni
contemporanee, include la violazione di un corpo inerme attraverso mutilazioni
ineludibili; o, più banalmente, una cultura- religione che con varie modalità
sottolinei la subordinazione di un sesso all’altro: nell’ottica del rispetto delle culture
anche questo tipo di sistema simbolico dovrebbe ottenere ampie deroghe rispetto i
“diritti umani” in generale ed i “diritti umani delle donne” in particolare.
E su tutto questo si apre, ovviamente, un capitolo a parte.
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Religio, Religione è, in ogni caso, un termine “equivoco”
Etimologie Storiche
Una riflessione sul valore “etimologico” del termine religione dal latino
religio, è del massimo interesse per verificarne il variare di senso nella storia.
Alla riflessione sul termine Religion è dedicato il XVI congresso della IAHR,
(International Association for the History of Religions) “The notion of Religion
in ‘Comparative Research’” tenuto a Roma nel 1990 (Atti pubblicati a Roma a cura
di U. Bianchi 1994).
Johannes Irmscher (Berlino) propone una ricerca su Der Terminus religio und
seine antike Entsprechungen im philologischen und religionsgeschichtlichen
Vergleich (‘Il termine religio e le rispondenze antiche in comparazione filologica e
storica.’)
Le interpretazioni etimologiche del termine latino religio si collocano tra una
derivazione da relegere “scegliere” o da religare “legare” .
Il latino di Cicerone e il latino di Agostino
L’etimo da relegere si trova in un passo del De Inventione (148 b Cicerone,
opera giovanile dedicata ai problemi della retorica). Il famoso avvocato avversario di
Giulio Cesare qui dà la definizione della “sua” religione, il politeismo. Sul tema
Cicerone ritorna in un testo dedicato in modo esplicito al problema del divino, il De
natura deorum.
“Coloro che diligentemente si pongano a riguardare, riesaminare quanto riguarda
il culto per gli dei sono detti religiosi, da relegere, (‘scegliere’).”
(“Qui autem omnia quae ad cultum deorum pertinerent diligenter retractarent et
tamquam relegerent, sunt dicti religiosi ex relelgendo.”, De Natura Deorum II,
28,72).
Lattanzio conduce religio a religare nel senso di stabilire un legame.
“Per questo vincolo (di pietà) siamo stretti e legati a Dio e da ciò prese il nome la
stessa religione, non come ha interpretato Cicerone da relegere, (‘scegliere’).”
(“Obstricti Deo et religati sumus unde ipsa religio nomen accepit, non ut Cicero
interpretatus est, a relegandoi.”, Divinarum Instittutiones Liber IV,28.2).
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Agostino, oscilla tra le due interpretazioni. In un primo momento segue
Lattanzio proponendo il rapporto religio –religare:
“Siamo tendenti all’unico Dio legando a lui solo le anime nostre, da qui si ritiene
derivi religio.”
(“Ad unum deum tendentes et ei uni religantes animas nostras ,unde religio dicta
creditur.”, De vera religione 555,111).
Tuttavia, nella sua opera forse più significante , il De civitate dei, Agostino opta per
l’etimologia ciceroniana piegandola al valore sottinteso da eligere, ‘eleggere’ in
rapporto a religere, ‘rieleggere’, ‘riscegliere’, per superare la negatività del
negligere, trascurare di pensare con attenzione ad un problema come quello della
scelta:
“Sceglienti questo (dio), anzi sceglienti di nuovo - lo avevamo perduto - perché
negligenti – dunque nuovamente sceglienti questo dio - onde da questo (scegliere
di nuovo è detta religio.”
(“Hunc eligentes vel potius religentes (amiseramus enim neglegentes) hunc ergo
religentes ,unde et religio dicta perhibetur.”)
Un passo da un’altra opera segna, tuttavia, l’opzione finale di Agostino per
l’etimologia lattanziana , da religare (Retractationes I,13,9).
E’ facile notare come la scelta etimologica cristiana proponga un modello di
rapporto con il divino totalmente diverso, il rapporto della creatura che anela alla
congiunzione con il creatore.
Anche il derivato religiosus da religio, non ha il valore di pio, legato a pratiche
devozionali ecc., come ci si potrebbe aspettare. Nel latino non cristiano assume
anzitutto il valore di vietato, “tabuizzato “, un valore facilmente negativo.
