Consiglio di Stato, sez. VI, 5 aprile 2013, n. 1885

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Consiglio di Stato, sez. VI, 5 aprile 2013, n. 1885
Consiglio di Stato, sez. VI, 5 aprile 2013, n. 1885
Edilizia e urbanistica - Case mobili in campeggio - Zona con vincolo ambientale di conservazione
integrale - Ordine di demolizione e diniego di autorizzazione paesaggistica - Legittimità.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5706 del 2012, proposto da
De Sanctis Giuliana – in qualità di legale rappresentante della Cala Paradiso s.r.l. (già s.a.s.) e
Catenaro Rinaldo, entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati Valter De Cesare e Francesco De
Cesare, con domicilio eletto presso l’avv. Fausto Buccellato in Roma, viale Angelico, 45;
contro
Comune di Ortona, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Dario
Rapino, con domicilio eletto presso la segreteria della VI sezione del Consiglio di Stato in Roma,
piazza Capo di Ferro 13; Dirigente del III Settore del comune di Ortona;
per la riforma della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZIONE STACCATA DI PESCARA, sez. I, n.
00262/2012, resa tra le parti, concernente, concernente demolizione di fabbricato e ripristino dello
stato dei luoghi;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ortona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per
le parti gli avvocati Valter De Cesare e Rapino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Pescara, sez. I, n. 262/12 del 7
giugno 2012 (che non risulta notificata), sono stati respinti due ricorsi riuniti, proposti dai signori
Giuliana De Sanctis e Rinaldo Catenaro, avverso ordine di demolizione e diniego di autorizzazione
paesaggistica in sanatoria, riferiti alla ristrutturazione di due fabbricati ed alla collocazione di
alcune case mobili in un campeggio, in area soggetta a vincolo ambientale di conservazione
integrale.
Nella citata sentenza si ritenevano fondamentali la sussistenza del vincolo di inedificabilità e
l’entità delle opere contestate, da ritenere soggette a permesso di costruire.
Avverso la predetta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 5706/12, notificato il 20
luglio 2012), in base alle seguenti argomentazioni difensive:
I) violazione o falsa applicazione degli articoli 63, 64 e 65 Cod. proc. amm., essendo state respinte
senza motivazione le istanze istruttorie presentate dalla parte ricorrente, con ulteriore omessa
disamina della censura, riferita ad irrituale emanazione dell’ordinanza impugnata, in pendenza di
avviata procedura di variante in sanatoria alla D.I.A. del 2 novembre 2011, riferita ai lavori
effettuati sul fabbricato adibito a ristorante;
II) violazione dell’art. 64, comma 2, Cod. proc. amm.; violazione o falsa applicazione dell’art. 2,
commi 3 e 4 e dell’art. 12, comma 5, della legge regionale dell’Abruzzo 23 ottobre 2003, n. 16
(disciplina delle strutture ricettive all’aria aperta), non essendo stata contestata
dall’Amministrazione l’avvenuta rimozione dei tiranti di ancoraggio delle case mobili al terreno,
con cessazione della materia del contendere sotto tale profilo; non sarebbe stata esaminata, inoltre,
la censura di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, indirizzata avverso l’ordine
di rimozione delle case mobili, di cui – contraddittoriamente – era stato ordinato il ripristino delle
caratteristiche di amovibilità e che, con tali caratteristiche costruttive, sarebbero tipiche di qualsiasi
struttura recettiva autorizzata come campeggio;
III) violazione o falsa applicazione dell’art. 18 NTA del Piano Paesistico regionale (ex L. n.
