A. Niccacci--Proverbi 23,26–24,22

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A. Niccacci--Proverbi 23,26–24,22
PROVERBI 23,26–24,22
A. Niccacci
Con questo saggio concludo l’esame della collezione III del libro di Proverbi. La collezione III appartiene al genere della istruzione sapienziale
come la collezione I (capp. 1-9) e 31,1-9, mentre all’altro genere principale di Proverbi, il detto sapienziale, appartengono le collezioni II (10,1–
22,16), IV (24,23-34), V (capp. 25-29) e il cap. 30 e 31,10-31. Detti
sapienziali sono presenti anche nelle sezioni appartenenti al genere istruzione come, viceversa, esortazioni (positive) o ammonizioni (negative)
compaiono nelle sezioni appartenenti al genere detto.
Il genere istruzione comprende un’esortazione o un’ammonizione accompagnata da una motivazione che la giustifica. Normalmente l’istruzione viene preceduta da un’introduzione con invito ad ascoltare, spesso
comprendente l’appello “figlio mio”; e l’invito è motivato dai vantaggi che
ne derivano. L’altro genere, il detto, si distingue per l’uso di forme verbali
indicative, non volitive. Comparendo normalmente in serie, il detto descrive casi della vita, tipi, atteggiamenti e loro conseguenze senza trarne
esortazioni o ammonizioni se non in casi particolari.
La collezione III è suddivisa in tre sezioni dalle introduzioni, che sono:
22,17; 23,12; 23,26. Dopo aver esaminato le prime due sezioni1, è ora la
volta della terza (23,26–24,22). Seguirò più o meno il percorso adottato per
le altre due: analisi filologica (§ 1), analisi della composizione (§ 2),
esegesi (§ 3). Nella conclusione presenterò brevi considerazioni sulla composizione della collezione III nel suo insieme.
1. A. Niccacci, “Proverbi 22,17-23,11”, LA 29 (1979) 42-72; “Proverbi 23,12-25”, LA 47
(1997) 33-56. I commentari di Proverbi saranno citati con il solo nome dell’autore (o autori) e anno quando necessario: A. Barucq, Le livre des Proverbes, Paris 1964; F. Delitzsch,
Das salomonische Spruchbuch, Leipzig 1873; B. Gemser, Sprüche Salomos, 2 ed., Tübingen
1963; V. Hamp, Das Buch der Sprüche, Würzburg 1949; A. Lelièvre - A. Maillot,
Commentaire des Proverbes, II: Chapitres 19-31, Paris 1996; W. McKane, Proverbs. A New
Approach, London 1970; W.O.E. Oesterley, The Book of Proverbs with Introduction and
Notes, London 1929; O. Plöger, Sprüche Salomos (Proverbia), Neukirchen - Vluyn 1984;
H. Ringgren, Sprüche, Göttingen 1962; R.B.Y. Scott, Proverbs, Ecclesiastes. Introduction,
Translation and Notes, Garden City, NY 1965; C.H. Toy, A Critical and Exegetical
Commentary on the Book of Proverbs, Edinburgh 1899; R.N. Whybray, The Book of
Proverbs, Cambridge 1972; Proverbs, Grand Rapids 1994; D.G. Wildeboer, Die Sprüche,
Freiburg i.B. - Leipzig - Tübingen 1897.
LA 48 (1998) 49-104
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A. NICCACCI
1. Analisi filologica
1.1. Proverbi 23,26-28
26a
26b
27c
27d
28e
28f
yIl ÔKV;bIl yˆnVb_hÎnV;t
hÎn√xOrI;t yAk∂r√;d ÔKy‰nyEo◊w
hÎnwøz h∂;qUmSo hDj…wv_yI;k
hÎ¥yîrVkÎn h∂rDx rEaVb…w
bOrTaR;t PRtRjV;k ayIh_PAa
PIswø;t M∂dDaV;b Myîd◊gwøb…w
Poni, figlio mio, il tuo cuore verso di me
e i tuoi occhi le mie vie gradiscano,
poiché una fossa profonda è la prostituta
e un pozzo stretto la straniera.
Anzi lei come un predone starà in agguato
e come una banda di iniqui, contro l’uomo
continuamente.
Nello stico 26b il qere ha hÎn√rO…xI;t “custodiscano”2, mentre il ketiv hÎnRx√rI;t
“gradiscano”; ma quest’ultimo dà buon senso. Il verbo hxr si costruisce
senza il bet dell’oggetto anche in 16,7, dove compare anche in connessione con JK®r®;d:
vyIa_yEk√rå;d hÎwh◊y twøx√rI;b Quando Dio gradisce le vie di uno,
wø;tIa MIlVvÅy wyDb◊ywøa_MÅ…g anche i suoi nemici fa stare in pace con lui.
Altro testo molto vicino è Sir 7,17d3:
wkrd hxrw la la lg Rimettiti a Dio e gradisci la sua via.
Il yI;k del v. 27c va tradotto “poiché”; introduce infatti la motivazione dell’ammonizione che è implicita nel v. 26 (§ 2.2.1). I termini paralleli sono:
h∂;qUmSo44hDj…wv // h∂rDx rEaV;b4, e hÎnwøz // hÎ¥yîrVkÎn. Il termine hDj…wv è collegato a tAjAv
2. Così la maggior parte delle versioni antiche, eccetto quella di Simmaco (qelhsa¿twsan “gra-
discano”); cf. BHS; F. Field, Origenis Hexaplorum quae supersun…, II, Oxford 1875, 358.
3. Cito il Siracide secondo P.C. Beentjes, The Book of Ben Sira in Hebrew. A Text Edition of
All Extant Hebrew Manuscripts and a Synopsis of All the Parallel Hebrew Ben Sira Texts,
Leiden - New York - Köln 1997, 136; cf. F. Vattioni, Ecclesiastico. Testo ebraico con apparato critico e versioni greca, latina e siriaca, Napoli 1968, 37. Lo stico citato, come anche il
precedente (17,7c), si trovano nel ms. A, ma non nel ms. C né nel greco e nel siriaco, per cui
vengono ritenuti secondari da alcuni studiosi; cf. N. Peters, Der jüngst wiederaufgefundene
hebräische Text des Buches Ecclesiasticus…, Freiburg i.B. 1902, 31-32; P.W. Skehan - A.A.
Di Lella, The Wisdom of Ben Sira. A New Translation with Notes, New York 1987, 198.
4. W. G. E. Watson, Classical Hebrew Poetry. A Guide to its Techniques, 2 ed., Sheffield 1986
nota un gioco di parole tra rEaV;b “pozzo” e la radice bra “stare in agguato” (pp. 240; 246).
PROVERBI 23,26–24,22
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“fossa” (26,27) e hDjyIv (Ger 18,22 ketiv; Sal 57,7; 119,85): derivano tutti
dalla radice jwv / jjv “essere profondo, sprofondare”5. La coppia normale
per designare la prostituta in Proverbi è h∂rÎz // hÎ¥yîrVkÎn (5,20; 7,5; cf. 6,20;
5,3)6. Per quanto riguarda la prostituta, i passi paralleli sono i seguenti:
2,18
;hDtyE;b t‰wDm_lRa hDjDv yI;k
DhyRtøl◊…gVoAm MyIaDp√r_lRa◊w
5,5
t‰wDm twød√rOy DhyRl◊går
…wkOmVtˆy Dhy®dDoVx lwøaVv
7,26 hDlyIÚpIh MyIlDlSj MyI;bår_yI;k
Dhy‰gürSh_lD;k MyImUxSoÅw
;hDtyE;b lwøaVv yEk√rå;d
7,27
t‰wDm_yér√dAj_lRa twød√rOy
22,14
twørÎz yIÚp h∂;qUmSo hDj…wv
MDv_lwøÚpˆy hÎwh◊y M…wo◊z
Poiché è sprofondata fino alla morte la sua casa
e ai defunti i suoi sentieri7.
I suoi piedi scenderanno alla morte,
allo sheol i suoi passi saranno diretti8.
Poiché molte sono le vittime che lei ha abbattuto
e numerosi tutti i suoi uccisi.
Vie verso lo sheol sono (quelle del)la sua casa,
scendono alle stanze della morte9.
Fossa profonda è la bocca delle forestiere,
chi è sotto l’ira del Signore vi cadrà.
5. Cf. M. Dahood, Psalms II: 51-100, Garden City, NY 1968, 53 (sotto Sal 57,7). In
ugaritico å˙t indica la fossa per cui i morti scendono all’oltretomba: cf. C.H. Gordon,
Ugaritic Textbook. Grammar, Texts in Transliteration, Cuneiform Selections, Glossary,
Indices, Roma 1965, s.v. å˙t (Suppl., 555); N.J. Tromp, Primitive Conceptions of Death and
the Nether World in the Old Testament, Rome 1969, 69-71. Si veda anche L. Wächter, “tAjAv
åä˙at etc.”, in: TWAT 7 (1993) 1245-1248.
6. Forse per questo motivo BHK e BHS propongono di leggere nello stico 27c h∂rÎz invece di
hÎnwøz, seguendo la LXX. Ora però la versione greca ha aÓllo/trioß oi•koß “casa straniera”, che non
si riferisce, almeno esplicitamente, alla donna. In Sir 9,3 si trova la coppia h∂rÎz hDÚvIa // hÎnwøz.
7. L’espressione “è sprofondata fino alla morte” equivale a: conduce alla morte. Con un
linguaggio mitologico di grande effetto, la casa della prostituta viene presentata come collegata fisicamente al regno dei morti mediante una strada in discesa, per cui chi va da lei in
realtà va allo sheol (§ 3.1). Mi pare perciò che il testo sia comprensibile così com’è, nonostante le difficoltà sollevate dai commentatori. Sulla questione si veda J.A. Emerton, “A
Note on Proverbs II. 18”, JThS 30 (1979) 153-158, il quale propone di leggere il sostantivo
hDjUv “fossa”, invece del verbo del TM, e traduce: “For her house is a pit (leading) to death,
And her paths are (i.e. lead) to the Rephaim”.
8. Letteralmente: “lo sheol i suoi passi terranno”. Il verbo Kmt, costruito però con la preposi-
zione bet, è detto dei passi anche in Sal 17,5. Dal punto di vista letterario e dell’interpretazione
dell’intero brano si veda V. Cottini, “Sulla composizione di Proverbi 5”, LA 37 (1987) 21-52.
9. Questa fraseologia è illustrata da Tromp, Primitive Conceptions, 156-157. Egli però tra-
duce: “The ways to Sheol lead to her… house”, il che non corrisponde alla concezione di
2,18 appena citato.
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Considerando questi passi nel loro complesso si comprende che anche là
dove non si nomina la morte o lo sheol, come in 22,14, la “fossa” allude al
canale attraverso cui i defunti arrivano al regno dei morti10.
Lo stico 28f è ambiguo. Per lo più viene tradotto: “e aumenta gli infedeli tra gli uomini” (Delitzsch, Hamp, Barucq); oppure: “e aumenta gli ingannati, o gli inganni…”, leggendo MyîdÎgVb…w “e inganni”, o Myîd…wgVb…w “e gli
ingannati” (cf. Toy, Gemser, Ringgren, BHK, BHS); in modo ancora diverso Dahood: “e aumenta le vesti (MyîdÎgVb…w) [prese] dagli uomini”, in base a
una iscrizione greca di Maresa11. Ma se si considera bene il parallelismo si
può trovare, credo, una soluzione migliore. Nella coppia PRtRjV;k // Myîd◊gwøb…w la
preposizione del primo termine modifica anche il secondo: “come un predone // e come una banda di iniqui” (singolare // plurale; vedi infra), ambedue riferiti alla donna. L’altra coppia bOrTaR;t // PIswø;t può essere tradotta:
“sta in agguato // continuamente”, infatti PIswø;t, che di per sé continua l’idea
del verbo principale (letteralmente “aggiungerà” a stare in agguato), è
traducibile con un avverbio. Per questo uso si confronti Gb 38,11a:
rAmOaÎw E dissi (al mare):
PyIsOt aøl◊w awøbDt hOÚp_dAo Fin qui giungerai e non oltre!
Il termine PRtRj, come sostantivo, compare soltanto in Sir 32,21 e 50,4;
come verbo è attestato in Gb 9,12 e Sir 15,14 (participio). D’altra parte la
radice ha una variante con tet, Pfj, che, oltretutto, compare in Sal 10,9
collegata con bra come nel nostro passo. Il senso di “prendere con la forza, predare” è perciò assicurato12. Vocalizzato PRtRj, il termine viene inteso
come astratto, “preda”13, ma qui mi pare necessario un sostantivo concreto.
10. Per questa associazione della prostituta con la mitologia cananea del regno dei morti, si
veda il commentario di McKane (pp. 391-392) e infra § 3.1.
11. M. Dahood, “ ‘To pawn one’s cloak’ ”, Bib 42 (1961) 359-366, spec. 363.
12. Sulla radice Ptj si veda P. Xella, “ÓTP ‘uccidere, annientare’ in Giobbe 9,12”, Hen 1
(1979) 337-341, il quale fa riferimento al sacrificio-˙tp in ugaritico e all’accadico ∆atäpu, e
inoltre la seconda delle “Note” di G. Rinaldi in BeO 22 (1980) 62.
13. Forse per questo motivo molti manoscritti hanno
PRtRjV;b (cf. BHS), con la preposizione
bet invece di kaf, retta dal verbo bra: “e per la preda sta in agguato”. Al contrario, G.R.
Driver, “Problems in the Hebrew Text of Proverbs”, Bib 32 (1951) 173-197, spec. 196, analizza anche Myîd◊gwøb come nome astratto del tipo qö†elîm. McKane lo segue: “And deceives
men again and again”.
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Perciò o si prende il sostantivo astratto nel senso di concreto, o si vocalizza
PEtOj (participio).
E’ utile considerare i tre passi di Siracide nominati sopra:
32,21
50,4
popolo
Non confidare in una via senza predone14
ma al tuo futuro fa’ attenzione.
Non confidare nella via dei malvagi
e nei tuoi sentieri sii cauto.
(Simone di Onia) che si preoccupò del suo
contro i briganti,
rxm wryo qzjmw e rafforzò15 la sua città contro il nemico.
arb tyCarbm Myhla Dio fin dall’inizio creò l’uomo
wptwj dyb whytCyw e lo pose in mano al suo predatore
wrxy dyb whntyw e lo dette in mano al suo istinto16.
Ptjm Krdb jfbt la
rmCh Ktyrjabw
Myovr Krdb jfbt la
rhzh Kytjrabw
Ptjm wmol gawdh
15,14Mda
14. Testo del ms. B (Beentjes, The Book of Ben Sira, 59; 150). L’analisi di Ptjm è dubbia.
Da un lato la variante Myovr, nello stesso ms. B, invita a leggere un participio piel di Ptj
(con il senso di “predatore”); dall’altro il greco mh\ pisteu/shØß e˙n oJdw◊ˆ aÓprosko/pwˆ “non
confidare in una via senza ostacoli” suggerisce di analizzare Ptjm come composto di min
privativo e del sostantivo Ptj, e quindi: “non confidare in una via senza predone / ruberie”.
Dato che il piel di Ptj non è attestato (cf. Peters, Der jüngst wiederaufgefundene hebräische
Text, 132), neppure nell’ebraico mishnico (cf. M. Jastrow, A Dictionary of the Targumim,
the Talmud Babli and Yerushalmi, and the Midrashic Literature, I-II, New York 1903, s.vv.
Ptj / Pfj), adotto la seconda soluzione, che è quella normalmente seguita. M.Z. Segal, Sefer
Ben Sira haShalem, 3 ed., Jerusalem repr. 1972, intende: “Quando andrai per la strada, non
andare sicuro e senza preoccupazione come se non ci fosse sulla strada alcun predone” (p.
209). Alternativamente, si può intendere la preposizione min in senso causale: “Non confidare nella via a motivo del predone”. La soluzione proposta da T. Penar, Northwest Semitic
Philology and the Hebrew Fragments of Ben Sira, Rome 1975, di staccare il mem e analizzarlo come enclitico, legato alla parola precedente (Ptj M_Krdb), per quanto comoda, è dubbia in quanto il fenomeno del mem enclitico non sembra attestato altrove in Siracide (i casi
raccolti da Penar a p. 102, s.v. “mêm encliticum”, non convincono). Egli inoltre, sulla scia
di M. Dahood, intende Krd nel senso di “future, destiny” (“Do not rely on the future of
robbers”, p. 54), il che sembra forzare il senso delle parole.
15. I due participi gawdh e qzjmw hanno valore temporale di passato a motivo del contesto
(cf. qatal in 50,1-3).
16. Testo del ms. A. Qui
Ptwj è una designazione della cattiva inclinazione (rxy) presente
nell’uomo, ma il passo è ritenuto secondario: cf. G.L. Prato, Il problema della teodicea in
Ben Sira. Composizione dei contrari e richiamo alle origini, Rome 1975, 221; 237-242.
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Le coppie parallele che compaiono in 32,21 e 50,4, Ptj // MyoCr e Ptj /
/ rx, confermano quella proposta sopra per il testo di Proverbi: PRtRj //
Myîd◊gwøb; si veda anche Prv 2,22, dove compare la coppia MyIoDv√r // Myîd◊gwøb. Nel
nostro testo ambedue i membri della coppia sono riferiti alla prostituta: è
lei che inganna gli uomini, non – come si intende normalmente – gli uomini che, con il loro comportamento, aumentano gli atti di infedeltà compiuti
sulla terra. La coppia MyIoDv√r // Myîd◊gwøb presenta un “parallelismo grammaticale”: singolare // plurale; e Myîd◊gwøb può essere interpretato come plurale di
intensità: “come una banda di iniqui”. E’ un fenomeno noto alle grammatiche classiche e sfruttato anche dai filologi moderni17.
Il tema della prostituta ritorna più di una volta nei discorsi della collezione I (2,16-19; 5,3-6; 6,24-34; 7,5-27); è accennato anche nella collezione II (22,14) e nella V (27,13)18.
1.2. Proverbi 23,29-35
29a
29b
29c
30d
30e
31f
31g
31h
32i
32l
33m
33n
34o
34p
ywøbSa yImVl ywøa yImVl
AjyIc yImVl MyˆnwødVm yImVl
MÎ…nIj MyIoDxVÚp yImVl
MˆyÎnyEo t…wlIlVkAj yImVl
NˆyÎ¥yAh_lAo MyîrSjAaVmAl
JKDsVmIm rOqVjAl MyIaD;bAl
M∂;dAaVtˆy yI;k NˆyÅy a®rE;t_lAa
wønyEo syI;kA;b NE;tˆy_yI;k
MyîrDvyEmV;b JKE;lAhVtˆy
JKDÚvˆy vDjÎnV;k wøtyîrSjAa
vîrVpÅy yˆnOoVpIxVk…w
twørÎz …wa√rˆy ÔKy‰nyEo
twøkUÚpVhA;t rE;båd◊y ÔKV;bIl◊w
MÎy_bRlV;b bEkOvV;k DtyˆyDh◊w
lE;bIj vaørV;b bEkOvVk…w
Per chi l’ohi? Per chi l’ohimè?
Per chi le liti? Per chi la discussione?
Per chi le ferite per niente?
Per chi il rossore degli occhi?
Per quelli che si attardano sul vino,
per quelli che vanno a scrutare il boccale.
Non guardare il vino quando rosseggerà,
quando spargerà nella coppa il suo scintillio,
(quando) scorrerà morbidamente.
Alla fine come un serpente esso morderà
e come un basilisco pungerà.
I tuoi occhi vedranno cose strane
e il tuo cuore pronuncerà parole perverse.
E sarai come uno che giace nel cuore del mare
e come uno che giace in cima a un’isola (?).
17. Cf. ad esempio Gesenius - Kautzsch § 124g-k, e M. Dahood, Psalms I-III, Garden City,
NY 1966-1970, sotto la voce “plural of majesty” negli indici analitici alla fine dei singoli
volumi.
18. In 27,13 compare il termine hÎ¥yîrVkÎn “una straniera”, ma la variante della medesima esortazione in 20,16 ha il plurale maschile.
PROVERBI 23,26–24,22
35q
35r
35s
yItyIlDj_lAb yˆn…w;kIh
yI;tVo∂dÎy_lA;b yˆn…wmDlSh
…w…nRvVqAbSa PyIswøa XyIqDa yAtDm
dwøo
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Mi hanno percosso? Non ne ho sofferto!
Mi hanno bastonato? Non me ne sono accorto!
Quando mi sveglierò? Tornerò a cercarlo
di nuovo.
Il v. 29 è stampato come quadricolon in BHK e BHS, ma diventa un
tricolon se si assegnano due yImVl ad ogni stico, come ho fatto sopra19; sono
infatti sei domande. Si evidenzia così un crescendo retorico, visibile anche
nel progressivo allungarsi degli stichi.
