Vuvuzela. Mondiali 2010
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Vuvuzela. Mondiali 2010
“Carta” on-line - 7 giugno - 12 luglio 2010 “Carta” settimanale – 24 giugno, 1 e 15 luglio 01 – Nome in codice: Jabulani ...............................................................................................2 02 – Il muro della miseria ......................................................................................................2 03 – Tshabalala è già nella sigla ............................................................................................3 04 – La Germania che non ti aspetti......................................................................................3 05 – Promesse non mantenute...............................................................................................4 06 – L’eccezione brasiliana ....................................................................................................4 07 - La matematica non è un’opinione .................................................................................5 08 – Africa giù, Sudamerica su..............................................................................................5 09 - Lo spauracchio Smeltz....................................................................................................6 10 - Tutto in poche zolle congestionate ................................................................................6 11 - Una vocazione da esportazione .....................................................................................7 12 - Formule e calcoli cervellotici..........................................................................................7 13 - Figlio, padre, nonno: gli infidi slovacchi.......................................................................8 Fuorigioco, 113 – L’anno della vuvuzela ............................................................................9 14 – La disfatta........................................................................................................................9 15 – Affare di Stato...............................................................................................................10 16 – La lotteria dei rigori......................................................................................................10 17 – Non è stress, ma questione di tecnica .........................................................................11 18 – E le stelle stanno a guardare........................................................................................11 19 – Primi elementi per un bilancio sudafricano ...............................................................12 Fuorigioco, 114 – I padroni dei Mondiali.........................................................................12 20 – Il mestiere del condottiero ...........................................................................................13 21 – L’harakiri della Selecao .................................................................................................14 22 – Abituati alle alte quote.................................................................................................14 23 - Olanda-Uruguay: vedo arancio ...................................................................................15 24 – Germania-Spagna: vedo rosso.....................................................................................15 25 - Prime volte.....................................................................................................................16 26 - La guerra della birra .....................................................................................................16 27 – Perché la Spagna...........................................................................................................17 28 - Mas que un club ............................................................................................................17 Fuorigioco, 115 – Alla fine della festa...............................................................................18 01 – Nome in codice: Jabulani [7 Giugno 2010] L’hanno chiamato «Jabulani», il pallone dei mondiali sudafricani. L’ha realizzato una famosa azienda sportiva tedesca [quella che veste Real Madrid, Milan e Germania] e, come si dice in questi casi, trattasi di tecnologia avveniristica, finalizzata a offrire «un livello di equilibrio e stabilità eccezionale», così da «migliorare la precisione nei tiri, la stabilità in volo e un controllo perfetto in tutte le condizioni di gioco». In lingua zulu [una delle undici lingue ufficiali della Repubblica Sudafricana], Jabulani significa «fare festa». Il pallone, di 11 colori, ha inciso un disegno che ricorda lo stadio di Johannesburg, ed è composto da «otto pannelli termosaldati e precedentemente modellati in forma sferica». I laboratori tedeschi hanno sintetizzato due materie plastiche: EVA [etilene vinil acetato], che garantisce flessibilità ed elasticità, e TPU [elastomeri termoplastici poliuretanici], le cui peculiarità pare siano «l’alta resistenza ad usura, abrasione, strappo e lacerazione»… A rompere l’incanto sono stati due portieri, Julio Cesar e Buffon, che con scarsa diplomazia hanno detto: «Sembra uno i quei palloni che si comprano al supermercato»; altri portieri hanno criticato l’insostenibile leggerezza di Jabulani, sostenendo che serva soltanto a rendere i gol più facili. Dubito che Buffon e Julio Cesar sarebbero stati così sinceri se il pallone portasse il marchio dell’altra grande multinazionale dello sport, quella che veste Inter, Juve e Brasile. 02 – Il muro della miseria [10 Giugno 2010] Blikkiesdorp è il nome di uno dei campi costruiti dal governo sudafricano per sgombrare aree destinate alla costruzione degli stadi (e nascondere realtà sgradevoli agli occhi dei turisti). Blikkiesdorp è uno dei cosiddetti “transit camp”, chi vi è deportato deve sottostare a rigide regole. Il coprifuoco, innanzitutto: dalle otto di sera è vietato uscire dai cubi di lamiera, non si possono accendere fuochi per cucinare, non si può cantare… Già a Pechino, in vista delle Olimpiadi 2008, le autorità hanno provveduto allo spostamento coatto di decine di migliaia di persone (poveri, ambulanti, prostitute). La municipalità di Atlanta, in vista dei Giochi del 1996, offrì agli homeless un biglietto di sola andata per la destinazione desiderata. E la dittatura argentina, nel 1978, brevettò un maquillage a forma di muro. Preoccupati dell’immagine del Paese, Videla e Lacoste ingaggiarono un’agenzia di pubbliche relazioni newyorkese. Uno dei suggerimenti fu quello di spianare al suolo i quartieri malfamati: migliaia di abitanti di Buenos Aires e di altre città vennero scacciati. Lungo la strada principale di Rosario, che collegava i grandi alberghi allo stadio, venne innalzato il “muro della miseria”, con dipinte facciate di belle case. Quel muro ebbe vita breve: di notte gli abitanti dei quartieri degradati rubavano i blocchi di cemento per costruire nuove case. Mentre la festa comincia e le tivù ci inondano di immagini festose, vorrei sapere se sono più i sudafricani deportati o quelli che hanno potuto permettersi il biglietto per lo stadio. 