431/1985 e art. 1 L. reg. n. 1/1998) approvato dal Consiglio Regionale con atto n. 141/21 del 21
marzo 1990, dell’art. 41 (zone per campeggi) e degli articoli 48, 57, 58, 59 delle NTA (norme per le
aree di particolare complessità e piano di dettaglio della variante generale al PRG di Ortona del
1994, all’epoca vigente), della delibera di Consiglio comunale di Ortona n. 26 in data 11 agosto
2004 di recepimento della legge regionale n. 16/ del 2003 (sulle strutture ricettive all’aria aperta),
dell’art. 12 della legge regionale n. 16 del 2003 e dell’art. 11 della legge regionale n. 5 del 2007
(disposizioni urgenti per la tutela e la valorizzazione della costa teatina), dovendo il vincolo essere
oggetto di interpretazione compatibile con la prevista possibilità di realizzazione di campeggi, di
modo che gli interventi effettuati nel caso di specie sarebbero stati assentibili in variante, con
possibilità di nuova realizzazione di servizi e di ristrutturazione di edifici preesistenti; la presenza di
un tetto di eternit – da considerare “detrattore ambientale” avrebbe persino consentito la
demolizione e ricostruzione dell’edificio, con uguale volume e diversa sagoma, anche con
traslazione dell’area di sedime;
IV) violazione o falsa applicazione degli articoli 151 e 185 Cod. pen., nonché degli articoli 651, 652
e 654 Cod. proc. pen., con riferimento agli articoli 63 e 64 Cod. proc. amm.; violazione dell’art. 29
del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, avendo il TAR erroneamente
ritenuto che fosse stata accertata in sede penale la sussistenza del reato, senza tenere conto
dell’assoluzione per non avere commesso il fatto della signora De Sanctis e della responsabilità per
reato ambientale del solo signor Catenaro, ma limitatamente ad un edificio destinato a servizi ed
alle case mobili, non anche per i lavori riferiti al ristorante, oggetto di domanda di sanatoria; la
responsabilità penale, in ogni caso, sarebbe non sovrapponibile a quella amministrativa, di modo
che solo la società proprietaria avrebbe avuto legittimazione passiva per la repressione dei contestati
abusi edilizi; quanto agli interventi relativi alle parti strutturali dell’edificio esistente si tratterebbe
di interventi eseguiti legittimamente, in base alla DIA presentata il 14 dicembre 2010, o
corrispondenti ad attività edilizia libera, ovvero di manutenzione ordinaria o straordinaria assentibili
in corso d’opera; per mera inerzia del Comune di Ortona, peraltro, non sarebbero stati adottati gli
strumenti di pianificazione e di attuazione, previsti dalla legge regionale n. 5/2007, con
impossibilità di strutture turistiche già presenti sull’area, come nel caso di specie, di procedere ai
necessari adeguamenti funzionali, con palese inammissibilità di norme di salvaguardia di durata
illimitata, “di contenuto sostanzialmente espropriativo”; una lettura corretta della norma di
salvaguardia, tuttavia, dovrebbe ritenersi compatibile con la realizzazione di campeggi nelle aree a
ciò destinate e quindi anche con i lavori effettuati nel caso di specie: lavori che sarebbero, pertanto,
sanabili; i servizi igienici contestati sarebbero stati infine preesistenti;
V) violazione o falsa applicazione dell’art. 31 del d.lgs. n. 380 del 2001, con riferimento agli
articoli 3 e 33 dello stesso decreto, nonché dell’art. 12, comma 7 della legge regionale n. 16/2003 e
dell’art. 11 della legge regionale n. 5 del 2007, in quanto, in presenza di ristrutturazione edilizia (e
non di nuova costruzione), non avrebbe potuto essere ordinata la demolizione anche della parte
conforme all’originaria concessione edilizia n. 73/1980, essendo stata documentata dall’appellante
la possibilità di riduzione in pristino, con istanza in tal senso che avrebbe dovuto determinare
l’improcedibilità del ricorso;
VI) violazione o falsa applicazione degli articoli 3, 6, 31, 33, 36 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001,
nonché del regolamento edilizio e delle NTA del PRG del Comune di Ortona e delle leggi regionali
nn. 16 del 2003 e 5 del 2007, in quanto i lavori contestati sarebbero stati definibili in parte come
edilizia libera o manutenzione (sia ordinaria che straordinaria), in parte come lavori assentiti a
seguito di DIA, presentata il 14 dicembre 2010; altre opere, inoltre, avrebbero dovuto ritenersi
assentibili come varianti in corso d’opera, o risulterebbero comunque sanabili ex art. 36 d.P.R. n.
