Dal periodico "PUNTO D`INCONTRO" ISEO n. 25
Transcript
Dal periodico "PUNTO D`INCONTRO" ISEO n. 25
Titolo Rubrica: Chiacchierando con lo Psicologo Titolo Articolo: “Superare ansia e paure nello sport (e nella vita)”. A cura di: Dott. Alessandro Faita – Psicologo e Psicoterapeuta. Studio "Metis", Via del Dosso, 16. Provaglio d'Iseo (BS). Tel.: 333 3322842. Sito Internet: www.psicologiainbreve.it Questo articolo ha lo scopo di descrivere alcune delle modalità di intervento per risolvere in tempi brevi le difficoltà legate all'ansia e alla paura nei contesti sportivi. Le tecniche e le procedure descritte non possono essere messe in atto sotto forma di autoprescrizione e nemmeno utilizzate alla leggera. Alcune di esse, se usate in modo inappropriato, potrebbero dimostrarsi controproducenti. Per un corretto utilizzo è indispensabile una adeguata formazione e una lunga esperienza diretta sul campo. Le sensazioni di ansia e di paura vengono avvertite da ogni essere umano e possono essere descritte come emozioni spiacevoli spesso accompagnate da un senso di insicurezza e da sintomi fisici come cefalea, sudorazione, palpitazioni, costrizione toracica e blando mal di stomaco. L’ansia e la paura sono reazioni fisiologiche normali dell’organismo con un’importante funzione di adattamento, in quanto ci mettono nelle condizioni ottimali per affrontare una condizione stressante. Solo quando ansia e paura interferiscono con l'effettivo svolgimento delle attività dell'atleta (o delle persone) diventano patologiche ed è indispensabile trattarle. Per fare superare un “blocco” o la paura a un atleta, ciò che conta non sono i contenuti e le cause della paura, ma quanto la persona e le persone intorno fanno per cercare di superare o contrastare la paura. Le più comuni tentate soluzioni nei confronti della paura sono l'evitamento di ciò che è temuto, la richiesta d'aiuto e il controllo. Ognuna di esse innesca spirali perverse che mantengono e complicano il problema. L'intervento, quindi, dovrà inevitabilmente andare nella direzione di interrompere tali dannose tentate soluzioni e sostituirle con altre efficaci. Purtroppo non è sufficiente spiegare ciò all'atleta per fare in modo che abbandoni le tentate soluzioni, c'è bisogno di di fargli sperimentare sulla propria pelle e senza ombra di dubbio che l'interruzione della tentata soluzione fa svanire il problema. Ecco alcune strategie, ordinate dalla più logica alla più “paradossale”, utilizzate per lo sblocco dell'ansia e della paura: Spiegazione della paura: si cerca di far comprendere all'atleta che la sua ansia o la sua paura non è altro che la manifestazione percepibile dell'attivazione dell'organismo prima della gara. “Il sistema ortosimpatico si dà da fare per garantire il migliore funzionamento possibile di tutti gli organi (muscoli, cuore, fegato, cervello ecc.); il sistema parasimpatico lotta per trattenere l'organismo fino a che non verrà dato il segnale di via libera; dallo scontro tra questi due sistemi neurovegetativi dipende parte del disagio che si percepisce sotto forma di ansia e di paura”. Tecniche di respirazione adeguate: spesso l'atleta in ansia, per calmarsi, tende a respirare più frequentemente e/o più profondamente, causando iperventilazione e il conseguente aumento della tensione. Diventa indispensabile studiare insieme a lui una tecnica di respirazione che non provochi iperventilazione, come un respiro controllato e lento, il trattenere il fiato per alcuni secondi, o il respirare dentro un sacchetto di carta (non di plastica!). Quest'ultima tecnica può essere usata anche nei casi di attacchi di ansia acuta, in quanto in questo modo si riequilibra in pochi secondi il rapporto fra la concentrazione ematica di anidride carbonica e di ossigeno. Evitare le richieste di aiuto: continuare a chiedere aiuto (all'allenatore, ai compagni di squadra, ad amici, a parenti ecc.), quando non dimostra di essere stato utile, predispone la persona a tre pericoli: diventare dipendente dall'aiuto degli altri; assorbire raccomandazioni e consigli non sempre utili, a volte dannosi; sentirsi incapaci di farcela da soli e intaccare la propria autostima. Diventa indispensabile, quindi, che la persona cominci a evitare di continuare a chiedere aiuto nelle stesse modalità utilizzate fino a quel momento. Il Diario di Bordo e il Diario dell'Ansia: se il problema riguarda l'ansia anticipatoria, cioè l'ansia che si prova quando si pensa a un evento che dovrà accadere nel futuro, si possono utilizzare due tecniche. Se l'ansia anticipatoria si manifesta in momenti di disagio ben distinguibili e localizzati nel tempo risulta utile prescrivere il “Diario di Bordo”: se sente l'ansia, la persona deve interrompere qualsiasi attività e scrivere un report dettagliato dei suoi