Sakura - Kairos

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Sakura - Kairos
Il Rosso e il Nero
Settimanale di strategia
SAKURA
7 aprile 2011
Ciliegi in fiore, nonostante tutto
Simbolo della fragile e breve bellezza della
vita, i ciliegi in fiore abbelliscono in questi
giorni il Giappone nonostante i lutti, la
radioattività, il calo annualizzato del 16 per
cento della produzione industriale (stima JP
Morgan per marzo-aprile) e i 26 Gigawatt in
meno di energia elettrica disponibile (non c’è
solo Fukushima, altre centrali nucleari e
termoelettriche sono fuori uso).
Tempio Daigoji. Kyoto.
I ciliegi fioriscono anche se le celebrazioni
in loro onore sono state tutte cancellate. Sono feste tradizionalmente molto
sentite. Hanno origine pagana, ma il buddhismo ne ha accentuato il senso di
riflessione sull’impermanenza delle cose. Il mood in Giappone in questo
momento, del resto, non è di ansia manifesta, senso cupo di tragedia o rabbia,
ma è comunque di raccoglimento, autocontrollo e moderazione.
Per certi aspetti è così a livello globale. Le borse sono tornate a fiorire,
sono vicine ai massimi del dopo crisi. Alcune, come Shanghai o Mosca, sono
ai massimi dell’anno e in costante rialzo. Il clima, tuttavia, è composto e
sobrio, in contrasto con l’ottimismo chiassoso dei primi di marzo, prima che
succedesse tutto quello che è successo.
Le borse, infatti, sono a un passo dai massimi nonostante una guerra in
più, il petrolio stabilmente sopra 100, l’inflazione percepita in crescita veloce,
il Portogallo a un passo dalla resa, la crescita globale in decelerazione e una
Cina tutta presa ad alzare i tassi e restringere il credito. Oltre al Giappone
ferito, ovviamente. Ognuno di questi elementi, da solo, sarebbe bastato in
altri momenti a creare apprensione e marcati ribassi, in mezzo a un clamore
di voci su double dip, dissoluzione dell’Europa, crisi energetica e stagflazione.
Ora, invece, solo compostezza e spirito costruttivo. Perfino le Cassandre
abituali si esprimono sommessamente. Come mai?
Proveremo a guardare uno per uno i problemi che abbiamo elencato, ma
a monte di tutto è evidente che c’è stata una rottura importante nell’assetto
psicologico dei mercati. Il Quantitative
easing 2 e il rialzo azionario che ne è
seguito da settembre a inizio marzo hanno
determinato l’uscita dal paradigma dello
shock e il ritorno in quello della normalità.
Quando si è sotto shock tutto terrorizza.
Un sospiro, un cigolio o una finestra che
sbatte (Dubai) mettono immediatamente
in apprensione, mentre un problema serio
(la Grecia o l’Irlanda) fa subito pensare che
Ciliegi in fiore ai piedi del tempio
Ninna-ji. Kyoto.
la fine di tutte le cose sia di nuovo vicina.
Al contrario, quando si è in uno stato
d’animo di normalità, del cigolio non ci si accorge nemmeno. Quanto al
problema serio ci si preoccupa, naturalmente, ma la notte si riesce lo stesso a
prendere sonno. Domani il problema andrà affrontato, ci saranno costi e
fastidi, ma non sono e non saranno in gioco la vita o la sua qualità.
In pratica il mondo si è finalmente convinto davvero che siamo usciti
dalla crisi e che la ripresa è irreversibile. In questo quadro i problemi
vengono visti nelle loro dimensioni reali e non vengono ingigantiti. Il petrolio
a 110 dollari è una seccatura e rallenta i consumi e la crescita, ma non
provoca la fine della civiltà occidentale e fornisce perfino qualche
opportunità. Fa salire i titoli petroliferi, ad esempio, ma anche quelli legati
alle energie alternative.
La guerra di Libia, dalle finalità nobili ma dalla gestione sconclusionata,
priva dal canto suo il mondo di un milione e mezzo di barili al giorno, ma il
problema è visto come circoscritto nello spazio e nel tempo. I contagi più
temuti, all’Algeria e all’Arabia Saudita, non si sono verificati e fuori dalla
Libia non una goccia di petrolio o un metro cubo di gas sono andati perduti.
