GABRIELE D`ANNUNZIO TECNICA COMPOSITIVA OPERE

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GABRIELE D`ANNUNZIO TECNICA COMPOSITIVA OPERE
GABRIELE D’ANNUNZIO
Vita:
Gabriele D’Annunzio nasce nel 1863 a Pescara in una famiglia borghese e agiata, che lo ricoprì di attenzioni, anche per la sua precocità intellettuale.
Compie ottimi studi liceali e ancora collegiale, pubblica la prima raccoltine poetica , Primo vere, che suscita grande interesse.
Dal 1881 si trasferisce a Roma, iscrivendosi alla facoltà di lettere. Ma la vita brillante della capitale distoglie l’ambizioso provinciale dagli studi
regolari: fecondo poeta e prosatore, frequentatore dell’alta società, D’Annunzio non prese mai la laurea.
Nel 1883 sposa la principessa Hardouin di Gallese, da cui avrà tre figli.
Tra il 1884 e il 1888 è cronista mondano: ciò costituisce per lui un utile esercizio stilistico su situazioni eleganti e frivole, poi sviluppate nel primo e
fortunato romanzo, Il piacere.
E’ ormai affermatissimo come scrittore.
Un nuovo legame con la contessa Maria Gravina, gli dà altri due figli, tra cui la prediletta Renata.
Nasce l’amore intenso e tumultuoso con la grande attrice teatrale Eleonora Duse.
Nel 1897 è eletto deputato per l’estrema destra, ma nel marzo 1900, dopo la repressione del governo Pelloux seguita ai tumulti popolari milanesi,
passa clamorosamente a sinistra.
Dal 1898 si stabilisce con la Duse in Toscana. In questo periodo nascono alcune tra le sue opere maggiori, in prosa (il romanzo Il fuoco) e in poesia (il
ciclo delle Laudi).
Chiuso l’amore con la Duse, altre burrascose relazioni si susseguono e si intrecciano senza intervallo.
Ricoperto dai debiti e assediato dai creditori, nel 1910 ripara in Francia.
Nel 1915 rientra in Italia ed è tra i più fervidi interventisti. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, nonostante sia più che cinquantenne, prende servizio
al fronte, mosso dall’ambizione di svolgere in ogni circostanza il ruolo del superuomo.
S’impegna poi in molte azioni di guerra rischiose: l’incursione aerea su Pola, il volo su Vienna, ma soprattutto, occupa Fiume.
Conclusa l’avventura di Fiume si sposta in una villa di Gardone Riviera. Qui resta sino alla morte, nominato nel 1924 dal re, su proposta di Mussolini,
principe di Montenevoso. La villa viene ingrandita e via via trasformata in una casa-museo. E’ il fastoso “Vittoriale degli Italiani”, che D’Annunzio
donerà allo Stato . Muore il 1° marzo 1938, per un emorragia celebrale.
TECNICA COMPOSITIVA
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No impersonalità autore
Il personaggio è un alter-ego (o doppio) dell’autore
La trama è ridotta, ci si concentra su istanti, emozioni
La descrizione è maggiore della narrazione
OPERE
IL PIACERE
II conte Andrea Sperelli Fieschi d'Ugenta, ultimo discendente di una nobile famiglia, attende a palazzo Zuccari dove vive presso Trinità de'Monti
l'affascinante duchessa Elena Muti. Sono trascorsi due anni dall'ultimo incontro, quando Elena aveva improvvisamente deciso di interrompere la loro
intensa e tormentata relazione e di partire da Roma. Andrea ha cercato invano di dimenticarla gettandosi nella vita mondana e passando da
un'avventura erotica all'altra. Ferito in un duello il giovane conte ha trascorso nella villa di una cugina a Schifanoja una lunga convalescenza,
durante la quale gli è sembrato di ritrovare se stesso nella poesia e nell'arte. Qui ha conosciuto Maria Ferres, moglie di un diplomatico
guatemalteco, sensibile e pura, con la quale s'è illuso di poter vivere un amore finalmente sano. Rientrato a Roma, l'esasperata sensualità lo ha
portato però a rituffarsi nella ricerca del piacere e ora che Elena è tornata, anche se sposata con Lord Heatfield, si riaccende la passione per lei.
