I MARCHI DI GARANZIA - VIS - Volontariato Internazionale per lo
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I MARCHI DI GARANZIA PERCHÉ SONO NATI I MARCHI DI GARANZIA DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE? 1. I MECCANISMI DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE 2. IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE 3. IL MARCHIO DI GARANZIA 1. I MECCANISMI DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE Partiamo dal concetto di squilibrio nella distribuzione del reddito e della ricchezza mondiali. Numerosi documenti delle maggiori organizzazioni internazionali ci mostrano che il 20% della popolazione mondiale detiene l’80% delle risorse. Ciò significa che al restante 80% della popolazione va solamente il 20% della ricchezza totale: è, questo, il caso dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS). In particolare, si vuole qui trattare del caso dei piccoli produttori del Sud del Mondo, che si confrontano sul mercato secondo una relazione di concorrenza imperfetta. Essi, infatti, hanno un limitato potere di contrattazione; inoltre, gli scarsi volumi di produzione, le caratteristiche qualitative dei prodotti e delle colture (monocolture di tipo coloniale), rendono l’offerta del prodotto inelastica rispetto alla domanda, relegando i produttori ai mercati locali. La concorrenza diventa imperfetta nel momento in cui ci si confronta sul mercato con le controparti, le multinazionali. La teoria economica ci insegna che lo scambio determina il prezzo nel punto in cui la domanda incontra l’offerta, ma ciò presuppone che le condizioni di accesso al mercato siano le stesse per tutti. Nella realtà, invece, la maggioranza dei mercati è soffocata da barriere protezionistiche, da gruppi di interesse che ne influenzano gli andamenti, dai continui processi di accorpamento e fusione di aziende (le multinazionali, appunto). Il Sud, poi, si trova a dipendere dall’andamento delle monete forti dei Paesi del Nord che determinano il valore delle sue produzioni ed esportazioni, senza, però, possibilità di intervento. Le “strategie di sfruttamento” del Sud da parte del Nord, quindi, sono essenzialmente di due tipi: sfruttamento commerciale, soprattutto da parte delle multinazionali che controllano il commercio di un certo prodotto, ne gestiscono la produzione attraverso la proprietà delle materie prime (problema della sovranità delle materie prime), pagando pochissimo in termini di remunerazione dei fattori produttivi, non preoccupandosi delle esternalità negative del processo produttivo (sfruttamento incontrollato dell’ambiente, disinteresse per le comunità locali). Questo tipo di sfruttamento passa attraverso i termini dello scambio: i prezzi. sfruttamento finanziario (il debito): le politiche di repayment messe a punto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale spingono i PVS a produrre il più possibile per l’esportazione, sfruttando oltre misura le risorse naturali senza curarsi dei danni ambientali e sociali che ne derivano. Ai PVS viene chiesto anche di bloccare i salari e svalutare la propria moneta per rendere le proprie merci ancora meno care sui mercati internazionali. A ciò si aggiungono tagli sostanziali alla spesa interna per la sanità, l’educazione, le infrastrutture, ecc. Si calcola che per ripagare il debito e gli interessi su questo il Sud trasferisca al Nord una media di 150 miliardi di $ all’anno!!! Se a queste forme di sfruttamento aggiungiamo le numerosissime e diffusissime forme di protezionismo messe in atto dalle nazioni industrializzate e gli effetti negativi del commercio internazionale anche nel Nord del mondo (ambiente, immigrazione, disoccupazione,...), allora diventa necessario ripensare tutto questo (perverso) meccanismo, passando da un sistema al servizio del profitto a un sistema al servizio dell’uomo. 2. IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE Il Commercio Equo e Solidale (CES) nasce negli anni ‘60 come tentativo di risposta ai problemi e alle ingiustizie generati dall’attuale sistema internazionale degli scambi. Si pone come forma di cooperazione allo sviluppo, creando rapporti commerciali paritari con i produttori del Sud del mondo che permettano l’instaurarsi di processi di autosviluppo e autogestione. Oltre ad una stretta collaborazione con i gruppi di produttori del Sud, si rende necessaria la solidarietà dei consumatori del Nord, che diventano così consapevoli consum-attori. In tal modo, applicando i criteri di giustizia sociale direttamente a forme alternative di scambio internazionale, si esce da una logica caritativa ed assistenziale, aiutando le popolazioni a svincolarsi da un sistema di aiuti che crea dipendenza. Come opera concretamente il CES? ☞ acquisti diretti: i prodotti devono provenire direttamente dai produttori del Sud. Le speculazioni degli intermediari devono essere evitate. I produttori vanno scelti tra quelli organizzati collettivamente e democraticamente e con minori