È religiosum, vietato, per la moglie del flamen dialis – sacerdote di Juppiter,
massimo dio del pantheon romano - salire una scala per più di tre scalini (Aulo
Gellio, Noctes Atticae, X,29).
Giorni “religiosi” sono giorni nei quali non si possono fare molte cose , giorni
nefasti. Religiosi dies sono “giorni infami per un triste presagio, portatori di
interdizione, nei quali di conseguenza non si possono compiere azioni riguardanti
gli dei o iniziare qualsiasi nuova impresa… la moltitudine degli ignoranti,
definisce questi giorni nefasti” (Così in un autore del II secolo d.C. Aulo Gellio
Noctes Atticae IV, 9, 5). (“Religiosi enim dies dicuntur tristi omine infames
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impeditique ,in quibus et res divinas facere et rem quampiam novam exordiri
temperandum est, quos multitudo imperito rum… nefastos appellant.”)
Religiosus è anche il giorno anniversario della terribile sconfitta che i Romani
subirono ad opera dei Galli nel 390 a.C. sul fiume Allia, il dies alliensis.
Queste e altre informazioni sulle varianti di senso del termine nel quadro
linguistico del latino sono un’ulteriore conferma del valore relativo di religio: la
“religione” è un “prodotto” culturale, storico, destinato a mutare nella storia.
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La “Storia delle religioni” come prodotto “moderno”
Cattedre e Riviste
Lo studio storico del fatto religioso nasce come sottrazione allo studio
teologico ed è essenzialmente un prodotto dello storicismo positivista del XIX
secolo.
Nella prospettiva italiana, un punto di partenza operativo è l’abolizione delle
Facoltà di teologia nelle Università italiane. Un’operazione discussa alla Camera dei
Deputati nel 1872 a conclusione di un dibattito aperto anche prima della
proclamazione del Regno d’Italia nel 1871.
Particolarmente interessante l’intervento dell’on. Abignente che sostiene - 50 anni
prima di Pettazzoni - la necessità di istituire cattedre di Storia Comparata delle
Religioni ma anche di Mitologia Comparata. È centrale il richiamo alla
comparazione , al comparare. La comparazione è, infatti, metodo con un posto
assolutamente centrale nella scienza linguistica del XIX secolo ma diventa modalità
di centrale interesse come criterio guida nell’antropologia, nella fenomenologia e
nella storia delle religioni del XX secolo.
La Storia delle Religioni si presenta in modo surrettizio come proposta in
varie università italiane. Nel 1886 Baldassare Labanca è chiamato dal ministero a
tenere un corso di Storia delle Religioni all’università di Roma. Tuttavia –
stranamente – il corso, su richiesta di Labanca, muta l’anno successivo in Storia del
Cristianesimo. Nel 1912 la cattedra, alla morte di Labanca, è ereditata da Ernesto
Buonaiuti, lo scomodo modernista. Tuttavia, Storia del Cristianesimo occupa la
dicitura della cattedra al posto di Storia delle Religioni.
Tutto da esplorare l’iter della concessione delle libere docenze in Storia delle
Religioni.
Uberto Pestalozza, che sulla scia del Mutterrecht, il “Diritto Materno” di
J.J.Bachofen (1861 ), sosteneva l’esistenza di una cultura pre-storica mediterranea
basata sul riconoscimento di un modello simbolico legato alla Terra, al Femminile, al
Materno identificante la specificità di una cultura mediterranea ruotante intorno i
valori della terra agricola e di una femminilità materna ecc., ottiene una libera
docenza in Storia delle Religioni. Nel 1912 il Consiglio Superiore conferisce a
Pestalozza l’incarico dell’insegnamento di Storia delle Religioni nella Regia
Accademica Scientifico Letteraria di Milano. L’incarico è trasformato nel 1935 in
cattedra 1. E sull’iter di Pestalozza e della sua “religione mediterranea” sarebbe
comunque interessante una riflessione.
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Rimando a P. Carrozzi L’insegnamento della Storia delle religioni nell’insegnamento universitario italiano, SMSR
49,1983, pp.389-415.
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Raffaele Pettazzoni, nel frattempo, tiene corsi liberi di Storia delle Religioni e
dal 1914 ottiene un incarico presso l’università di Bologna.