L’esclamazione ywøbSa (29a) è un hapaxlegomenon, forse collegato a yIbDa
di Gb 34,3620. I Masoreti leggono MyˆnÎy√dIm invece di MyˆnwødVm (29b), ma il
sostantivo presenta varie grafie di plurale e quella attestata qui è la più frequente21. Un altro hapaxlegomenon è t…wlIlVkAj (29c), ma della medesima
radice è attestato l’aggettivo in Gn 49,12:
NˆyÎ¥yIm MˆyÅnyEo yIlyIlVkAj (Giuda) rosso22 di occhi per il vino,
bDlDjEm MˆyÅ…nIv_NRbVl…w e bianco di denti per il latte.
19. Così anche Plöger. Recentemente poi il nostro brano è stato fatto oggetto di un’analisi
dettagliata da parte di Watson, Classical Hebrew Poetry, 20-30, e presentato come modello
del minuzioso metodo di analisi proposto dall’autore.
20. Cf. The Dictionary of Classical Hebrew, ed. D.J.A. Clines, vol. I, Sheffield 1993, s.v.
yIbDa, p. 102.
21. La grafia di NwødDm “lite”, termine frequente in Proverbi (7x su un totale di 11), è costante
al singolare, mentre varia al plurale. In base allo scritto (ketiv) sono attestate le seguenti
forme, talvolta lette diversamente dai Masoreti (qere): Myˆn∂dVm sia ketiv che qere (6,19; 10,12,
testi segnalati nella masora parva con l’indicazione “due volte”); Myˆn∂dVm ketiv, MyˆnÎy√dIm qere
(6,14); MyˆnÎy√dIm ketiv e qere (18,18; 19,13; 21,9: in quest’ultimo caso si trova l’annotazione
masoretica: “scritto così”); MyˆnwødVm ketiv, MyˆnÎy√dIm qere (18,19; 21,19; 23,29; 25,24; 26,21;
27,15, ogni caso con l’annotazione masoretica: “uno dei sei casi scritti così nel libro”). A.
Even-Shoshan, A New Concordance of the Bible, Jerusalem 1989, assegna le diverse
attestazioni a voci differenti: i casi al singolare li pone sotto la voce NwødDm “lite” (byr), mentre
i casi al plurale sotto MyˆnÎy√dIm, inteso come “parole di lite” (byr yrbd: 6,14; 18,18; 18,19;
19,13; 21,9; 21,19; 23,29; 25,24; 26,21; 27,15), e sotto Myˆn∂dVm, inteso come “lite” (byr: 6,19;
10,12). Invece tutte le forme vengono derivate dal singolare NwødDm nel dizionario di Brown Driver - Briggs, s.v. Nyî;d. Effettivamente le varie forme di plurale sembrano dipendere semplicemente dall’instabilità della radicale media waw/yod.
22. Questo sembra il senso più confacente al contesto; ma vari autori (ad es. Delitzsch) pre-
feriscono intendere “offuscati”; cf. The Dictionary of Classical Hebrew, ed. D.J.A. Clines,
vol. III, Sheffield 1996, s.v. yIlyIlVkAj, p. 218.
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A. NICCACCI
Inoltre JKDsVmIm (30e), attestato solo un’altra volta (Is 65,11), significa “boccale, cratere”23.
La congiunzione yI;k “quando”, oppure “come”24 in 31f e 31g modifica
anche 31h. Traduco con il futuro le forme verbali yiqtol dei vv. 31-33 e
weqatal di 34o perché esse si riferiscono a un’ipotetica situazione che potrebbe capitare al discepolo. Questo è, del resto, il loro valore usuale, nonostante l’opinione diffusa che le forme verbali non abbiano valore
temporale preciso nella poesia25.
Per BHK e BHS lo stico 31h è secondario, forse aggiunto da Ct 7,10, e
così il tricolon sarebbe ridotto al più comune bicolon26. Effettivamente 31g
è simile a Ct 7,10a:
bwøÚfAh Ny´yV;k JKE;kIj◊w E il tuo palato come il vino buono
MyîrDvyEmVl yîdwødVl JKElwøh che scorre per il mio diletto morbidamente.
Le somiglianze comprendono la radice Klh detta del vino (anche se in coniugazioni diverse nei due testi) e l’espressione MyîrDvyEmV;b che l’accompagna
(con la preposizione lamed nel testo del Cantico)27. Ciò è tanto più notevole in quanto l’espressione MyîrDvyEmV;b compare altre volte nei Salmi in un sen23. Non “vino mescolato, cocktail”, che si dice
JKRsRm (Sal 75,9), come notò per primo P.
Joüon, “Notes de lexicographie hébraïque”, Mél. Univ. S. Joseph 4 (1910) 1-8, p. 3; cf.
ugaritico mmskn: M. Dahood, “Hebrew-Ugaritic Lexicography V”, Bib 48 (1967) 421-438,
s.v. JKDsVmIm, pp. 426-427.
24. Può significare anche “come, quanto”, soprattutto quando il verbo
har è all’imperativo;
ad esempio: Sal 25,19 (“Vedi i miei nemici, quanto sono numerosi!”); 34,9 (“Vedete quanto / come è buono il Signore!”); 119,159 (“Vedi quanto amo i tuoi precetti!”); Lam 1,20;
Gb 22,12; Ger 2,19.
25. Sul problema generale del valore delle forme verbali nella poesia rimando alla mia trat-
tazione in Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica, Jerusalem 1986 (oppure
nella versione inglese: The Syntax of the Verb in Classical Hebrew Prose, Sheffield 1990),
cap. 10. A distanza di anni, ho maggior fiducia nella possibilità di applicare le regole della
prosa alla poesia; si può consultare “Analysing Biblical Hebrew Poetry”, JSOT 74 (1997)
77-93, e (con E. Cortese) “L’attesa dei poveri non sarà vana. Il Sal 9/10 attualizzato” (sotto
stampa nella miscellanea in memoria di F. Vattioni a cura dell’Istituto Orientale di Napoli).
26. BHS propone anche, apparentemente in forma alternativa, di aggiungere un quarto stico
sulla base di Ct 7,10b.
27. Non credo opportuno accettare l’opinione di Dahood, Psalms I, 300 (sotto Sal 49,15),
che MyîrDvyEm significhi “gola”. M.V. Fox, “Scholia to Canticles (i 4b, ii 4, i 4ba, iv 3, v 8, vi
12)”, VT 33 (1983) 199-206, spec. 199-200, è della stessa opinione.
PROVERBI 23,26–24,22
57
so completamente diverso: “con giustizia” (Dio giudica: Sal 9,9; 96,10;
98,9). Quanto al verbo Klh, nella forma hitpael si dice dello scorrere dell’acqua in Sal 58,8. Nel complesso il testo di Proverbi è in ordine e non c’è
ragione di ritenerlo difettoso28.
Nello stico 31g, invece di syI;k i Masoreti leggono swø;k perché il contesto
richiede un termine per “coppa, boccale”, mentre syI;k è attestato nel senso
di “borsa” (5 volte, tra cui Prv 1,14 e 16,11)29. Ma il termine può essere
analizzato come diminutivo: “piccolo boccale, coppa”30. Un altro termine
di 31g degno di nota è wønyEo, letteralmente “il suo occhio”, che designa lo
scintillio o il colore del vino nel boccale31.
Perciò i verbi di 31f-h dipendono tutti dall’iniziale “non guardare”: “…
il vino quando rosseggerà, / quando spargerà nella coppa il suo scintillio (o
il suo colore), / (quando) scorrerà morbidamente”32. E’ la descrizione di
quelli che “vanno a scrutare il boccale” (30e): bevitori raffinati, non clienti
28. Vari studi recenti sulla poesia ebraica, soprattutto per influsso della letteratura ugaritica,
hanno chiarito che il parallelismo non comporta necessariamente un numero pari di stichi.
Il che significa, tra l’altro, che il tricolon è una forma legittima di strofa. Basti citare i due
volumi di W.G.E. Watson, Classical Hebrew Poetry, 177-185, e Traditional Techniques in
Classical Hebrew Verse, Sheffield 1994, 319; 340-341.
29. Giocando sulla differenza ketiv-qere Rashi commenta: “Il bevitore pone l’occhio sulla
coppa e il bottegaio sulla borsa di questi”; cf. A.J. Rosenberg (ed.), Miqra’ot Gedolôt.
Proverbs. An English Translation of the Text, Rashi and a Commentary Digest, New York
1993, 145.
30. Così ha suggerito A.C.M. Blommerde, Northwest Semitic Grammar and Job, Rome
1969, 118, per analogia con altre formazioni analoghe, vicine al diminutivo arabo. Un esempio simile è Gb 21,20, dove dyI;k può essere diminutivo di dA;k “anfora”, seguendo un suggerimento di M. Dahood, “Some Northwest-Semitic Words in Job”, Bib 38 (1957) 306-320,
p. 316, senza bisogno però di modificare il testo (Dahood lesse kaddô “his cup of fate”).
31. Il primo senso fu suggerito da G.R. Driver, Canaanite Myths and Legends, Edinburgh
1956, 113 n. 2, confrontando l’ugaritico yn „n “vino di scintillio”, che scintilla. Nel medesimo senso NˆyAo compare varie volte in Ez 1 e in altri passi (scintillio di metalli, gioielli, ecc.)
secondo Brown - Driver - Briggs, s.v. NˆyAo. In Lv 13,5 quel termine indica il colore della
ferita. Nel senso di “forma, aspetto”, è classificato da Even-Shoshan, A New Concordance,
p. 852, sotto NˆyAo (divisione bet). Quest’ultimo senso potrebbe andare anche per il nostro
testo; infatti Ibn Ezra intende: come “il suo aspetto”. Diversamente, Watson, Classical
Hebrew Poetry, 29, ha suggerito di intendere NˆyAo nel senso di “bubble”: designerebbe un
vino frizzante. In base a questo senso l’autore intende anche MyîrDvyEmV;b.
32. Mezudat David: “Non porre il tuo occhio sul vino che rosseggia nel suo aspetto ed è
desiderabile e prezioso”.
58
A. NICCACCI
di bettola (cf. Is 5,11). Inteso così il testo, non si può certo dire che sia ridicolo proibire di guardare il vino perché è rosso, né è consigliabile accogliere la proposta alternativa di Driver33.
In 32i-l soggetto dei due verbi è il vino paragonato a un serpente; perciò
wøtyîrSjAa è un accusativo avverbiale (letteralmente “alla sua fine”), come in
5,4 e 29,2134, equivalente a sostantivo con preposizione (cf. ;hDtyîrSjAaV;b “alla
fine di ciò” in 25,8). Particolarmente simile, sia per la costruzione grammaticale che per il senso, è 5,4, dove si parla della prostituta:
hÎnSoA;lAk h∂rDm ;hDtyîrSjAa◊w Ma alla fine ella è amara come l’assenzio,
twø¥yIÚp b®rRjV;k h∂;dAj affilata come una spada a due tagli.
Dei due verbi JKDÚvˆy // vîrVpÅy il primo è ben attestato riferito al serpente, ma il
secondo, nel senso che sembra richiesto dal parallelismo (un sinonimo di mordere), è hapaxlegomenon. Normalmente vrp al qal significa “dividere”, al nifal
“essere disperso”; all’hifil dovrebbe significare “spargere”35. I due termini che
designano il serpente si trovano insieme anche in Ger 8,17 (cf. Is 14,28b).
Nel v. 33 troviamo le coppie parallele ÔKy‰nyEo // ÔKV;bIl e twørÎz // twøkUÚpVhA;t. La
prima è frequente in Proverbi36; la seconda invece è unica come coppia.
Tuttavia rÎz, sia aggettivo che sostantivo, è ben attestato, mentre twøkUÚpVhA;t è
addirittura un termine preferito di Proverbi37. Oltre al senso neutro di
“estraneo, straniero”, cioè diverso dal soggetto e dalla sua famiglia (ad
esempio in Prv 11,15; 14,10; 27,2), il termine rÎz possiede una connotazione
religioso-morale negativa che si manifesta nel termine che designa la pro33. Driver, “Problems”, 187: “drink not deeply of wine when it is red” (prendendo
har nel
senso di hwr).
34. Così forse anche Am 4,2b, dove si parla delle “vacche di Basan”.
35. BHK e BHS suggeriscono di inserire vaør (oppure vwør) “veleno” (forse caduto per
aplografia), sull’esempio della LXX, e rimandano a Dt 32,32-33. La LXX in effetti ha quel
sostantivo, ma il suo testo è talmente diverso da quello masoretico che risulta problematico
utilizzarlo per esso. Ecco una traduzione di 23,31-32 LXX: “Non vi ubriacate di vino ma
conversate con uomini giusti / e conversate in passeggiate pubbliche. / Se infatti sui bicchieri e sulle coppe porrai i tuoi occhi, / dopo passeggerai più nudo di un pestello. / E alla
fine come uno morso da un serpente si distende / e come da una vipera si sparge in lui il
veleno (oJ i˙o/ß)”.
36. Si veda ad es. 23,26, dove i due termini compaiono in ordine inverso. La discussione
completa di questa coppia di termini si trova in Watson, Traditional Techniques, 285-291.
37. Vi compaiono 9 attestazioni del termine su 10.
PROVERBI 23,26–24,22
59
stituta (§ 3.1); così anche in 21,8 dove, tra l’altro, compare la connessione
delle due radici presenti nel nostro passo (una forma derivata di Kph e rÎz):
rÎzÎw vyIa JK®r®;d JKAÚpVkApSh Pervertita è la via dell’uomo straniero,
wølFoDÚp rDvÎy JKÅz◊w invece il puro, retta è la sua opera38.
Quello di 23,33 è però l’unico caso in cui twørÎz indica “cose strane” (//
twøkUÚpVhA;t “cose / parole perverse”), e quindi non si riferisce a persone, come
è invece il caso di twørÎz “prostitute” in 22,1439.
Il v. 34 presenta una crux interpretum. L’espressione lE;bIj vaørV;b viene
normalmente tradotta: “sopra l’albero della nave”40; ma come si può “giacere” sopra un albero di nave? Perciò alcuni autori correggono il TM in base alla
LXX che ha: kai« w‚sper kubernh/thß e˙n pollw◊ˆ klu/dwni “e come un marinaio in una grande tempesta”, il che darebbe ottimo senso se fosse nel TM41.
La traduzione data sopra suppone che il senso di lE;bIj vaørV;b possa essere chiarito in relazione all’espressione parallela MÎy_bRlV;b e a quella di Sof 2,5a:
MÎ¥yAh lRbRj yEbVvOy ywøh Guai a quelli che abitano nel territorio del mare.
38. L’espressione rÎzÎw
vyIa è un’endiadi, variante di rÎz vyIa che compare in Lv 22,12; Nm 17,5;
Dt 25,5. Se si riconosce la sfumatura religiosa del termine accennata sopra, il versetto è
perfettamente comprensibile (con buona pace di BHK e BHS e in generale dei commentatori). Lo stico b di 21,8 si trova quasi identico in 20,11b, che va tradotto: “… se è pura e se
è retta la sua opera”, di nuovo senza alcun bisogno di correggere il testo. Nella stessa sfumatura morale negativa Myrz compare in Sir 39,24, tradotto giustamente in greco toi√ß aÓno/
moiß, senza che il termine sia necessariamente uno sbaglio per Mydz, come afferma Smend
(Die Weisheit des Jesus Sirach, 363). Molto opportunamente Segal, Sefer Ben Sira, sotto
39,24, rimanda a Sal 54,5 e 58,4. A conferma di questa analisi si veda Dahood, Psalms II,
24 (per Sal 54,5); questo autore però interpreta diversamente Sal 58,4 (cf. ibid., 59).
39. Rashi intende in riferimento alle donne: “Quando sarai ubriaco, il vino brucia in te e ti
spinge a guardare le prostitute”, a differenza di Mezudat David: “cose strane, allucinazioni”; cf. Rosenberg (ed.), Miqra’ot Gedolôt. Proverbs, 145.
40. Si veda la discussione in Delitzsch, 379.
41. Altra proposta: lbj è metatesi per blj, termine che sarebbe da collegare all’ugaritico ∆lb
“montagna”, e quindi “come uno che giace in cima a una montagna”: così P.J. Calderone,
“Supplementary Note on ˙dl-II”, CBQ 24 (1962) 412-419, spec. 412-413 n. 5, seguito da M.
Dahood, “Hebrew-Ugaritic Lexicography II”, Bib 45 (1964) 393-412, s.v. lRbRj “mountain”,
p. 407; ma non credo che il senso migliori di molto. Con una diversa divisione delle consonanti e sulla base di un passo ugaritico, Watson intende il passo in rapporto all’emicrania
conseguente alla sbornia: “And you will be like one lying down with a heart that sinks, /
(like) one lying down with a headache” (Classical Hebrew Poetry, 21-22; 29-30).
60
A. NICCACCI
Quest’ultimo testo si riferisce al territorio lungo il mare, la Filistea. Alla luce
di questo passo, la coppia parallela di Proverbi MÎy_bRlV;b // lE;bIj vaørV;b potrebbe
A lRbjR 42.
essere intesa come rottura della frase composta attestata in Sofonia MÎy¥ h
Nel testo di Proverbi, però, lE;bIj (forse per lRbRj), essendo variazione di “nel
cuore del mare”, verrebbe a designare “un’isola”. Il paragone riguarderebbe
dunque la situazione disperata di un naufrago disperso “nel cuore del mare”,
situazione opposta a quella superba di Tiro che ha i suoi confini “nel cuore
del mare” (MyI;mÅy bElV;b), o del suo re che siede in trono “nel cuore del mare”43.
Analizzo tutti i verbi iniziali di 35q-s come proposizioni interrogative;
così il brano finisce in modo simile a come è iniziato (v. 29)44. Alcuni dettagli del v. 35 non sono senza paralleli. La connessione delle radici hkn e
hlj compare in Ger 5,3:
…wlDj_aøl◊w MDtOa hDtyI;kIh Li hai percossi ma non ne hanno sofferto,
rDs…wm tAjåq …wnSaEm MDtyI;lI;k Li hai annientati (ma) hanno rifiutato di accettare
l’istruzione45.
Inoltre alcuni elementi del v. 35, e anche del v. 29, si ritrovano in Sir
31,27-3046. Innanzitutto le domande retoriche a scopo didattico, anche se
nel contesto di una presentazione positiva del vino. E’ simile inoltre il
collegamento tra vino (quando è bevuto con contesa e ira!) e ferite, malessere, vergogna47:
42. Alludo al fenomeno poetico detto in inglese “Breakup of stereotyped phrases”, sul qua-
le di può consultare E. Zurro, Procedimientos iterativos en la poesía ugarítica y hebrea,
Valencia - Rome 1987, 378 (indice s.v. “desmembramiento de bina estereotipada”).
43. Questa espressione, con nomen rectum al plurale, compare varie volte in Ez 27-28 nei
confronti di Tiro. “La via della nave nel cuore del mare” è una delle cose che il saggio non
comprende (Prv 30,19).
44. Per un esame stilistico del brano si veda M.E. Andrew, “Variety of Expression in
Proverbs XXIII 29-35”, VT 28 (1978) 102-103, e K. Koenen, “«Wem ist Weh? Wem ist
Ach? … Wer hast trübe Augen?». Zur Funktion von Rätselfragen im Alten Testament”, BN
94 (1998) 79-86.
45. “Accettare l’istruzione, o la correzione” è terminologia tipica di Proverbi (cf. 24,32).
46. Beentjes, The Book of Ben Sira, 57-58 (ms. B); 109 (ms. F); 146-147 (sinossi). Il ms. F, ben-
ché piuttosto frammentario, conferma il ms. B nei punti in cui esso è a sua volta frammentario.
47. Circa la proibizione del bere si vedano i paralleli egizi in H.C. Washington, Wealth and
Poverty in the Instruction of Amenemope and the Hebrew Proverbs, Atlanta, GA 1994, 142143, e Lelièvre - Maillot, II, 151-152.
PROVERBI 23,26–24,22
31,27
Cwnal Myyj Nyy yml
Ma
hm
31,28c
Cwryt rsjl hm yyj
Carm qljn lygl awhw
31,29 49Nwlqw hnol Car bak
sokw hrjtb htCn Nyy
31,30
lyskl rmj hbrm
50Cqwm
oxp qpsm jk rsjm
…wtnktmb wntCy
…Nyyh rsj Myyj
61
Per chi il vino è vita? Per l’uomo
se lo berrà con misura…
Cosa è la vita se manca il vino?…
Che vita è se deve mancare il mosto48,
dato che esso per la gioia è stato fatto?
Mal di testa, assenzio e vergogna
(arreca) il vino bevuto con contesa e ira.
Chi moltiplica il liquore allo stolto (arreca)
una trappola,
diminuisce la forza, aumenta la ferita.