03 – Tshabalala è già nella sigla [12 Giugno 2010] Un lutto famigliare ha escluso Mandela dal palcoscenico. Da febbraio non compare in pubblico, ma la sua assenza alla cerimonia d’inaugurazione ha tolto a Blatter la desiderabile benedizione del Padre della Patria. Mandela guarderà le partite da casa. Pare sia molto apprensivo: chissà che emozione quando il sinistro di Tshabalala si è infilato all’incrocio dei pali… Gesto tecnico meraviglioso, che rafforza la speranza di vedere il Sudafrica agli Ottavi, dopo aver superato un paio di ostacoli, fra Messico, Francia e Uruguay: i Bafana Bafana hanno un allenatore furbo, e uno schema elementare [lancio lungo del portiere a un attaccante] che si è già rivelato molto efficace. Anche perché il pallone [il famigerato Jabulani] viaggia velocissimo e si impenna in rimbalzi incontrollabili. Senza sosta, migliaia di polmoni soffiano nella vuvuzela: l’unico, impressionante momento di silenzio avviene a due minuti dalla fine, quando il contropiede di Mpela si è tristemente infranto contro il palo. Il Messico ha trovato il pari con uno dei 14 calciatori del Barça convocati per questa competizione; seguono quelli di Chelsea (13), Liverpool (12), Bayern (11), Real Madrid, Panathinaikos, Inter e Arsenal (10). Sui 736 calciatori complessivi, 118 provengono dalla Premier League, 84 dalla Bundesliga, 80 dalla Serie A, mentre la Liga spagnola offre solo 63 protagonisti. Però, volendo azzardare un pronostico, dico Spagna. Azzardo le coppie in semifinale: Olanda-Nigeria e Spagna-Argentina. Il Brasile? Fuori ai Quarti con l’Olanda. E l’Italia? Fuori agli Ottavi con il Camerun. 04 – La Germania che non ti aspetti [14 Giugno 2010] Gli unici a dare spettacolo, finora, sono stati i tedeschi, spumeggianti oltre ogni aspettativa. Squadra giovane e multietnica, quella di Loew, piena di naturalizzati e figli di immigrati: la coppia d’attacco titolare viene dalla Polonia, il primo cambio ha la pelle nera, certi nomi fanno pensare all’Anatolia e al Maghreb. La prima vittima di Jabulani – il nuovo pallone che rimbalza come una palla-magica e segue traiettorie imperscrutabili – è stato Green, il portiere scelto da Capello, probabilmente dopo un lancio di dadi, per difendere la porta dell’Inghilterra. La seconda vittima è stata il portiere algerino. La terza figuraccia è attesa in giornata. Qualcuno ricorderà che problemi analoghi li avevano suscitati i predecessori di Jabulani [Fevernova nel 2004, Teamgeist nel 2006]. A produrli era stata, manco a dirlo, la stessa multinazionale, di cui potete indovinare il suo nome, scegliendo nell’elenco dei “sei partner globali” della FIFA: Adidas, Coca Cola, Emirates, Hyundai, Sony e Visa. Crescono, intanto, le proteste per come la RAI sta seguendo l’evento. Tante chiacchiere, poche immagini. L’azienda si difende affermando che rispetto a quattro anni fa, la programmazione è cresciuta di 60 ore, con un personale ridotto del 20 per cento; i giornalisti inviati in Sudafrica sono 30, a cui si aggiungono 3 “opinionisti” e 8 “commentatori”. Alla vigilia dell’esordio degli Azzurri, Lippi copia Mourinho e va in cerca di nemici. Ha detto che di fuoriclasse, in Italia, non ne ha lasciati. Ha aggiunto che, nel caso, non farà salire nessuno sul carro del vincitore. Ha negato di aver già firmato un ricco contratto per svernare negli Emirati Arabi. 05 – Promesse non mantenute [15 Giugno 2010] Una vittoria, un pareggio e tre sconfitte: quando manca solo la Costa d’Avorio, si può dire che la partenza delle africane sia inferiore alle aspettative. E l’unica vittoria, quella del Ghana, è stata provocata dall’improvviso impazzimento di un calciatore serbo. Il che fa riflettere intorno a una delle promesse «democratiche» del calcio globalizzato: la riduzione delle distanze, l’equilibrio competitivo ai quattro angoli del pianeta. Un’illusione, forse, visto che le squadre africane – nonostante la saggezza di allenatori europei e sudamericani, e le esperienze di tanti calciatori nei campionati più competitivi – ancora non decollano. Se almeno tre squadre non passeranno agli Ottavi, si dovrà parlare di fallimento, e sarà comunque una delusione se una di loro non riuscirà a issarsi fino alle Semifinali. Delusione sintomatica di quanto sia infondata la retorica paternalistica della globalizzazione, il cianciare di «opportunità per tutti» mentre la forbice delle ingiustizie si sta allargando. Del resto, le gerarchie del calcio sanno molto di ancien régime: dopo 18 edizioni dei Mondiali, la Coppa continua a essere affare privato di appena sette Paesi [Uruguay, Brasile, Argentina, Germania, Inghilterra, Francia e Italia]. Visto l’esordio degli Azzurri, viene da dire che assomigliano al Catania, al Chievo, all’Atalanta: quelle «provinciali» che si possono ammirare per l’impegno e per come si affannano a nascondere i limiti tecnici. È vero, il Paraguay ha fatto gol al primo tiro in porta, ma per rimediare il pareggio, i campioni del mondo hanno avuto bisogno dell’ennesima papera di un portiere. A proposito: qualcuno sta tenendo il conto? 06 – L’eccezione brasiliana [16 Giugno 2010] Nel basket, nel baseball e nell’hockey, i grandi sport professionistici americani, si sostiene che la modernità vada di pari passo con la sempre minore importanza del «fattore campo». L’ideale sarebbe che le vittorie in casa e in trasferta fossero pressoché uguali: sintomo del fatto che i risultati si conquistano in campo, minimizzando il peso del condizionamento ambientale. La Coppa del Mondo di calcio è lontana da questa prospettiva. In 18 edizioni, per 6 volte la Coppa è stata vinta dalla squadra di casa [Uruguay 1930, Italia 1934, Inghilterra 1966, Germania 1974, Argentina 1978, Francia 1998]. Considerando il fattore campo in un’accezione più vasta, si scopre che tutte le 7 edizioni disputate in America latina sono state vinte da nazionali latinamericane, mentre 8 delle 9 giocate in Europa se le sono aggiudicate Paesi europei. A fare eccezione è sempre e solo il Brasile, che ha vinto in Europa (Svezia 1958), in nordamerica (1994) e in Asia (2004). La Seleçao è l’unica a non far caso alle latitudini, al fuso orario, al freddo o al caldo. È naturale considerare i pentacampeones favoriti anche in Africa [figuriamoci fra quattro anni, quando sarà il Paese di Lula a organizzare la competizione]. La differenza del Brasile sta nell’elenco di campioni nemmeno convocati. Nel numero crescente di naturalizzati, costretti a cercar gloria in altre nazionali. Nella sensazione di supponenza comunicata dai verde-oro mentre andavano a sbattere contro il muro difensivo coreano [nazionale numero 105, secondo il ranking Fifa]. Nel fatto che non raggiungeremo mai l’unanimità nel giudicare se il gol di Maicon sia un capolavoro o un cross sbagliato. 07 - La matematica non è un’opinione [17 Giugno 2010] Avevo azzardato gli accoppiamenti in semifinale: Olanda-Nigeria e Spagna-Argentina. Bella figura: Nigeria e Spagna hanno subito perso… Eppure insisto, continuo a vedere la Spagna favorita per la vittoria finale. Si può essere scientifici, parlando di calcio? Lecito dubitarne. E tuttavia non è privo di interesse che l’Università Bicocca abbia elaborato “una serie di dati statistici stimati attraverso un modello econometrico e un’analisi fattoriale”, allo scopo di identificare, prevedere, pronosticare chi vincerà i Mondiali. Lo studio è partito da un’analisi storica, esaminando le edizioni della Coppa del Mondo dal 1950 in poi. Al computer si è chiesto di incrociare «medie-punti», gol segnati dal capocannoniere della squadra, età media dei convocati, variabili sociali e demografiche dei vari Paesi [reddito pro-capite, densità di popolazione, tasso di alfabetizzazione]… Da questo insieme di cifre, sono stati ricavati i parametri su cui calcolare la sorte delle 32 squadre partecipanti a Sudafrica 2010. Frullando il tutto con i risultati nei gironi di qualificazione, l´età media dei giocatori, la media-gol degli attaccanti nei rispettivi campionati, il ranking FIFA e le quote offerte dai bookmakers, dall’infernale miscela di dati è emerso che in finale si affronteranno Inghilterra e Spagna. Per il computer dell’università milanese, l’Argentina farà poca strada e l’Italia non andrà oltre i Quarti di finale. Ma nessun modello econometrico e nessuna analisi fattoriale può contemplare il semisconosciuto Gelson Fernandes, svizzero dalla pelle nera, nato a Praia, nell’arcipelago di Sotavento. Da Capo Verde, non viene solo Cesaria Evora. Ora lo sanno anche le Furie Rosse. 