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DARE DA MANGIARE AGLI AFFAMATI
IN ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,10-17)
In quel tempo gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con
sé e si ritirò verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse
e prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno
cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla, perché vada nei
villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona
deserta». Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che
cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: «Fateli sedere per gruppi di
cinquanta». Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti. Allora egli prese i cinque pani e i due
pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero
alla folla. Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici
ceste.
Dalla riflessione di don Danilo Priori, che vi invito a leggere per intero, ho evidenziato 3 punti:
1. Il Signore non si tira indietro e soddisfa la fame superando la necessità con la
sovrabbondanza; anzi, il Signore fa addirittura di più: s’identifica così tanto con l’uomo
affamato sino a diventare tutt’uno con lui, affinché chiunque incontrerà una persona che
elemosina il “pane quotidiano” potrà fare l’esperienza dell’incontro con Cristo stesso
perché «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
2. Gesù si rivolge oggi a noi come allora ai suoi discepoli e ci chiede di farci pane spezzato per
il fratello affamato; non ci chiede opere straordinarie, ma gesti di quotidiana condivisione
che rendono straordinario il nostro essere Chiesa. E occorre certamente altrettanta
capacità di discernimento per individuare gli appetiti dei fratelli in difficoltà e le diverse
necessità che fanno di loro uomini affamati.
3. Il Signore chiama noi, adesso! Chiama ogni uomo semplice ed essere sensibile al grido del
fratello affamato; chiama ciascuno a sentirsi impegnato con i suoi pregi e coi suoi limiti.
Ora vorrei declinare con voi questi 3 punti in chiave unitalsiana.
Riesco ad identificarmi con gli uomini che incontro facendo vita associativa? Comprendo i loro
bisogni? Il mio impegno è risposta ad una chiamata alla quale rispondo valorizzando i miei pregi,
tenendo a bada i miei difetti?
L’associazione, al momento dell’iscrizione ci impone una classificazione, c’è il personale volontario
che presta il proprio servizio in forma gratuita barellieri, sorelle di assistenza, medici, sacerdoti; ci
sono gli ammalati e i disabili; ci sono i pellegrini. Questa distinzione nasce da un’esigenza
senz’altro pratica e giusta, ma mette inevitabilmente un’etichetta a tutti noi nel momento
dell’incontro, in pellegrinaggio, alle giornate e in tutte le altre occasioni di vita associativa,
e se il nostro carisma è l’accoglienza e l’attenzione verso chi soffre e verso i più deboli, a
prescindere dalla classificazione fatta a fini organizzativi, è bene rivolgere questa attenzione a tutti
gli uomini che incontriamo: Gesù non fa distinzione tra gli uomini. Gesù, come abbiamo ascoltato
nel brano di Vangelo, si è identificato con tutta la folla che in quel luogo deserto si era radunata
per ascoltarlo, ha sfamato tutti grandi e piccoli, uomini e donne, sani e malati. Quindi non c’è
personale d’assistenza, non ci sono malati, disabili, pellegrini ci sono uomini e donne meritevoli
della nostra attenzione, alcuni di loro portano i segni visibili delle malattie, dei dolori, delle
gioie...altri invece li hanno dentro e non sono visibili esteriormente, ma tutti, proprio tutti hanno
bisogno di accoglienza, di attenzione…di poter incontrare Gesù che vive in me.
Identificarsi con l’uomo richiede cura e attenzione, è un processo che inizia da me, con lo
“spogliarmi” di me, di tutte le mie prevenzioni, pregiudizi, preconcetti che mi fanno giudicare
prima di amare. Richiede sguardo attento e rispettoso, ricordate le parole di Bernadette: “mi
guardava come una persona”. Richiede ascolto discreto e sensibile. Richiede pazienza e
delicatezza. Richiede tempo che forse nel caso dei pellegrinaggi non ne abbiamo troppo perché
durano pochi giorni, ma non per questo dobbiamo rinunciare al tentativo di entrare in relazione
con gli altri per comprenderli e amarli.
Solo identificandoci con chi abbiamo davanti ci permette di capire che tipo di “appetito” hanno,
solo così possiamo farci “pane” per loro. Gesù ha detto: “Dategli voi stessi da mangiare”.
Cosa possiamo fare? Il più delle volte basta poco: un sorriso, una parola gentile, un piccolo gesto
d’incoraggiamento, un grazie o un per favore a fronte di una semplice richiesta, magari scontata,
insomma piccole cose che non costano nulla, ma che fanno la differenza, che ci avvicinano e ci
fanno più Chiesa.
Ultimo punto: il Signore chiama, chiama ciascuno di noi così come siamo con i nostri pregi e i
nostri difetti. Noi abbiamo risposto a questa chiamata impegnandoci a prestare servizio in
associazione a favore dei più deboli, quindi siamo tenuti a farlo meglio che possiamo tenendo però
in debito conto i nostri limiti, il primo dei quali è quello che non potremmo mai essere perfetti.
So bene che la maggior parte di noi in pellegrinaggio desidera prestare servizio 24 ore su 24 per
aiutare tutti, ma questo non è possibile o forse, data l’età di alcuni di noi, non è più possibile farlo.
Bene accettiamolo è un limite del quale tenere conto, faccio un po’ meno, ma magari riesco a farlo
meglio. Teniamo sempre a mente che per una buona riuscita di un pellegrinaggio occorre che tutti
rispondano al meglio alla chiamata ricevuta, siamo tutti utili ed indispensabili, dal direttore al più
piccolo (inteso come età anagrafica) dei pellegrini; ciò che è diverso sono le competenze è la
responsabilità che necessariamente deve esserci nell’organizzazione del pellegrinaggio, ma tutti,
tutti siamo utili e necessari.
Vorrei terminare ricordando a tutti noi volontari che “ci siamo impegnati a prestare servizio
gratuito in spirito di autentica carità cristiana, in sintonia con le scelte pastorali dell’Autorità
Ecclesiastica” (paragrafo 2 dell’articolo 2 dello Statuto UNITALSI) e mai dobbiamo dimenticare di
essere servi inutili nelle mani del Signore. Bernadette lo sapeva benissimo, infatti diceva: Ho
servito da manico di scopa alla Madonna. Quando non ha avuto più bisogno di me, mi ha rimesso a
posto, dietro la porta”.