Oltre ad essere un parallelo concettuale, se non sempre terminologico, di
Proverbi, il testo di Siracide spiega che il vino, di per sé buono e “vita”
dell’uomo, diventa fonte di disordine per lo stolto che ne abusa.
L’ammonizione contro il vino manca in Prv 1-9, mentre compare due volte
nella collezione III (cf. 23,20-21). In 9,2.5 si parla di bere simbolicamente il
vino della Signora Sapienza. Inoltre in 31,4-7 si precisa che il vino non è per
il re (perché non dimentichi…), ma per chi ha l’animo amareggiato.
1.3. Proverbi 24,1-2
1a
1b
2c
2d
hDo∂r yEv◊nAaV;b a´…nåqV;t_lAa
MD;tIa twøyVhIl wDaVtI;t_lAa◊w
MD;bIl h‰…gVh‰y dOv_yI;k
hÎn√rE;bådV;t MRhyEtVpIc lDmDo◊w
Non invidiare i malvagi
e non desiderare di essere con loro,
poiché distruzione mediterà il loro cuore
e calamità le loro labbra parleranno.
La radice anq è costruita con la preposizione bet anche in 23,17 e in 24,19.
Per il parallelismo con wDaVtI;t_lAa, e anche per il fatto che regge un comple48. Oppure: “Worin besteht das Leben für den, dem der Wein fehlt?” (Peters, Der jüngst
wiederaufgefundene hebräische Text, 122). Questo stico e il successivo vengono ritenuti
glossa, però si trovano anche nel ms. F recentemente trovato, il quale ha un’interessante
variante adiafora: Cwryt rsjy hml Myyj “perché la vita se mancherà il vino?”.
49. Variante nel ms. F:
Cwrw “e veleno”.
50. Ms. B margine: Cqwn “essere preso in trappola” (infinito nifal: Peters, Der jüngst
wiederaufgefundene hebräische Text, 122); così anche il ms. F. Per Beentjes, The Book of
Ben Sira, il ms. B è frammentario in questo punto: Cq[ ] (pp. 58; 147), ma i precedenti
editori danno Cqwm senza esitazioni.
62
A. NICCACCI
mento che è negativo dal punto di vista morale (i malvagi), a´…nåqV;t_lAa ha il
senso di “non invidiare” (§ 3.3), come in 3,31:
sDmDj vyIaV;b a´…nåqV;t_lAa Non invidiare l’uomo violento
wyDk∂r√;d_lDkV;b rAjVbI;t_lAa◊w e non scegliere51 nessuna delle sue vie.
Così anche in Sir 9,11-12:
9,11
oCr Cyab anqt la
wmwy hm odt al yk
9,12 jylxm Nwdzb [anqt] la
hnqy al twm to yk rkz
Non invidiare il malvagio,
poiché non conoscerai quale sarà il suo giorno.
Non [invidiare] l’orgoglioso che ha successo;
ricorda che al momento della morte non sarà
senza colpa.
La coppia dOv // lDmDo compare solo in 2c-d; nessuno dei due termini è frequente in Proverbi52. In connessione con “labbra”, lDmDo compare in Sal
140,10b53. La coppia “il loro cuore // le loro labbra”, usata per lo più per il
discepolo a cui è rivolta l’istruzione (§ 3.3), ha qui connotazione negativa
essendo riferita ai malvagi.
Invece di “essere con” (1b) si dice “andare con” (tEa Klh) in 1,10-19,
un brano in parte parallelo che mette in guardia contro le cattive compagnie (1,1.18).
1.4. Proverbi 24,3-6
3a
3b
4c
4d
5e
5f
tˆyD;b h‰nD;bˆy hDmVkDjV;b
NÎnwø;kVtˆy hÎn…wbVtIb…w
…waVlD;mˆy Myîr∂dSj tAoådVb…w
MyIoÎn◊w r∂qÎy Nwøh_lD;k
zwøoA;b MDkDj_rRb‰…g
AjO;k_XR;mAaVm tAoå;d_vyIa◊w
Con la sapienza sarà costruita la casa
e con l’intelligenza sarà stabilita,
e con la conoscenza le stanze saranno riempite
di ogni ricchezza preziosa e soave.
L’uomo saggio è forte
e il sapiente aumenta la potenza.
51. Il TM è in ordine. La correzione
rAjVtI;t_lAa, seguendo la LXX (mhde« zhlw¿shØß “e non
adirarti”) e sulla base di 24,19 e Sal 37,1 (cf. BHK e BHS), non è giustificata.
52. Sia come sostantivo che come verbo
lmo è termine preferito di Qohelet per indicare la
fatica dell’uomo sulla terra (1,3; 2,11.18.19.20.21.22; ecc.).
53. Il testo è complicato. Come spesso accade, Dahood ne dà una lettura abbastanza diver-
gente da quella masoretica (cf. Psalms III, ad loc.).
PROVERBI 23,26–24,22
6g
63
ÔKV;l_hRcSoA;t twølU;bVjAtVb yI;k Veramente con strategie ti preparerai
hDmDjVlIm la guerra
XEowøy bOrV;b hDo…wvVt…w e la tua vittoria (verrà) con la moltitudine dei
6h
consiglieri.
I vv. 3-4 formano un quadricolon che presenta i seguenti termini paralleli:
hDmVkDjV;b // hÎn…wbVtIb…w // tAoådVb…w (frasi preposizionali, a); h‰nD;bˆy // NÎnwø;kVtˆy // …waVlD;mˆy
(verbi, b); tˆyD;b // – // Myîr∂dSj (soggetti, c)54. Tutti questi termini sono compresi nei primi tre stichi; il quarto stico completa il terzo fornendo il complemento (accusativo di mezzo, d). Lo schema compositivo è dunque: abc
// a’b’ // a”c’b” // d.
La connessione delle radici Mkj - Nyb - ody è frequente nel linguaggio
sapienziale; si veda ad esempio 1,2-7. Le medesime tre frasi preposizionali
degli stichi 3a-4c, e nello stesso ordine, riferite però a Dio, si trovano in
3,19-20:
3,19
3,20
X®rDa_dAsÎy hDmVkDjV;b hÎwh◊y
hÎn…wbVtI;b MˆyAmDv N´nwø;k
…wo∂qVbˆn twømwøhV;t wø;tVoådV;b
lDf_…wpSo√rˆy MyIqDjVv…w
Il Signore con la sua55 sapienza fondò la terra,
stabilì il cielo con la sua intelligenza,
con la sua conoscenza gli abissi furono aperti
e le nubi verseranno la pioggia56.
Un altro passo parallelo si trova nella collezione II:
14,1
;hDtyEb hDt◊nD;b MyIvÎn twømVkAj La sapienza delle donne ha costruito la casa,
…w…nRs√rRhRt Dhy®dÎyV;b tRl‰…wIa◊w mentre la (loro) stoltezza57 con le sue mani la
abbatterà.
54. Il parallelismo tra
tyE;b e r®dRj compare anche in Ct 3,4.
55. Il suffisso pronominale, qui e nello stico seguente, è fornito dal terzo stico. E’ una va-
riazione del fenomeno poetico della “specificazione ritardata” (“delayed identification”), cf.
Watson, Classical Hebrew Poetry, 391 (Index of Subjects) e Traditional Techniques, 515
(Index of Subjects).
56. Benché parecchi critici ritengano secondari questi versetti (cf. R.N. Whybray, Wisdom
in Proverbs. The Concept of Wisdom in Proverbs 1-9, London 1965, 42), essi fanno parte
della pericope 3,1-20, nella quale la sapienza di Dio creatore (3,19-20) viene nominata accanto a quella che l’uomo deve trovare per essere felice (3,13-18).
57. Sul cliché tˆyA;b hnb “costruire la casa” in questo e in altri passi di Proverbi (9,1; 14,1;
24,27) vedi D.C. Snell, Twice-Told Proverbs and the Composition of the Book of Proverbs,
Winona Lake, IN 1993, 17-18; 49. Nel secondo stico tRl‰…wIa◊w, senza pronome suffisso, si riferisce chiaramente alle donne.
64
A. NICCACCI
Terminologia analoga compare in Sal 104,24; 135,5; Ger 10,12 (= 51,15).
La connessione tra sapienza e ricchezza, che è un’idea caratteristica
della corrente sapienziale (cf. § 3.4), si ritrova in Ez 28,4-5, riferita al
re di Tiro:
28,4
ÔKVtÎn…wbVtIb…w ÔKVtDmVkDjV;b
lˆyDj ÔKV;l DtyIcDo
ÔKyRtwørVxwøaV;b PRsRkÎw bDhÎz cAoA;tÅw
ÔKVtD;lUk√rI;b ÔKVtDmVkDj bOrV;b
28,5
ÔKRlyEj DtyI;b√rIh
ÔKRlyEjV;b ÔKVbDbVl ;hA;b◊gˆ¥yÅw
Con la tua sapienza e con la tua intelligenza
hai procurato per te potenza
e hai procurato oro e argento nei tuoi magazzini.
Con la grandezza della tua sapienza, con il tuo
commercio
hai aumentato la tua potenza58
e si è insuperbito il tuo cuore per la tua potenza.
Con linguaggio simile, in Prv 1,13 i peccatori invitano il giovane a unirsi a loro:
aDxVmˆn r∂qÎy Nwøh_lD;k Ogni ricchezza preziosa raggiungeremo,
lDlDv …wnyE;tDb aE;lAm◊n riempiremo le nostre case di bottino.
Il v. 5 è ambiguo. Si danno due traduzioni di 5e: (1) “l’uomo saggio è
forte”, letteralmente “è in forza”, zwøoA;b, equivalente al participio AjO;k_XR;mAaVm
nello stico successivo59; (2) “è migliore il saggio del forte”, leggendo un
verbo, rAbÎ…g “è forte, migliore”, invece del sostantivo del TM, e correggendo
zwøoA;b in zDoEm “più del forte”, seguendo la LXX che ha appunto krei÷sswn
sofo\ß i˙scurouv60. Anche lo stico 5f viene tradotto di conseguenza: “e il
sapiente (è migliore) del gagliardo di potenza”, leggendo XI;mAaEm, cioè un
aggettivo sostantivato retto dalla preposizione NIm, invece del participio del
TM (cf. BHK e BHS). Ma il senso che deriva dalla seconda traduzione
sembra estraneo alla mentalità di Proverbi (§ 3.4).
Il yI;k dello stico 6g è probabilmente enfatico: “veramente”. Schematicamente la disposizione degli elementi paralleli di 6g-h è la seguente: abc //
58. Il testo non è ironico, ma costata un fatto. Dio però punirà la superbia del re di Tiro.
59. Così anche Rashi: “L’uomo saggio è sempre in forza”.
60. Il testo prosegue: “e l’uomo che ha prudenza (è migliore) di un grande podere (gewrgi÷ou
mega¿lou)”, il che non ha corrispondenza nel TM. Lo stico b di 24,5 è ripetuto in 16,32 secondo i mss. A e S (aggiunto), ma non in B. Su gewrgi÷on si veda J. Cook, The Septuagint
of Proverbs – Jewish and/or Hellenistic Proverbs? Concerning the Hellenistic Colouring
of LXX Proverbs, Leiden - New York - Köln 1997, 163; 266-267.
PROVERBI 23,26–24,22
65
c’a’; cioè: twølU;bVjAtVb // XEowøy bOrV;b (a - a’) e hDmDjVlIm // hDo…wvVt (c - c’), mentre
ÔKV;l_hRcSoA;t (b) modifica ambedue gli stichi. In base al parallelismo, la coppia c - c’ ha il senso di guerra vittoriosa, e l’espressione “ti preparerai la
guerra” va intesa come: in modo a te favorevole.
La terminologia del v. 6, e in particolare la coppia twølU;bVjA;t61 (variante dwøs)
// XEowøy o MyIxSowøy, si ritrova nei passi seguenti di Proverbi62:
MDo_lDÚpˆy twølU;bVjA;t NyEaV;b Per mancanza di strategie cadrà un esercito63,
XEowøy bOrV;b hDo…wvVt…w mentre la vittoria sta nella moltitudine di
11,14
15,22
dwøs NyEaV;b twøbDvSjAm rEpDh
M…wqD;t MyIxSowøy bOrVb…w
20,18
Nwø;kIt hDxEoV;b twøbDvSjAm
hDmDjVlIm hEcSo twølU;bVjAtVb…w
consiglieri.
Il mandare a vuoto le intenzioni avviene per
mancanza di consultazioni,
mentre per la moltitudine dei consiglieri la cosa
si realizzerà64.
Le intenzioni con il consiglio saranno stabili65,
e con strategie fa’ la guerra66.
Simile anche Sir 32,19:
rbd lopt la hxo alb Senza consiglio non fare nulla,
Pxqtt la KyCom rjaw perché dopo il tuo atto tu non debba adirarti67.
61. Su
twølU;bVjA;t (5x in Proverbi, 1x in Giobbe, mai altrove) vedi Driver, “Problems”, 196;
Shupak, Where Can Wisdom Be Found?, 313-317. La LXX traduce con kube÷rnhsiß
“steering, direction”; cf. Cook, The Septuagint of Proverbs, 54.
62. L’espressione XEowøy bOrV;b viene resa e˙n pollhvØ boulhvØ “in molto consiglio” in 11,14, invece
meta» kardi÷aß bouleutikhvß “con cuore consigliero” in 24,6; in modo simile e˙n… kardi÷aiß
bouleuome÷nwn “nei cuori dei consiglieri” traduce MyIxSowøy bOrV;b in 15,22.
63. Così anche la New English Bible. In questo senso MDo compare anche altrove (1 Sam 11,11;
1 Re 20,10; ecc.). Si vedano i dizionari e la ricerca di R. McClive Good, The Sheep of His
Pature. A Study of the Hebrew Noun „Am(m) and Its Semitic Cognates, Chico 1983, 60.
64. La coppia verbale ryph // dmo, simile a ryph // Mwq qui attestata, compare in Sal 33,10-11.
65. La somiglianza con il testo precedente suggerisce che
Nwø;kIt derivi dalla radice Nwk, non
da Nkt come ritengono talvolta i commentatori (cf. BHK e BHS). Il senso del nifal di Nwk
equivale a quello di dmo e di Mwq (cf. nota precedente). Si noti il verbo al singolare con soggetto plurale.
66. Cf. P.A.H. de Boer, “The Counsellor”, in: M. Noth - D.W. Thomas (ed.), Wisdom in
Israel and in the Ancient Near East. Presented to Professor Harold Henry Rowley, Leiden
1955, 42-71.
67. Così il ms. B; i mss. E e F hanno Xpqtt al posto di Pxqtt, apparentemente uno sbaglio.
66
A. NICCACCI
Resta da notare che twølU;bVjA;t è un termine esclusivo della tradizione
sapienziale essendo attestato soltanto in Proverbi (5x), Giobbe (1x) e
Siracide (3x).
1.5. Proverbi 24,7-9
7a
7b
8c
8d
9e
9f
twømVkDj lyˆwTaRl twøma∂r
…whyIÚp_jA;tVpˆy aøl rAoAÚvA;b
AoérDhVl bEÚvAjVm
…wa∂rVqˆy twø;mˆzVm_lAoA;b wøl
taDÚfAj tRl‰…wIa tA;mˆz
XEl M∂dDaVl tAbSowøt◊w
I coralli sono per l’empio somma sapienza,
(ma) nella porta non aprirà la bocca.
Chi pensa a fare il male,
lui macchinatore chiameranno.
Macchinazione dell’empio è il peccato
e abominio per l’uomo è il beffardo68.
Il v. 7a viene inteso normalmente69: “Troppo alta (twøma∂r = twøm∂r, participio
plurale femminile di Mwr) per l’empio è la sapienza”70. Fa difficoltà però il
fatto che il termine twømVkDj sia trattato altrove come singolare (1,20; 9,1;
14,1). La tradizione giudaica (cf. Delitzsch) prende twøma∂r nel senso di “perle, coralli, pietre preziose” (cf. Gb 28,18; Ez 27,16) e intende: “Perle (=
qualcosa di irraggiungibile!) è per l’empio la sapienza”.
Una terza traduzione mi sembra preferibile: “Le pietre preziose sono per
l’empio la somma sapienza”. La costruzione grammaticale è in questo caso
la seguente: soggetto, sintagma preposizionale, predicato. Il termine twømVkDj
si può intendere come plurale di eccellenza (così tradizionalmente, anche
nel nostro versetto), o come particolarità dialettale del nord71 (così forse in
1,20; 9,1 e 14,1). Le pietre preziose, nelle loro varie specie, sono nominate
68. In 24,7-10 la LXX si discosta sensibilmente dal TM: “(7) Sapienza e intelligenza buona
sono nelle porte dei saggi, / i saggi non si allontanano dalla parola (‘bocca’) del Signore /
(8) ma riflettono nelle assemblee. / Sugli ignoranti viene la morte / (9) e lo stolto muore nei
peccati. / L’impurità imputridirà a motivo dell’uomo corrotto / (10) nel giorno cattivo e nel
giorno della prova / finché non venga meno”.
69. W. Bühlmann, Vom rechten Reden und Schweigen. Studien zu Proverbien 10-31,
Freiburg Schweiz - Göttingen 1976, 215-219.
70. Così anche la Volgata: “excelsa stulto sapientia”.
71. Per influsso del fenicio, in cui il singolare femminile termina in -ot; cf. W. F. Albright,
“Some Canaanite-Phoenician Sources of Hebrew Wisdom”, in: Noth - Thomas (ed.),
Wisdom in Israel, 1-15, spec. 8; L. Viganò, “Quelques exemples du singulier féminin en -ôt
en Ezéchiel”, LA 27 (1977) 239-245.
PROVERBI 23,26–24,22
67
spesso come termine di paragone per esaltare la preziosità di una cosa. Il
passo più vicino è Gb 28,18, in cui twøma∂r “coralli” compare insieme ad
altre pietre preziose per esaltare la sapienza72:
28,15
28,16
28,17
28,18
28,19
DhyR;tVjA;t rwøgVs NA;t¨y_aøl
;h∂ryIjVm PRsR;k léqDÚvˆy aøl◊w
ryIpwøa MRtRkV;b hR;lUsVt_aøl
ryIÚpAs◊w r∂qÎy MAhOvV;b
tyIkwøk◊z…w bDhÎz hÎ…nRk√rAoÅy_aøl
zDp_yIlV;k ;hDt∂r…wmVt…w
rEkÎΩzˆy aøl vyIbÎg◊w twøma∂r
MyˆnyˆnVÚpIm hDmVkDj JKRvRm…w
v…w;k_tådVfIÚp hÎ…nRk√rAoÅy_aøl
hR;lUsVt aøl rwøhDf MRtRkV;b
Non si daranno lingotti per essa,
né si peserà argento come suo prezzo;
non la si pagherà con oro di Ofir,
né con onice preziosa o zaffiro;
non si paragonerà con essa oro o vetro,
né suo scambio sarà alcun oggetto doro fino,
coralli e cristallo non si potranno menzionare,
né l’acquisto della sapienza si farà con le perle;
non si paragonerà con essa il topazio di Cush,
né con oro puro si pagherà.
Si possono confrontare anche i seguenti passi di Proverbi:
73
3,15
MyˆyˆnVÚpIm ayIh h∂r∂q◊y Essa (la sapienza) è preziosa più dei rubini
;hDb_…wwVvˆy aøl ÔKyRxDpSj_lDk◊w e tutte le cose desiderabili per te non la
8,11
MyˆnyˆnVÚpIm hDmVkDj hDbwøf_yI;k Poiché buona è la sapienza più dei rubini
;hDb_…wwVvˆy aøl MyIxDpSj_lDk◊w e tutte le cose più desiderabili non la
uguaglieranno.
uguaglieranno74.
Un analogo termine di paragone è attestato in rapporto alla bocca saggia
(20,15; cf. Sir 30,15 per la buona salute) e alla donna saggia (Prv 31,10;
cf. Sir 7,19). Il senso è allora che per chi ragiona correttamente nessuna
ricchezza al mondo può essere paragonata alla sapienza.
In questo contesto si comprende il nostro passo. Per lo stolto è vero esattamente l’opposto: per lui le perle (cioè le ricchezze) sono la somma sapienza! Ma questo sbaglio di giudizio gli costa caro: “alla porta non apre
la bocca”, cioè non viene consultato o ascoltato nei consessi dei notabili
alla porta della città75. L’espressione si oppone a Sir 15,5, dove si descrive
l’opera della sapienza su chi l’accoglie:
72. Cf. A. Niccacci, “Giobbe 28”, LA 31 (1981) 29-58, spec. 31.
73. Si noti la grafia: per il normale
74.
MyˆnyˆnVÚpIm, come nel testo seguente.
Il confronto dei testi mostra che in 3,15 il suffisso di ÔKyRxDpSj è dativale (“le cose più
desiderabili per te”). Non è consigliabile perciò di eliminarlo, come suggerito in BHK e BHS.