Durante il loro incontro Elena si dice disposta all'amicizia ma non più all'amore. Andrea esasperato pensa di trovare conforto nell'amore di Maria. Da
questo momento nei pensieri e desideri di Andrea le immagini delle due donne si sovrappongono morbosamente fino a non riuscire più a separarle.
La situazione precipita quando Elena sta per concedersi ad un altro e Maria, coinvolta nella rovina del marito sorpreso a barare al gioco, è costretta
a lasciare Roma. Nell'ultimo incontro con lei Andrea nel trasporto della passione si lascia sfuggire il nome di Elena. Maria fugge sconvolta. Rimasto
solo Andrea si reca in casa Ferres e smarrito si aggira per le stanze dove vengono venduti all'asta i mobili.
Sperelli è il primo alter-ego dello stesso D’Annunzio.
Il romanzo, pervaso di raffinato estetismo, costituisce la perfetta applicazione artistica del principio dannunziano secondo il quale occorre fare della
vita un’opera d’arte, sostituendo al senso morale il senso estetico delle cose. Nell’opera si denota il vuoto di valori e la crisi della società
aristocratica ottocentesca che va verso il proprio disfacimento. Andrea, attraverso le proprie complicate vicende d’amore e di erotismo, percorre un
tormentato percorso volto alla ricerca del piacere, assistendo al decadere del proprio mondo e dell’ideale di bellezza che la realtà contemporanea
va negando.
D’annunzio usa un linguaggio pomposo, con delle frasi strutturate in modo complesso; usa spesso termini ricercati, molte volte ricorre a parole
straniere. La lettura risulta pertanto pesante, non facile. Ciò è dovuto in pratica al fatto che D’Annunzio intende esprimere il suo gusto estetico e
anche dare sfoggio della sua cultura e della sua preparazione. Questa ricerca della raffinatezza stilistica lo porta ad esprimersi con uno stile aulico. In
tutto il romanzo si nota questa diffusa tendenza estetica, che d’altronde corrisponde perfettamente al pensiero stilistico dannunziano, dove
l’importante è rappresentato dalla bellezza.
La pioggia nel Pineto
Analisi:
E’ rivolta alla donna amata, Ermione. La scena si svolge in un bosco, nei pressi del litorale toscano, sotto la pioggia estiva.
Il poeta passeggia con la sua donna, Ermione e la invita a stare in silenzio per sentire la musica delle gocce che cadono sul fogliame degli alberi.
Inebriati dalla pioggia e dalla melodia della natura, il poeta e la sua donna si abbandonano al piacere delle sensazioni con un’adesione così totale
che a poco a poco subiscono una metamorfosi fiabesca e si trasformano in creature vegetali.
La poesia è ricca di enjambement e similitudini.
Le rime sono libere e sono presenti molte onomatopee.
Parafrasi
Taci (il poeta si rivolge a Ermione). Sulle soglie del bosco non sento parole umane; ma sento parole più nuove, suoni prodotti dalle prime gocce di
pioggia sulle foglie. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove sugli arbusti in riva al mare, piove sui pini con la corteccia ruvida, piove sui mirti divini
(nell’antichità era sacro a Venere), sulle ginestre spendenti grazie ai fiori ora rinchiusi per la pioggia, sui ginepri folti di bacche profumate, piove sui
nostri volti che sembrano diventare elementi della selva, piove sulle nostre mani, sui nostri abiti leggeri, sui freschi pensieri che l’anima nuova
schiude, sulle illusioni della vita e dell’amore che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione.