08 – Africa giù, Sudamerica su [18 Giugno 2008] Nei lavori preparatori dei Mondiali, i ritardi erano così allarmanti che sembrò possibile che la FIFA revocasse l’organizzazione al Sudafrica e spostasse le partite in Germania. Ora si sta verificando un nuovo problema: alcuni settori degli stadi rimangono vuoti, nonostante tutti i biglietti – si dice – siano stati venduti. La FIFA ha aperto un’indagine. Ma Sepp Blatter, da 12 anni sul trono del calcio mondiale, si candida a una nuova investitura e non vorrà perdere il voto delle federazioni africane, che hanno sempre convogliato i loro voti su di lui, in cambio della promessa di portare i Mondiali nel continente nero. Alla ventesima partita disputata (6 pareggi), un primo bilancio, per quanto provvisorio, indica un netto predominio delle nazionali latinamericane. Se si aggiungono Messico e Honduras, queste 6 squadre hanno giocato 10 partite, vincendone 6 e pareggiandone 3 [l’unica sconfitta è dell’Honduras, nel “derby” con il Cile]. Media punti 2,1. L’Europa galleggia: 5 vittorie, 5 pareggi, 5 sconfitte. Media punti 1,3. E sull’erba di casa, l’Africa frana: 7 partite disputate, una sola vittoria, 2 pareggi e 4 sconfitte. Media punti 0,7 [con Nigeria e Sudafrica praticamente eliminate]. Se si esclude il gol di Tshabalala, finora, non abbiamo visto niente di simile alle gesta che hanno segnato altri Mondiali: dal balletto di Roger Milla [camerunense] intorno alla bandierina, alla danza tribale di Pape Diouba Diop (senegalese) insieme ai compagni, all’urlo sfrenato di Rashid Yekini [nigeriano] aggrappato alla rete… È stato triste vedere il pubblico di casa abbandonare le tribune prima della fine, nella partita che il Sudafrica ha perso contro l’Uruguay: la festa appena cominciata sembra già finita. 09 - Lo spauracchio Smeltz [20 Giugno 2010] In Francia era un norvegese, Tore Andre Flo, centravanti grezzo e macchinoso, soprannominato «Flonaldo». In Corea era Ulisses De La Cruz, terzino destro dell’Ecuador. Quattro anni fa, Mark Viduka, australiano sovrappeso. Stavolta lo spauracchio si chiama Shane Smeltz e gioca nella Nuova Zelanda. Non l’avete mai sentito nominare? Nemmeno io. Però la nostra stampa è maestra nell’inventare fenomeni, insidiosi uomini neri, invariabilmente destinati a intralciare il nostro fulgido cammino. Questo Smeltz, in effetti, ha calcato i campi d’Inghilterra. Ma non quelli della Premier League: non è andato oltre la Football League Two, ovvero la Quarta divisione, quella che noi avremmo chiamato C1. Nelle qualificazioni mondiali, è risultato il miglior cannoniere della sua nazionale, segnando 8 gol ad avversari decisamente ostici [Isole Figi, Vanuatu e Nuova Caledonia]. È lui, al minuto 93, ad aver fatto il cross per Winston Reid, autore del gol dello storico pareggio con la Slovacchia. Per chi crede agli oroscopi, Smeltz è nato lo stesso giorno del nostro presidente del Consiglio. Una notizia di calciomercato ha ulteriormente amplificato i timori patriottici: pare che il Chievo stia trattando Chris Killen, altro attaccante della nazionale neozelandese, in scadenza di contratto con il Middlesbrough. In un Paese in cui il calcio è meno popolare di rugby, cricket e vela, gli All White non si qualificavano ai mondiali dal 1982, e sono riusciti a conquistare un posto in Sudafrica, grazie a uno spareggio con il Bahrein e approfittando della migrazione dell’Australia nella federazione asiatica. Se l’Italia non vince con almeno due gol di scarto, nessun artificio retorico basterà a scrollarsi di dosso il ridicolo. 10 - Tutto in poche zolle congestionate [21 Giugno 2010] È un Mondiale grigio, senza campionissimi e senza squadroni. Certo, fa differenza vedere all’opera Argentina e Brasile – qualche lampo di genio riescono sempre a produrlo – rispetto agli scoloriti Azzurri lippiani, ma anche Spagna e Inghilterra ruminano un calcio noioso, senza slanci, la Germania passa da un estremo all’altro, l’Olanda vince quasi senza accorgersene. E la Francia, con la solita grandeur, sta facendo peggio di tutte. Da cosa deriva questo livellamento verso il basso? Come riescono le squadre più «scarse» a far giocare male le squadre più forti? Una spiegazione rimanda alla televisione: tutti conoscono tutto, videoregistrano, studiano, sminuzzano le partite minuto per minuto, azione per azione, elaborano schemi sulle «palle inattive», presidiano ogni zona del campo. Il grande rettangolo verde si riduce a poche zolle congestionate, dove diventa difficile fare qualsiasi cosa. E poi fa freddo, chi punta tutto sulla corsa, recupera in fretta. Per fortuna, la Fifa ha imposto lo Jabulani: che almeno il pallone segua rotte imprevedibili… Da parte mia, aver azzeccato «lo spauracchio Smeltz», un paio di giorni fa, non rimedia alla quantità di previsioni sbagliate. Mi ero fidato del luogo comune sulle squadre africane destinate a fare molta strada nel primo mondiale sull’erba di casa. Pura ideologia, ora è il caso di dirlo. Tutte e sei le squadre potrebbero essere eliminate al primo turno. Un fallimento complessivo che sembra lo specchio di questa globalizzazione. In cui l’Africa – anche nel calcio – ha perso più di quello che ha guadagnato. 11 - Una vocazione da esportazione [21 Giugno 2010] Mentre comincia il terzo turno della fase a gironi, Uruguay e Messico dominano il primo [e probabilmente elimineranno la Francia], l’Argentina il secondo, il Brasile il settimo, il Cile l’ottavo, e il Paraguay sta davanti all’Italia. Includendo anche l’Honduras, si arriva a un totale 21 gol fatti e 8 subiti. Si meravigliano, molti commentatori, nonostante la straordinaria tradizione sudamericana: 9 titoli mondiali in 18 edizioni, con una regola aurea, incrinata solo dall’Italia di Pozzo, che negò loro di vincere per due volte consecutive. Il Brasile stellare del 1958 –(quello di Garrincha, Didi, Vava e del giovanissimo Pelè) era composto da 11 brasiliani che giocavano tutti in Brasile. Il Brasile prosaico del 1994 (quello di Romario, Bebeto e Dunga, che sconfisse l’Italia ai rigori nell’afa di Pasadena) era composto per otto undicesimi da calciatori che giocavano all’estero. Il Brasile che in Sudafrica regala pochi attimi spettacolari, ha completato la mutazione: giocano tutti all’estero. È l’esempio di chi ce l’ha già fatta. L’esempio a cui guardano le altre nazionali sudamericane, i cui componenti preparano il Mondiale con una determinazione feroce, consapevoli della vastità della platea e della possibilità di ricavarne ricchi ingaggi. Sono partiti per il Sudafrica con l’intenzione di restarci a lungo, per poter esporre l’intero campionario ai mercanti dei Paesi ricchi. «Il calcio è un’industria di esportazione che disprezza il mercato interno», scrisse Eduardo Galeano a proposito del suo Uruguay; «Quando arrivano i campionati mondiali, i nostri giocatori, sparsi ai quattro venti, fanno conoscenza sull’aereo, giocano insieme per un momento e si dicono addio». 12 - Formule e calcoli cervellotici [23 Giugno 2010] Potevano cavarsela con uno 0-0, Uruguay-Messico, e passare entrambe il turno, anche se il Messico sapeva che avrebbe incrociato l’Argentina, mentre chi avesse vinto la partita si sarebbe assicurato la più abbordabile Corea del Sud. Anche Brasile-Portogallo si presta a certi calcoli: chi vince, dovrebbe evitare la Spagna [logico prevedere che vincerà il proprio girone, a meno che la Svizzera non dilaghi con l’Honduras]; ma chi arriverà primo, fra Brasile e Portogallo, troverà l’Olanda nei Quarti, mentre arrivando secondi ci sarebbe l’incrocio con Paraguay [o Giappone]: dunque semifinale certa… Che senso ha un torneo in cui si può andare avanti senza vincere una sola partita [raccogliendo 3 pareggi, cioè 3 punti] e in cui si può essere eliminati facendo 6 punti? Introdotta pure in Champions League, questa formula – gironi da 4, 2 squadre passano agli Ottavi –contiene in sé il germe dell’antisportività: chi è già qualificato dopo la seconda partita, manda in campo le riserve o, peggio, si disinteressa del risultato, danneggiando altri. Solo un’ipotesi: la Spagna giocherà la terza partita con il Cile, che ha vinto le prime due. Ma siccome di quel girone fa parte l’Honduras, i cileni rischiano di venire eliminati per la logica perversa della «differenza reti», che finirebbe per premiare spagnoli e svizzeri. Al contrario, con una serie di combinazioni, l’Italia può passare agli Ottavi anche con il terzo pareggio consecutivo, contro la Slovacchia. Per evitare questi effetti perversi, basterebbe poco: costruire gironi da 5, anziché da 4, facendo passare il turno alle prime 2; oppure, gironi da 3 e passaggio del turno solo alla prima classificata. 