68
A. NICCACCI
whorm whtmmwrw Lo esalterà al di sopra del suo prossimo
wyp jtpt lhq Kwtbw e in mezzo all’assemblea aprirà la bocca di lui.
Per la costruzione della frase e per il senso, benché l’argomento sia di
segno opposto, si può confrontare Prv 15,21:
bEl_rAsSjAl hDjVmIc tRl‰…wIa La stoltezza è gioia per lo stolto (‘privo di cuore’),
tRkDl_rRÚvÅy◊y hÎn…wbV;t vyIa◊w mentre l’uomo saggio rende retta la condotta
(‘l’andare’).
Negli stichi 8c-d troviamo una definizione del “macchinatore”, come in
21,24 del “beffardo” (cf. 16,21a per l’“assennato”). La costruzione della frase
è identica a quella di 24,24: casus pendens, pronome di ripresa e predicato:
24,24
hD;tDa qyî;dAx oDv∂rVl rEmOa Chi dice al colpevole: Sei giusto,
MyI;mAo …whUbV;qˆy lo maledicono i popoli,
MyI;mUaVl …wh…wmDo◊zˆy lo aborrono le nazioni.
I termini twø;mˆzVm (8d) e hD;mˆz (9e) derivano dalla radice Mmz “pensare, macchinare” e vengono usati in Proverbi sia in senso positivo che negativo
(come qui). Per twø;mˆzVm_lAoA;b “macchinatore” si confronti twømølSjAh lAoA;b “sognatore” (Gn 37,19).
La costruzione di 9e-f è la seguente: soggetto (tRl‰…wIa tA;mˆz), predicato
(taDÚfAj) // predicato (M∂dDaVl44tAbSowøt◊w), soggetto (XEl). Nella coppia tRl‰…wIa // XEl76
il primo termine, astratto, sta per il concreto, senza bisogno di correggere
il testo77. L’altra coppia, taDÚfAj // M∂dDaVl tAbSowøt◊w78 indica che qui il “peccato”
è agire contro le norme della società.
75. O. Rickenbacher, Weisheitsperikopen bei Ben Sira, Freiburg (Schweiz) - Göttingen
1973, 93-94, suggerisce un parallelo con l’apertura della bocca; ma, almeno qui, il parallelo
egiziano appare fuori luogo.
76. Il termine XEl è sempre usato come sostantivo, non come aggettivo. Anche per questo
non sembra accettabile la traduzione che Scott dà del v. 9b: “and an impious man is an
abomination”.
77. Contro BHK e BHS; cf. Driver, “Problems”, 196. Sul fenomeno si veda W.A. van der
Weiden, “‘Abstractum pro concreto’, phaenomenon stilisticum”, VD 44 (1966) 43-52;
Watson, Classical Hebrew Poetry, 387 (Index of Subjects). Analogamente in 23,17, cf.
Niccacci, “Proverbi 23,12-25”, 37.
78.44tAbSowø;t è forma costrutta davanti a un sintagma preposizionale (Joüon § 129n), oppure
forma assoluta femminile arcaica, come ritiene Dahood, Psalms II, 59. Ambedue le spiegazioni sono possibili.
PROVERBI 23,26–24,22
69
1.6. Proverbi 24,10-12
10a
10b
11c
11d
h∂rDx MwøyV;b DtyIÚpårVtIh
hDkRjO;k rAx
t‰wD;mAl MyIjüqVl lE…xAh
JKwøcVjA;t_MIa g®rRhAl MyIfDm…w
12e
12f
rà?
12g
12h
h‰z …wnVoådÎy_aøl NEh rAmaøt_yI;k
NyIbÎy_a…wh twø;bIl NEkOt_aølSh
Se sei rimasto inerte nel giorno della prova,
poca è la tua forza!
Salva i prigionieri dalla morte
e quelli che sono prostrati, dalla strage devi
trattenere!
Poiché se dirai: – Non lo sa Egli! –,
forse Colui che esamina i cuori non comprende-
o∂d´y a…wh ÔKVvVpÅn rExOn◊w E Colui che custodisce la tua anima non lo saprà
wølFoDpV;k M∂dDaVl byIvEh◊w e non renderà all’uomo secondo il suo operato?
Se non si vuole riscrivere il testo79, occorre sforzarsi di interpretare quello
che abbiamo.
Gli stichi 10a-b costituiscono una proposizione condizionale senza particella: h∂rDx MwøyV;b DtyIÚpårVtIh è la protasi80, hDkRjO;k rAx è l’apodosi. Si noti la ripetizione retorica della voce rAx (paronomasia). La forma hitpael della
radice hpr si incontra solo tre volte nella Bibbia ebraica: in 18,9 hRÚpårVtIm
significa “colui che è negligente, indolente” nel suo ufficio; analogamente
in Gs 18,3; qui perciò: “Se sei rimasto inerte, se ti sei comportato da debole”, o simile. L’apodosi hDkRjO;k rAx dà senso come “poca è la tua forza” (§
3.6), senza bisogno di altre proposte81.
Il v. 11c-d è ambiguo, ma il parallelismo può guidare l’analisi. Abbiamo
due coppie di termini che si corrispondono: t‰wD;mAl MyIjüqVl // g®rRhAl MyIfDm…w e
lE…xAh // JKwøcVjA;t_MIa. Nella seconda coppia parallela troviamo: imperativo // MIa
+ yiqtol, dove MIa ha senso asseverativo (positivo) come 23,1882; perciò:
“salva! // (certo) devi trattenere!”. In dipendenza da questi due verbi, l’altra coppia parallela significherà: “(salva) i prigionieri dalla morte // quelli
79. Come, ad esempio, BHK, BHS, New English Bible. Su un nuovo tentativo di interpre-
tazione di 24,10-12 presentato da D. Römheld, Wege der Weisheit. Die Lehren Amenemopes
und Proverbien 22,17-24,22, Berlin - New York 1989, 41-46 e 89-94, si può vedere la mia
recensione in LA 39 (1989) 308.
80. Per la frase h∂rDx MwøyV;b cf. 25,19; Sir 3,15; 6,7; 22,23 (solo greco: e˙n kairw◊ˆ qli÷yewß);
51,10.12.
81. Come quella di M. Dahood, Proverbs and Northwest Semitic Philology, Rome 1963, 50.
82. Cf. Niccacci, “Proverbi 23,12-25”, 37-38.
70
A. NICCACCI
che sono prostrati, dalla strage” (piuttosto che “i prigionieri portati alla
morte”, come si intende di solito). La radice Kcj si trova connessa con
t‰wD;mIm “dalla morte” (Sal 78,50), tAjDv_yˆ…nIm “dalla fossa” (Gb 33,18). In Sir
51,1-2 è attestata accanto a hdp e a lxn:
51,1b
51,2
yCpn twmm tydp yk Poiché hai liberato dalla morte la mia vita,
tjCm yrCb tkCj hai risparmiato la mia carne dalla fossa
ylgr tlxh lwaC dym e dalla mano dello sheol hai strappato il mio piede.
Il termine MyIfDm è participio dalla radice fwm “vacillare, tremare”, come
in 25,26:
tDjVvDm rwøqDm…w cDÚp√rˆn NÎyVoAm Sorgente fangosa e fonte inquinata
oDv∂r_y´nVpIl fDm qyî;dAx è il giusto che vacilla davanti al malvagio.
Il verbo compare come opposto di “essere stabile” (nifal della radice Nwk:
Prv 12,3; cf. Sal 93,1) e di “abitare la terra” (Prv 10,30). La connessione di
fwm con jql non è attestata altrove ma si comprende, dato che il secondo
termine viene usato nel senso di “catturare, prendere prigioniero” (detto
dell’arca in 1 Sam 4,11.17.19.21.22 e del popolo esiliato in Is 49,25; 52,5)
e anche nel senso di portare via una persona da questo mondo (2 Re 2,9.10;
Is 53,8)83. Perciò altre ipotesi riguardo al senso del termine MyIfDm sembrano
fuori luogo84.
Così inteso il v. 11 è costruito in modo chiastico:
11c
11c
11d
11d
(a)
(b)
(b’)
(a’)
lE…xAh
t‰wD;mAl MyIjüqVl
g®rRhAl MyIfDm…w
JKwøcVjA;t_MIa
In 12e rAmaøt_yI;k va tradotto “poiché se dici”; cioè la congiunzione yI;k introduce la motivazione dell’esortazione precedente, mentre rAmaøt è protasi
83. In Sir 14,14 jql sembra significare “derubare”: rbot la ja jqlhbw “e quando viene
derubato un fratello non passare oltre”, con il seguito: dwmjt la or dwmjw “e un desiderio
(‘cosa desiderata’) cattivo non desiderare”. Un’opinione differente si trova, ad esempio, in
Penar, Northwest Semitic Philology, 44. Segal e altri ritengono corrotto il testo ebraico (conservato nel ms. A) e preferiscono il greco: “e la (tua) parte di desiderio buono non passi via
da te”. Ma il testo di Siracide sembra analogo a quello di Proverbi che stiamo esaminando.
84. Vedi Driver, “Problems”, 188-189; Dahood, Proverbs, 51; Psalms III, 200; cf. McKane.
PROVERBI 23,26–24,22
71
senza particella85; l’apodosi è contenuta in 12f-h. Il v. 12 è infatti un
quadricolon. La particella aølSh di 12f governa anche i due stichi successivi.
La vocalizzazione del TM è difficile da comprendere: …wnVoådÎy_aøl “non
sappiamo”; a chi si riferisce il “noi”?86 BHK e BHS propongono di correggere nella prima persona singolare, com’è nella LXX. Ma il testo ebraico
consonantico è comprensibile se si fa attenzione alla sequenza: NyIbÎy_a…wh //
o∂d´y a…wh (12f-g), in cui Dio è soggetto; lo stesso può essere del primo verbo ody (12e) se si legge: h‰z44…w…nRo∂d´y*_aøl “non lo sa Egli87!” A conferma si può
osservare che la convinzione che “Dio non vede” l’operato dell’uomo è tipica dello stolto o malvagio (Gb 22,13-14; 35,14; Sal 10,11; 73,11).
Per l’epiteto divino twø;bIl NEkOt “Colui che esamina i cuori” (12f // 12g
ÔKVvVpÅn rExOn “Colui che custodisce la tua anima”88) si veda 21,2 e anche 16,2
(twøj…wr NEkOt)89.
85. Come in 10a; vedi anche 23,13-14, cf. Niccacci, “Proverbi 23,12-25”, 34. Rashi attri-
buisce a yI;k valore di “forse”, cioè “se”.
86. “Pluriel de majesté” per Lelièvre - Maillot.
87. Pronome dimostrativo soggetto, al posto del pronome personale: cf. R. Meyer,
Hebräische Grammatik. III: Satzlehre, 3. ed., Berlin 1972, § 93.3. In modo simile analizzano Van der Weiden, Proverbes, 141-142: “Il ne s’occupe sûrement pas de cela!”,
vocalizzando yeda„annô; e Zurro, Procedimientos iterativos, 301 e n. 1891: lo∑-yeda„nû! zeh
“Ese no sabe de nosotros” // hû∑ yäbîn // hû∑ yëda„.
88. Cioè: Colui che la sorveglia come giudice (// “Colui che esamina i cuori”). Questo sen-
so ha rExOn anche nell’appellativo M∂dDaDh rExOn “Custode, Guardiano dell’uomo” che designa Dio
in quanto veglia sull’uomo e lo controlla (Gb 7,20). In ambedue i casi il termine appare
sospetto ad alcuni studiosi (cf. BHK; BHS), ma si può confrontare Prv 16,17b:
wø;k√rå;d rExOn wøvVpÅn rEmOv “preserva la sua vita chi controlla la sua via”. La medesima radice compare come titolo in ugaritico: nçr md„ “il guardiano del seminato” (UT 52,68.69.70.73 =
KTU 1.23: cf. Gordon, Ugaritic Textbook, 175, e § 19.1670; G. Del Olmo Lete, Mitos y
leyendas de Canaán, Madrid 1981, 447-448 e 591). Si può confrontare anche il senso agricolo del termine: ;hÎy√rIÚp lAkaøy hÎnEaV;t rExOn “colui che cura il fico ne mangerà il frutto” (Prv
27,18). Non ritengo perciò giustificata la proposta di M. Dahood, “The Conjunction wn and
Negative ∑î in Hebrew”, UF 14 (1982) 51-54, spec. 51-52, che modifica un’altra precedente
del medesimo autore (M. Dahood, “Further Instances of the Breakup of Stereotyped Phrases
in Hebrew”, in: Studia Hierosolymitana in onore di P. Bellarmino Bagatti, II: Studi
esegetici, Jerusalem 1975, 9-19, spec. 16: “The Watcher of your soul – he knows”).
89. La possibilità che l’immagine dell’esaminare o pesare il cuore dell’uomo derivi dalla
concezione egiziana antica del giudizio è stata difesa, in epoca recente, da A. Niccacci,
“Egitto e Bibbia sulla base della stele di Piankhi”, LA 32 (1982) 7-58, spec. 41-42. Della
medesima opinione sono J.G. Griffiths, “The Idea of Posthumous Judgement in Israel and
72
A. NICCACCI
1.7. Proverbi 24,13-14
13a
13b
14c
14d
14e
bwøf_yI;k vAb√d yˆnV;b_lDkTa
ÔKR;kIj_lAo qwøtDm tRpOn◊w
ÔKRvVpÅnVl hDmVkDj hRo√;d NE;k
tyîrSjAa v´y◊w DtaDxDm_MIa
térD;kIt aøl ÔKVtÎwVqIt◊w
Mangia, figlio mio, il miele perché è buono
e il favo di miele, perché è dolce sul tuo palato.
Così riconosci che la sapienza è per la tua anima!
Se l’hai trovata, ci sarà un futuro per te
e la tua speranza non sarà stroncata.
Lo stico 14c va unito a 13a-b, di modo che si ottiene un tricolon equilibrato e concatenato. Si notino i termini paralleli: vAb√d // tRpOn // hDmVkDj; bwøf //
qwøtDm // NE;k. All’imperativo iniziale lDkTa corrisponde in 14c hRo√;d (cf. Gesenius
- Kautzsch § 48l). Dal punto di vista sintattico gli stichi 13a-14c sono ben
collegati: la congiunzione yI;k (13a) modifica anche qwøtDm (13b); l’avverbio
NE;k (14c) sostituisce bwøf_yI;k // qwøtDm; il sintagma preposizionale ÔKR;kIj_lAo //
ÔKRvVpÅnVl (13b-14c)90 compensa gli elementi in più yˆnV;b_lDkTa (13a).
Schematicamente il tricolon ha la seguente struttura: a-b-c // b’-c’-d // c’’a’-b’’-d’91.
La forma ampliata dell’imperativo hRo√;d, con il medesimo senso “considera, riconosci!”, compare in Sir 31,15-16 accanto alla forma normale:
31,15
KCpnk Kor hod Considera il tuo prossimo come te stesso
tanCC lkbw e su tutto quello che odî rifletti…
Kwmk KorC od Considera che il prossimo è come te…
…Nnwbth
31,16c
Il senso forte dell’imperativo oå;d si vede bene in Prv 3,6 a motivo del
contesto precedente e seguente: “riconoscere” Dio equivale a “temerlo”, si
Egypt”, in: M. Görg (ed.), Fontes atque Pontes. Eine Festgabe für Hellmut Brunner,
Wiesbaden 1983, 186-204, e N. Shupak, “Egyptian Idioms and Imprints in Biblical
Wisdom”, Tarbiz 54 (1985) 479-483, spec. 476-478 (in ebraico). Diversamente da Griffiths
e da Shupak, però, non ritengo che l’espressione biblica escluda il giudizio finale.
90. Anche a motivo di questo parallelismo, non sembra probabile l’analisi di M. Dahood,
“Ugaritic-Hebrew Syntax and Style”, UF 1 (1969) 15-36, spec. 21-22: “So cherish Wisdom
more than your own life”. L’interpretazione “così (= buono // dolce) … per la tua anima” è
confermata dal parallelo 16,24 (citato infra).
91. Si possono ignorare perciò le varie correzioni proposte dagli autori (si vedano BHK e
BHS). P.J. Nel, The Structure and Ethos of the Admonitions in Proverbs, Berlin - New York
1982 56, seguendo Gemser, elimina hRo√;d “metri causa”, e annota che le proposte etimologiche di D.W. Thomas in JTS 38 (1937) 401 non lo soddisfano.
PROVERBI 23,26–24,22
73
oppone a “appoggiarsi sulla propria intelligenza”, o “essere saggi ai propri
occhi”. Significa perciò riconoscerlo per quello che è: il Signore, unico
sovrano. Ecco il testo:
3,5
3,6
3,7
ÔKR;bIl_lDkV;b hÎwh◊y_lRa jAfV;b
NEoDÚvI;t_lAa ÔKVtÎnyI;b_lRa◊w
…whEo∂d ÔKyRk∂r√;d_lDkV;b
ÔKyRtOj√rOa rEÚvÅy◊y a…wh◊w
ÔKy‰nyEoV;b MDkDj yIhV;t_lAa
o∂rEm r…ws◊w hÎwh◊y_tRa a∂r◊y
Confida nel Signore con tutto il tuo cuore
e sulla tua intelligenza non appoggiarti.
In tutte le tue vie riconoscilo
e Lui renderà retti i tuoi sentieri.
Non essere saggio ai tuoi occhi,
temi il Signore e sta’ lontano dal male92!
La connessione tra sapienza e miele si ritrova in 16,24 con terminologia
simile:
MAoOn_yérVmIa vAb√;d_P…wx Favo di miele le parole gentili,
MRxDoDl aEÚp√rAm…w vRp‰…nAl qwøtDm dolce all’anima e guaritore delle ossa.
Il legame tra miele e sapienza compare anche in Sal 19,11 e in Sir 24,20.
Gli stichi 14d-e costituiscono una proposizione condizionale: DtaDxDm_MIa
è protasi, mentre l’apodosi è costituita da tyîrSjAa v´y◊w // térD;kIt aøl ÔKVtÎwVqIt◊w. Si
noti la disposizione chiastica degli elementi: v´y◊w // térD;kIt aøl, tyîrSjAa //
ÔKVtÎwVqIt◊w (a-b // b’-a’). Il suffisso di ÔKVtÎwVqIt modifica anche tyîrSjAa, “un futuro
per te”93.
1.8. Proverbi 24,15-18
15a
15b
16c
16d
17e
17f
qyî;dAx h´w◊nIl oDv∂r bOrTaR;t_lAa Non insidiare come un malvagio l’abitazione
wøxVbîr dé;dAvV;t_lAa
M∂qÎw qyî;dAx lwøÚpˆy oAbRv yI;k
hDo∂rVb …wlVvD;kˆy MyIoDv√r…w
jDmVcI;t_lAa ÔKyVbˆywøa lOp◊nI;b
ÔKR;bIl l´gÎy_lAa wølVvD;kIb…w
del giusto,
non saccheggiare la sua dimora,
poiché sette volte cadrà il giusto ma si rialzerà,
mentre i malvagi inciamperanno nella rovina.
Se cadono i tuoi nemici, non rallegrarti
e se uno inciampa, non gioisca il tuo cuore,
92. Dal parallelismo, “temere il Signore” è l’opposto di “essere saggio ai propri occhi”.
Quest’ultima espressione significa dunque considerarsi indipendenti da Dio, vivere senza
riferimento a Lui.
93. Come in 23,18, cf. Niccacci, “Proverbi 23,12-25”, 38.
74
18g
18h
A. NICCACCI
wyÎnyEoV;b oår◊w hÎwh◊y hRa√rˆy_NRÚp perché il Signore non veda e gli dispiaccia,
wøÚpAa wyDlDoEm byIvEh◊w così allontanerà da sopra di lui la sua ira.
Si ritiene che in 15a il termine oDv∂r sia da sopprimere come glossa (cf. BHK
e BHS) o vada inteso come vocativo (Delitzsch, Barucq)94. Ma, da una parte, la seconda soluzione interromperebbe l’andamento del brano che si rivolge sempre a un “tu”; dall’altra, la sequenza chiastica oDv∂r - qyî;dAx (15a) qyî;dAx (16c) - MyIoDv√r (16d)95 mostra che il testo è ben costruito e perciò sarebbe arbitrario eliminare un termine. In realtà, oDv∂r si può spiegare bene
come accusativo di modo o di paragone: “come (fa) il malvagio”96. Così si
capisce meglio la ripresa che segue: “poiché… i malvagi…” (v. 16).
La coppia h‰wÎn // XRbér (15a-b) compare anche in Is 65,10, mentre in Is
35,7 i due termini si trovano appaiati nello stesso stico. Nei due testi di
Isaia si riferiscono alla dimora di animali, mentre qui e negli altri due casi
di Proverbi designano la casa del giusto (3,33) o del saggio (21,20).