380 del 2001; erroneamente, poi, il primo giudice avrebbe ritenuto l’area totalmente inedificabile,
senza tenere conto del parere del Servizio affari giuridici e legali, consulenza e vigilanza della
Regione Abruzzo in data 23 maggio 2012, circa gli interventi assentibili nelle strutture ricettive di
cui alla legge regionale n. 16 del 2003, nonché in ordine alla piena compatibilità tra la norma
regionale, istitutiva della riserva, e le altre norme regionali, relative alla realizzazione nella stessa di
strutture ricettive all’aria aperta, per un corretto uso turistico dell’area. Solo a causa dell’inerzia del
Comune di Ortona, che avrebbe dovuto adottare e approvare i previsti strumenti di pianificazione ed
attuazione (piano di assetto naturalistico, programma pluriennale di attuazione e regolamento, piano
di gestione), i titolari del campeggio di cui trattasi – preesistente rispetto all’istituzione della riserva
– si sarebbero trovati nell’impossibilità di procedere agli adeguamenti funzionali, previsti dalle
leggi statali e dalla legge regionale n. 16 del 2003, con interpretazione illegittima delle norme di
salvaguardia, previste dall’art. 11 della legge regionale n. 5 del 2007, non potendo tali norme avere
durata illimitata, a pena di incostituzionalità, avendo in tale situazione il vincolo assunto carattere
espropriativo. Anche nel predetto regime di salvaguardia, comunque, sarebbe ammissibile la
realizzazione di strutture ricettive extra-urbane, purché conformi agli strumenti urbanistici locali:
tale conformità sussisterebbe e renderebbe possibile la sanatoria di quanto realizzato nel caso di
specie; si insiste infine sulla preesistenza dei servizi igienici e sull’assenza di qualsiasi aumento di
volume o di superficie utile, sulla base di perizia tecnica di parte;
VII) violazione o falsa applicazione dell’art. 181, comma 1-quater del d.lgs. n. 42 del 2004, con
riferimento all’art. 146, commi 7 e 8 , e degli articoli 3 e 10-bis della legge n. 241 del 1990; ancora
violazione del d.lgs n. 42 del 2004 (articoli 146, 149, 167 e 181), con riferimento al diniego di
autorizzazione paesaggistica, non potendo quest’ultima essere concessa a sanatoria, ma non anche
nell’ipotesi di lavori che non determinino mutamenti volumetrici o impiego di materiali diversi o di
natura manutentiva, come appunto sarebbe riscontrabile nel caso di specie; non sarebbe stato
seguito, inoltre, il corretto procedimento previsto in materia, in assenza del richiesto parere della
Soprintendenza, con preavviso di provvedimento ove la valutazione fosse stata sfavorevole; la
tutela paesaggistica, in ogni caso, sarebbe effettuabile in base a parametri non meramente edilizi ed
urbanistici, ma con riferimento all’aspetto visibile del territorio. L’ordine di rimessa in pristino ed il
diniego riferito alla tutela paesaggistica sarebbero stati emessi, infine, senza tenere conto della
tempestiva richiesta di sanatoria ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Il Comune di Ortona, costituitosi in giudizio, riepilogava i motivi di gravame prospettati e
sottolineava l’avvenuta realizzazione di un immobile di mq. 26,30 x 10,70 circa, con struttura in
cemento armato, difforme dal progetto di mera bonifica della copertura e risistemazione interna, nei
termini dettagliatamente riportati, implicanti nuova costruzione e non mera ristrutturazione. Le
cosiddette case mobili, tuttora prive di ruote, sarebbero state in realtà vere e proprie casette
prefabbricate; il diniego di compatibilità paesaggistica, inoltre, sarebbe stato correttamente emesso
in base alla procedura semplificata, di cui al d.P.R. n. 139 del 2010, con ulteriore infondatezza di
tutte le censure, analiticamente esaminate.