13 - Figlio, padre, nonno: gli infidi slovacchi [24 Giugno 2010] Oggi si chiude con la Slovacchia. Squadra mediocrissima, che tuttavia ha eliminato i cugini cechi (battuti a Praga). E gli infidi slovacchi fanno di tutto per metterci in confusione. Vladimir Weiss, classe 1989, è il nome di un esterno di centrocampo, che predilige la fascia destra, il cui cartellino è in mano agli sceicchi del Manchester City. Vladimir Weiss, classe 1964, è anche il nome del commissario tecnico, nonché padre del centrocampista; ha giocato a lungo nel campionato cecoslovacco, con le maglie di Inter Bratislava e Sparta Praga. Vladimir Weiss, classe 1939, è pure il nome del padre dell’allenatore (nonno del centrocampista); ha giocato per anni nella nazionale cecoslovacca, conquistando l’argento olimpico a Tokyo 1964. Sarà divertente verificare se la battuta di un ministro (Bossi) troverà conferma, e nella prossima Serie A circoleranno due o tre calciatori slovacchi. Prima della partenza, un altro ministro (Calderoli) aveva invitato gli Azzurri a rinunciare ai premi (eventuali), per dare un segnale di consapevolezza della crisi economica; con qualche sorrisetto polemico, gli hanno risposto devolvendo parte dei premi (molto eventuali) alle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Poi c’è stato il “Caso Marchisio”, giovane centrocampista juventino sballottato da Lippi in ruoli non suoi, accusato di aver sibilato “Roma ladrona” durante l’esecuzione dell’Inno di Mameli (circostanza ovviamente smentita). Infine, Radio Padania, con astuta logica editoriale, ha commentato Italia-Paraguay tifando per i sudamericani, e prima della partita con la Nuova Zelanda ha fatto risuonare l’haka degli All Blacks. L’inno slovacco? Ha un titolo sturm und drang: “Tempesta sui Monti Tatra”. Fuorigioco, 113 – L’anno della vuvuzela [24 Giugno 2010 - bis] “Le vuvuzelas? Non mi danno fastidio. Io gioco ad Anfield”: basterebbe questa frase a far capire che tipo sia Jamie Carragher, roccioso (si dice così) difensore del Liverpool, i Reds, quelli che giocano nella bolgia di Anfield Road. Nonostante la presenza di centinaia di giornalisti, del Sudafrica stiamo imparando ben poco (a parte l’inflazionata espressione “cattedrale nel deserto”, per descrivere certi stadi e il contesto ambientale). Però sappiamo tutto della vuvuzela, l’assordante trombetta di plastica, lunga circa un metro, capace di emettere un suono simile al ronzio di milioni di insetti. Decine di migliaia di trombette fanno da colonna sonora alle partite, immergendoci in un frastuono etnico che spinge ad abbassare l’audio, sacrificando i commenti dei telecronisti (non è poi questa gran perdita). Ci hanno spiegato che il suono della vuvuzela distrae i calciatori e rende impossibile comunicare istruzioni da parte dell’allenatore. Un’azienda di apparecchi acustici ha avvertito che la trombetta può causare sordità: da un test sarebbe emerso che sprigiona 127 decibel (90 un tagliaerba, 120 una motosega) e l’esposizione prolungata esporrebbe al rischio di danni permanenti all’udito. Alcuni canali televisivi hanno riesumato i vecchi microfoni che escludono i rumori di fondo. Qualcuno ha chiesto di impedire l’ingresso negli stadi alle vuvuzela. Ma la FIFA non poteva certo assecondare questa logica. Dice il capo supremo, Joseph Blatter: “Non vedo perché dovremmo vietare le tradizioni dei tifosi nel loro paese. Vorreste che qualcuno vi dica come fare il tifo nel vostro paese?”. FIFA e governo del Sudafrica respingono ogni critica e si sostengono vicendevolmente. Qualche giorno fa, il presidente Jacob Zuma ha insignito Blatter dell’Ordine dei Compagni di Tambo, la più alta onorificenza sudafricana per le personalità straniere. 14 – La disfatta [25 Giugno 2010] Trovo sproporzionato scomodare le categorie della vergogna e dell’indignazione – in un Paese che non sa più vergognarsi né indignarsi, e digerisce anche i sassi – a proposito della figuraccia rimediata dalla Nazionale lippiana. Avremmo bisogno di una serie di Saramago, e invece dobbiamo accontentarci di Mazzocchi, Galeazzi e Tuttosport. L’unico approccio adeguato mi sembra quello che piega all’irrisione. Della squadra, dell’allenatore, del capodelegazione, della pletora di cronisti, commentatori, opinionisti pronti a incensare “Marcello”, senza avere nemmeno il sussulto d’orgoglio per chiedergli, banalmente, come si fa a preferire Pepe a Balotelli, Iaquinta a Cassano, Cannavaro a chiunque possieda un passaporto italiano e abbia giocato al centro della difesa nell’ultima stagione di Serie A. La cifra dell’irrisione non è una forzatura. Sta nelle cose. Chi abbia frequentato i campetti spelacchiati del “calcio minore”, sa che un gol come il terzo della Slovacchia – direttamente da rimessa laterale - non lo si vede nemmeno in Terza categoria, dove i calciatori portano maglie e calzoncini a casa, sperando che mamme e mogli trovino il tempo per lavarle e stirarle. Anche da una disfatta così penosa può venire qualcosa di buono: per un po’ nessuno oserà chiedere a Moratti di comprare italiani, e ci siamo risparmiati una comparsata di Berlusconi in Sudafrica e qualche barzelletta sull’apartheid. Quanto agli Azzurri e a “Marcello”, faranno presto perdere le tracce in resort esclusivi, confortando indirettamente la Lega: non ci sono ricchi premi da versare nel fondo per il 150esimo dell’Unità d’Italia. 15 – Affare di Stato [26 Giugno 2010] Non era mai accaduto che le due finaliste del Mondiale precedente facessero i bagagli con la coda fra le gambe, e rientrassero in patria così presto. Sulla disfatta italiana, non intendo sprecare altre parole. Ben più istruttiva mi sembra la vicenda francese. I nostri “vicini” hanno fatto rivoluzioni, ghigliottinato re, contato le Repubbliche fino a 5 (noi, alla Seconda, sentiamo già la nostalgia della Prima), dunque non meraviglia che abbiano affrontato con fiero cipiglio il disastro calcistico, trattandolo come merita: un “affare di Stato”. I francesi hanno un Ministro dello Sport – per di più donna (Roselyne Bachelot); l’Italia si limita a un anonimo Sottosegretario, Rocco Crimi, che da due anni promette alle società una Legge per costruire gli stadi (con questi “tempi tecnici”, non mi preoccuperei troppo per gli annunci sulle nuove centrali nucleari). Sbarcando all’aeroporto di Bourget – destinazione scelta per evitare il contatto con i tifosi inferociti - Thierry Henry sapeva di trovare un’auto blu della presidenza della Repubblica, che a sirene spiegate, l’ha condotto all’Eliseo, per un colloquio privato con Sarkozy. Un dirigente Socialista (Jérôme Cahuzac) ha detto che nella squadra «regna il clima che Sarkozy ha esaltato: individualismo, egoismo, ciascuno per sé e il solo valore del successo umano è l’assegno intascato a fine mese». Un ex ministro centrista (François Bayrou) sostiene che il pessimo comportamento della squadra sia il riflesso «di una società fondata sui soldi, che ha completamente mancato l’integrazione. Ciò che resta sono dei clan, la separazione tra francesi in base all’etnia». Sono lontani i tempi dell’orgoglio per la squadra multirazziale capace di battere in finale il Brasile, identificata nella nuova triade: «bleu, blanc, beur». Nel 1998, magrebini e canachi, armeni e baschi, senegalesi e maliani, erano divenuti simboli di riscatto sociale, dell’avvenuta integrazione, della diversità come ricchezza. Prima che il grossolano fallimento calcistico inneschi reazioni a catena, Sarkozy ha annunciato la convocazione a ottobre degli Stati Generali dello Sport. Dubito che Domenech sarà fra i relatori. 