La radice bra si trova costruita con la preposizione lamed anche in 1,18;
Mic 7,2 e Sir 11,30.32; regge invece un accusativo diretto in Prv 12,6, dove
è connessa con oDv∂r come qui; in 1,11.18 è connessa con MyIaDÚfAj “i peccatori”
(cf. 1,10). Le radici bra e ddv si trovano insieme solo in questo passo.
I due verbi lwøÚpˆy e M∂qÎw (16c) possono anche essere intesi come proposizione condizionale senza particella nella protasi: “poiché, anche se cadrà… si
rialzerà”; quanto al senso si oppongono a …wlVvD;kˆy che designa la sorte dei
malvagi (16d). Per “sette volte”, indicato con il solo numerale, si confronti
Sal 119,164 e Gb 5,19 (6/7 volte)97. Sul cadere momentaneo del giusto si
veda anche Sal 37,24 (Dio lo aiuta), e soprattutto 20,9:
94. Così anche D.E. Smith, “Wisdom Genres in RS 22.439”, in: L.R. Fisher (ed.), Ras
Shamra Parallels, II: The Texts from Ugarit and the Hebrew Bible, Roma 1975, 233,
McKane e in genere gli interpreti giudaici tradizionali (Ralbag, Mezudat David, Mezudat
Sion e Malbim).
95. Sequenza notata anche da Zurro, Procedimientos iterativos, 211, che la chiama
“repetición cruzada (ABBA)”, e annota che il medesimo tipo di quartina compare in Sal
1,5-6; 37,16-17; Prv 15,27-29.
96. Così la Revised Standard Version: “as a wicked man”, accettata da Whybray. A diffe-
renza di altri interpreti giudaici tradizionali (nota 94), Ibn Ezra non intende oDv∂r come
vocativo; egli fornisce due interpretazioni che sono simili a quella presentata qui: “Non
desiderare per il malvagio che insidi l’abitazione del giusto. Altra spiegazione: Non insidiare con il malvagio il giusto per ucciderlo”.
97. E’ una “numerical hyperbole” (Watson, Classical Hebrew Poetry, 320).
PROVERBI 23,26–24,22
75
…wlDpÎn◊w …wo√rD;k hD;mEh Essi si sono piegati e cadranno,
d∂dwøoVtˆ…nÅw …wnVmå;q …wnVjÅnSaÅw mentre noi ci siamo alzati per riprendere coraggio.
Le radici lpn e lvk compaiono nell’ordine seguente: lpn (16c) - lvk
(16d) // lpn (17e) - lvk (17f), cioè nella sequenza a-b // a-b. Esse creano
una connessione letteraria tra il quadricolon dei vv. 15-16 e quello dei vv.
17-18. Altrove le medesime radici si trovano insieme in parallelismo (Is
3,8; 8,5; 31,3) o appaiate nel medesimo stico (Ger 46,6.12.16; 50,32; Sal
27,2; Dn 11,19)98, sempre comunque nell’ordine: prima “inciampare”, poi
“cadere”. Poiché qui per due volte precede “cadere”, “inciampare” viene
inteso come qualcosa che necessariamente porta alla rovina.
Secondo il testo consonantico, al plurale ÔKyRb◊yOa (17e) corrisponde un
pronome suffisso singolare (17f). Per appianare questo problema il qere
suggerisce di leggere “il tuo nemico”, al singolare (ÔKVbˆywøa), e gli autori normalmente lo seguono. Ma il passaggio brusco dal plurale al singolare non
è senza paralleli nella poesia ebraica e può essere compreso come una forma di “parallelismo grammaticale”99. Casi analoghi sono: Prv 4,22
(MRhyEaVxOmVl // wørDcV;b_lDkVl…w “per tutti quelli che li trovano // e per tutto il suo
corpo”, cioè di ognuno) e Gb 18,5-6 (MyIoDv√r “i malvagi” / wøÚvIa “il suo fuoco” / wølFhDaV;b “nella sua tenda”, ecc.).
In 17e-f la preposizione bet + infinito equivale in ambedue i casi a una
protasi. I due sintagmi preposizionali rivestono una certa enfasi per il fatto
di essere posti in prima posizione100. Nella coppia jDmVcI;t_lAa // ÔKR;bIl l´gÎy_lAa
si nota il parallelismo “tu // tuo cuore”, come in 23,17-18 e in 5,12 (per la
prima persona). La stessa coppia di verbi si trova in 23,24-25101.
98. Cf. Y. Avishur, Stylistic Studies of Word-Pairs in Biblical and Ancient Semitic
Literatures, Neukirchen-Vluyn 1984, 268.
99. Cf. A. Berlin, The Dynamics of Biblical Parallelism, Bloomington 1985, cap. III. Per-
ciò sembra improbabile la proposta di intendere la seconda yod come desinenza del genitivo
conservata: cf. M. Dahood, “The Phoenician Contribution to Biblical Wisdom Literature”,
in: W.A. Ward (ed.), The Role of the Phoenicians in the Interaction of Mediterranean
Civilizations. Papers Presented to the Archaeological Symposium at the American
University of Beirut, Beirut 1968, 123-146, spec. 137. E’ un fenomeno grammaticalestilistico che nomina prima la categoria, poi ciascun componente. Si può consultare A.
Niccacci, Un profeta tra oppressori e oppressi. Analisi esegetica del capitolo 2 di Michea
nel piano generale del libro, Jerusalem 1989, 15 (Mic 2,5).
100. Come
lyIsVk y´n◊zDaV;b “alle orecchie dello stolto” in 23,8 (“Proverbi 22,17-23,11”, 59).
101. Cf. Niccacci, “Proverbi 23,12-25”, 41.
76
A. NICCACCI
L’idea che rallegrarsi della disgrazia altrui è male agli occhi di Dio (18g)
compare altrove: Abd 12-15 (non rallegrarti del male altrui, perché altri si
rallegreranno del tuo); Prv 17,5; Gb 31,29 (giuramento di non averlo fatto). Il testo più vicino è Mic 7,8a, dove troviamo diversi termini comuni
con Prv 24,16-17:
7,8
yIl yI;tVbÅyOa yIjVmVcI;t_lAa Non rallegrarti, mia nemica, su di me,
yI;tVm∂q yI;tVlApÎn yI;k perché se sono caduto, mi sono rialzato102.
Gli stichi 18g-h non presentano difficoltà grammaticali ma di senso. Far
tornare indietro l’ira di Dio da sopra il popolo è un merito attribuito a
Pinhas (Nm 25,11) e anche a Mosè (Sal 106,23). Bisognerà spiegare il senso di quella motivazione piuttosto strana nel contesto della sapienza (§ 3.9).
1.9. Proverbi 24,19-22
19a
19b
20c
20d
21e
21f
22g
22h
MyIoérV;mA;b rAjVtI;t_lAa
MyIoDv√rD;b a´…nåqV;t_lAa
o∂rDl tyîrSjAa h‰yVhIt_aøl yI;k
JKDo√dˆy MyIoDv√r r´n
JKRlRmÎw yˆnV;b hÎwh◊y_tRa_a∂r◊y
b∂rDoVtI;t_lAa Myˆnwøv_MIo
M∂dyEa M…wqÎy MOaVtIp_yI;k
oédwøy yIm MRhy´nVv dyIp…w
Non adirarti per i malfattori
e non indignarti per i malvagi,
poiché non ci sarà futuro per il cattivo,
la lampada dei malvagi si spegnerà.
Temi il Signore, figlio mio, e il re
e con gli alti ufficiali non immischiarti,
poiché all’improvviso sorgerà la loro rovina
e la sventura di loro due, chi la conosce103?
A motivo del parallelismo con rAjVtI;t (19a), a´…nåqV;t (19b) ha il senso di “indignarsi” (// “adirarsi”), come in Sal 37,1.7.8, a differenza di Prv 23,17; 24,1
e 3,31, dove significa “invidiare” (§§ 3.3; 3.10).
Il termine tyîrSjAa (20c) compare qui insieme con r´n “lampada” (20d);
nel v. 14 insieme con hÎwVqI;t “speranza”. L’idea che non c’è futuro (tyîrSjAa)
102. La protasi è senza particella, come in Prv 24,16 e anche prima (24,10.12; § 1.5).
103. La LXX ha qui cinque versetti assenti nel TM: “(22a) Custodendo la parola un figlio
sfuggirà alla rovina / (se) l’ha accolta davvero. / (22b) Nessuna menzogna da una lingua al
re venga detta, / affinché nessuna falsità mai esca dalla sua lingua. / (22c) Una spada è la
lingua del re e non umana, / chiunque sia consegnato (ad essa) sarà fatto a pezzi. / (22d)
Qualora venga provocata la sua ira, / con corde egli distrugge gli uomini, / (22e) divora le
ossa degli uomini e le brucia come fiamma, / al punto da essere immangiabili persino per i
piccoli delle aquile”.
PROVERBI 23,26–24,22
77
per il cattivo compare anche in Sal 37,38; Sir 16,3c (hbwf tyrja “un buon
futuro”); Qo 8,13 (bwøf “il bene”). Parecchi testi parlano della lampada dei
malvagi che si spegne: Prv 13,9; 20,20; Gb 18,5; 21,17.
Dal punto di vista stilistico gli stichi 19a-20d sono collegati mediante
una disposizione simmetrica degli elementi chiave: MyIoérVm (a) / MyIoDv√r (b) /
o∂r (a’) / MyIoDv√r (b’)104.
Le difficoltà si concentrano su 21f. BHK e BHS le risolvono adottando
la lezione della LXX: kai« mhqete÷rwˆ aujtw◊n aÓpeiqh/shØß “e a nessuno dei
due non disobbedire!”; ma il testo ebraico non è conciliabile con essa. Ora
l’enigmatico Myˆnwøv è stato spiegato in modo soddisfacente come “nobili,
persone di alto rango”105; d’altra parte b∂rDoVtI;t_lAa si può intendere bene nel
senso di “non immischiarti”.106 Le coppie parallele dei due stichi sono perciò le seguenti: a∂r◊y // b∂rDoVtI;t_lAa e JKRlRmÎw …hÎwh◊y_tRa // Myˆnwøv_MIo, secondo lo
schema chiastico a-b // b’-a’.
104. Notata da Zurro, Procedimientos iterativos, 225.
105. Cf. Dahood, Psalms II, 116 (sotto Sal 65,12, con indicazione dei testi dove compare la
medesima radice e bibliografia). La radice ebraica è stata collegata con l’arabo saniya da
D. Winton Thomas, “The Root hnv = saniya in Hebrew”, ZAW 52 (1934) 236-238, e poi
con l’ugaritico ånt, che sarebbe presente in UT 127:57-58 (Gordon, Ugaritic Textbook, 194)
= KTU 1.16 VI 58. Nel glossario Del Olmo Lete, Mitos y leyendas de Canaán, 631, s.v. ånt
III, presenta la cosa in forma dubitativa, mentre nel testo traduce con “anni” (p. 323). Il
termine Myˆnwøv può essere in relazione con un titolo militare åny in fenicio (Z. Harris, A
Grammar of the Phoenician Language, New Haven 1936, 152; R.S. Tomback, A Comparative Semitic Lexicon of the Phoenician and Punic Languages, Missoula, Mont. 1978, 327),
e con il titolo militare egiziano snn che indica un soldato montato su carro: cf. W. Helck,
Die Beziehungen Ägyptens zu Vorderasien im 3. und 2. Jahrtausend v. Chr., 2 ed.,
Wiesbaden 1971, 568, no. 195. Da parte loro, B. Cutler - J. Macdonald, “The Unique
Ugaritic Text UT 113 and the Question of ‘Guilds’ ”, UF 9 (1977) 13-30, pensano che il
titolo indichi per sé dei pastori che potevano venire arruolati come militari. La tradizione
giudaica propone sensi differenti per Myˆnwøv, e cioè: “dualists, who say that there are two
powers [governing the world]” (Rashi); “those different – those who differ from the rest of
the populace in their evil deeds”, a motivo delle loro cattive azioni (Ibn Ezra); “dissenters;
those who wish to change the commandments of both God and the king, and to follow their
own whims” (Mezudat David): cf. Rosenberg (ed.), Miqra’ot Gedolôt. Proverbs, 150.
106. W.A. van der Weiden, “Radix hebraica „rb”, VD 44 (1966) 97-104, studia la radice
bro nel senso di “entrare” alla luce dell’ugaritico; si veda anche Dahood, Psalms III, 47
(sotto Sal 104,34); “Hebrew-Ugaritic Lexicography VII”, Bib 50 (1969), 337-356, spec.
354. In Proverbi bro “entrare” compare all’hitpael anche in 14,10 (nel senso di “intromettersi”, costruito con la preposizione bet della cosa); 20,19 (“immischiarsi”, costruito con
lamed); al qal in 3,24 (“entrare, arrivare”: cf. Ger 31,26).
78
A. NICCACCI
Gli elementi paralleli di 22g-h sono i seguenti: (a-a’) M…wqÎy MOaVtIp //
oédwøy yIm e (b-b’) M∂dyEa // MRhy´nVv dyIp…w. Il parallelismo della seconda coppia si
comprende meglio notando che oédwøy yIm “chi lo sa?” significa: nessuno sa!
e perciò equivale a “all’improvviso”107. La disposizione degli elementi è
dunque chiastica (a-b // b’-a’). Si noti inoltre l’assonanza e il gioco di parole di Myˆnwøv (21f) e MRhy´nVv (22h), e di MOaVtIp (22g) e dyIp (22h). Questo fenomeno stilistico conferma la compattezza del testo108.
Il parallelismo M∂dyEa // MRhy´nVv dyIp…w suggerisce di intendere allo stesso
modo il pronome suffisso, cioè con valore di genitivo soggettivo: la sventura che essi // loro due provocano109. In base al contesto è del tutto improbabile intendere “la rovina (che cadrà su) di loro // su ambedue”, cioè sul
107. J.L. Crenshaw, “The Expression mî yôdëa in the Hebrew Bible”, VT 36 (1986) 274288 traduce: “and destruction from those of high rank, who knows?” (p. 279). Il senso negativo di “chi lo sa?”, in base alle attestazioni che abbiamo, è tipico dei testi sapienziali
(Prv 24,22; Qo 2,19; 3,21; 6,12; 8,1), ma sembra almeno dubbio che esso voglia significare
la fine di ogni speranza, come ritiene Crenshaw: “The door of hope has been firmly shut”
(p. 285). Preferisco intendere che la sapienza, anche quella più antica e quella detta talvolta
“dommatica”, è profondamente cosciente che Dio è sempre sovranamente libero nel governo del mondo, non è prigioniero delle leggi che Egli stesso ha posto nella natura. E’ perciò
imprevedibile, anche se non viene raccomandato il terrore ma il “timore” di Lui. Il re, in
quanto rappresentante di Dio sulla terra, viene associato all’imprevedibilità di Dio, e quindi
anche lui e i suoi associati bisogna temere. Neppure mi sembra giustificata la conclusione
che Crenshaw trae (che del resto sembra troppo ampia rispetto alle premesse, che sono la
semplice espressione “chi lo sa?” !): si manifesterebbe un’opposizione tra iniziativa umana,
o esperienza, e rivelazione divina. Al contrario nella sapienza, anche nel libro di Giobbe,
l’esperienza umana è rivelazione divina attraverso il creato; non c’è conflitto alcuno tra le
due, almeno finché l’uomo si lascia guidare dal “timore di Dio” nella sua esperienza. Su
questi problemi si può vedere il mio volume La casa della sapienza. Voci e volti della sapienza biblica, Cinisello Balsamo (Milano) 1994, spec. 137-176
108. E’ il fenomeno che Berlin ha chiamato “parallelismo fonologico”, sottolineando giustamente che il parallelismo non si esaurisce nel livello semantico: occorre tener presente
quello grammaticale, lessicale (“coppie di termini paralleli”), semantico (di tipo tradizionale) e quello appunto fonologico (“coppie sonore”): cf. Berlin, The Dynamics, capp. III-V.
A.R. Ceresko, “The Chiastic Word Pattern in Biblical Hebrew”, CBQ 38 (1976) 303-311,
p. 311, esamina Prv 24,21-22 tra gli esempi dello schema A:B :: B:A con gioco di parole:
“åônîm ‘arrogance’ : pit∑öm ‘suddenly’:: ûpîd ‘disaster’ : åenêhêm ‘both of them’”.
109. E’ ingiustificato leggere una seconda volta Myˆnwøv invece di MRhy´nVv in 22h, come suggeriscono BHK e BHS. Altri (Delitzsch; McKane) interpretano Mhynv come “i loro anni”; ma
questo non tiene conto del parallelismo con M∂dyEa che, per quanto unico, è certo: si confronti
il parallelismo dyIp “sventura” // o∂r “male” in Gb 31,29.
PROVERBI 23,26–24,22
79
re e sui nobili110. Al contrario, sia Dio e il re che i nobili (o le persone di
alto rango dell’amministrazione) sono pericolosi, perché la loro ira devastante è improvvisa e imprevedibile e perciò bisogna temerli e comportarsi
con cautela nei loro riguardi.
Si noti che Dio e il re sono nominati in coppia sindetica e reggono lo
stesso verbo come un’unità. In altri passi di Proverbi si manifesta una considerazione del tutto speciale per il re: 14,35; 16,10.12-15 (§ 3.10); 19,12;
20,2.26; 22,11; 25,2.3.5.6; 29,4.14, ecc. Una connessione altrettanto stretta
del re con Dio compare soprattutto in Sir 7,4 (la // Klm “Dio // re”)111.
2. Analisi della composizione
2.1. Stile
Dal punto di vista formale, e quindi sulla base dei generi letterari dominanti, che sono l’istruzione e il detto sapienziale, la sezione 23,26–24,22
comprende le seguenti unità:
23,26 introduzione e ammonizione implicita (§ 2.2.1);
23,27-28 motivazione introdotta da yI;k;
110. Invece in Prv 6,15 l’espressione wødyEa awøbÎy MoaVtIÚp “all’improvviso verrà la sua rovina”
indica la sciagura che verrà sul malvagio stesso (genitivo oggettivo, // “e sarà spezzato senza che alcuno guarisca”), non quella provocata da lui.
111. Non è da seguire perciò la proposta di J.A. Emerton, “Notes on Some Passages in the
Book of Proverbs”, JThS 20 (1969) 201-220, di leggere *ûmelök invece di JKRlRmÎw: “and thou
wilt rule” (pp. 209-211). Non è da seguire neppure l’opinione di P. Humbert, Recherches
sur les sources égyptiennes de la littérature sapientiale d’Israël, Neuchâtel 1929, 134, secondo il quale in Sir 7,4, a motivo del parallelismo con Klm, il termine la debba essere riferito al re e che questo sarebbe un riflesso della concezione egiziana della divinità dei re.
Credo piuttosto che quel parallelismo sia segno di un onore speciale che compete al re in
quanto luogotenente di Dio sulla terra. In questo, come in altri campi, Siracide è figlio diretto di Proverbi (cf. J.T. Sanders, Ben Sira and Demotic Wisdom, Chico, Cal. 1983, 65). A
differenza della concezione vicino-orientale antica, specialmente egiziana, Israele non ha
mai accolto il dogma della divinità del re: egli è solo figlio adottivo di Dio. Si può consultare Niccacci, “Egitto e Bibbia”, 20-21.27-28. Si confronti un proverbio sumerico-accadico:
“When you have seen the profit of reverencing (your) god and salute the king, you will
praise (your) god and salute the king” (“Proverbs” iv. 24-26, cf. Lambert, Babylonian
Wisdom Literature, 233). Lambert commenta: “Cf. Ludlul II. 26-28 and note for the idea of
profit in religion, and the juxtaposition of the king and god” (ibid.).
80
A. NICCACCI
23,29-35 enigma e soluzione (sei domande e due risposte) con funzione di introdurre l’argomento del bevitore (vv. 29-30), ammonizione con lAa
e yiqtol iussivo (v. 31), motivazione asindetica (senza alcuna particella di
collegamento) sulle conseguenze rovinose del bere (vv. 32-35);
24,1-2 ammonizione, due volte con lAa e yiqtol iussivo (v. 1) e motivazione introdotta da yI;k (v. 2);
24,3-6 detto sulla sapienza che reca prosperità familiare (vv. 3-4) e vittoria in guerra (vv. 5-6);
24,7-9 detto sulla falsa sapienza o stoltezza che non permette di aprir
la bocca alla porta (v. 7) e attira il rifiuto della gente (vv. 8-9);
24,10-12 situazione (v. 10), esortazione (v. 11) e motivazione introdotta da yI;k (v. 12);
24,13-14 esortazione (vv. 13-14c) e motivazione con MIa (v. 14d-e);
24,15-16 ammonizione, due volte con lAa e yiqtol iussivo (v. 15), motivazione introdotta da yI;k (v. 16)112;
24,17-18 ammonizione, due volte con lAa e yiqtol iussivo (v. 17), motivazione con NRÚp (v. 18);
24,19-20 ammonizione, due volte con lAa e yiqtol iussivo (v. 19), motivazione introdotta da yI;k (v. 20);
24,21-22 esortazione con imperativo e ammonizione con lAa e yiqtol
iussivo (v. 21), motivazione introdotta da yI;k (v. 22).