possibilità di accesso al mercato. ☞ prezzi equi: il prezzo di vendita deciso con i produttori deve coprire i costi di produzione e permettere ai lavoratori un livello di vita dignitoso. Si compone generalmente di un prezzo minimo garantito, indipendente dalle – spesso enormi – fluttuazioni delle quotazioni dei mercati ufficiali, e di un fairtrade premium fisso destinato a progetti di sviluppo decisi e gestiti dalle cooperative. Se il prezzo di mercato supera il prezzo minimo garantito, gli importatori del CES pagano il prezzo di mercato aumentato del fairtrade premium. Le colture biologiche certificate godono di un ulteriore premium. ☞ relazioni commerciali stabili: contratti almeno annuali, rinnovabili, devono essere conclusi tra importatori e produttori, al fine di permettere a questi ultimi una migliore programmazione delle attività e degli investimenti. ☞ prefinanziamento dei raccolti: i produttori hanno il diritto di chiedere e di ricevere fino al 60% del valore del contratto già alla conclusione dello stesso, e comunque prima della spedizione della merce. Questo per evitare l’indebitamento ed il ricorso agli usurai, che vanificherebbe i vantaggi del prezzo equo. Oltre a questi criteri operativi, è possibile individuare tutta un’altra serie di priorità che il CES si pone: ☞ creare nuove possibilità di impiego, valorizzando coloro che comunemente vengono emarginati dal mercato a dal circuito internazionale degli scambi commerciali ☞ criteri di giustizia: devono essere garantiti giusti livelli di retribuzione all’interno di tutto il processo di produzione ☞ sviluppo: la produzione e la commercializzazione dei prodotti deve incentivare processi di autogestione e autosviluppo, estendendo i benefici anche ai soggetti non direttamente coinvolti nell’attività produttiva ☞ rispetto dell’ambiente, tramite una gestione attenta dell’utilizzo delle risorse naturali ☞ ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e produttori, consulenza su prodotti e strategie ☞ informazione ai consumatori, con l’intento di coinvolgerli e renderli consapevoli dell’importanza del proprio ruolo (consumatore critico) predisponendo schede informative (sui prodotti, i produttori, la produzione) e promuovendo la sensibilizzazione sugli squilibri dei mercati mondiali 3. IL MARCHIO DI GARANZIA Dal 1986 le organizzazioni di CES europee (ATOs) ed i loro partners nel Sud del Mondo cominciano a discutere sulla necessità di maggior diffusione per i prodotti del CES. Se il 60% dei prodotti artigianali dei produttori partners delle ATOs riesce ad ottenere un prezzo equo, infatti, per i principali prodotti agricoli (caffè, tè, cacao…) questa percentuale scende al 10-12%. Il resto della produzione continua ad essere venduta agli intermediari locali o agli esportatori legati alle multinazionali, e questo vanifica in gran parte gli sforzi dei produttori e delle ATOs, ponendo inoltre dei problemi riguardo all’efficacia dell’azione ed alla continuità che il CES può avere nel tempo. Si decide, dopo numerose riunioni e discussioni che coinvolgono le ATOs, i produttori e numerose ONG (Organizzazioni Non Governative), che la soluzione può venire dall’inserimento di prodotti equosolidali nei canali distributivi tradizionali, e che a tale scopo è necessaria la creazione di un marchio distintivo dei prodotti acquistati a condizioni eque, che renda visibili e distinguibili questi prodotti tra tutti quelli presenti sugli scaffali di negozi e supermercati. L’idea comincia a realizzarsi con la fondazione, il 20 maggio 1988, di “Stichting Max Havelaar”, organizzazione dei Paesi Bassi per la promozione del marchio Max Havelaar, che istituisce un Registro dei Produttori di Caffè e che concede l’uso del suo marchio agli importatori e distributori di caffè che si impegnano a rispettare le regole del Commercio Equo. Il modello si diffonde anche in altri Paesi, nascono altre organizzazioni nazionali Max Havelaar (Belgio, Francia, Svizzera, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia), nasce TransFair International, cui aderiscono le organizzazioni nazionali di Germania, Lussemburgo, Austria, Giappone, USA, Canada e Italia, e nascono Fairtrade Foundation nel Regno Unito e Irish Fair Trade Network in Irlanda. Vengono successivamente istituiti i Registri dei Produttori di Cacao, Tè, Zucchero, Miele, Banane e Succo d’Arancio; per ogni prodotto, vengono stabiliti i criteri che i licenziatari si impegnano contrattualmente a rispettare. I prodotti a marchio TransFair sono presenti in Italia dal novembre 1995. Da allora il numero di produttori che entrano in contatto con il CES ed il numero di punti vendita in cui si possono trovare prodotti equosolidali aumentano vertiginosamente, ed aumenta anche la consapevolezza e l’attenzione dei consumatori rispetto alla necessità di condizioni di produzione e di commercializzazione eque. Nel 1997 viene creato il coordinamento dei marchi di garanzia, FLO (Fairtrade Labelling Organizations). _____________________