16 – La lotteria dei rigori [28 Giugno 2010] Al netto dei clamorosi errori arbitrali che hanno danneggiato Inghilterra e Messico, i due Ottavi di ieri hanno mostrato una Germania mai così sbarazzina, agile e brillante, e un’Argentina con un tale potenziale offensivo, che si arriva quasi a capire perché Milito se ne stia fisso in panchina. Viene da trarre anche un terza conclusione: le partite dei Mondiali possono risultare divertenti - per quell’insieme di tecnica, agonismo ed emotività - a condizione che non giochi l’Italia di Lippi. Passiamo oltre. È cominciata la fase a eliminazione diretta, e incombe minaccioso uno dei concetti più insulsi: “la lotteria dei rigori”. Di solito, viene associato alla famosa canzone di De Gregori, e all’insistita convinzione per cui non sia da questi particolari che si giudica un giocatore. Strano davvero: coraggio, altruismo e fantasia sono intrinseci ai tiri dal dischetto, almeno a quelli necessari per sciogliere un equilibrio lungo 120 minuti. Grazie al pallone stampato sul palo da Trezeguet, l’Italia ha vinto l’ultima Coppa. E tuttavia la statistica degli Azzurri resta negativa, avendo perso ai rigori in tutte le occasioni precedenti: nel 1990 in semifinale contro l’Argentina, nel 1994 in finale contro il Brasile, nel 1998 agli Ottavi contro la Francia. Ben diverso è lo score della Germania, infallibile dal dischetto: quattro volte ai rigori e quattro successi. Ma che questa sia una nazionale nuova, antitetica rispetto ai panzer del passato, lo dimostra proprio un calcio di rigore: il primo sbagliato da decenni, quello di Podolski contro la Serbia. Segno di una fragilità assai poco teutonica, ingrediente essenziale per una nuova immagine. 17 – Non è stress, ma questione di tecnica [29 Giugno 2010] C’è un argomento meno convincente di tutti gli altri, a proposito dei fallimenti di Italia e Inghilterra: quello per cui italiani e inglesi arrivano stremati al torneo mondiale, avendo disputato campionati tatticamente esasperati e stressanti. Scusate la domanda: ma dove giocano i migliori brasiliani e argentini, o i migliori olandesi? Risposta: nella Serie A e nella Premier League. Come proteggersi, dunque, dallo stress che pare abbattersi sui calciatori indigeni? La mia è una risposta sommaria: il calcio italiano e il calcio inglese sono tecnicamente mediocri, e i risultati delle squadre di club tendono a occultare questa realtà grazie all’impatto determinante degli stranieri. Sia Lippi che Capello hanno scelto la strada dell’esperienza (allenavano le squadre con l’età media più alta), rinunciando a puntare sui giovani (Theo Walcott e Gabriel Agbonlahor, come Balotelli e Cassano). Entrambi hanno scommesso sul fatto che il fresco (e il freddo) del Sudafrica avrebbe rigenerato muscoli logori. Non è accaduto. Sta accadendo, invece, che il fresco (e il freddo) sudafricano consenta notevole agonismo, recupero dagli sforzi, partite spettacolari. Mai nella storia l’Inghilterra aveva subito un 4-1 ai Mondiali. Mai nella storia l’Italia era uscita senza vincere una sola partita (nonostante dovesse fronteggiare squadroni come Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia, rispettivamente ai numeri 31, 78 e 34 del ranking Fifa). Inghilterra e Italia hanno esposto due generazioni esauste. Agli inglesi resta una consolazione: l’essere stati sconfitti da una squadra che, se già non lo è, può diventare grande. 18 – E le stelle stanno a guardare [30 Giugno 2010] Zero gol Lionel Messi e Cristiano Ronaldo, zero gol Wayne Rooney e Fernando Torres: i campioni più celebrati, quelli con gli ingaggi stratosferici, predestinati a lasciare il segno sul Mondiale sudafricano – e a sfruttare il palcoscenico per convincere i giurati del prossimo Pallone d’oro – sono tutti all’asciutto. Spremuti alla meta, alcuni hanno già preso la strada di casa; altri assistono all’esplosione di compagni (Higuain e Villa) che rubano loro la scena. Sono andato alla ricerca delle quote offerte dalle grandi agenzie di scommesse all’inizio del torneo, scoprendo che Betfair, Bwin e Snai proponevano lo stesso trio di favoriti per il capocannoniere: avevano previsto che la competizione si sarebbe ristretta a Messi, Rooney e Ronaldo… Sulla vittoria finale, le quote di partenza sono state ricalibrate, ma i bookmakers hanno qualche motivo di consolazione: avevano proposto la stessa, identica cinquina (nell’ordine, Spagna, Brasile, Inghilterra, Argentina e Italia) e tre squadre sono ancora in lizza. Le squadre sono qualcosa di più della somma dei calciatori: altrimenti non capiremmo il 4-1 di Bloemfontein fra Germania e Inghilterra, quando nell’ultima classifica del FIFA World Player, fra i primi 12 c’erano 4 inglesi e nessun tedesco. Nell’apprestarci a vedere questi strani Quarti di finale, il duello Sudamerica-Resto del Mondo, una presenza imprevedibile – il Paraguay – rende ancor più bruciante la sorte dell’Italia, che avrebbe dovuto stravincere quel girone. “Mistero senza fine bello”, diceva Brera del calcio: con una minima dose della fortuna raccolta nel 2006, Lippi, Cannavaro e compagni sarebbero ancora in corsa. 19 – Primi elementi per un bilancio sudafricano [1 Luglio 2010] Sei stadi nuovi di zecca e quattro rifatti; investimenti per le infrastrutture viarie, l’accoglienza e la sicurezza: alla spesa complessiva (dichiarata) di circa 4 miliardi di dollari, si sovrappongono voci di un deficit altrettanto largo. Il bilancio finanziario del Sudafrica appare negativo; al contrario, un portavoce della FIFA ha confermato che la federazione si aspetta profitti per 2,7 miliardi. La FIFA ha goduto di varie agevolazioni. Si può dire, anzi, che alla “Blatter SpA” sia stato concesso tutto: nessuna tassa doganale sulle operazioni compiute da aziende e televisioni, la gestione in totale autonomia degli sponsor ufficiali della manifestazione. Con un risultato sportivo deludente – non era mai accaduto in 19 edizioni che la squadra di casa venisse eliminata al primo turno – le autorità sudafricane sono alla ricerca di motivi di conforto. Va a onore dei Bafana Bafana non aver beneficiato di arbitraggi compiacenti, quelli spesso riservati alle squadre di casa; e non dimentico che hanno battuto i vicecampioni del mondo, per quanto fossero i vicecampioni più screditati della storia del calcio: la Francia di monsieur Domenech. Dal punto di vista politico, ha speso la sua autorità anche Desmond Tutu, Nobel per la Pace. Dice che il Mondiale sta mettendo in mostra ottime capacità organizzative, tutto funziona e, soprattutto, la manifestazione ha un impatto positivo sull’unificazione del Paese, “dal punto di vista dell’autostima e della fiducia in noi stressi come nazione”. Tutu attribuisce particolare rilevanza all’afflusso turistico: già 400.000 presenze stimate, e nonostante le precoci eliminazioni di Italia, Francia e Inghilterra, se ne aspettano altre 200.000. Fuorigioco, 114 – I padroni dei Mondiali [1 Luglio 2010 bis] “Il calcio in Sudafrica: identità, politica ed economia” è il titolo dell’ultimo numero di una rivista universitaria - “Afriche e Orienti” – giunta al dodicesimo anno di vita. Stavolta, la rivista dedica un lungo dossier alla Coppa del Mondo, curato da Peter Alegi e Chris Bolsmann, dove, fra l’altro, viene ricostruito il processo che ha portato a de-razializzare e democratizzare il calcio sudafricano tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Novanta. Dopo 28 anni di isolamento, solo nel 1992 il Paese fu reintegrato nella FIFA; la federcalcio sudafricana organizzò a Durban il primo incontro internazionale “come squadra non razziale” il 7 luglio 1992, due anni prima delle prime elezioni democratiche (aprile 1994). Scarlett Cornelissen descrive come i mega-eventi dello sport siano dominati da “alcuni padroni commerciali”: nel caso dei mondiali di calcio, la FIFA, grandi aziende dell’abbigliamento sportivo e delle telecomunicazioni. In particolare, la FIFA non va considerata come una semplice aggregazione di federazioni sportive, ma come un’entità che gestisce affari direttamente: preoccupata di massimizzare il valore dei suoi “eventi”, costruisce relazioni strettissime con i comitati organizzatori nazionali e i rispettivi governi. La capacità di trarre profitto dall’organizzazione di competizioni sportive e dalla commercializzazione della fedeltà al calcio sono state le forze motrici della globalizzazione del calcio. A dirigere i Mondiali sudafricani, “vi è un gruppo compatto e in qualche misura opaco di attori transnazionali, che stabiliscono i vari parametri per la teletrasmissione, il marketing, la vendita dei biglietti, l’immagine e talvolta la preparazione delle infrastrutture”. Resta un minimo margine alle autorità ospitanti “nell’influenzare la pianificazione del torneo, trarre dei benefici commerciali o determinare delle eredità di lunga durata”. 