Scrive il Direttore della Radio Televisione della Svizzera Italiana
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Scrive il Direttore della Radio Televisione della Svizzera Italiana
Scrive il Direttore della Radio Televisione della Svizzera Italiana (RSI) Maurizio Canetta: “non sono un critico d’arte, né letterario e gioco piuttosto male a scacchi, nel senso che sono uno di quelli che cerca di scambiare il più pezzi possibile per non avere ingombri sulla scacchiera…E’ la stima che nutro per Augusto che mi porta a parlare delle sue opere. Per Augusto di Bono il mondo sta dentro una scacchiera. Pensandoci un po’, la cosa è molto logica, perché la scacchiera è quanto di più semplice e lineare ci sia (geometria allo stato puro), ma, appena si va oltre l’apparenza, quelle scacchiere diventano un abisso. Nel vedere le opere di Augusto e nel parlare con lui di questa sua passione, mi si sono aperti squarci di realtà sconosciute. Innanzitutto ho scoperto che il pongo, la plastilina o il clay (come si chiama la materia che lavora Augusto) non sono solo innocui regali per bambini, ma diventano elementi base di una creazione artistica, se appena ci sono pazienza certosina, idee, gusto e il guizzo dell’intelligenza. Inoltre ho scoperto che Augusto ha ridato vita a una parte dell’espressione “il gioco degli scacchi”, che è piuttosto negletta. Se pensiamo agli scacchi nel cinema, la cosa più brillante che ci viene in mente è la partita del “Settimo sigillo” di Bergman. L’avversario è la morte, sai che allegria. Uno sguardo alla letteratura recente mi porta a “La variante di Lünenburg”, di Paolo Maurensig, una storia tenebrosa, uno scabroso viaggio nella psiche, simboleggiato da una mossa molto particolare degli scacchi. Insomma, attorno agli scacchi c’è tutto, tranne, che il divertimento. Pensiamo ai campioni degli scacchi, la loro immagine è quella di professori, di studiosi, di gente assorta per ore e ore a valutare e pensare soluzioni, ipotesi, mosse e contromosse. Ebbene, dentro questo mondo Augusto ha rivitalizzato la parola “gioco”, ha tirato fuori il classico bambino che c’è in noi. Queste scacchiere sono vitali, emanano pulsazioni, sorprendono. L’idea che sta alla base è la stessa del teatro: la rappresentazione. Così le scacchiere sono immerse nei paesaggi, contengono davvero i personaggi che le animano. E’ il segreto e anche il fascino di questi lavori, la genialità, se vogliamo, dell’idea: se le scacchiere e gli scacchi sono mondi densi di significati, perché lasciarli lì e limitarsi a ripetere la monotona iconografia di torri, cavalli, pedoni, alfieri e via dicendo. Poi ci sono i valori estetici e la capacità manuale che incantano e, personalmente, mi annichiliscono. Ho scoperto che ci vogliono fino a duecento ore per lavorare al materia e farla diventare un’esplosione di forme, colori, di idee. Non ci sono pennelli e vernici, ci sono solo i colori che la materia dà. E’ il recupero del senso del primordiale, nessun artificio. Come negli scacchi: non si bara, le regole sono uguali per tuti, tutto si fa alla luce del sole. Quello che lascia senza fiato in tutto questo è la precisione al limite della pignoreria unita alla fantasia più sfrenata. Sembrano cose inconciliabili, ma anche qui i conti tornano. Come negli scacchi: il bianco e il nero, gli opposti si sfidano e un po’ anche si incontrano. Così Augusto è addirittura pedante (in senso buono) nell’inserire i particolari dei suoi personaggi e dei suoi paesaggi. ognuno però andrà a cercarsi i mille particolari che rendono uniche tutte queste scacchiere e questi lavori artistici, rimarrà incantato di fronte all’incredibile quantità di cose che ci trova dentro. Accanto alla millimetrica attenzione al dettaglio, ci sono la profusione a piene mani e l’uso gioioso della fantasia, della voglia di stupire e di stupirsi di fronte a pezzi di materia e all’obbiettivo, che resta quello di non andare oltre il limite delle sessantaquattro caselle. Così Augusto assume la sfida che è insita nel gioco degli scacchi e gioca sulle dicotomie classiche (“Indiani e cowboys”, “Robin Hood e i normanni”), quindi eserciti che si fronteggiano. Ma gioca anche sulle dicotomie che stuzziacano (“Inferno o paradiso”, “Robin Hood e i normanni”), quindi eserciti che si fronteggiano. La sua sfida è anche quella di trovare temi che sembrano impossibili. Augusto ha il merito di pescarli tutti, i grandi temi della vita e di metterli in scena in modo così originale. Ognuno li scoprirà casella dopo casella, pezzo dopo pezzo e si costruirà la propria passeggiata in un sogno”.