sintomi, pensieri, azioni durante il verificarsi della crisi. Se l'ansia anticipatoria si manifesta in modo generalizzato e continuo è più utile la tecnica del “Diario dell'Ansia”: ogni giorno, allo scadere di ogni trenta minuti, la persona deve segnare, su una scala da zero a dieci, il livello dell'ansia e descrivere quello che sta facendo; inoltre prima di andare a letto dovrà dare una valutazione complessiva dell'ansia provata nella giornata. La tecnica della Peggiore Fantasia: se l'utilizzo del Diario di Bordo o del Diario dell'Ansia ha ottenuto soltanto un miglioramento del sintomo ma non la sua scomparsa, si può utilizzare la “Tecnica della Peggiore Fantasia”: si chiede alla persona, ogni giorno, di ritagliarsi trenta minuti di tempo e di immaginare di trovarsi nella situazione che più la spaventa e di sforzarsi di provare le peggiori sensazioni che questo comporterebbe. Ciò viene prescritto, secondo modalità particolari, sotto forma di rituale ben codificato. L'effetto di questo “esperimento” è che la persona, nel giro di alcuni giorni, scopre l'impossibilità di avere paura a comando. L'intervento proseguirà con l'allenare (seguendo appositi protocolli codificati) la persona a provocarsi volontariamente il peggioramento dell'ansia o della paura, che così facendo finirà con il ridursi fino a sparire. Peggiorare il sintomo: se l'ansia o la paura interferiscono con la prestazione, una volta che siano state escluse situazioni di interesse medico, si può utilizzare la prescrizione paradossale del “Peggioramento del Sintomo”: si chiede all'atleta di sforzarsi di peggiorare il disturbo fisico lamentato (tremore, palpitazioni, bisogno di andare in bagno ecc.) per almeno cinque minuti ogni volta che il sintomo appare. Se ben congegnata questa prescrizione produce risultati clamorosi in tempi rapidi, poiché lo sforzo di contenere o impedire il sintomo è proprio ciò che lo aggrava, non appena si interrompe tale sforzo si sperimenta una diminuzione dell'intensità del disagio e del sintomo. Inoltre, constatando che è molto difficile produrre volontariamente un peggioramento del sintomo, l'atleta impara sulla sua pelle che quest'ultimo non è una bestia feroce impossibile da controllare, ma qualcosa che può essere ammaestrato proprio rinunciando alla pretesa di domarlo. Quelli descritti non sono che alcuni degli strumenti a disposizione del Risolutore di Problemi (Problem Solver) in ambito sportivo. Va sottolineato che quando il problema è particolarmente critico e preoccupante si deve indirizzare l'atleta (o la persona) a uno specialista del trattamento di queste situazioni. Oggi esistono approcci psicoterapeutici mirati che ottengono ottimi risultati in breve tempo. Un intervento apparentemente magico. Fino ad ora abbiamo preso in considerazione situazioni che riguardano il singolo atleta. Interventi efficaci ed efficienti sono possibili anche con i gruppi. Eccone un esempio riportato in letteratura. Poco prima di una partita importante, una giocatrice di una squadra giovanile di pallavolo femminile, aveva avuto una crisi di ansia acuta e tutte le compagne vi avevano assistito. La crisi era durata una ventina di minuti, e nonostante i tentativi di rassicurazione di tutte le persone dello staff, la ragazza era stata sempre peggio; poi la crisi si era risolta poco prima dell'inizio della partita. Nei giorni successivi nella squadra e nelle famiglie non si era parlato d'altro e la cosa era diventata contagiosa. Nel giro di una decina di giorni quasi tutte le ragazze della squadra avevano iniziato ad avvertire un crescente disagio, sensazioni corporee inquietanti (tachicardia, mancanza di fiato, tremore, rigidità muscolare ecc.) e tutte avevano chiesto aiuto alle compagne, all'allenatore e alle persone dello staff. Il clima era diventato teso, spesso avvenivano improvvise esplosioni di agitazione e crisi di pianto. A questo punto l'allenatore chiese aiuto all'esperto. Senza vedere la squadra venne suggerito all'allenatore di indire una riunione e di insegnare alle ragazze una tecnica di misurazione dell'ansia dicendo: “Tutte le volte che ciascuna di voi avvertirà qualche sintomo d'ansia, dovrà dargli un voto su una scala da zero (pieno benessere) a dieci (panico). A quel punto, se l'ansia sarà superiore a sei dovrà rivolgersi a me, e solo a me; se sarà inferiore a sei, dovrà tenerla per sé, senza manifestarla ad alcuno”. Inoltre l'allenatore doveva spiegare che nei giorni successivi le giocatrici avrebbero dovuto accuratamente evitare di parlare del problema; tale divieto era esteso anche alla famiglia e agli amici. Gli effetti non tardarono a manifestarsi: la richiesta di aiuto si ridusse drasticamente e nel giro di pochi giorni le crisi erano completamente scomparse. Non fu necessario procedere oltre.