20 – Il mestiere del condottiero [2 Luglio 2010] Lippi e Capello a casa, con la coda fra e gambe, Domenech convocato per un’audizione a porte chiuse dal Parlamento francese, Takeshi Okada (Giappone) elogiato pubblicamente dal primo ministro, mentre il Presidente della Repubblica nigeriana umiliava Lars Lagerback e la sua nazionale, condannati a due anni senza partite all’estero. Poi ci sono le dimissioni dignitose di Javier Aguirre (Messico) e Paul Le Guen (Camerun), i sorrisi dello strapagato Sven Goran Eriksson (tre mesi alla guida della Costa d’Avorio), e Carlos Alberto Parreira, brasiliano giramondo, che ha raggiunto un sogno personale: dopo Kuwait 1982 ed Emirati Arabi 1990, Parreira portò la Selecao alla vittoria nei Mondiali 1994, per poi monetizzare in petrodollari con l’Arabia Saudita (1998), rientrando (male) alla guida del Brasile 2006, fino ad arrivare al record assoluto - sesta partecipazione - alla guida dei Bafana Bafana. Ora sono rimasti in otto. Un fuoriclasse e due mediani di talento, già famosi da calciatori: Maradona, Dunga e Del Bosque. Due “stranieri”, il serbo Milovan Rajevac, che guida il Ghana, e l’argentino Gerardo Martino, che allena il Paraguay. Due outsider dal “basso profilo”, Bert Van Marwijk e Joachim Loew, che hanno dimostrato di saper pilotare gruppi ambiziosi. E infine, un gentiluomo che riuscì a spazientire Berlusconi. Al Cavaliere era piaciuto il gioco del Cagliari, e nell’estate 1996 volle sottoporre a Oscar Washington Tabarez un contratto pluriennale. Doveva sostituire Fabio Capello, sbarcato a Madrid, e avviare un lungo progetto: invece l’uruguayano allenò il Milan per appena 11 (undici) partite. Al “progetto” fu fatale una sconfitta a Piacenza. 21 – L’harakiri della Selecao [3 Luglio 2010] Un Brasile molto “europeo”, si era detto. Razionale, concreto, attento alla fase difensiva, con la volontà di chiedere sacrifici anche agli attaccanti pur di non concedere sbilanciamenti. Dell’Olanda, invece, si diceva fosse molto sudamericana, con un trio di ottimi palleggiatori come Sneijder, Van Persie e Robben, a dare imprevedibilità alle manovre corali. A sorpresa (non mia: vedi la terza puntata di questa rubrica) il primo Quarto di finale ha stabilito la supremazia fra due modi di pensare il calcio. Due identità. Due tradizioni: una che quasi si sovrappone alla storia di questo gioco, l’altra che è salita alla ribalta alla fine degli anni Sessanta, imponendo il “calcio totale”. L’equilibrio si è rotto grazie a una verticalizzazione di Felipe Melo, che avrà fatto infuriare i tifosi juventini, che non l’hanno mai visto così ispirato; poi il Brasile ha condotto le danze, meritando il vantaggio, mentre l’Olanda cozzava contro il muro di Lucio e Juan, incapace di costruire azioni pericolose. Con una nettezza rara, il secondo tempo ha capovolto i giudizi. Il ritorno alla normalità di Felipe Melo - colpevole nel pareggio insieme Julio Cesar, e poi vittima di uno dei suoi scatti di nervi - ha fatto capire che la famiglia Agnelli dovrà regalarlo, per liberarsene, svelando il bluff di una Selecao tutto sommato modesta, priva di fuoriclasse. Complimenti al Milan per la scelta dei tempi nella vendita di Kakà. Più che le qualità olandesi, mi ha meravigliato l’harakiri del Brasile, che deve rimandare di quattro anni l’appuntamento con l’ottava finale (5 vinte, 2 perse). Spero che la delusione, alle latitudini di Rio e San Paolo, non alimenti una catena di suicidi: non ne vale la pena, per una squadra infarcita di terzini e mediani. 22 – Abituati alle alte quote [5 Luglio 2010] Quattro gol all’Inghilterra, altri quattro all’Argentina, ed ecco la Germania gratificata dalla banale etichetta di “squadra rivelazione”. Strana sorte, l’essere sempre sottostimata alla vigilia, per una nazionale che arrivando alle semifinali non ha fatto altro che confermare i risultati del 2006 (battuta nei supplementari dall’unica, bella Italia di Lippi) e del 2002 (quando eliminò i padroni di casa, la Corea del Sud). Fra quelli che allenano le nazionali importanti, Joachim Loew è l’unico commissario tecnico a essere sopravvissuto all’Europeo 2008 (dove la Germania, ovviamente sottostimata, arrivò in finale). Questa nazionale che fa entusiasmare la Merkel è nata grazie a una sfortuna provvidenziale, l’infortunio che ha tolto di mezzo Michael Ballack, il calciatore più celebrato. Più che il sospetto, ho la certezza che quella perdita sia stata una benedizione: se l’Inghilterra avesse dovuto rinunciare a “questo” Rooney, e l’Argentina a “questo” Messi, sono convinto che una di loro sarebbe oggi in semifinale. Da vent’anni, i tedeschi non producono fenomeni o grandi squadre; allora vinsero il Mondiale grazie a un rigore molto generoso, che scippò Maradona e compagni: era la panzerdivision di Matthaus, Brehme e Klinsmann, allenata dal totem Beckenbauer. Ma ad alta quota, la regolarità teutonica non ha paragoni: in 17 partecipazioni, per 12 volte sono arrivati fra le prime quattro. Contro la Spagna, raggiungeranno un record storico: la partita numero 100 nella storia di questa competizione (al secondo posto il Brasile, fermo a 97). La Rai, invece, eccelle nell’avanspettacolo, ma ha mancato di trasmettere le due partite con più pathos: Germania-Inghilterra e Uruguay-Ghana. 23 - Olanda-Uruguay: vedo arancio [6 Luglio 2010] Siamo alla vigilia di un evento storico: solo l’Uruguay si frappone alla prima vittoria di una nazionale europea fuori dal proprio continente. Per quanto la Celeste sia già andata oltre i propri limiti, senza il cannoniere Suarez – immolatosi per impedire il gol del Ghana al minuto 120 – è difficile immaginare soluzione diversa da una finale tutta europea. L’ultima volta che gli uruguagi hanno incrociato l’Olanda, ai Mondiali, era il 1974. La squadra di Cruyff e Neeskens dominò il confronto: segnò due volte Johnny Rep; lo marcava Pablo Forlan, il padre di Diego. Oltre allo squalificato Suarez, potrebbe mancare il leader della difesa, Diego Lugano. Assenze molto più pesanti di quelle annunciate fra gli olandesi [il centrocampista De Jong e l’ottimo terzino Van der Wiel]. Il ct Bert Van Marwijk dirà ai suoi di fare attenzione a una giovanissima mezzapunta, Nicolás Lodeiro. Punto di forza si sta rivelando Stekelenburg, il portiere: negli anni Settanta due Mondiali furono compromessi a causa di Jongbloed e Schrijvers, portieri impresentabili, non di rado ridicoli… La critica specializzata ondeggia fra gli stereotipi: ai Quarti, quattro sudamericane su otto, e tutti a parlare del dominio latinamericano, pronosticando una «finale inevitabile» [Brasile-Argentina]: qualcuno ha sentenziato fosse «l’evidente volontà della FIFA». Ora, con tre europee su quattro semifinaliste, tutti si affannano a ripiegare sulla «tradizione del Vecchio continente». L’indole degli uruguagi è quella di non sprecare nulla. La Grande Olanda, invece, fu definita «cicala». Se tornasse a cicaleggiare stasera, verrebbe punita dai maestri della praticità calcistica. Amati da Brera per la loro mirabile ragionevolezza. 