Senti? La pioggia cade sul fogliame con un crepitio che dura e varia nell’aria a seconda delle chiome degli alberi. Ascolta. Risponde alla pioggia il
canto delle cicale che il pianto dell’austro (vento del sud) non impaurisce neanche il cielo grigio. E il pino ha un suono, e il mirto un altro suono, e il
ginepro un altro ancora, gli alberi sembrano degli strumenti musicali suonati dalla pioggia. E noi siamo immersi nello spirito della selva (il poeta e la
sua compagna si sentono penetrati dalla vita vegetali: è incominciata la loro metamorfosi), come gli alberi; e il tuo volto inebriato di felicità è tutto
bagnato come una foglia, e i tuoi capelli profumano come le chiare ginestra, o creatura terrestre che hai nome Ermione.
Ascolta, ascolta. Il canto delle cicale a poco a poco viene sovrastato dalla pioggia che cade più fitta; ma un canto vi si mescola più roco che sale,
nell’umida ombra lontana. Più sordo più fioco diventa più debole e poi sparisce. Non si sente il suono del mare. Si sente il crosciare della pioggia
sugli alberi che purifica il croscio che varia secondo la grandezza della chioma dell’albero. Ascolta. La cicala è muta; ma la figlia del fango, la rana
canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove sulle tue ciglia Ermione.
Piove sulle tue ciglia nere, tanto che sembra che stai piangendo ma di piacere; sembra che tu esca dalla corteccia. E tutta la vita è in fresca aulente,
il cuore è come una pesca non ancora colta, tra le palpebre gli occhi sono come delle sorgenti, i denti nelle gengive sono come mandorle acerbe. E
andiamo da una macchia all’altra tra gli arbusti o abbracciati o disciolti (e gli sterpi aggrovigliati ci impediscono il movimento alle caviglie) chi sa
dove, chi sa dove! E piove sui nostri volti che sembrano diventare elementi della selva, piove sulle nostre mani, sui nostri abiti leggeri, sui freschi
pensieri che l’anima nuova schiude, sulla illusioni della vita e dell’amore che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione.
La sera fiesolana
Analisi:
D'Annunzio, come in molte altre sue liriche, sviluppa qui un tema di pura fantasia: il momento sognante del crepuscolo. Questo gli
suggerisce un fiorire di immagini intese ad avvolgere la sua donna in un vortice musicale di suoni e di parole. La lirica, che ha per
sfondo Fiesole e le sue colline, divisa in tre strofe, ciascuna delle quali nella prima edizione ne portava un sottotitolo: La natività
della luna, La pioggia di giugno, Le colline. Possiamo dire, infatti, che sono tre liriche in una, e che quei sottotitoli potevano
diventare senz'altro altri titoli. Nella dolce sera di giugno il poeta, abbandonandosi al piacere delle sue stesse parole e all'incanto
dell'ora e del luogo, commenta sommesso e pacato la pace diffusa nella campagna dalla luna ormai prossima a sorgere, il bruire della
pioggia primaverile che fu già nel giorno, e la suggestione delle colline su cui sembra aleggiare una parola misteriosa, segreta, non
detta nel meraviglioso silenzio di tutte le cose.
Parafrasi:
Il suono delle mie parole nella sera ti risulti fresco come il fuscio che producono le foglie del gelso in mano chi in silenzio le raccoglie e ancora
indugia lentamente in quella attività sull’alta scala che si fa nera, contro il tronco del gelso che diventa di un colore argenteo con i suoi rami privi di
foglie, mentre la luna sta quasi per emergere dalle soglie del cielo e sembra stendere un velo davanti a sé, dove giace il nostro sogno d’amore e
sembra che la campagna si senta già tutta inondata da lei nel gelo notturno e da lei assorba il desiderato refrigerio, prima ancora di vederla.
Sii lodata per il tuo viso color della perla, o sera, e per le pozze, simili a grandi occhi umidi, in cui si distende in silenzio l’acqua del cielo!