Il medesimo Comune, in una successiva memoria, sottolineava poi come irritualmente gli attuali
appellanti avessero attivato lo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) Chietino –
Ortonese, perché intervenisse nella procedura di rilascio del provvedimento di compatibilità
paesaggistica e di conformità edilizia, con conclusivo invito al Comune di concludere positivamente
la procedura stessa. Non sarebbe stato considerato, infatti, che l’istanza di sanatoria presentata dalla
società non riguarderebbe tutti gli abusi contestati e che il parere negativo non avrebbe comunque
potuto essere riformato dall’Amministrazione. Non vi sarebbe stata coincidenza, inoltre, fra il
progetto allegato all’istanza di sanatoria e lo stato di fatto accertato, oggetto dei provvedimenti
sanzionatori impugnati. Gli abusi posti in essere, in ogni caso, avrebbero comportato incremento di
volumi e superfici e la relativa valutazione (anche ai fini paesaggistici) avrebbe dovuto essere
effettuata globalmente, senza possibile attivazione del SUAP attraverso una procedura di
chiarimenti ex art. 9 del d.P.R. n. 160 del 2010, finalizzata alla risoluzione dei motivi ostativi al
rilascio della DIA in sanatoria e non anche a rimettere in discussione un diniego pienamente
efficace, in sovrapposizione al pronunciamento giudiziale.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene opportuno sottolineare come la questione dedotta in
giudizio debba, necessariamente, essere circoscritta alla legittimità, o meno, degli atti impugnati in
primo grado: ordinanze di demolizione nn. 100 e 101 in data 11 novembre 2011 e diniego di
autorizzazione paesaggistica in sanatoria n. 1058 del 17 gennaio 2012. Nelle proprie diffuse note
difensive, infatti, gli appellanti introducono considerazioni (riferite ad istanza per definire le
modalità di rimessa in pristino, istanze di sanatoria ancora in corso e inerzia del Comune di Ortona,
che avrebbe dilatato i tempi di applicazione delle previste misure di salvaguardia), non idonee ad
incidere sull’oggetto del giudizio, anche se ipoteticamente in grado di condizionare l’esecutività
degli atti impugnati, in attesa di una compiuta definizione dell’intera vicenda controversa in sede
amministrativa.
Resta il fatto, tuttavia, che il Collegio non può essere chiamato a definire l’astratta sanabilità, o
meno, delle opere di cui trattasi, né a valutare il comportamento del Comune rispetto ai termini
(comunque ordinatori) entro cui avrebbero dovuto essere emessi atti di pianificazione attuativa.
La segnalata riapertura di un procedimento, per la sanatoria degli interventi effettuati non giustifica
d’altra parte, allo stato degli atti, la richiesta declaratoria di improcedibilità dell’impugnativa,
potendo tale improcedibilità scaturire soltanto da una positiva conclusione del nuovo iter avviato.
Detta improcedibilità è stata ravvisata infatti solo nei casi in cui all’esito – anche negativo –
dell’istanza di sanatoria, dovesse comunque seguire una nuova misura repressiva dell’abuso:
situazione ravvisabile, in particolare, con riferimento al primo condono edilizio (legge n. 47 del
1985, per il nuovo quadro sanzionatorio introdotto dalla legge, da applicare in caso di diniego del
titolo abilitativo); le ordinarie istanze di sanatoria, invece, implicano soltanto la priorità logicogiuridica del relativo esame, rispetto all’esecutorietà del provvedimento repressivo, con
conseguente arresto di efficacia dell’ordine di demolizione, fino a pronuncia espressa o tacita
dell’Amministrazione (cfr. art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; Cons. Stato, IV, 19 febbraio 2008,
n. 849; TAR Campania, Napoli, sez. III, 5 dicembre 2012, n. 4932; TAR Lazio, Roma, sez. I, 27
aprile 2009, n. 1107).