La sezione 23,26-24,22 non si presenta così compatta dal punto di vista formale come le due precedenti (22,17–23,11; 23,12-25).
2.2. Vocabolario
Una volta identificate, in base al genere letterario, le unità che compongono la sezione 23,26–24,22, è necessario scoprire i rapporti delle unità stesse fra di loro mediante l’esame del vocabolario e della sintassi. Questo
esame è tanto più necessario in quanto questa sezione è particolarmente
varia e presenta problemi di interpretazione.
2.2.1. Prv 23,26-28
I commentatori prendono questi versetti come un’unità. Manca però un’ammonizione esplicita, altrove sempre presente, dato che il v. 26 è l’introduzione e i
112. Si veda l’analisi di Smith, “Wisdom Genres”, 228-229.
PROVERBI 23,26–24,22
81
vv. 27-28 la motivazione. Delitzsch ha individuato il collegamento tra il v. 26 e
il v. 27 nell’opposizione tra le “vie” della sapienza e le “vie” della prostituta
(cf. 7,24-27). Analoga connessione di motivi si riscontra nei seguenti passi:
2,1-11 (vantaggi di ascoltare il maestro di sapienza) + 12-15 (“per salvarti dalla via del cattivo…”) + 16-19 (“per salvarti dalla donna straniera…”) + 20-22 (“perché tu vada per la via dei buoni…”);
6,20-23 (“conserva l’insegnamento di tuo padre…”) + 24 (“per custodirti dalla donna malvagia…”);
7,1-4 (“figlio mio, custodisci le mie parole…”) + 5 (“per custodirti dalla donna straniera…”).
Ancora più simile è 5,1-3:
5,1-3
23,26-28
Figlio mio, ascolta la mia sapienza
Porgi, figlio mio il tuo cuore verso
di me
e i tuoi occhi le mie vie gradisca-
e alla mia intelligenza porgi il tuo
no,
orecchio
per custodire i consigli
e perché la conoscenza le tue labbra
conservino,
poiché miele stillano le labbra della
straniera
ed è morbido più dell’olio il suo palato.
poiché una fossa profonda è la
prostituta
e un pozzo stretto è la straniera.
È chiaro perciò che l’ammonizione è implicita nell’introduzione 23,26
e i vv. 27-28 sono la vera motivazione.
2.2.2. Prv 23,29-35
È un brano lontano dalla struttura rigida che l’istruzione presenta nella collezione III. Gli elementi essenziali sono però riconoscibili, benché fusi in
un complesso vivace e colorito113. I vv. 29-30 (enigma, risposta) presentano la situazione o il caso (l’ubriaco) in un modo adatto ad attirare l’attenzione del discepolo; il v. 31 è chiaramente l’ammonizione; i vv. 32-35
fungono da motivazione, descrivendo le conseguenze dell’ubriachezza. La
coppia “i tuoi occhi // il tuo cuore” richiama l’introduzione (23,26), ma è
connessa con un contenuto opposto.
113. Si confronti l’analisi di Smith, “Wisdom Genres”, 215-247, spec. 233.
82
A. NICCACCI
2.2.3. Prv 24,1-2
La radice anq, con bet davanti al complemento, collega 24,1 (a´…nåqV;t_lAa
hDo∂r44yEv◊nAaV;b) con 23,17 (MyIaDÚfAjA;b44ÔKV;bIl44a´…nåq◊y_lAa) e con 24,19 (MyIoDv√rD;b44a´…nåqV;t_lAa).
Su come valutare questi richiami a livello di composizione e di senso si
veda il § 2.2.10.
2.2.4. Prv 24,3-6
A partire dal v. 3 fino al v. 12 regna grande incertezza circa la suddivisione
delle unità minori. Basta confrontare alcuni commentari per rendersene
conto. Ad esempio, per BHK le unità sono: vv. 3-7 e 8-9; per BHS: vv. 34, 5-6 e 7-9. Tre autori recenti che contano 30 detti in Prv 22,17-24,22
(Scott, McKane, Whybray), sono d’accordo nel suddividere: vv. 3-4 = 20˚
detto, vv. 5-6 = 21˚, v. 7 = 22˚, vv. 8-9 = 23˚, v. 10 = 24˚, vv. 11-12 = 25˚.
A mio parere, se si lascia da parte la necessità di contare 30 detti (cf.
conclusione), e invece si presta attenzione alle indicazioni letterarie del testo (grammatica, vocabolario e senso), è possibile giungere a una sistemazione soddisfacente.
I collegamenti grammaticali e lessicali dei vv. 3-6 si possono indicare
nel modo seguente:
˙okmâ
// bi-tbûnâ
3-4 be5
˙äkäm //
∑îå da„at
6 be- ta˙bulôt // be-rôb yô„ëß
// be-da„at
„ôz
// köa˙
mil˙ämâ // teåû„â
Nei vv. 3-4 gli astratti “sapienza - conoscenza” sono connessi con bet;
nel v. 5 diventano termini concreti “saggio - sapiente (‘uomo di conoscenza’)”; nel v. 6 ritroviamo due bet connessi con termini sinonimi astratti
“piani - consiglio”. La coppia “potenza - forza” del v. 5 è connessa concettualmente con “guerra - vittoria” del v. 6. Risultano perciò tre strofe ben
collegate tra loro: vv. 3-4, 5 e 6.
Dal punto di vista formale non si tratta di un’istruzione ma di un detto
sapienziale, poiché esso presenta affermazioni, non lo schema ammonizione o esortazione e motivazione (il yI;k del v. 6 non è causale ma enfatico:
§1.4).
Qual è la funzione di questo detto sapienziale in una raccolta di istruzioni? Il genere dell’istruzione comprende talvolta delle affermazioni, non
PROVERBI 23,26–24,22
83
però indipendenti ma inserite funzionalmente nella sua struttura. Il loro
compito è triplice: nell’introduzione all’istruzione, enumerare i vantaggi
dell’insegnamento del maestro (ad es. 22,18-21)114; in un’istruzione di tipo
casuistico, presentare la situazione dell’istruzione stessa (cf. 23,1; 23,2930: § 2.2.2); oppure, nella motivazione, spiegare le ragioni dell’ordine o
della proibizione (cf. 23,5; 23,7-8; 23,32-35: § 2.2.2). Il compito di 24,3-6
è il primo; enumera infatti i vantaggi della sapienza: prosperità familiare
(vv. 3-4), forza e vittoria (vv. 5-6).
2.2.5. Prv 24,7-9
La connessione di questi tre versetti è assicurata dal vocabolario: hD;mˆz del
v. 9 si collega a twø;mˆzVm del v. 8; tRl‰…wIa del v. 9 richiama lyˆwTa del v. 7. La connessione lessicale è confermata dal senso; infatti il primo stico di ogni versetto nomina un atteggiamento dello stolto e il secondo una reazione da
parte della società:
(Atteggiamento)
(Reazione)
7 I coralli sono per l’empio
somma sapienza
8 Chi pensa a fare il male,
9 Macchinazione dell’empio è il
peccato
(ma) nella porta non apre la bocca.
lui macchinatore chiamano.
e abominazione per l’uomo è il
beffardo.
Come in 24,3-6 si tratta perciò anche qui di un’unità con tre strofe collegate fra loro: vv. 7, 8 e 9. Troviamo anche qui non un’istruzione ma un
detto, che questa volta ha lo scopo di mostrare gli svantaggi di scegliere
non la sapienza vera ma quella falsa. Funge perciò da motivazione dei vv.
1-2; d’altra parte ad esso si collega il v. 10 (§ 2.2.6).
2.2.6. Prv 24,10-12
Il v. 10 viene spesso corretto (cf. § 1.5). Scott, McKane e Whybray lo staccano dai due versetti che seguono. Il senso di “se sei rimasto inerte nel gior-
114. Per la prima sezione della collezione III, si vedano i passi classificati come “motivazione descrittiva”, cf. Niccacci, “Proverbi 22,17-23,11”, 47-48.
84
A. NICCACCI
no della prova, / poca è la tua forza!” si comprende prestando attenzione al
vocabolario: hDkRjO;k rAx di 10b si oppone a AjO;k_XR;mAaVm del v. 5. L’espressione
richiama perciò la connessione tra sapienza e forza affermata nei vv. 5-6.
Se “poca è la tua forza”, tu non sei saggio, poiché “l’uomo saggio è forte /
e il sapiente aumenta la potenza” (v. 5).
Il v. 10 ricapitola perciò il detto sulla sapienza collegata alla forza e lo
applica a un caso concreto. Dal punto di vista della struttura dell’istruzione, il v. 10 serve a presentare la situazione a cui si collega poi l’esortazione e la motivazione dei vv. 11-12.
2.2.7. Prv 24,13-14
Gli stichi 13a-14c formano un tricolon equilibrato e ben connesso (§ 1.6).
Il testo appare in ordine e le varie correzioni proposte superflue. Da un lato,
l’esame critico letterario di Richter sui “doppioni” 23,18 e 24,14b non ha
potuto decidere quale dei due passi sia originario e quale secondario115;
dall’altro, la formulazione analoga delle due motivazioni attribuisce lo stesso risultato (futuro // speranza duratura) a due realtà diverse: non invidiare
i malvagi ma i timorati del Signore in 23,17-18; trovare la sapienza in
24,14. Inoltre ricompare qui il termine hDmVkDj (14c) in connessione con i
vantaggi: la sapienza è buona e dolce per l’anima del discepolo.
2.2.8. Prv 24,15-16 + 17-18
L’istruzione è caratterizzata dal vocabolario oDv∂r - qyî;dAx - qyî;dAx - MyIoDv√r, che
dà la chiave per comprendere il testo (§ 1.7). D’altra parte in 23,17-18 (di
cui nel paragrafo precedente abbiamo già notato le connessioni con
24,14)116 l’acquisizione della sapienza da parte del discepolo è connessa,
nell’ambito della medesima istruzione, all’invito a non invidiare i peccatori. Una connessione analoga è presente tra le due istruzioni 24,13-14 (“così
riconosci che la sapienza è per la tua anima”) e 24,15-16 (“non insidiare
come un malvagio l’abitazione del giusto…”) (§ 2.3).
115. W. Richter, Recht und Ethos. Versuch einer Ortung des weisheitlichen Mahnspruches,
München 1966, 18-19.
116. Cf. Niccacci, “Proverbi 22,17-23,11”, 44-45, § 2.2.2.
85
PROVERBI 23,26–24,22
L’istruzione 24,17-18 è collegata con 24,15-16 mediante le radici lpn /
/ lvk “cadere // inciampare” e i termini hDo∂r - oår “male” (§ 1.8). Non è
esplicita qui l’opposizione di tipo religioso “malvagio - giusto”, ma il senso dell’istruzione riconduce ad essa (§ 3.9). Dal punto di vista concettuale,
l’espressione “perché il Signore non veda e gli dispiaccia…” (v. 18) richiama “forse Colui che esamina i cuori non comprenderà… / e non renderà
all’uomo secondo il suo operato?” (v. 12).
I collegamenti lessicali di 24,15-18 possono essere evidenziati nel modo
seguente:
15a
16c
16d
oDv∂r
17e
17f
18g
ÔKyVbˆywøa
qyî;dAx
qyî;dAx
MyIoDv√r
hDo∂rVb
…wlVvD;kˆy
lOp◊nI;b
wølVvD;kIb
oår
2.2.9. Prv 24,19-20 + 21-22
Sono due istruzioni complete e distinte, ma dal punto di vista letterario
collegate tra loro. Alla luce di 23,17-18 sono collegate anche con 24,1, com’è indicato nel seguente diagramma:
23,17-18
24,1-2
24,19-20
Non invidi (a´…nåq◊y_lAa)
il tuo cuore
i peccatori
Non invidiare (a´…nåqV;t_lAa)
i malvagi
e non desiderare
di essere con loro
poiché distruzione
mediterà il loro cuore
e calamità le loro labbra
parleranno.
Non adirarti per i malfattori
e non indignarti (a´…nåqV;t_lAa)
per i malvagi
poiché non ci sarà futuro
per il cattivo,
la lampada dei malvagi
si spegnerà.
24,21-22
ma i timorati del
Signore ogni giorno
poiché certo
c’è un futuro per te
e la tua speranza
non sarà stroncata.
Temi il Signore, figlio mio,
e il re
e con gli alti ufficiali
non immischiarti,
poiché all’improvviso
sorgerà la loro rovina
e la sventura di loro due,
chi la conosce?
86
A. NICCACCI
Questi collegamenti significano che la pericope 24,1-22 è inclusa dal
parallelismo 24,1-2 // 24,19-20 + 21-22. Questa osservazione è importante poiché fornisce un criterio letterario per comprendere la composizione
del brano.
2.3. Composizione complessiva
In conclusione la sezione 23,26–24,22 si compone di tre parti: 1) 23,2628; 2) 23,29-35; 3) 24,1-22.
1) 23,26-28 tratta della prostituta. È una istruzione con ammonizione
implicita.
2) 23,29-35 riprende in parte l’argomento di 23,19-21 (il bere), ma
con vocabolario e visuale diversi (§ 3.2). Dal punto di vista formale il
brano è ben composto. Si apre e si chiude con una serie di domande; varia lo schema dell’istruzione presentando una descrizione vivace dell’argomento.
3) 24,1-22 è un brano complesso ma ben definito. La pericope 23,1518 è importante per comprendere la composizione e il senso di 24,1-22.
Dall’esame del vocabolario è risultato che il brano riceve compattezza
mediante l’inclusione che lega le istruzioni estreme (24,1-2 // 24,19-20 +
21-22; § 2.2.9). I molteplici richiami di vocabolario che abbiamo notato
nelle singole parti suggeriscono che non si tratta di un fenomeno casuale
ma voluto117.
Nel suo interno, dopo l’istruzione 24,1-2, la pericope presenta due detti che enumerano rispettivamente i vantaggi della vera sapienza e gli svantaggi di quella falsa (24,3-6 e 7-9). Al primo di questi detti si collega
espressamente l’istruzione 24,10-12 (dovere di intervenire in favore degli
oppressi). L’istruzione 24,13-14 ritorna sull’argomento della sapienza e
ne inculca a sua volta i vantaggi. Ad essa sembra collegata l’istruzione
24,15-16 (non insidiare il giusto) e anche 24,17-18 (non godere della disgrazia del nemico), che è strettamente collegata alla precedente riguardo
al vocabolario.
La struttura complessiva di 24,1-12 si può schematizzare come
segue:
117. Questa conclusione contraddice quanto afferma Whybray 1994, 351.
87
PROVERBI 23,26–24,22
a) 1-2 istruzione
anq + bet + hDo∂r yEv◊nAa
b) 3-6 detto
hDmVkDj
AjO;k_XR;mAaVm
7-9 detto
twømVkDj
c) 10-12 istruzione (applicazione) hDkRjO;k rAx
b’) 13-14 istruzione hDmVkDj
c’) 15-16 istruzione (applicazione)
lpn //
17-18 istruzione (applicazione)
lpn //
a’) 19-20 istruzione anq + bet + MyIoérVm // MyIoDv√r
21-22 istruzione hÎwh◊y_tRa_a∂r◊y
lvk, hDo∂r
lvk, oår
3. Esegesi
3.1. Proverbi 23,26-28
Il tema della prostituta come tentazione per la buona formazione del giovane compare solo qui nella collezione III di Proverbi, mentre è sviluppato
nella collezione I (2,16-19; 5,3-6; 6,24-34; 7,5-27); nella collezione II è
solo accennato (22,14)118.
Chi è la “donna straniera - forestiera” che viene presentata come sinonimo di “prostituta” (§ 1.1)? Il senso di h∂rÎz44hDÚvIa va ricercato “nello sfondo
della letteratura sapienziale che concepisce la vita di ogni giorno e le norme vigenti in essa come derivanti dalla Torah di Yhwh e le assoggetta alla
conoscenza data da Dio. Perciò lo zär è l’‘altro’, colui che è fuori della
comunità e non uno della cerchia del pio”119.
La “straniera - forestiera” è perciò tale non quanto all’origine ma al
comportamento, sia essa adultera, cioè sposa di un altro, o prostituta di pro-
118. Paralleli egiziani e mesopotamici sulla prostituta sono elencati in Römheld, Wege der
Weisheit, 54 n. 46, e quelli su vino e prostitute come pericolo del giovane, ibid. p. 57
n.54.
119. L.A. Snijders, “The Meaning of
rz in the Old Testament”, OTS 10 (1954) 1-154, spec.
60-110 nella letteratura sapienziale. Alla citazione qui sopra (p. 109; mia traduzione) obietterei soltanto che, secondo la sapienza biblica antica, le “norme vigenti” nella vita di ogni
giorno non derivano specificamente dalla Tora ma piuttosto dalla fede in Dio creatore e
dalla meditazione del creato; si veda il mio saggio “La teologia sapienziale nel quadro
dell’Antico Testamento. A proposito di alcuni studi recenti”, LA 34 (1984) 7-24.
88
A. NICCACCI
fessione120. È una straniera per la società delle tradizioni e della fede di
Israele, che il maestro designa come “le mie vie” (23,26); e perciò il discepolo deve sapere che le due cose sono incompatibili.
Il termine hDj…wv “fossa” (23,27) designa il trabocchetto (fossa, trappola)
in Ger 18,20121. Abbiano già passato in rassegna i testi di Proverbi in cui la
prostituta viene posta in relazione diretta con la morte (2,18; 5,5; 7,26-27;
22,14): lei, la sua casa, i suoi passi, o la sua bocca sono un trabocchetto
che conduce alla fossa (cf. § 1.1)122. Questa idea si collega alla mitologia
120. Secondo G. Boström, Proverbiastudien. Die Weisheit und das fremde Weib in Sprüche
1-9, Lund 1935, la “straniera” è la moglie di commercianti stranieri e la rappresentante del
culto di Astarte (egli si fonda particolarmente su 7,14-20). Perciò l’ammonizione ad evitare
tale donna riguarderebbe non tanto la sfera sessuale, quanto quella religiosa: non prendere
parte a una forma del culto cananeo, il cui scopo era promuovere la fertilità. Pochi anni dopo
Boström, P. Humbert, “Les adjectifs ‘zâr’ et ‘nokrî’ et la ‘femme étrangère’ des Proverbes
bibliques”, in: Mélanges syriens offerts à R. Dussaud, I, Paris 1939, 259-266, dall’esame dei
termini zär e nokrî concluse che quella donna non è “straniera” in senso etnico; l’espressione
“donna straniera” significherebbe “un’altra donna”, cioè la moglie di un altro. Dopo aver
riesaminato la problematica, F. Vattioni, “La ‘straniera’ nel libro dei Proverbi”, Aug 7 (1967)
352-357, giunge alla conclusione che zärâ indichi la prostituta, soprattutto in base a 23,27.
Questo non spiega, tuttavia, per quale motivo tale donna sia chiamata appunto “straniera”. In
effetti Vattioni cita anche lo studio di Snijders, ma non lo usa. Più recentemente R.J. Clifford,
“Woman Wisdom in the Book of Proverbs”, in: G. Braulik - W. Groß - S. McEvenue (ed.),
Biblische Theologie und gesellschaftlicher Wandel: Für Norbert Kohfink SJ, Freiburg - Basel
- Wien 1993, 61-72, ha proposto un parallelo con tre poemi epici che presentano una dea straniera che fa all’eroe una proposta ingannevole (Ishtar a Enkidu in Ghilgamesh, Anat a Aqhat
nel poema di Danel, Calipso e Circe a Odisseo nell’Odissea), parallelo erudito ma poco probabile (la Sapienza prenderebbe il posto dell’eroe nell smascherare l’inganno della straniera). Per C. Maier, Die “fremde Frau” in Proverbien 1-9. Eine exegetische und sozialgeschichtiliche Studie, Freiburg, Schw. - Göttingen 1995, la “straniera” è la donna che rompe
gli standard socialmente accettati nelle relazioni tra i sessi. L’ambiente sarebbe l’alta classe
urbana in periodo persiano. Non potendo discutere qui quest’ultima ipotesi, in particolare la
datazione, direi soltanto che essa non si impone. Infine J. Cook, “h∂rÎz44hDÚvIa (Proverbs 1-9
Septuagint): A Metaphor for Foreign Wisdom?”, ZAW 106 (1994) 458-476, ha mostrato che
la versione greca interpreta la “straniera” come simbolo della sapienza ellenistica.