Il suono delle mie parole nella sera ti risulti dolce, come quello della pioggia che frusciava tiepida e veloce, congedo triste della primavera, sui gelsi,
sugli olmi e sulle viti e sui pini dalle pigne novelle di colore rosato che sembrano dita che giocano con il vento che si perde lontano e sul grano che
non è ancora maturo, ma non è più verde e sul fieno che è già stato tagliato e sta cambiando colore, sta ingiallendo, e sugli olivi, sui fratelli olivi, che
rendono i fianchi delle colline pallidi, richiamando l’idea della santità, e lieti.
Sii lodata per le tue vesti profumate, o sera, e per la linea dell’orizzonte che ti circonda come il ramo di salice circonda il fieno profumato.
Io ti dirò verso quali regni d’amore ci chiami il fiume, le cui sorgenti eterne all’ombra dei rami antichi parlano nel mistero sacro dei monti; e ti dirò a
causa di quale segreto le colline si incurvino sugli orizzonti limpidi, come labbra chiuse per un divieto, e ti dirò per quale motivo la volontà di parlare
le rende belle al di là di ogni desiderio umano e nel silenzio loro sempre nuove fonti di consolazione, in modo tale che sembra che ogni sera l’anima
le possa amare di un amore più forte.
Sii lodata per la tua naturale fine, o sera, e per l’attesa della notte che fa luccicare in te le prime stelle.
Punti chiave:
-Il poeta si mette in ascolto del dolce paesaggio collinare, illuminato dalla tenue luce della sera;
-In esso scorge una soffusa malinconia;
-In questa atmosfera rarefatta percepisce la segreta melodia di odori e suoni della natura al tramonto.
Il motivo dominante della lirica è la reciproca compenetrazione fra il paesaggio naturale nell'ora della sera e gli stati d'animo del poeta. Fra le due
dimensioni si stabiliscono segrete corrispondenze.
Le Vergini delle rocce
(non del tutto chiaro)
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Non c’è più solo il disprezzo per la normalità, la quitidianità e la volgarità della massa (Il Piacere) ma anche l’etica della FORZA
Necessità per gli individui superiori di sottomettere le plebi.
Mission: Riscatto dalla miseria presente e recupero della grandezza trascorsa.
La forza è la prima legge della natura.
La disciplina è la virtù dell’uomo libero.
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NOTTURNO
Antefatti:
Durante una missione su Trieste, avvenuta il 16 gennaio 1916 D’Annunzio è ferito all’occhio destro, che rimarrà inutilizzabile.
Per mantenere quello sinistro, anch’esso lesionato, il poeta è obbligato a letto per due mesi, al buio, completamente
immobile: si farà tagliare delle lunghe striscioline di carta, su dei cartigli, che in seguito verranno messi in ordine dalla figlia
Renata in modo da poter scrivere senza bisogno della vista. Ecco che nasce il notturno, un lungo racconto della malattia
attraverso la memoria della vita precedentemente vissuta, un’opera riflessiva e meditativa, in cui la tensione superomistica
del D’Annunzio precedente viene superata. La solitudine, l’impossibilità di esprimersi e muoversi liberamente, il dolore fisico
e mentale, il buio sono il contesto in cui l’opera si sviluppa nella mente dell’autore.
Struttura:
Suddiviso in 3 parti (Offerte) in riferimento alle offerte votive per propiziarsi una pronta guarigione
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Temi:
La memoria
I ricordi della madre morta
I compagni d’armi caduti in guerra
Lo scavo introspettivo
L’autoanalisi
Stile:
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Caratterizzato da periodi brevi accostati l’uno all’altro
Frammenti che rendono l’opera impressionistica, essenziale e ricca di suggestioni appena suggerite, di sensazioni autistiche che
sembrano tradurre immagini visionarie concepite da una mente alterata dalla malattia
TERMINOLOGIA
Panismo: Deriva dal nome del dio greco Pan (Dal greco pàn: tutto) ed è una percezione molto profonda del mondo esterno
che crea una fusione tra l’elemento naturale e quello umano