24 – Germania-Spagna: vedo rosso [7 Luglio 2010] Purtroppo “gli imbucati alla festa” – definizione di Tabarez – non ce l’hanno fatta, gli astri proteggono l’Olanda, gratificata dal terzo autogol. Un anno fa nessuno sapeva chi fosse, Thomas Müller. Oggi, dopo una stagione fantastica nel Bayern Monaco e 4 gol segnati ai Mondiali, la sua assenza fa pendere la bilancia a favore della Spagna. Sostituirlo è impossibile, Loew deve decidere come gestirne l’assenza: fosse Trochowski, il preferito, credo che la Germania verrebbe snaturata, prima o poi il palleggio ipnotico degli spagnoli troverà un pertugio e sull’1-0 – con quel meraviglioso, insopportabile “possesso palla” - la vittoria sarebbe in cassaforte. Se, invece, Loew avrà il coraggio di osare, inserendo Toni Kroos, forse la sua nazionale continuerà a offrire il miglior calcio di squadra - quello dalle accelerazioni scintillanti, capace di segnare 4 gol ad Australia, Inghilterra e Argentina - e potrebbe essere la Spagna a perdere l’equilibrio. Dopo la vittoria in Euro 2008 – gol di Torres proprio ai tedeschi – la storia del calcio spagnolo ha girato pagina. Prima, erano gli sconfitti predestinati, l’amalgama mal riuscito (come dice D’Alema del Pd) fra le tre grandi scuole (castigliana, catalana e basca). Nelle ultime cinquanta partite ufficiali, le Furie Rosse hanno perso solo due volte, guidati prima da Aragones e ora da Vicente Del Bosque, silenzioso e arguto, placido volto da borghese che sarebbe piaciuto a Buñuel. Torres non ha ancora segnato, ma Del Bosque insisterà a coinvolgerlo, convinto dell’ineluttabile: il Niño è destinato a sbloccarsi. Ai Mondiali, nei tre precedenti, la Spagna non è mai riuscita a battere la Germania. Stasera finirà anche questa serie. 25 - Prime volte [8 Luglio 2010] Olanda o Spagna: sarà comunque una prima volta. Di situazioni inedite, in questi inediti Mondiali africani, se ne sono accumulate tante. Vado a memoria. È la prima volta che la finale sarà tutta europea, fuori dall’Europa. Che il Paraguay e il Ghana arrivano fino ai Quarti di finale. Che fra le prime otto, si trovano quattro sudamericane. Che l’Inghilterra incassa 4 gol in una partita. Che il miglior arbitro, Izmailov, ha il passaporto uzbeko. Che la squadra di casa non supera il primo turno. Che l’Italia esce senza aver vinto nemmeno una partita, nella stupefatta cornice di Ellis Park, beffata dalla doppietta di un certo Vittek, sconosciuto centravanti slovacco che gioca nell’Ankaragucu, squadra altrettanto sconosciuta che ha chiuso l’ultimo campionato turco al dodicesimo posto. Competizioni come questa alimentano il fatalismo e i rimpianti. Su tutti, quelli di Asamoah Gyan e Oscar Cardozo: i loro rigori avrebbero potuto cambiare la storia calcistica di Ghana e Paraguay, la traversa sopra Muslera e la parata di Casillas hanno allungato la lista delle occasioni perdute. Non ha funzionato nemmeno la scaramanzia: dopo il ritiro di Pelè, c’erano voluti 24 anni perché il Brasile tornasse a vincere (1970-1994); l’Argentina ha vanamente sperato che questa regola valesse anche per gli eredi di Maradona (1986-2010). Alla finale sono arrivate squadre compatte, lucidamente consapevoli. Nessuno sa palleggiare allo sfinimento come la Spagna, nessuno sa tramutare rimpalli occasionali in occasioni da gol come l’Olanda. Fra tante prime volte, ce n’è una autobiografica. Il 12 giugno vi avevo detto come andava a finire: http://www.carta.org/post/19640. 26 - La guerra della birra [9 Luglio 2010] Forse non ve ne siete accorti, ma si è giocata anche un’Olanda-Germania, ultima eredità dei colonizzatori boeri. Ricordate? Una marca di birra aveva lanciato una campagna pubblicitaria sul territorio olandese: insieme a bottiglie e lattine, regalava un vestito arancione pensato per le giovani donne che sarebbero andate in Sudafrica. La sera di Olanda-Danimarca, trentasei tifose olandesi, rigorosamente bionde, si sono disposte sulle tribune del Soccer City, e le telecamere non potevano mancare di inquadrarle (il vestito era, diciamo così, molto succinto). Ma durante il secondo tempo, un gruppo di steward ha circondato le ragazze, costringendole ad abbandonare lo stadio. Nonostante il vestito non portasse alcun marchio, la FIFA ha giudicato fosse una forma di pubblicità occulta, ideata per aggirare le regole dell’organizzazione. L’abitino arancione è stato bandito da tutti gli stadi sudafricani, le ragazze sono rimaste bloccate per ore, un paio sono state arrestate dalla polizia e sottoposte a processo: in Sudafrica la pubblicità illegale è reato penale, punibile con il carcere fino a sei mesi. La birra “ufficiale” dei Mondiali è Budweiser e la FIFA ha comunicato di aver avviato un procedimento per danni contro la Bavaria, l’azienda che ha ideato il vestito arancione. Il cui scopo promozionale è stato ampiamente raggiunto: le immagini delle ragazze arancioni hanno fatto il giro del mondo. Ho letto da qualche parte che sono più di tremila le cause contro falsari e fruitori non autorizzati del logo dei Mondiali. Fra tutte, segnalo quella intentata contro una piccola compagnia aerea che si è fatta identificare con questo slogan: «La compagnia non ufficiale di voi sapete cosa». 27 – Perché la Spagna [10 Luglio 2010] Un ottavo nome, diverso da quelli che si sono spartiti le diciotto edizioni finora disputate - Uruguay, Italia, Germania, Brasile, Inghilterra, Argentina e Francia - in un campionato in cui le vincitrici c’erano tutte: domenica sera l’albo d’oro accoglierà il nome della Spagna. Perché ne sono così sicuro? Per vanità, forse, avendolo scritto il primo giorno e continuato a scriverlo anche dopo l’imprevista sconfitta contro la Svizzera (utile, in prospettiva, avendo consumato lo spazio degli errori rimediabili e costretto gli spagnoli al massimo di concentrazione). La Spagna gioca un calcio indisponibile agli avversari. Un calcio da squadra di club, più che da nazionale, per come i meccanismi sembrano oliati. Il laboratorio è la cantera del Barcellona, il settore giovanile da cui sono usciti Xavi, Iniesta e Busquets, il trio di centrocampo intorno a cui ruota la manovra, nonché Piqué-Puyol, la coppia di difensori centrali. Xavi Hernandez è da un triennio il miglior calciatore del mondo, non vince i premi riservati ai migliori perché non segna valanghe di gol. Non ha fidanzate modelle o veline. E non ha le phisique du role: è alto sì e no un metro e settanta. E la Spagna ha maturato una calma olimpica. Sa che il gol arriverà, e non si sbilancia per inseguirlo. Sa che quando il gol sarà arrivato, il suo palleggio prenderà alla gola l’avversario e gli toglierà il respiro. Agli Ottavi, ai Quarti e in semifinale, è sempre finita 1-0: nel suo disperato forcing, il miglior attacco dei Mondiali (quello tedesco, 13 gol), non è riuscito ad effettuare un solo tiro in porta. L’Olanda ha esagerato con la fortuna. Questa generazione Oranje non vale quella di Cruyff, né quella di Van Basten. Se c’è giustizia, nel calcio, stavolta tocca alle Furie Rosse. 