121. In Ger 18,22 si trova hDjyIv (ketiv) con lo stesso senso; hDjyIv compare anche in Sal 57,7
e 119,85 con lo stesso senso.
122. Cf. “Dialog of Pessimism”, 51: “Woman is a pitfall (burtu) – a pitfall, a hole, a ditch”
(W. G. Lambert, Babylonian Wisdom Literature, Oxford 1960; corr. repr. 1975, 146/147);
G. Steiner, “Die Femme fatale im Alten Orient”, in: J.-M. Durand (ed.), La femme dans le
Proche-Orient Antique. Compte rendu de la 33e Rencontre assyriologique internationale,
Paris 1987, 147-153.
PROVERBI 23,26–24,22
89
cananea dell’oltretomba, a cui nella Bibbia ebraica si accenna soprattutto
mediante il termine tAjAv “fossa”, sinonimo di she’ol (Sal 16,10; cf. Gb
33,18.22-24.28.30), e a cui si giunge mediante un canale o fiume infernale,
o attraverso la gola della Morte123.
L’espressione “lei come un predone sta in agguato” (23,28) richiama la
vivace descrizione che si legge in 7,6-22.
Il termine M∂dDa (23,28) è degno di nota, anche perché nel resto della
collezione III compare solo in 24,9.12, cioè nella terza pericope che stiamo commentando. L’ambiente proprio del termine è la storia primitiva ed
esattamente certi passi di Gn 1-11 che trattano della creazione dell’uomo
(1,26-30 e 2,5-24), della cacciata dal paradiso (cap. 3), del diluvio (capp.
6-9) e della dispersione dell’umanità (11,1-10). Fuori dei capp. 1-11 il termine compare nella Genesi solo tre volte come nome proprio. Ciò significa che M∂dDa designa “l’uomo (in senso collettivo) prima e fuori di tutte le
determinazioni che iniziano nelle genealogie e prima di tutte le divisioni
dell’umanità in popoli iniziate con Gn 11, cioè con la tavola dei popoli”124.
La comparsa considerevole del termine M∂dDa in Proverbi (45 volte) dipende
dal fatto che il movimento della sapienza si basa sulla fede in Dio creatore
e quindi considera l’essere umano sua creatura. Di conseguenza l’individuo non è visto come membro del popolo eletto e della comunità cultuale
ma, appunto, come essere umano in quanto tale nel suo rapporto con il
Creatore, e come membro di una società ordinata nel “timore” di Dio e
delle autorità da lui volute (cf. 24,19-22, § 3.10)125.
3.2. Proverbi 23,29-35
L’argomento di 23,29-35 è analogo a quello di 23,20-21, ma è trattato sotto aspetti diversi. In 23,20-21 non si parla solo di bere ma di bere e man123. Rimando alla documentazione (da vagliare) raccolta in M. Dahood, “Hebrew-Ugaritic
Lexicography XI”, Bib 54 (1973) 351-366, spec. 359-360. Nel mito cananeo di “Ba‘al e
Mot” (Del Olmo Lete, Mitos y leyendas de Canaán, 131-143; 213-235) si descrive la lotta
stagionale tra Ba‘al, il dio della pioggia e della vegetazione, e Mot, il dio della morte e dell’aridità. In estate Ba‘al discende al mondo dei morti passando per la gola di Mot.
124. E. Jenni - C. Westermann, Dizionario teologico dell’Antico Testamento, s.v.“M∂dDa
∑ädäm uomo”, I (1978) 45.
125. La mancanza di sentimento nazionale israelitico in Proverbi, in opposizione ad esempio a Deuteronomio ove esso è fortissimo, è molto probabilmente segno di alta antichità
(cf. M. Weinfeld, Deuteronomy and the Deuteronomic School, Oxford 1972, 275-281).
90
A. NICCACCI
giare (con vocabolario tipico abs e llz, che non compare in 23,29-35)
come emblema di dissolutezza, la quale equivale all’indolenza per quanto
riguarda le conseguenze (povertà)126. In 23,29-35, invece, l’argomento è
solo il bere e viene sviluppato in modo vivace (enigma e risposta, descrizione delle conseguenze). Si sottolinea l’intensità e la raffinatezza del bevitore: fa le ore piccole davanti al vino, scruta il boccale, guarda il vino che
rosseggia e scintilla nel boccale prezioso (probabilmente di metallo) e scorre morbidamente. Il dopo è però disastroso dal punto di vista fisico e morale: litigi, contese, percosse. Gli occhi e il cuore che dovrebbero essere
rivolti al maestro di sapienza e preferire le sue vie (23,26), vedono invece
“cose stran(ier)e” (twørÎz) e proferiscono “parole perverse” (twøkUÚpVhA;t:
23,33-34).
I termini twørÎz // twøkUÚpVhA;t sono carichi di connotati morali in Proverbi. Il
primo ricorda la “straniera” (h∂rÎz) che conduce una vita fuori della comunità e della famiglia (§ 3.1). Il secondo ricorre 9 volte in Proverbi, solo un
volta nel resto dell’AT (Dt 32,20) e sempre con connotazioni negative. Le
parole del maestro hanno lo scopo di salvare il discepolo “dalla via cattiva,
/ dall’uomo che proferisce twøkUÚpVhA;t” (2,12; cf. 2,14); le twøkUÚpVhA;t provengono
dal malvagio (10,32; 16,30), il quale causa litigi e divisioni nella comunità
(6,14; 16,28); la bocca che le proferisce è odiata dalla sapienza (8,13) e sarà
stroncata (10,31). Le conseguenze del bere sono dunque l’opposto esatto
dell’insegnamento del maestro.
Il brano perciò non può essere inteso come una derisione burlesca e bonaria del bevitore, ma rappresenta una drastica condanna. Come chi va dietro alle prostitute, il bevitore si estrania dalla via della sapienza e dalla
comunità ben ordinata e credente. Il peggio è che egli non vede il disordine della sua condotta, dato che, passata la sbornia, il vizio lo porta a ricominciare da capo (23,35).
3.3. Proverbi 24,1-2
Il verbo anq + bet “invidiare” richiama 23,17 (e 24,19; §§ 2.2.10; 3.10),
ma le motivazioni sono di segno differente. In 23,17 l’accento è posto
sull’emulazione dei “timorati del Signore”, poiché la motivazione è positiva: “ci sarà un futuro per te / e la tua speranza non sarà stroncata” (23,18).
Invece 24,1 nomina solo la parte negativa: “non invidiare i malvagi / e non
126. Cf. Niccacci, “Proverbi 23,12-25”, 50-51.
PROVERBI 23,26–24,22
91
desiderare di essere con loro”, com’è negativa la motivazione (24,2). Ciò
che il cuore e le labbra dei malvagi esprimono è contrario alla sapienza. I
termini dOv “distruzione” e lDmDo “calamità” sono rari in Proverbi e altrove
compaiono in coppia solo in Ab 1,3. È chiaro, comunque, che il contenuto
della motivazione viene presentato dal maestro come inaccettabile, analogamente al caso precedente.
3.4. Proverbi 24,3-6
I vv. 3-4 appartengono al numero dei passi che elencano i vantaggi della sapienza sotto forma di affermazioni, sempre nel quadro del genere dell’istruzione, come si incontrano nella collezione I. Dallo stretto parallelismo di
24,3-4 con 3,19-20 (§ 1.4) risulta che come Dio ha fatto la sua opera, la creazione, con la sua sapienza - intelligenza - conoscenza, allo stesso modo con
la sapienza - intelligenza - conoscenza che viene da Dio l’uomo deve costruire la sua opera, la famiglia. Si confronti 9,1 (la sapienza ha costruito la sua
casa) e 14,1 (la donna saggia costruisce la sua casa, la stolta la distrugge).
La casa si riempie di beni non con la violenza (cf. 1,13-19) ma con la sapienza (8,21) e con l’onorare il Signore (3,9-10). Altri passi analoghi sono 3,16;
8,18; 14,24; 22,4.
Nell’analisi filologica abbiamo proposto che l’ambiguo v. 5 non si traduca, seguendo la LXX: “è migliore il saggio del forte”, ma: “l’uomo saggio è forte”. L’idea che la sapienza sia superiore alla forza fisica è chiara nella
LXX e anche in Qo 9,18 (è migliore la sapienza delle armi), ma sembra estranea a Proverbi ebraico (cf. Delitzsch). La sapienza infatti concede non solo
ricchezza, ma anche onore (3,16; 8,18) e vittoria in battaglia (24,6 e testi
paralleli, § 1.4). Essa è dunque fonte di tutti i beni dell’uomo, anche di quelli che noi consideriamo materiali, in quanto sono tutti dono di Dio127.
3.5. Proverbi 24,7-9
Come abbiamo notato sopra, il primo stico di ogni versetto nomina un atteggiamento dello stolto e il secondo una reazione da parte della società (§
127. Il legame tra sapienza e ricchezza viene esaminato da N.C. Habel, “Wisdom, Wealth
and Poverty Paradigms in the Book of Proverbs”, BibBh 14 (1988) 26-49.
92
A. NICCACCI
2.2.5). Lo stolto ritiene che la “somma sapienza” risieda nelle cose preziose (“i coralli”); la sua attività interiore (“pensa”, “macchinazione”) è rivolta a fare il male, è peccato. Ma la società delle tradizioni e della fede di
Israele reagisce contro di lui e lo esclude dalla sua comunione: egli non può
aprir bocca alla porta, e quindi non ha alcun prestigio nella comunità, anzi
la gente lo bolla come intrigante e lo detesta.
Due termini richiamano l’attenzione in questo contesto: taDÚfAj “peccato” // hDbEowøt “abominio”. In Proverbi la radice afj compare quasi sempre
in senso non teologico (cioè non direttamente in relazione con Dio) ma
sociale, come in 14,21: “Chi disprezza il suo prossimo è peccatore / e chi
ha pietà dei poveri è beato”; e in 13,6 e 14,34 taDÚfAj è opposto a h∂q∂dVx “giustizia”. Invece l’altro termine hDbEowø;t si usa per lo più in relazione con Dio
(15 volte), ma anche con i re (16,12) e con i giusti (29,27). È significativo
che in 24,9 si dica dell’“uomo” in generale (M∂dDa, § 3.1), in parallelismo
con un plurale generico in 24,8 e con “alla porta” in 24,7. L’“abominio”
della società è collocato perciò sullo stesso piano di quello di Dio e del re
per quanto riguarda il giudizio morale. Attraverso la sua scelta di vita lo
stolto non è di alcun vantaggio alla società, anzi viene da essa rifiutato. La
comunione con la società e l’onore della gente sono per Proverbi doni di
Dio e componenti essenziali della vita in senso totale.
L’unità 24,7-9 presenta gli svantaggi del rifiuto della vera sapienza
mediante frasi affermative come 24,3-6. Le due unità sono in contrasto.
Scegliendo la vera sapienza il discepolo sarà capace di fondare una famiglia
prospera e anche di inserirsi nella élite della società, qual era la corte. Al
contrario lo stolto, attraverso la sua scelta sbagliata, si esclude dalla vita
sociale.
3.6. Proverbi 24,10-12
Il v. 10 (“se sei rimasto inerte nel giorno della prova, / poca è la tua forza”)
costituisce la base su cui poggia l’ammonizione del v. 11; nello stesso tempo fornisce la chiave per comprendere la connessione dell’istruzione con il
contesto: se nel giorno della difficoltà sei negligente (o indolente), non sei
saggio (§ 2.2.6). Analogamente, se il giusto ha la peggio di fronte al malvagio, è segno che si è corrotto, poiché Dio sta dalla parte del giusto
(25,26).
Se questa interpretazione è corretta, l’istruzione si presenta come
un’amplificazione concreta dei detti sul vantaggio della sapienza (vv. 3-6).
PROVERBI 23,26–24,22
93
Il v. 11 invita il discepolo a intervenire coraggiosamente: “Salva i prigionieri dalla morte / e quelli che sono prostrati, dalla strage devi trattenere”. Sulla situazione precisa a cui si allude regna incertezza tra i
commentatori128. L’interpretazione migliore sembra quella di Whybray: “Si
riferisce alla violenza nelle strade. Allora, come oggi, quelli che si trovano
sul posto non muovono un dito per aiutare le vittime, perché non vogliono
essere coinvolti. Il detto condanna questa mancanza di solidarietà sociale e
la considera come un peccato che Dio punirà”129.
Su questa linea si muove, più o meno, l’interpretazione giudaica tradizionale, che riferisce l’istruzione a un tempo di prova per sé stessi o per gli
altri130. Vengono in mente i passi in cui si parla di liberare i condannati o i
prigionieri, come Sal 69,34; 79,11; 102,20-21; 107,17-20; Gb 36,8-12; Sir
4,9a131.
La motivazione che segue (v. 12) precisa che Dio, il quale vede, considera la mancanza di solidarietà come un peccato e la punirà. La giustificazione “Dio non vede questo!” è tipica del malvagio o stolto, il quale ha
una concezione umana di Dio e si illude di sfuggire alle sue responsabilità
(cf. Sal 73,11; Gb 22,13; 35,14).
128. Delitzsch, ad esempio, pensa ai condannati in tribunale e, siccome il testo esorta a liberarli senza specificare se siano colpevoli o innocenti, fa una lunga considerazione contro
la pena di morte! Oesterley pensa al riscatto dei prigionieri di guerra e alla cauzione per i
condannati in tribunale. McKane non trova un senso per la frase a meno di seguire
Ringgren: liberare quelli condannati ingiustamente; così anche Wildeboer: i condannati per
falsa testimonianza (rimanda a 14,25, dove il testimone veritiero è detto un “salvatore di
vite”). Similmente Plöger, che riferisce l’invito a un giudice, e Lelièvre - Maillot che lo riferiscono al re.
129. Whybray 1972, 140 (mia traduzione); simile Whybray 1994.
130. Rashi: “Nel giorno della tua prova, poiché sta scritto: «Se rimarrai del tutto silenziosa…» (Est 4,14)”, con rimando all’invito di Mardocheo alla regina Ester a intercedere presso il re in favore del suo popolo in pericolo. Ibn Ezra: “nel giorno della prova” che si abbatte
sul prossimo del discepolo della sapienza. Proseguendo su questa linea, Ralbag, Mezudat
David e Malbim spiegano grosso modo così: Se non hai soccorso il prossimo nel momento
della prova, sarai incapace di salvare te stesso quando la prova verrà su di te (“poca sarà la
tua forza”).
131. Gesù stesso si dichiara inviato a “proclamare ai prigionieri la liberazione… rimettere
in libertà gli oppressi” (Lc 4,18; cf. Is 61,1-2). Römheld, Die Wege der Weisheit, 90 riporta
un testo di pChester Beatty IV verso 1,13-2,2: “Sciogli un (altro) che hai trovato legato”.
Cita anche pSallier I,5,5-7 (p. 44). L’obbligo di intervenire in favore degli altri non comporta alcun giudizio sulla bontà o meno né del condannato né di colui che condanna.
94
A. NICCACCI
3.7. Proverbi 24,13-14
Come il miele è buono e dolce al palato, così la sapienza per l’anima. Chi
l’ha trovata avrà un futuro e una speranza che non sarà stroncata. L’istruzione nomina di nuovo la sapienza (hDmVkDj) e perciò si riallaccia ai due detti
sui vantaggi della vera sapienza (vv. 3-6) e sugli svantaggi di quella falsa
(vv. 7-9). Questa volta però non abbiamo un detto ma un’esortazione al
discepolo a fare esperienza personale della sapienza (“così riconosci che la
sapienza è per la tua anima!”), motivata dalla promessa duratura per quelli
che la trovano.
3.8. Proverbi 24,15-18
La sequenza oDv∂r - qyî;dAx / qyî;dAx // MyIoDv√r oltre che giustificare la presenza
del controverso oDv∂r nel v. 15 (§ 1.7), è anche una guida alla giusta comprensione dell’ammonizione 24,15-16, cosa che sembra sfuggire ai commentatori. Il termine oDv∂r non è vocativo; infatti è altamente improbabile
che il maestro di sapienza si rivolga al “malvagio” (cf. 23,9). Inoltre è chiaro che è male stare in agguato e devastare l’abitazione di chiunque, non
solo del giusto. Ma l’ammonizione formula il caso che uno agisca “come
un malvagio” e che la parte lesa sia “il giusto”. Il punto è dunque che un
tale caso ricade nell’ambito dell’opposizione sapienziale “giusto - malvagio”132. Posti così i termini (cioè come un conflitto “giusto - malvagio”),
Dio sta inequivocabilmente dalla parte del giusto.
Questa interpretazione è confermata dalla scelta della coppia h‰wÎn // XRbér
che designa l’abitazione del giusto. Negli altri due casi in cui compare in
Proverbi, h‰wÎn è riferito ai giusti (3,33) e al saggio (21,20), mentre XRbér è
hapax. La radice Xbr “coricarsi” è connessa con l’idea di sicurezza, tranquillità. Si consideri l’espressione “coricarsi senza che alcuno incuta terrore” (Xbr + dyîrSjAm NyEa◊w) che compare in Gb 11,19 (per l’uomo giusto), in
Sof 11,19 (per l’uomo giusto), e la variante “coricarsi con sicurezza” (Xbr
+ jAfRbDl) in Is 14,30 (per i poveri).
132. Cf. H.H. Schmid, Wesen und Geschichte der Weisheit. Eine Untersuchung zur
altorientalischen und israelitischen Weisheitsliteratur, Berlin 1966, 155-168; R.B.Y. Scott,
“Wise and Foolish, Righteous and Wicked”, VTS 23 (1972) 146-165.
PROVERBI 23,26–24,22
95
È stato osservato, giustamente, che i due termini h‰wÎn e XRbér richiamano
l’ambiente pastorale (h‰wÎn significa “pascolo” per gli animali); da questo fatto Oesterley (seguito da Gemser) ha concluso che l’ambiente dell’ammonizione è la campagna, non la città. Tale conclusione è però almeno
dubbia (cf. McKane). Mi sembra piuttosto che i due termini siano stati scelti per sottolineare che l’abitazione del giusto è sotto la protezione di Dio,
come il gregge è vegliato dal pastore133.
La motivazione del v. 16 spiega che Dio aiuta sempre (7 volte!) il giusto che è in difficoltà, mentre il malvagio cade nella rovina senza rimedio.
Si confrontino Gb 5,19 (Dio salva il giusto 6-7 volte dal male) e Sal 37,24
(“anche se cadrà, non sarà prostrato, / perché il Signore stenderà la sua
mano”). Un’idea analoga è espressa in Prv 1,10-19 (insidiare l’innocente
equivale a rovinare sé stessi).
Come si collega questa istruzione al contesto? Una connessione
tematica di contrasto è stata suggerita tra l’esortazione dei vv. 13-14 (“così
riconosci che la sapienza è per la tua anima!”) e l’ammonizione del v. 15
(“non insidiare come un malvagio l’abitazione del giusto…”) alla luce di
23,15-18 (§ 2.2.8). Esiste anche un contatto di vocabolario tra 24,1 e 24,1516 consistente nella radice ddv: dOv “distruzione” (v. 2) e dé;dAvV;t_lAa “non
saccheggiare”, ambedue riferiti ai malvagi. Inoltre a 24,1-2 (negativo) segue, a modo di contrasto, il detto sulla sapienza (positivo: vv. 3-6), mentre
a 24,15-16 (negativo) si contrappone l’invito alla sapienza che precede (positivo: vv. 13-14).
Intendo mostrare che l’unità 24,17-18 è connessa con 24,15-16
non solo dal punto di vista lessicale (§ 2.2.9) ma anche da quello
tematico.
Il v. 18 crea seri problemi ai commentatori. Oesterley osserva che la
bellezza dell’esortazione del v. 17 viene rovinata completamente dalla motivazione del v. 18; inoltre non accetta l’interpretazione di Toy, secondo
cui il senso del v. 18 è che l’ira tolta da sopra il nemico ricadrebbe su colui
che si rallegra della sua disgrazia. McKane fa rilevare l’opportunismo
dell’argomentazione e la freddezza verso il nemico. Tuttavia un’attitudine
del genere verso il nemico sarebbe in contrasto con ciò che Proverbi insegna altrove. Si confronti 16,7: “Quando il Signore gradisce le vie di un
uomo, / fa sì che persino i nemici di lui facciano pace con lui”, e 25,21-22,
il famoso quanto oscuro testo sui “carboni accesi” ammucchiati sulla testa
133. Si confronti anche Ez 34,14-15 (pericope di Dio Buon Pastore di Israele) dove compaiono sia h‰wÎn che Xbr.
96
A. NICCACCI
del nemico134. Migliori sembrano le interpretazioni di Scott e Whybray,
anche se forse non sono complete.