La prima cattedra di Storia delle Religioni è voluta dalla riforma Gentile per
interesse dello stesso ministro particolarmente interessato, sia pure in modo
ambiguo, alla disciplina. La cattedra è ricoperta da Pettazzoni a partire dal 1923-24
presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Roma.
Nel 1925 Pettazzoni, insieme a Carlo Formichi e Giuseppe Tucci, fonda Studi
e Materiali di Storia delle Religioni (SMSR ), rivista ufficiale della disciplina.
Tuttavia, vale la pena ricordare che alcuni anni prima un’altra rivista di argomento
“religioso” in chiave comparata , la Rivista di Scienze delle Religioni, era stata
voluta da Ernesto Buonaiuti, il sacerdote modernista . Al progetto avevano aderito
Luigi Salvatorelli che insegnava Storia della Chiesa a Napoli e Raffaele Pettazzoni.
Al secondo numero la rivista è condannata con un decreto del Sant’Uffizio, i
sacerdoti collaboratori, Motzo, Turchi Vannutelli , sospesi a divinis. Pettazzoni
scrive in proposito una lettera a Giorgio Levi della Vida manifestando la sua
intenzione di sostenere la necessità di fare ogni sforzo per continuare la
pubblicazione2.
Le iniziative francesi
Nel 1879 viene fondata a Parigi la cattedra di Histoire des Religions al
Collège de France.
Nel 1880 esce il primo numero di una rivista dedicata allo studio delle
religioni, rigorosamente al plurale, in prospettiva rigorosamente storica. Si tratta
della Revue de l’Histoire des Religions, una testata gloriosa e longeva che arriva
senza interruzioni sino ad oggi. Il primo numero esce sotto la direzione di Maurice
Vernes, che firma l’editoriale.
In quell’editoriale, Vernes pone da subito al centro l’importanza della Storia in
esplicita contrapposizione a Scienza.
Scrive Vernes: si può riconoscere .. “Que la philosophie ou la religion cherchent
ensuite à tirer à elles les résultats de notre examen, ce sera leur affaire. Quant à
nous, nous ne prétrendrons ici ni philosohie, ni religion, rien que de l’histoire“.
(“Che la filosofia o la religione cerchino in seguito di trarre risultati utili dal nostro
esame, questo sarà un loro problema. Per quanto ci riguarda noi non considereremo
né il punto vista della filosofia né della religione, ma solo il punto di vista della
storia.”)
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La documentazione degli interventi di Pettazzoni a sostegno di una rivista che doveva “promuovere, raccogliere e
coordinare gli studi che rappresentano il contributo originale del pensiero italiano al progresso della conoscenza storica
e scientifica delle religioni…” è contenuta nel carteggio pettazzoniano pubblicato in SSR 3/2 1979 (numeri sempre di
SMSR con titolatura modificata), pp. 213-28; 226-39, a cura di P.A. Carrozzi.
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E’ un programma sottilmente ma sostanzialmente “rivoluzionario” e, in questa
prospettiva, intellettualmente attualissimo. In questo senso è fondamentale anche
quanto segue: «on remarquera que dans ce qui précède nous n’avons point
prononcé un nom que l’usage donne quelque fois comme synonyme à celui
d’histoire des religions, le nom des science des religions. Cette désignation nous
semble en effet emphatique et malheureuse.”
(“Si noterà che in ciò che precede non abbiamo mai usato un termine qualche volta
inteso come sinonimo di storia, cioè scienza delle religioni. Questa designazione ci
sembra in effetti enfatica e infelice.”)
Si pone così esplicito e certo non banale il non risolto problema del
rapporto di “senso” Storia/Scienza. Fa riflettere il fatto che sempre in Francia, a
Parigi, nel 1886 viene fondata comunque “provocatoriamente” la V sezione
dell’Ecole Pratique sotto la definizione di Sciences religieuses!!
Le repliche tedesche
La replica in Germania alla francese Revue de l’Histoire des Religions è
l’Archiv für Religionswissenschaft (Archivio per la Scienza della Religione) che
esce a Stuttgart nel 1898 (e cessa le pubblicazioni nel 1941/42 nel pieno della
Seconda guerra mondiale). L’articolo di apertura di E. Hardy è “Was ist
Religionswissenchaft?”, Cosa è la Scienza della Religione?, con sottotitolo “Ein
Beitrag zur Methodik der historischen Religionsforschung”, Un contributo alla
metodica della ricerca religiosa storica. Da segnalare che Raffaele Pettazzoni
riprende il tema del primo numero dell’Archiv für Religions Wissenschaft nel primo
numero della History of Religions americana del 1954.