Premesso quanto sopra, il Collegio non ritiene che l’appello – da esaminare nei termini sopra
precisati, in base alla situazione di fatto e di diritto, esistente alla data di emanazione dei
provvedimenti impugnati – possa trovare accoglimento.
Debbono essere infatti considerati, in primo luogo, i concreti contenuti dei provvedimenti impugnati
e i presupposti normativi degli stessi, da valutare poi in rapporto ai singoli motivi di gravame,
specificamente riferibili all’oggetto del giudizio.
Nel primo di detti provvedimenti (ordinanza n. 100 in data 11 novembre 2011) si richiamava un
precedente diniego di sanatoria (impugnato, con giudizio ancora in corso) e si contestavano
interventi edilizi a seguito dei quali un fabbricato, “composto da un gruppo di servizi con struttura
portante in c.a.”, oggetto di concessione edilizia n. 73/1980, sarebbe stato oggetto di totale
trasformazione, con aumento di superficie, di volume e di altezza ed ulteriore realizzazione di un
terrazzo con parapetto, nonché gradinate; si rilevava inoltre la posa in opera non autorizzata di “n.
12 mobil-home allineate […]. prive di ruote e poggianti su blocchetti di cemento, nonché di tettoie
e pedane in legno incastonate e manufatto in legno”: il tutto in area di riserva naturale soggetta a
vincolo paesaggistico, nonché in zona di conservazione integrale, in cui sarebbero stati consentiti
solo interventi di risanamento igienico-sanitario, con conseguente ordine di demolizione e
rimozione di quanto realizzato.
Nella seconda ordinanza (n. 101, emessa in pari data), si rilevava l’esecuzione di opere in totale
difformità rispetto alla DIA, presentata il 14 dicembre 2010, per trasformazione ed ampliamento di
un immobile, di dimensioni pari a 26.30 x 10.70, sempre in zona di conservazione integrale, in
particolare a seguito dell’inglobamento del nuovo porticato nella sala ristorante, con conseguente
ordine di rimessa in pristino e rimozione delle strutture abusivamente realizzate.
Nel diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria (n. 1058 del 17 gennaio 2012) si fa
riferimento alla sola citata ordinanza n. 101/2011, per escludere la sanabilità delle opere, con la
medesima sanzionate, in quanto costitutive di incremento di volumi e superfici utili in zona A1 del
P.R.P..
In rapporto agli atti sopra indicati non appare contestabile che la normativa urbanistica, vigente
nell’area, impedisse la costruzione di nuovi edifici, ex art. 11, comma 1, lettera c), della legge
regionale 30. marzo 2007, n. 5 (disposizioni urgenti per la tutela e la valorizzazione della costa
teatina), rendendo effettuabili solo interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, restauro
conservativo e risanamento igienico-edilizio, con esclusione pertanto – oltre che di nuove
edificazioni – anche della ristrutturazione (cfr. art. 11, comma 3 L. reg. n. 5 del 2007 cit., nonché
art. 30, comma 1, lettere a), b), c) e d) della legge regionale 12 aprile 1983, n. 30).
Ad avviso del Collegio, gli interventi effettuati nel caso di specie non potevano ricondursi alle
tipologie sopra indicate e risultavano, pertanto, soggetti alla misura repressiva, di cui all’art. 31
d.P.R. n. 380 del 2001, richiamato nelle impugnate ordinanze nn. 100 e 101 in data 11 novembre
2011.
