per liberarci dall`imposizione

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per liberarci dall`imposizione
PER LIBERARCI DALL’IMPOSIZIONE
La Posta è lo specchio dell’Italia. L’ufficio postale è un microcosmo che raccoglie nel
suo piccolo gli enormi problemi sottesi alla società di questo nostro paese.
Prima c’era una coda unica, sia che si dovesse spedire o pagare. Tutti in fila uno dietro
l’altro, non importa cosa avessi da fare, si era tutti sulla stessa barca.
Poi hanno diviso gli sportelli, si capisce c’è bisogno di specializzazione, perché mai
devo essere costretto a sorbirmi due ore di coda dietro a chi deve rinnovare il canone
RAI, a chi deve ritirare la pensione, a chi deve pagare le spese, se ho con me solo una
semplice raccomandata da spedire?
Ed ecco che la rivoluzione cala sugli utenti. Da un giorno all’altro, dopo un piacevole
restauro anche visivo delle fatiscenti strutture dell’ufficio, ecco comparire lei: la
macchinetta dei biglietti. Ogni pulsante cerca di venire incontro alle esigenze del
cliente. Abbiamo infatti: pagamenti, spedizioni, ritiro corrispondenza avvisata. Ci sono
poi altri pulsanti sibillini, sempre coperti e fuori servizio. Uno riguarda fantomatici
privilegiati possessori di speciali tessere della Posta, specie in via d’estinzione credo,
visto che non si è mai presentato nessuno e difatti il pulsante è stato coperto.
Un’altra voce sempre oscurata, guarda caso, è quella che riguarda le informazioni agli
immigrati: certo, se attivassero anche quel servizio, non oso immaginare i cori di
protesta di chi, in coda per pagare, si vede occupare un altro sportello da chi va a farsi
una chiacchierata sul permesso di soggiorno.
Ma torniamo alla rivoluzione, che improvvisa colpisce gli avventori. Alcuni, svegli e
dinamici, si adattano subito, prendono possesso della tecnologia, capiscono ciò che
devono fare, riescono a collegare il biglietto che hanno in mano con i numeri digitali
che scorrono al suono del “bip”, ritmando la coda.
Altri neanche ci provano. Appena mettono piede in un ufficio postale che non
percepiscono più come loro, si adirano, sbraitano, se la prendono ovviamente coi
dipendenti. Già, i dipendenti. Alcuni, solo a guardarli in faccia, ti viene da pensare:
“Questo qui poteva solo fare l’impiegato alle Poste…”
Un po’ come certi carabinieri o taluni vigili urbani, sfido anche il più open-minded tra
di voi a non aver mai fatto pensieri del genere.
Altre impiegate sono invece affabili madri di famiglia, di quelle che poi te le ritrovi in
biblioteca e scopri che leggono gli stessi libri che piacciono anche a te, magari ti
riconoscono e ti salutano.
In generale gli impiegati allo sportello sono sempre sottoposti ad una quantità
esorbitante di stress, facendo un lavoro che per certi versi è peggio della catena di
montaggio, con davanti persone che il più delle volte sono nervose e sfogano la loro
frustrazione sul malcapitato impiegato: ho incontrato credo solo un paio di signori che
abbiano detto: “Lo so, non è colpa sua che sta solo allo sportello, se le Poste si
organizzano male… ecc”.
Se riportiamo lo sguardo sulla macchinetta dei numeri, ora ci troviamo parecchi
anziani che non riescono a leggere le scritte dei pulsanti, altri armati di occhiali che
devono però arrendersi non capendo cosa devono fare.
Ed ecco poi gli immigrati. Solitamente si incontrano singoli giovani che, in qualche
modo, riescono ad orientarsi, oppure quelle bellissime mamme indiane, bengalesi o
cingalesi, con i loro sari multicolore e uno stuolo di bambini piccoli nel passeggino, in
braccio o tenuti per mano che inevitabilmente cominciano poi a scorrazzare,
incontrando la simpatia di alcuni e la severità di altri.
Perché le Poste sono un microcosmo dell’Italia quindi?
Perché mettono in luce ciò che siamo. Un Paese che tenta rivoluzioni tecnologiche e
culturali, ma che deve fare i conti con un target molto, troppo variegato a causa dei
ritardi finora accumulati.
Abbiamo tutta una fascia di persone anziane ormai tagliate fuori dal mondo,
letteralmente. Non sono mai stati accompagnati verso la rivoluzione tecnologica, tutto
è piombato loro addosso dall’alto e si sono dovuti in qualche modo adattare (i più
fortunati, coloro che avevano una amorevole famiglia disposta ad insegnare loro le
basi) oppure isolare: nessuno di voi ha una nonna o uno zio che passa le giornate
guardando Forum, Maria De Filippi, L’Isola dei Famosi, Emilio Fede e Bruno Vespa?!
Manca in Italia un’educazione all’umiltà, alla comprensione e alla ricerca della vera
causa dei problemi: chi si arrabbia prima ancora di aver sperimentato, coloro che
vogliono e pretendono “tutto subito”, spesso, troppo spesso, senza muovere un dito
ma solo la bocca per protestare.
Manca un’educazione alla novità, alla tecnologia. Di alcuni anziani abbiamo già
parlato, ma lo sconforto ci assale quando gli spaesati sono i giovani. Entrano in coppia
o in gruppo e, solitamente al ritmo di sonore parolacce, non capiscono: non perché
siano limitati, o stupidi, ma perché proprio non hanno la benché minima voglia di
fermarsi a tentare di capire. Mi sembra di sentire nelle orecchie le parole di tutte le
maestre e professoresse che ho avuto nella mia vita, quando parlavano dei compagni
pluri-bocciati: “È intelligente, ma non ha nessuna voglia di fare”.
Manca un venire incontro agli immigrati: era troppo difficile forse scrivere le
indicazioni anche in Inglese? Troppo costoso probabilmente scovare un impiegato che
padroneggiasse almeno una lingua straniera…
Viviamo in un Paese che non è capace di garantire le stesse opportunità a tutti, ma
non solo. Bisogna rendersi conto del fatto che le opportunità presuppongono
un’adeguata educazione per essere sfruttate. In Italia continuiamo a fare la coda alle
Poste o in banca, quando da casa, con internet, potremmo fare tutto senza perdere
tempo. Il mondo va in questa direzione, ma su queste cose dobbiamo seguirlo, non
possiamo perdere il treno. Sono altri gli spazi di aggregazione che vogliamo
riprenderci, non certo la fila davanti allo sportello girandoci i pollici e protestando.
Usare queste opportunità della globalizzazione a nostro vantaggio, per liberare il
nostro tempo e cercare di nuovo di costruire comunità vivibili.
Non è più possibile stare a guardare, mentre i cinquantenni che vengono sbattuti fuori
dal mercato del lavoro non riescono a reinventarsi per mancanza di mezzi, mentre ai
call center milioni di giovani si rimbambiscono e se li chiami per l’assistenza, ne sanno
meno di te (mai chiamato il 187??).
Qual è il futuro del macrocosmo Italia? L’educazione. L’educazione a far girare la
globalizzazione a nostro vantaggio, a sfruttarla per liberarci dall’imposizione tramite la
conoscenza e l’apprendimento, ed avere quindi tempi e modi per poter portare il
nostro aiuto anche a chi, peggio di noi, di opportunità ne ha ancora meno.
Lorenzo Perego