L’Egitto si avvia verso un condominio tra esercito e Fratelli Musulmani ma
lo fa senza dare nell’occhio, per il momento. Lo Yemen procede verso nuovi
precari equilibri, ma non contagia la provincia saudita di Al-Baha. Su
Bahrain ed Emirati l’Iran ha grandi progetti, ma non vuole forzare i tempi.
La demografia e il tempo lavorano a suo favore e l’atomica è quasi pronta,
meglio pazientare. Quanto alla Siria, sono tutti a puntellare il regime (Israele
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e Arabia Saudita inclusi), perché dopo Assad ci sarebbero solo i Fratelli
Musulmani. In pratica, dall’angolo visuale dei mercati, non sta succedendo
più niente.
Il Giappone naturalmente è un problema, ma solo nel brevissimo e nel
lungo termine, non nel medio. Il paese, che aveva puntato molto sul
nucleare, si trova davanti a una questione strategica molto delicata che
coinvolge il mondo intero, quella del dieci per cento giapponese della
produzione industriale globale che si trova a dipendere totalmente
dall’atomo o dal petrolio saudita. Superata l’emergenza, dopo l’estate il
Giappone, con uno yen più debole, apparirà in piena ripresa e avrà
ripristinato con qualche costoso rattoppo una buona parte dei 26 Gigawatt
perduti. Resterà però il disagio profondo di una dipendenza crescente
dall’estero per gas, carbone e greggio.
Infine il Portogallo, ridotto a raccogliere soldi a brevissimo per
sopravvivere fino alle elezioni e lasciare poi
ai vincitori l’onere di definire i termini
della capitolazione a Europa e Fondo
Monetario. Ancora in novembre una tale
situazione sarebbe stata vista dai mercati
con raccapriccio. La caduta del Portogallo,
si pensava allora, avrebbe aperto la strada
all’attacco finale a Spagna, Italia ed euro.
Oggi la questione portoghese è derubricata
a fatto locale e la Spagna è vista come
in fiore. Sullo sfondo il
avviata verso una guarigione irreversibile, Ciliegio
Monte Fuji.
tanto che i suoi titoli sono consigliati da
quasi tutti e comperati da molti. Anche il debito governativo irlandese a
lungo viene oggi suggerito (Time to Buy, 4 aprile) da un’osservatrice attenta
e severa come Elga Bartsch di Morgan Stanley.
Anche in Europa, in effetti, si è consumata una rottura di modello.
All’interno del paradigma globale dello shock l’Europa aveva aperto un
capitolo suo, che chiameremo il paradigma dell’allarme esistenziale, nel
marzo 2010. Esattamente un anno dopo l’Europa è entrata in un nuovo
paradigma, quello della convalescenza operosa. Da dicembre a oggi, mattone
dopo mattone, la regia tedesca ha disegnato e fatto passare senza troppi
dissensi una costruzione ancora non definita nei dettagli ma nel complesso
solida e coerente. E’ sempre più chiara la distinzione tra una prima fase
transitoria e una seconda fase duratura.
In questa prima fase la priorità è quella di tenere in piedi tutto quanto il
groviglio fatto di debiti nazionali da una parte e asset della Bce e delle
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banche dall’altra. Va puntellato tutto, nulla deve essere lasciato andare. Nel
frattempo si allarga il fondo europeo di salvataggio e si mettono saldamente
sotto controllo i disavanzi pubblici nazionali (ai debiti si penserà più avanti).
I commentatori anglosassoni predicano da un anno (e continuano a dirlo
tuttora) che i default vanno fatti subito e che più si aspetta peggio è. La
Germania prende nota, ma il suo calendario è diverso. L’idea tedesca è quella
di sfruttare la ripresa globale per contenere i disavanzi e di utilizzare il rialzo
delle borse per ricapitalizzare le banche, che lo vogliano o no. L’ondata di
aumenti di capitale bancari in Spagna, Germania e Italia è promossa dai
governi prima ancora che dalle banche centrali.
Quando le banche si saranno sufficientemente irrobustite si potrà passare
alla seconda fase e affrontare, tra l’altro, il problema dei debiti nazionali.
Eventuali ristrutturazioni di questi debiti, a quel punto, saranno ben
sopportate dalle banche che li detengono (e che nel frattempo avranno
costituito riserve per le perdite o venduto direttamente i titoli al mercato).