Per quanto riguarda l’ordinanza n. 100, infatti, risultano oggetto di contestazione la completa
trasformazione di un manufatto adibito a servizi (portato da una superficie di mq. 67,58 e con
altezza media di m. 3,60 ad una superficie di mq. 80,43, con altezza media di m. 6,00, con
realizzazione di un primo piano sottotetto e di una terrazza con parapetto), nonché la posa in opera
di 12 mobil-home, ciascuna delle quali di superficie variante fra 22 e 24 mq. circa, “prive di ruote e
poggianti su blocchetti di cemento, nonché di tettoie e pedane in legno incastonate e manufatto in
legno delle dimensioni di mt. 4,00 x 3,00”. Per il primo di tali interventi, non solo l’aumento di
volume e di superficie appare evidente, ma risulta realizzato un immobile diverso, per forma e
tipologia, rispetto a quello preesistente. Tale immobile era pertanto assoggettabile alla sanzione,
prevista sia per le nuove costruzioni che per la ristrutturazione abusiva, anche a prescindere dalle
ulteriori problematiche, connesse ai vincoli gravanti sull’area. La stessa parte appellante, del resto,
afferma di avere proposto “istanza di riduzione in pristino del fabbricato nella sua precedente
consistenza”: non viene precisato, tuttavia, se il manufatto preesistente sia ancora fisicamente
individuabile, in quanto inglobato nel nuovo contesto edificatorio, ovvero se la proposta ne preveda
la ricostruzione, con intervento a carattere di ristrutturazione, ex art. 3, comma 1, lettera d), d.P.R.
n. 380 del 2001. Come già in precedenza precisato, d’altra parte, non possono ritenersi oggetto del
presente giudizio istanze, corrispondenti a nuove iniziative degli interessati in via amministrativa:
tali iniziative possono infatti risultare idonee ad avviare procedure, la cui definizione condiziona
l’esecutività delle misure sanzionatorie, ma senza alcuna incidenza sui presupposti per
l’emanazione dei provvedimenti, di cui sia contestata la legittimità. Nel caso di specie, pertanto, il
Collegio ritiene corretta la repressione di un abuso – qualificabile quanto meno come
ristrutturazione di un edificio esistente, con accorpamento di altro manufatto – tramite ordine di
demolizione, emesso ai sensi del citato art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001. Posto quanto sopra, esulano
dalle valutazioni del medesimo Collegio istanze successive, la cui disamina compete
all’Amministrazione, circa la concreta, attuale conservazione del manufatto preesistente, che non
potrebbe essere oggetto di demolizione, poiché a suo tempo regolarmente assentito: tale
accertamento, non necessario ai fini del presente giudizio, appartiene alla fase esecutiva del
provvedimento impugnato, da intendere – quest’ultimo – come misura repressiva di quanto
abusivamente realizzato, con esclusione dell’immobile preesistente solo in caso di dimostrata
scorporabilità dello stesso (con onere dimostrativo a carico del responsabile dell’abuso).
Per quanto riguarda, poi, le case mobili, sembra opportuno ricordare che la collocazione di tali
manufatti sarebbe, in astratto, definibile come “nuova costruzione”, ai sensi e per gli effetti dell’art.
3, comma 1, lettera e) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia). La disposizione infatti, specifica dettagliatamente le
caratteristiche dell’intervento, qualificabile nei termini sopra indicati, con riferimento – al punto
e.5) – alla “installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere,
quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”. La disposizione, tuttavia, deve essere coordinata con le peculiari esigenze
di un’area destinata a campeggio, ovvero rientrante fra le “strutture ricettive all’aria aperta”,
disciplinate con legge della Regione Abruzzo 23 ottobre 2003, n. 16. Questa legge regionale
prevede – all’art. 2 – che in tale ambito l’installazione di strutture mobili non sia soggetta a
“concessioni, autorizzazioni o comunicazioni edilizie”, con libera dislocazione delle stesse strutture
all’interno del complesso ricettivo. Nella medesima disposizione, tuttavia, si precisa come tali
strutture debbano conservare i meccanismi di rotazione in funzione e non possedere “alcun
collegamento permanente al terreno”, con “allacciamenti alle reti tecnologiche [….] rimovibili in
ogni momento”.