28 - Mas que un club [12 Luglio 2010] Quel che non è riuscito a fare l’Ajax con la maglia dell’Olanda, negli anni Settanta, è riuscito al Barcellona con la maglia della Spagna. Se lo sport riesce ancora a difendere qualche brandello di valenza educativa, è perché ogni tanto vincono davvero i migliori. I più meritevoli. Quelli che fanno progetti e si impegnano a realizzarli, cercando di non lasciare niente al caso. Il primo mondiale vinto dalla Spagna ha molto di olandese. È il compimento di una lunga parabola a cui hanno contribuito Laszlo Kovacs e Rinus Michels, Johann Cruyff e Louis Van Gaal, Frank Rijkard e Pep Guardiola. È l’apoteosi della fin troppo citata (e poco imitata) cantera, La Masía, la scuola catalana dove centinaia di ragazzini vengono educati al gioco del calcio. Puyol e Piqué, Xavi e Busquets, Pedro e Fabregas, e anche l’hombre del partido, quello del gol a 4 minuti dalla fine, Andres Iniesta, vengono da quella scuola. Per i suoi tifosi, il Barça è “mas que un club”, più di una squadra di calcio: è il simbolo identitario della Catalogna, una nazione senza Stato. Durante la dittatura franchista, lingua e simboli catalani furono vietati, nel marzo 1938 una bomba lanciata dai fascisti distrusse la sede della società. Nell’epopea che scandisce la rivalità politico-sportiva con il Real Madrid, la squadra preferita dalla casa reale e dal Caudillo, uno degli episodi più celebri risale al 17 febbraio 1974: il Barcellona di Cruyff espugnò il Santiago Bernabéu con uno scandaloso 5-0. Il derby cittadino oppone il ricco Barça al povero Espanyol. Nel delirio, subito dopo il gol, Iniesta ha sollevato la maglia, mostrando una scritta incomprensibile ai più: “Dani Jarque siempre con nosotros”. Un omaggio al capitano dell’Espanyol morto d’infarto a 26 anni. L’ultima lezione di calcio di questi campionati del mondo. Fuorigioco, 115 – Alla fine della festa [15 Luglio 2010] Purtroppo, è finita. Per un appassionato di calcio, i Mondiali sono una magnifica vacanza, un concentrato a cadenze giornaliere di quelle emozioni che Javier Marías chiama “il recupero settimanale dell’infanzia”. Favorito dal fuso orario e da qualche amico con pay-tv, ho visto una quarantina di partite, altre le ho sentite alla radio, di altre ancora ho letto cronache e commenti. Le più belle, con più pathos, sono state Germania-Inghilterra e Uruguay-Ghana, entrambe invisibili sulle reti Rai. Il servizio pubblico ha giustificato la sua esistenza con le trasmissioni radiofoniche, più che con il fiume di chiacchiere televisive, che in seconda serata spesso tracimava nel grottesco. Mi sono trovato a competere con un polipo (Paul), non limitandomi a stilare pronostici ma proponendo impressioni quotidiane, pubblicate sul sito di “Carta”; scuserete l’immodestia, ma già il 12 giugno avevo scritto come andava a finire: http://www.carta.org/post/19640. Ero convinto della forza ipnotica della Spagna, dei limiti di Brasile e Argentina, della sconfortante pochezza dell’Italia. Ammetto di aver vacillato dopo la sconfitta iberica, provocata dallo sconosciuto Gelson Fernandes, svizzero dalla pelle nera, nato nell’arcipelago di Capo Verde. Spenti i riflettori, sappiamo qualcosa in più sul Sudafrica: le disuguaglianze di classe sono diventate più pronunciate all’interno dei gruppi razziali, piuttosto che tra bianchi e neri, la maggioranza della popolazione non ha ricevuto alcun beneficio da questa parata, ma la presenza di migliaia di giornalisti e oltre mezzo milione di turisti ha rappresentato un’apertura al mondo che non sarà priva di conseguenze. Il Mbombela Stadium sorge nelle vicinanze del parco Kruger, la più grande riserva naturale del paese; è uno stadio magnifico, il tetto trasparente appoggia su piloni lunghi e sottili, simili al collo delle giraffe. Moses Mabhida è il nome di un’altra meraviglia architettonica, lo stadio di Durban, con quell’arco vertiginoso che sovrasta la copertura. Blikkiesdorp, invece, è il nome di uno dei cosiddetti “transit camp”, i campi costruiti dal governo sudafricano per sgombrare aree destinate alla costruzione degli impianti sportivi (e nascondere realtà sgradevoli agli occhi dei turisti). Resta il dubbio se siano stati più numerosi i sudafricani deportati o quelli che hanno potuto permettersi un biglietto per le partite. Spese esorbitanti sono state sostenute per organizzare il torneo: oltre agli stadi, montagne di rand sono servite per le infrastrutture viarie, l’accoglienza e la sicurezza. E se il bilancio finanziario del Sudafrica appare assai negativo, la FIFA – qualcuno l’ha definita “Blatter SpA” - ha raccolto profitti vicini ai 3 miliardi di euro. Quanto al bilancio sportivo, quello dei Bafana Bafana è in linea con la delusione complessiva del calcio africano. Da questa globalizzazione, l’Africa – anche nel calcio perde più di quel che guadagna. Eliminati al primo turno, i padroni di casa si sono tolti la soddisfazione di battere i vicecampioni del mondo, per quanto fossero ormai screditati: la Francia di monsieur Domenech. Ma è stato triste vedere il pubblico abbandonare le tribune prima della fine della partita, mentre il Sudafrica perdeva contro l’Uruguay. Dal punto di vista politico, ha speso parole autorevoli Desmond Tutu, Nobel per la Pace: il Mondiale ha messo in mostra ottime capacità organizzative, la manifestazione avrebbe un impatto positivo sull’unificazione del Paese, “dal punto di vista dell’autostima e della fiducia in noi stressi come nazione”. Altri commentatori africani hanno sottolineato con orgoglio di aver dimostrato al mondo di saper organizzare un grande evento. L’apparizione, ormai inaspettata, di Mandela, ha rappresentato l’autentico climax emotivo dei Mondiali. Ora la candidatura di Durban per le Olimpiadi del 2020 appare in grado di vincere. È stato il Mondiale assordato dalle vuvuzelas e stupito dalle traiettorie dello Jabulani, delle delusioni procurare dai campioni più celebrati (zero gol Messi e Cristiano Ronaldo, zero anche Kakà e Rooney) da eroi negativi (Felipe Melo, Asamoah Gyan) e da “rivelazioni” come il messicano Dos Santos, gli uruguayani Suárez e Fucile, i ghanesi Inkoom e Ayew, fino ai già affermati Thomas Müller e Mesut Özil. È stato l’ultimo Mondiale, si spera, in cui gli arbitri non hanno visto quello che hanno visto tutti, commettendo errori grossolani: persino Blatter dovrà acconciarsi a concedere un po’ di tecnologia, anziché limitarsi a censurare i replay sui megaschermi che stanno sulle tribune. Sono presto uscite di scena Francia e Italia, poi l’Inghilterra e in rapida successione Brasile e Argentina, incapaci di restare ai vertici del loro continente, mentre andavano oltre i propri limiti Cile e Paraguay e strabiliava l’Uruguay di Tabarez e Forlan. L’Olanda si è arrampicata fino alla finale con una buona dose di fortuna (tre autogol contro Danimarca, Brasile e Uruguay), ma quest’ultima generazione arancione non mi è parsa all’altezza di quelle Cruyff e Van Basten. Nessuno ha dato spettacolo quanto la Germania: quattro gol all’Inghilterra, altri quattro all’Argentina; spumeggianti oltre ogni aspettativa, i tedeschi hanno esibito una squadra giovane e multietnica, piena di figli di immigrati. I loro successi hanno allargato la ferita della bruttissima Italia lippiana, decotta sul piano agonistico e arrogante fuori da campo. Da 36 anni l’Italia non veniva eliminata al primo turno. “Peggio della Corea” è il titolo urlato da giornali grondanti indignazione: nove campioni del mondo - in Germania, quando la fortuna soffiò turbinosa alle spalle degli Azzurri - hanno dovuto piegarsi al peggior contrappasso possibile. La Francia ha affrontato con fiero cipiglio il suo disastro calcistico, trattandolo come un “affare di Stato”. Sbarcando all’aeroporto di Bourget, Thierry Henry ha trovato un’auto blu della presidenza della Repubblica, che a sirene spiegate l’ha condotto all’Eliseo, per un colloquio privato con Sarkozy. Nel 1998, magrebini e canachi, armeni e baschi, senegalesi e maliani, erano divenuti simboli di riscatto sociale, dell’avvenuta integrazione, della diversità come ricchezza. Sono lontani i tempi dell’orgoglio per la squadra multirazziale capace di battere in finale il Brasile, identificata nella nuova triade: ”bleu, blanc, beur”. La nuova frontiera calcistica ha i colori solari delle Furie Rosse. Già con la vittoria di Euro 2008, il calcio spagnolo aveva girato pagina. Prima, erano gli sconfitti predestinati, l’amalgama mal riuscito (come dice D’Alema del Pd) fra le tre grandi scuole (castigliana, catalana e basca). Non erano mai arrivati in semifinale, hanno inanellato quattro vittorie consecutive pere 1-0 grazie a schemi collaudati e sublimi qualità di palleggio. Non hanno potuto contare sul centravanti Torres, li ha sorretti la forma di Xavi e Villa, Puyol e Casillas. Hanno retto la tensione di chi è condannato a vincere grazie alla calma di Vicente Del Bosque, gentiluomo licenziato dal Real Madrid nonostante le vittorie perché poco Galacticos. Il paradosso è che la sua rivincita nasce da un blocco di ragazzini usciti dalla cantera del Barcellona.