La prospettiva di Eurobond dell’Unione è al momento bloccata dalla
Germania perché crea difficoltà politiche al governo tedesco e anche perché
non è ancora strettamente necessaria. I
bond
federali
europei
saranno
proponibili all’opinione pubblica tedesca
solo se accompagnati da solidi risultati
nel controllo dei disavanzi degli stati
nazionali (in pratica quando tutti i paesi
di Eurolandia, nel 2013, saranno scesi
sotto il 3 per cento di Maastricht e
avranno adottato misure legislative di
controllo obbligatorio dei disavanzi).
Nel settembre 2013 si voterà per il
Bundestag. Mancano due anni, ma
stando ai sondaggi di oggi emergerà una
maggioranza Spd-Verdi. In mancanza di
un accordo l’unica alternativa sarà una
nuova Grosse Koalition Cdu-Spd. Spd e
Verdi sono favorevoli alla proposta di
bond
dell’Unione
che
vadano
Utagawa Hiroshige. Ciliegio in fiore e
Monte Fuji. 1850.
gradualmente a sostituire i debiti
nazionali fino a un certo ammontare,
probabilmente il 60 per cento del Pil.
Il debito dell’Unione sarà senior rispetto ai debiti nazionali. Eventuali
ristrutturazioni e haircut andranno a colpire solo questi ultimi.
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Il Grande Accordo europeo che si profila all’orizzonte ha dunque la
potenzialità di rendere al tempo stesso meno probabile e più probabile la
ristrutturazione di alcuni debiti nazionali. Meno probabile perché i conti
torneranno rapidamente in ordine e i mercati riprenderanno (come stanno già
facendo per la Spagna) a finanziare a tassi ragionevoli i grandi debitori. Più
probabile perché a quel punto una ristrutturazione morbida non avrà più
effetti devastanti sulle banche.
Avanziamo l’ipotesi che da parte tedesca non ci sia un’idea già definita su
quello che succederà. L’intento tedesco è soprattutto quello di tenere aperte
tutte le strade. In caso di indisciplina fiscale o di nuova crisi economica
globale avremo le ristrutturazioni (peraltro morbide e limitate a pochissimi
paesi, forse alla sola Grecia). Se invece filerà tutto liscio non ci sarà bisogno
di fare nulla.
Si raffronti ora questo progetto europeo, già in stato avanzato, con il
dibattito americano sul contenimento di disavanzo e debito. La differenza è
notevole. Mentre in Europa l’impalcatura è pronta e l’accordo politico è in
buona misura acquisito, negli Stati Uniti siamo al trionfo della sceneggiata
(loro dicono posturing). Si alza la voce (non troppo per fortuna) e si
pubblicano grandi programmi pluridecennali, sapendo benissimo che non se
ne farà nulla almeno fino alle elezioni. Fino alla primavera 2013 nulla di
nulla, quindi, poi i mercati, è lecito pensare, cominceranno forse a
innervosirsi. Nel frattempo, tra euro e dollaro il mercato non avrà dubbi
almeno fino al giorno (fine 2012?) in cui la Fed inizierà ad alzare i tassi.
Operativamente, le prossime settimane saranno verosimilmente laterali
per le borse. Le rotazioni saranno determinate tra l’altro dall’andamento
della situazione in Libia, ora bloccata. Lo sblocco farà scendere i petroliferi e
salire i ciclici.
Il passaggio dal paradigma dello shock a quello della normalità si riflette
nelle borse in un cambiamento di stile operativo. Sotto shock si vende su
forza, in normalità si compra su debolezza (come si è fatto nelle ultime
settimane). Il migliore sostegno per i mercati, in ogni caso, è ancora offerto
dalle valutazioni. E’ difficile trovare un titolo medio-grande o un settore
palesemente caro, mentre è molto facile trovare aree di sottovalutazione. La
grande tecnologia americana è incredibilmente a buon mercato. Quanto alle
banche, il leggendario contrarian Bill Miller, uomo navigato e con la testa
sulle spalle, sta comprando i grandi nomi con determinazione, aggiungendovi
un altro settore trascuratissimo, il farmaceutico. Alla fine non resta fuori
quasi nulla.
Alessandro Fugnoli +39 02-777181
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