Questa situazione non sembra sussistere nel caso di specie (in presenza di case mobili prive di
ruote, allocate su piattaforma di cemento ed arricchite da tettoie fisse in legno), né può considerarsi
ripristinata con la mera rimozione di più stabili ancoraggi al suolo, originariamente presenti
(essendo ben diverso il temporaneo, consentito passaggio di roulottes e caravan, rispetto al
posizionamento di strutture stabili, anche per dimensioni assimilabili a piccole case prefabbricate, in
presenza o meno di ulteriori sistemi di fissaggio al terreno).
Anche l’art. 12 della medesima legge regionale n. 16 del 2003 prevede d’altra parte – oltre alla
presenza di strutture stabili ed impianti, al servizio di tutti gli ospiti – soltanto “mezzi mobili di
pernottamento, quali roulottes, caravan, maxi-caravan e simili, in materiali leggeri, comunque
smontabili e non stabilmente infissi al suolo”, con una copertura di superficie di terreno “non
superiore a mq. 18” (essendo riservate le unità abitative fisse ai villaggi turistici).
Per i manufatti, nella fattispecie installati nel campeggio di cui trattasi, pertanto, appare corretta
l’adozione della misura repressiva, di cui al medesimo art. 31 d.P.R. n. 380/2001.
A non diverse conclusioni si perviene per quanto riguarda l’ordinanza n. 101/2011, con riferimento
a lavori – non previsti nella DIA presentata – che risultano avere aumentato superficie utile e
volume della struttura preesistente, adibita a ristorante. In questo caso le contestazioni mosse dal
Comune – inequivocabilmente supportate da documentazione fotografica – riguardano in
particolare una tettoia con struttura leggera, trasformata in vistoso pergolato ad archi, rivestiti di
mattoni e parzialmente schermati da vetri, che allargano visibilmente l’area di ristorazione e
trasformano in modo sensibile l’aspetto del fabbricato, con indubbio aumento di volume e
superficie utile, non realizzabile a seguito di mera denuncia di inizio attività in area vincolata, ex
art. 22, commi 3 e 6 del d.P.R. n. 380 del 2001. Anche per l’intervento in questione – nonché per le
altre difformità, puntualmente elencate nel provvedimento in esame – appariva corretto l’impugnato
ordine di rimessa in pristino dello stato dei luoghi.
Dato il carattere eterogeneo delle irregolarità contestate, può in effetti ritenersi che alcuni interventi
– benché certamente non conformi al progetto autorizzato con DIA – si rivelino sanabili, o che
l’intero progetto sia oggetto di riconsiderazione, con eventuali modifiche, nell’ambito della
procedura di regolarizzazione in corso: come già in precedenza chiarito, tuttavia, le possibili, future
determinazioni dell’Amministrazione sotto tale profilo non possono formare oggetto del presente
giudizio.
Quanto al terzo provvedimento contestato (diniego di nulla osta paesaggistico in sanatoria n. 1058
del 17 gennaio 2012, emesso dal Comune di Ortona come autorità sub-delegata per gli interventi,
oggetto dell’ordinanza di rimessa in pristino n. 101/2011) non possono che confermarsi le
statuizioni della sentenza appellata, circa la non sanabilità in via successiva di interventi edilizi che
abbiano comportato aumenti di superficie utile e di volumi, ai sensi degli articoli 146, comma 4 e
167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004. Tenuto conto di quanto sopra, nonchè in considerazione
dei limitatissimi interventi, a carattere conservativo, consentiti in base ai già richiamati vincoli
gravanti sull’area, il Collegio non ritiene che possano invocarsi come vizi invalidanti l’omessa
richiesta di parere alla Soprintendenza o il mancato preavviso di diniego, risultando la sanatoria –
nella rappresentata situazione di fatto e di diritto – inammissibile ed il diniego stesso, pertanto,
vincolato per ragioni normative e non rimesso ad apprezzamento discrezionale di compatibilità
paesaggistica, (con conseguente applicabilità dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, che
esclude l’annullamento di un atto per vizi di forma o di procedura, quando il contenuto dello stesso
non avrebbe potuto essere diverso).