La rivista tedesca riprende modificata nel titolo come Archiv für
Religionsgeschichte (Archivio per la Storia della Religione), riedita a Berlino nel
1999. Con titolo deliberatamente e significativamente modificato con il richiamo alla
Storia, Geschichte.
La proposta italiana
Nel 1925 esce in Italia la rivista fondata dal laico Raffaele Pettazzoni, Studi e
materiali di storia delle religioni, edita da Japadre a cura della cattedra di Storia
delle Religioni dell’Università di Roma la Sapienza, cattedra fondata un anno prima,
1924, e ricoperta dallo stesso Pettazzoni.
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Passata attraverso qualche vicissitudine sulla titolatura (Religioni e Civiltà,
tra il 1970-72), la rivista dal 1999 ad oggi è edita dalla casa editrice cattolica
Morcelliana.
Nel primo numero Pettazzoni rinuncia ad un editoriale. Firma invece un primo,
complesso, lungo articolo, interessante da più di un punto di vista. E’ il commento di
un passo dantesco. Argomento e titolo sono volutamente ricercati: “La ‘grave mora’
(Dante, Purgat. 3,127 ss). Studio su alcune forme e sopravvivenze della sacralità
primitiva.” Si tratta del commento della sepoltura cum quidam honorificentia, ma
fuori dalla regola ecclesiastica che Carlo d’Angiò decise di accordare allo
scomunicato Manfredi sconfitto e ucciso nella battaglia di Benevento (1266).
Importante la scelta dei termini sopravvivenza e sacralità primitiva, definizioni e
interpretazioni che costituiscono problema.
A Pettazzoni interessano in modo particolare le culture dei popoli “primitivi”:
i popoli “senza scrittura” di interesse etnografico dei quali si stava occupando per la
famosa ricerca sugli Esseri Supremi che lo contrappone da diversi anni all’etnologo,
potente gesuita, padre Wilhelm Schmidt, sul tema dell’Urmonotheismus, il
monoteismo primitivo. Per Schmidt gli Esseri Supremi presenti nei miti dei popoli
cosiddetti primitivi , gli aborigeni australiani anzitutto, considerati esempi viventi di
una umanità pre-istorica , al pari dei Pigmei africani, dei fuegini, gli ormai scomparsi
abitanti della Terra del Fuoco, e così via, sono la prova dell’errore
dell’evoluzionismo culturale di E. Tylor. Tylor aveva sostenuto in Primitive Culture
(1871) che l’orientamento “religioso” dei popoli pre-istorici poteva esprimersi solo
attraverso un modello confuso di proiezione simbolica, l’animismo, basato sul
concetto di “anima” come qualche cosa di staccato dal corpo ma esistente.
I Supreme Beings, gli High Gods indicati da Lang come personaggi protagonisti di
miti, racconti complessi nel presente, mettono in crisi “l’animismo” primo gradino
dell’evoluzione dello spirito, seguito da politeismo e, infine, dal monoteismo, che si
poneva come modello culturalmente finale. Gli Esseri Supremi primitivi, scalzando
l’animismo obbligatorio, offrivano a padre Schmidt la piattaforma sulla quale fissare
la sua tesi dell’Urmonotheismus, il monoteismo primordiale come ricordo della
“rivelazione” raccontata nel Genesii, primo libro della Bibbia conservato da popoli
sopravvissuti al grande diluvio di Noè, che li avrebbe risparmiati in zone particolari
del pianeta. Schmidt cercò di documentare la sua soluzione del problema attraverso
una monumentale raccolta di dati etnografici confluiti nei volumi della raccolta su
Der Ursprung der Gottesidee (L’inizio dell’idea di Dio). All’ipotesi di Schmidt,
Pettazzoni rispondeva con la puntigliosa riflessione sulla costruzione “storica” dei
parametri identificanti quella che ad un certo punto storicamente individuabile
sarebbe emersa come la figura unica del dio Uno del monoteismo.
In questa prospettiva è importante anche la recensione che Pettazzoni, nello
stesso primo numero di SMSR, dedica al libro di C. A. Bernoulli sul concetto di
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simbolo naturale nell’opera di J. J. Bachofen (J.J.Bachofen und das Natursymbol:
Ein Würdigung Versuch Basel 1924).