Per decidere la questione bisogna tener conto di tre punti. Primo, rallegrarsi del male di un altro, anche se nemico, è male; cf. 17,5: “Chi si
beffa del povero insulta il suo Fattore…”; Gb 31,29: “Se mi sono rallegrato della disgrazia di chi mi odia / e se ho esultato che lo abbia raggiunto il
male”. In questo contesto si capisce il senso di Prv 24,18a. La difficoltà
risiede nella seconda parte del versetto.
Secondo, far tornare indietro l’ira di Dio da sopra qualcuno è opera
mediatrice lodata in Nm 25,11 (Pinhas) e Sal 106,23 (Mosè). Nel nostro
testo però l’aspetto di intercessione non compare.
Terzo, Whybray osserva giustamente che in Prv 24,18b si parla di nemico personale, non nazionale. Non abbiamo quindi l’opposizione religiosa “giusto - malvagio”, nel qual caso Dio starebbe totalmente dalla parte
del primo, come si esprimono vari testi: 11,8.29b; 13,22; 21,18; Sal 58,11
(gioia del giusto per la punizione di Dio sui malvagi). Perciò in Prv 24,1718 le due parti in causa (tu - il tuo nemico) non sono automaticamente qualificate dal punto di vista religioso (a differenza di quanto avveniva in
24,15-16), ma lo diventano se uno gode della rovina dell’altro, diventando
così “malvagio” (cf. primo punto). In questo caso Dio rovescia la sua attitudine: ritira la sua ira da sopra il “nemico” (il quale è stato punito forse
perché odia) e – si dovrà concludere – la riversa sul “malvagio” (cioè su
colui che si rallegra del male). In questo modo anche il caso dei vv. 17-18
rientra nell’opposizione “giusto - malvagio” dei vv. 15-16. Mi sembra che
questa esegesi (simile a quella di Toy) sia ragionevole, nonostante l’opposizione di Oesterley.
Probabilmente è implicita nel brano anche un’affermazione della libertà di Dio nei riguardi degli uomini come nota Scott: “Godere della sconfitta di un nemico è manifestare odio per lui e provocare Dio presumendo
anzitempo che Dio stia dalla parte di uno”135.
Così inteso il brano proclama una certa cautela verso la concezione che
vede un legame automatico tra male e peccato, sul tipo di quella espressa
dai tre amici di Giobbe.
134. Questo è il senso di Prv 25,21-22 anche in Rm 12,20, con buona pace di S. Bartina,
“Carbones encendidos, ¿sobre la cabeza o sobre el veneno?”, EstB 31 (1972) 201-203, il
quale sostiene la versione: “porque brasas tú estarás poniendo sobre su veneno”, leggendo
cioè “veleno” (vwør) al posto di “testa” (vaør).
135. Scott, 147 (mia traduzione).
PROVERBI 23,26–24,22
97
3.9. Proverbi 24,19-22
24,19-20 e 24,21-22 sono due istruzioni distinte e complete ma dal punto
di vista letterario collegate tra loro mediante inclusione (cf. 24,1-2 alla luce
di 23,17; § 2.2.10). Inoltre il verbo anq + bet significa “invidiare” in 23,17,
in 24,1 e in 3,31, mentre ha un senso diverso in 24,19 a causa del parallelismo con rAjVtI;t_lAa, hitpael della radice hrj “ardere, bruciare d’ira” (§§
1.3; 3.3).
La radice hrj è frequente nell’AT, ma la forma hitpael compare solo nel
nostro passo e in Sal 37,1.7.8136. Da un lato Sal 37,1 presenta lo stesso parallelismo di Prv 24,19 (rAjVtI;t_lAa // a´…nåqV;t_lAa); dall’altro Sal 37,7-8 chiarisce che la forma hitpael di hrj significa “adirarsi”137:
37,7b
wø;k√rå;d AjyIlVxAmV;b rAjVtI;t_lAa
twø;mˆzVm hRcOo vyIaV;b
hDmEj bOzSoÅw PAaEm P®rRh
37,8
oérDhVl_JKAa rAjVtI;t_lAa
Non adirarti contro chi è fortunato nella suavia,
contro l’uomo che fa macchinazioni.
Cessa dall’ira e abbandona la rabbia,
non adirarti solo per fare il male.
A motivo del parallelismo la radice anq significherà dunque “adirarsi,
indignarsi”.
Nel Sal 37, una composizione alfabetica di genere sapienziale, un vecchio maestro di sapienza intende calmare la collera e l’impazienza di certi
giovani “fanatici della giustizia” invitandoli ad avere fiducia nel Signore.
La prosperità dei malvagi è di breve durata poiché Dio interverrà contro di
loro e salverà il giusto perseguitato138. Analogamente in Prv 24,19, a differenza degli altri casi, il problema sembra essere non turbarsi a motivo della
prosperità dei malvagi, nella convinzione che la situazione verrà rovesciata nel futuro. Questo passo è degno di nota, poiché il problema della prosperità dei malvagi non ritorna altrove in Proverbi139.
136. Per le forme attestate in Ger 12,5 e 22,15 cf. “Proverbi 23,12-25”, 49 n. 56.
137. Per 23,17 cf. “Proverbi 23,12-25”, 37. 49-50; per 24,1 cf. supra, § 1.3.
138. Cf. H.-J. Kraus, Psalmen, I, Neukirchen Kreis Moers 1960, 285-292.
139. In 12,7 viene riaffermata la fede nella retribuzione. I rapporti tra Prv 24 e Sal 37 sono
stati studiati da G.E. Bryce, A Legacy of Wisdom. The Egyptian Contribution to the Wisdom
of Israel, Lewisburg - London 1979, 124-130. L’autore non sembra notare il problema posto dal fatto che Proverbi non discuta veramente il problema della prosperità dei malvagi
mentre propugna una fede senza esitazioni nella giustizia divina. Molti autori ritengono che,
da questo punto di vista, si dia contrapposizione netta tra Proverbi, da un lato, e Giobbe e
98
A. NICCACCI
Come ho indicato sopra (§ 2.2.10), il confronto con 23,17 permette di
cogliere la relazione semantica tra 24,19 e 24,21:
24,19.21
23,17
19 Non adirarti per i malfattori
e non indignarti per i malvagi.
Non invidi il tuo cuore i peccatori
21 Temi il Signore, figlio mio, e il re ma i timorati del Signore ogni
e con gli alti ufficiali non immischiarti. giorno.
Come 23,17 presenta una parte negativa (non aver gelosia del successo dei
peccatori) e una positiva (emulare invece i timorati del Signore), così 24,19
enuncia la parte negativa (non irritarsi per i malvagi) e 24,21 quella positiva (temere il Signore e le autorità).
È significativo che il primo stico di 24,21 accomuni Dio e il re come
oggetto dell’unico verbo “temi!”. Per farsi un’idea dell’alta concezione del
re in Proverbi è sufficiente leggere 16,10-15, uno dei testi indicati sopra (§
1.8)140:
10
L’oracolo è sulle labbra del re
e nel giudizio non sarà perfida la sua lingua.
11Stadera e bilancia giuste sono del Signore,
sua opera sono le pietre della tasca.
12Abominio per i re è fare il male
poiché nella giustizia si stabilirà il trono.
13Compiacenza dei re sono le labbra giuste,
chi parla cose rette (il re) lo amerà.
14Il furore del re è messaggero di morte,
ma l’uomo saggio lo placherà.
15Quando è lucente il volto del re, c’è la vita
e la sua compiacenza è come nube di pioggia tardiva.
Dio ha creato l’ordine del mondo e lo conserva, ma è il re che deve difenderlo nella vita sociale mediante l’amministrazione della giustizia. Il re
Qohelet dall’altro: i secondi due rappresenterebbero una critica del cosiddetto “dogma della
retribuzione” rappresentato dal primo. Non credo però che questa interpretazione corrisponda alla realtà. Si può vedere la mia lettura di Giobbe e di Qohelet in Casa della sapienza, in
particolare i capitoli relativi a questi due libri e la conclusione.
140. Prv 16,10-15 è un testo non privo di difficoltà; vedi, ad es., McKane. Sull’argomento
in generale si consulti K.J. Dell, “The King in the Wisdom Literature”, in: J. Day (ed.), King
and Messiah in Israel and the Ancient Near East. Proceedings of the Oxford Old Testament
Seminar, Sheffield 1998, 163-186.
PROVERBI 23,26–24,22
99
è posto perciò accanto a Dio come responsabile dell’ordine e della giustizia con potestà di punire e ricompensare. Accanto al re 24,21 nomina gli
alti ufficiali che lo aiutano nel governo e perciò partecipano anch’essi del
potere di Dio.
Di fronte a questa concezione delle autorità sembra fuori luogo intendere “la loro rovina // e la sventura di loro due” (24,22) come il male che
può cadere inatteso sui re e sugli alti ufficiali (§ 1.8). Si intenderà piuttosto
come il male che essi sono in grado di infliggere a motivo del loro potere.
Il fatto che si dica “loro due” conferma che Dio e il re sono visti come
un’unità; ad essi vengono associati, in modo complessivo, gli alti ufficiali.
In questo contesto, “temi // non immischiarti” è un invito a riconoscere
prudentemente il potere che i funzionari hanno in comune con Dio e con il
re, a tenere diligentemente il proprio posto nella società e a non voler oltrepassare i limiti imposti ai sudditi141. Il contegno guardingo verso l’autorità (cf. 23,1-3; 25,6-7; Sir 7,4-5; 13,9-12)142 non è frutto di opportunismo
ma di una visione unitaria ed equilibrata della società e dell’ordine voluto
da Dio.
3.10. Sintesi e confronto
Il contenuto delle dieci unità che compongono la terza sezione si può sintetizzare come segue:
141. Ricordiamo i cosiddetti “codici domestici” neotestamentari. Il passo più vicino è 1 Pt
2,13-14: “Sottomettetevi a ogni umana creatura a causa del Signore, sia al re (basilei√) come
sovrano, sia ai governatori (hJgemo/sin) come suo inviati a punizione di chi fa il male ma a
lode di chi fa il bene”. Si veda al riguardo il mio saggio “Sfondo sapienziale dell’etica dei
codici domestici neotestamentari”, in: L. Padovese (ed.), Atti del Simposio di Tarso su S.
Paolo Apostolo, Roma 1994, 45-72, spec. 50-52.
142. Cf. J.T. Sanders, “Ben Sira’s Ethics of Caution”, HUCA 50 (1980) 73-106; Ben Sira
and Demotic Wisdom, Chico, Cal. 1983, 92-93. Inviti ad essere prudenti nei contatti con re
e funzionari s’incontrano anche nelle sapienze extrabibliche. Anzi è probabile che la concezione sacrale della regalità che appare in Proverbi (e nei Salmi regali) sia stata importata in
Israele dai paesi vicino-orientali antichi; cf. Schmid, Wesen, 171; A. Moenikes, Die
grundsätzliche Ablehnung des Königtums in der hebräischen Bibel. Ein Beitrag zur
Religionsgeschichte des Alten Israel, Weinheim 1995. Lo stesso movimento della sapienza
può essere sorto allo scopo di dare supporto teologico alla regalità che altrimenti non aveva
un posto nella visione israelitica tradizionale di tipo ugualitario.
100
A. NICCACCI
(1) 23,26-28: esortazione a seguire le vie del maestro di sapienza e perciò evitare le insidie della prostituta che è “straniera” alla società.
(2) 23,29-35: come nel caso precedente, colui che si dà al bere si allontana dalla sapienza e dalla vita ordinata della comunità e si perde nel vizio.
(3) 24,1-2: ammonizione a non invidiare i malvagi, perché la loro condotta è contraria alla sapienza e nemica della società.
(4) 24,3-6: detto sui vantaggi della sapienza, grazie alla quale il
discepolo può fondare una famiglia prospera e inserirsi nei posti di responsabilità nella società.
(5) 24,7-9: detto sugli svantaggi di scegliere la falsa sapienza, cioè la
ricchezza acquistata facendo il male. Lo stolto non ha voce nella società,
anzi viene rifiutato da essa.
(6) 24,10-12: in base alla sua scelta della sapienza, il discepolo deve
intervenire in favore del prossimo, altrimenti Dio lo punirà.
(7) 24,13-14: istruzione per inculcare al discepolo di fare personale
esperienza della sapienza, confortato dalla promessa del futuro.
(8) 24,15-16: ammonizione a non far del male al giusto come fa il malvagio, abbandonando così la scelta della sapienza, perché Dio veglia sul
giusto, mentre il malvagio va in rovina.
(9) 24,17-18: istruzione collegata alla precedente: chi si rallegra della
sventura del nemico diventa malvagio e su di lui ricade l’ira divina.
(10) 24,19-20 + 21-22: due istruzioni complementari: non irritarsi a
causa dei malvagi, perché la loro prosperità è di breve durata; piuttosto temere Dio e le autorità, i quali hanno il potere di causare la rovina di chi
oltrepassa il suo posto nella società.
Dal punto di vista formale si notano differenze tra questa terza sezione
e la precedente (23,12-25). Quest’ultima è composta di 4 istruzioni uniformi, ciascuna preceduta da un’introduzione e da un appello. In ogni caso il
contenuto dell’istruzione è legato all’introduzione o all’appello che precede. Invece la terza sezione è più varia dal punto di vista formale. Ha una
sola introduzione (23,26), la quale apre l’intera pericope ma è strettamente
collegata all’istruzione che segue (23,27-28) dato che fornisce ad essa l’ammonizione. Abbiamo individuato inoltre due detti affermativi (24,3-6; 24,79) che hanno la funzione di presentare rispettivamente i vantaggi della
sapienza e gli svantaggi della stoltezza. Da questo punto di vista i due detti
trovano paralleli all’interno delle “introduzioni ai discorsi” della collezione I (Prv 1-9) e anche nell’introduzione della collezione III (22,17-22)143.
143. Cf. Niccacci, “Proverbi 22,17-23,11”, 44-46.
PROVERBI 23,26–24,22
101
Per il contenuto, le unità che compongono 23,26–24,22 sono in
stretta relazione con la vita della società. Non si tratta di una società
laica nel senso moderno, ma al contrario di una società sacrale che vive
nel mondo creato da Dio, è inserita nell’ordine cosmico ed è amministrata dal re e dai suoi funzionari con autorità divina. Una società basata sulle tradizioni e sulla fede dei Padri, anche se non è indicata
esplicitamente come la comunità cultuale e nazionale organizzata secondo le esigenze del patto.
Le prime due unità della sezione (1-2) sono sviluppate in stretta connessione con il maestro di sapienza, come in 23,12-25. Il cuore e gli occhi
del discepolo devono scegliere le sue vie. Per questo motivo le insidie della prostituta sono assolutamente da evitare. Inoltre il bere incontrollato provoca conseguenze disastrose nel discepolo e porta fuori strada i suoi occhi
e il suo cuore.
Le altre unità sono inserite in un brano unitario (§ 2.2) che possiamo
schematizzare come segue:
(a) (3)
(b)
non invidiare i malvagi
(4) vantaggi della sapienza
(5) svantaggi della falsa sapienza
(c) (6) [applicazione] salva i minacciati!
(b’) (7) la sapienza è buona!
(c’) (8) [applicazione] non insidiare come il malvagio
(9) [applicazione] non godere della sventura
(a’) (10) non indignarti per i malfattori
ma temi il Signore.
Da questo schema risulta che tutto il brano è incluso dall’ammonizione
a non invidiare - indignarsi per i malvagi (a - a’). Le istruzioni intermedie
sono presentate in relazione positiva o negativa con la sapienza: (c) è applicazione positiva di (b); (c) è applicazione negativa di (b’).
In conclusione la terza sezione della collezione III di Proverbi si distingue dalla seconda (23,12-25) per il suo orientamento verso la società: fornisce al discepolo principi di sapienza e in base ad essi cerca di indirizzare
la sua vita nella comunità. Invece la seconda sezione è orientata piuttosto
verso la persona del discepolo e la sua educazione familiare.
Ciò non significa che i contenuti delle due sezioni siano del tutto diversi. Anzi, l’unità 23,15-18 ha stretti rapporti con 24,1-2, che in certo
modo la sviluppa. Anche il tema di 23,19-21 ha qualche analogia con quello di 23,26-35. È vero però che i vari argomenti sono trattati in modo diverso: in chiave piuttosto individuale nella seconda pericope, in chiave
sociale nella terza.
102
A. NICCACCI
Dall’esame della prima sezione (22,17–23,11) è risultato che le dieci
unità che la compongono hanno lo scopo di far conoscere al discepolo le
regole fondamentali della vita nella società affinché egli possa occupare in
essa un posto di onore in quanto uomo saggio e in quanto futuro funzionario144. Quanto al contenuto, la prima sezione è dunque simile alla terza.
Conclusione
Le introduzioni 22,17-21; 23,12 e 23,26 dividono la collezione III del libro
di Proverbi in tre sezioni, che appartengono tutte al genere istruzione: (1)
22,17–23,11; (2) 23,12-25; (3) 23,26–24,22.
(1) 22,17–23,11 comprende un’introduzione e dieci istruzioni suddivise in due blocchi: istruzioni 1-4 parallele a 7-10; istruzioni centrali 5-6
parallele tra loro. L’istruzione 10 include l’intera sezione in quanto con
l’ammonizione ripete l’istruzione parallela 4 e con la motivazione richiama l’istruzione 1.
(2) 23,12-25 conta quattro istruzioni: 23,12-14; 23,15-18; 23,19-21 e
23,22-25. La prima è preceduta da un’introduzione, le altre da un appello;
sia l’introduzione che gli appelli sono collegati alle istruzioni che li seguono direttamente. La quarta istruzione è composta a inclusione (23,22 //
23,25) e perciò chiude bene l’intera sezione.
(3) 23,26–24,22 si suddivide in tre unità progressivamente più ampie:
23,26-28; 23,29-35 e 24,1-22. Mentre le prime due trattano un argomento
singolo (rispettivamente la prostituta e l’ubriachezza), la terza tocca argomenti vari. L’inclusione che unifica 24,1-22 e i richiami molteplici che si
verificano all’interno di questo brano mostrano che gli argomenti, benché
vari, sono presentati tutti in relazione alla sapienza come azioni da fare o
da evitare in quanto conformi o contrarie ad essa.
Cosa pensare allora degli autori che contano trenta detti nella collezione III? Erman fu il primo a suggerire che il discusso Mwvlv di 22,20 (ketiv
MwøvVlIv “l’altro ieri”, qere MyIvyIlDv “[detti] eccellenti”) fosse da leggere MyIvwølVv
“trenta (detti)” sulla base del modello egiziano, l’Insegnamento di
Amenemope, che è suddiviso in trenta capitoli145. Greßmann andò oltre e
144. Cf. Niccacci, “Proverbi 22,17-23,11”, 70-71.
145. A. Erman, “Eine ägyptische Quelle der ‘Sprüche Salomos’ ”, Sitzungsberichte der
Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin: Phil.-hist. Klasse 15 (1924) 86-93. È
almeno singolare l’opinione di T. Maire, “Proverbes XXII 17ss: Enseignement à
PROVERBI 23,26–24,22
103
contò trenta detti lungo tutta la collezione III146. Il suo esempio è stato seguito da commentatori autorevoli come Scott, McKane e Whybray, anche
se essi differiscono nella suddivisione del testo.
Giunto a questo punto credo di poter affermare che l’esame della composizione della collezione III contraddice la divisione in trenta detti. Per
raggiungere questo numero gli autori devono smembrare passi che sono
unitari dal punto di vista letterario, operando con criteri ben poco affidabili.
Inoltre l’influsso dell’Insegnamento di Amenemope si estende da 22,17 a
23,11, cioè si esaurisce nella prima sezione, come già riconobbe Erman.
All’interno di questa pericope le somiglianze sono notevoli mentre, significativamente, i paralleli con il resto di Proverbi e dell’AT in generale sono
ridotti. Nelle altre due sezioni, al contrario, mancano paralleli con l’Insegnamento di Amenemope mentre sono frequenti i contatti con le collezioni
I e II di Proverbi e anche con altre parti dell’AT. Direi in conclusione che
la divisione in trenta detti sfigura la composizione letteraria della collezione III ed è perciò da abbandonare.
Alviero Niccacci, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
Shalishôm?”, VT 45 (1995) 227-238, il quale ritiene che il testo di Proverbi sia parallelo
non all’Insegnamento egiziano di Amenemope ma a quello accadico di Shube’awilum e
giunge a leggere in Mwvlv (Prv 22,20) il nome del destinatario dell’insegnamento, appunto
Shalishôm. Si può vedere la mia discussione di tale proposta in “Proverbi 22,17-23,11 tra
Egitto, Mesopotamia e Canaan”, spec. § 2 (in corso di pubblicazione presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli in una miscellanea in memoria del Prof. Luigi Cagni).
146. H. Greßmann, “Die neugefundene Lehre des Amen-em-ope und die vorexilische
Spruchdichtung Israels”, ZAW 42 (1924) 272-296.