La ricostruzione dei presupposti di fatto e di diritto dei singoli atti impugnati rende più agevole la
disamina dei diversi motivi di gravame, nei quali le argomentazioni, riferite all’uno o all’altro degli
interventi abusivi talvolta si sovrappongono, a discapito della chiarezza.
Nessuno dei predetti motivi, in effetti, appare condivisibile: il primo, perché riferito sostanzialmente
alle procedure di sanatoria, come già illustrato non incidenti sulla validità degli atti impugnati, né
sulla procedibilità del presente giudizio; il secondo, per irrilevanza della mera rimozione dei tiranti
per modificare la natura fissa delle case mobili e per non compatibilità dei manufatti realizzati con
la normativa regionale sui campeggi; il terzo, poiché in parte riferito ancora alle strutture
realizzabili nei campeggi, in precedenza valutate in base alla legge regionale n. 16 del 2003, in parte
perché contenente argomentazioni sulla disciplina urbanistica, senza tenere conto delle rigide
limitazioni imposte nell’area vincolata di cui trattasi: limitazioni che non consentivano – a
differenza di quanto affermato – interventi di ristrutturazione; il quarto, per irrilevanza delle
considerazioni, riferite alla sentenza penale, in cui risultava individuato come responsabile
dell’abuso, riferito alle case mobili e all’immobile destinato a servizi, il solo signor Catenaro,
benchè assolto per prescrizione; il medesimo restava infatti, come rilevato nella sentenza,
legittimato passivo in ordine ai provvedimenti repressivi o di diniego, unitamente alla signora De
Sanctis, quale legale rappresentante della società “Cala Paradiso”.
Per altri argomenti – riferiti ad assoggettabilità a DIA, o alla corrispondenza ad edilizia libera degli
interventi effettuati, non può che farsi rinvio alla precedente disamina degli interventi stessi, così
come può farsi rinvio alle precedenti considerazioni, per quanto riguarda i tempi dilatati (ma
comunque non tassativamente imposti) per la prevista adozione degli strumenti di pianificazione
attuativa da parte del Comune di Ortona, con conseguente applicabilità – comunque non superabile,
come parametro di legittimità degli atti adottati – delle misure di salvaguardia, che limitavano gli
interventi assentibili; per il quinto motivo si deve pure fare rinvio alle considerazioni già esposte,
circa l’oggetto dell’ordine di demolizione n. 100/2011, ove il manufatto oggetto di ristrutturazione
fosse ancora concretamente individuabile nell’originaria consistenza; il sesto motivo contiene
un’analitica e parcellizzata disamina delle opere realizzate, sulla cui effettiva consistenza si rinvia
per ciascun intervento a quanto già esposto, fermo restando che, in sede di sanatoria, alcune delle
difformità, comunque esistenti, potrebbero essere regolarizzate, in termini che non rilevano ai fini
del presente giudizio; anche la durata delle misure di salvaguardia non appare, allo stato, rilevante
sotto il profilo dei sollevati dubbi di costituzionalità, tenuto conto dei valori paesaggistici dell’area,
comunque da riconoscere a tempo indeterminato, in rapporto ad interventi di ristrutturazione
realizzati senza titolo; il settimo ed ultimo motivo, riferito al diniego di autorizzazione
paesaggistica, non può che essere respinto per le considerazioni già in precedenza esposte, anche
con riferimento alla natura ed alla consistenza degli interventi effettuati, per i quali appare
contrastante con la realtà il riferimento a lavori meramente manutentivi, non incidenti su volumi e
superfici, o implicanti impiego di materiali diversi, sulla base delle analitiche descrizioni contenute
negli atti e risultanti dalla documentazione fotografica depositata, nei termini già in precedenza
illustrati.
Il Collegio ritiene pertanto, conclusivamente, che l’appello in esame debba essere respinto; le spese
giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di €. 3.000,00
(euro tremila/00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando,
respinge l'appello, come in epigrafe proposto; condanna gli appellanti al pagamento delle spese
giudiziali, a favore del Comune di Ortona, nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.