Bachofen proprio in quegli anni era oggetto di attenzione da una parte
significante della cultura “di destra” tedesca (vedi Klages). Bachofen è il celebre
autore del Mutterrecht, Diritto Materno (1861) testo di vastissima risonanza sotto
vari aspetti nella cultura europea.
Pettazzoni non può condividere con Bachofen l’interpretazione della qualità
condizionante del “simbolo” e del mito come “linguaggio simbolico”. Tuttavia, di
Bachofen condivide il concetto della forza trasformante della storia, non in senso
evolutivo ma storico, dunque, “innovativo”.
Bachofen aveva tracciato la sua ipotesi di un pre-storico Dirittto Materno
come primo modello di ordine organizzato per una umanità “selvaggia”, dalle donne,
dalle madri. Modello destinato ad essere superato dal posteriore e superiore Diritto
Paterno nato dalla necessità di fermare gli eccessi del “governo” femminile sfociati
nella violenza dell’amazzonismo, il governo delle donne non più madri ma
autonome guerriere vincenti, se non fermate. Bachofen utilizza per la sua analisi il
mito, il mito greco, considerato secondo l’ottica del tempo, il racconto eccellente
dell’umanità che conta. Utilizza anzi tutto la famosa trilogia del primo autore tragico
greco, Eschilo. La trilogia.
Il superamento della legge del sangue –la linea del sangue materna – è la vittoria dei
padri come vittoria della Legge dello Spirito, la scelta del padre, atto di volontà nel
riconoscimento del figlio al di là della linea biologica che porta in primis la
“certezza” della madre. L’assoluzione di Oreste che ha ucciso la madre per vendicare
il padre diventa punto di non ritorno sulla superiorità del padre che impone la sua
legge di ordine gerarchico, del superiore sull’inferiore, in una declinazione
gerarchica puntigliosamente messa in evidenza da Aristotele3.
La storia trascina comunque il mutamento che è inevitabile.
Le incisive recensioni che Pettazzoni vuole inserire nel primo numero della
sua rivista vogliono segnalare la necessità di un’attenzione critica dei fatti
“religiosi”, un filone “storico-religioso” che riconosca la specificità dell’oggetto, non
la religione ma le religioni, non come dato ma come situazione in trasformazione.
Una rivista internazionale per la History of Religions
Nel 1954 esce a Leiden il primo numero della rivista Numen. International
Review for the History of Religions, a cura dell’International Association for the
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Sul tema rimandiamo a specifico intervento
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History of Religions (I.A.H.R), l’Associazione internazionale per la Storia delle
Religioni, fondata nel 1950.
Rédacteur en chef della nuova rivista è Raffaele Pettazzoni che firma
l’Aperçu Introductif . Pettazzoni sottolinea l’importanza del nodo terminologico tra
scienza e storia. “Was ist Religionswissenschaft?”, ripropone il titolo dell’articolo
di apertura del primo numero dell’Archiv nel 1898. A più di cinquant’anni di
distanza, la possibilità di considerare i due termini sullo stesso piano risulta per
Pettazzoni assai problematica. Tuttavia, la necessità di accettare la coesistenza dei
due termini si pone come “necessaria”. La dimensione “scienza” salvaguarda
l’oggetto soggetto religione come “qualche cosa che c’è” quindi passibile di uno
studio “scientifico” in sé. La dimensione “storia” avverte della possibilità che
l’oggetto soggetto “religione” si modifichi anche strutturalmente nel corso degli
eventi.
A ovest dell’Europa
Nel 1961 esce il primo numero della rivista americana, History of Religions,
edita dall’Università di Chicago. Editor è Mircea Eliade, intellettuale rumeno,
fenomenologo (storico delle religioni) corrispondente tenace di Raffaele Pettazzoni,
molto discusso.
Eliade apre nel primo numero con un bene augurante articolo nel quale
propone la History of Religions come la via per un New Humanism: “History of
Religions and a New Humanism”. Esplicita la previsione di un luminoso destino
per la disciplina, “we believe that the History of Religions is destined to play an
important role in contemporary cultural life.”
La previsione certamente sarebbe stata condivisa da Pettazzoni, sia pure in
ottica anche opposta, sfortunatamente ancora in attesa di globale verifica.
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