Mancata osservanza dell`ordine sindacale di bonifica: reato

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Mancata osservanza dell`ordine sindacale di bonifica: reato
Inquinamento
Bonifiche
Mancata osservanza dell'ordine
sindacale di bonifica: reato
istantaneo o permanente?
Vincenzo Paone (*)
Una recente decisione della Cassazione (1) ha stabilito che il reato di omessa ottemperanza all’ordine di rimozione dei rifiuti rivolto dall'autorità amministrativa (art. 255, D.Lgs. n. 152/2006) si perfeziona alla scadenza del termine indicato dall’autorità, sicché l'eventuale adempimento successivo non
ha alcuna rilevanza al fine di escludere la sussistenza del reato che, dunque, ha natura istantanea.
Nella fattispecie, la contestazione dell’accusa indicava come data di commissione del reato quella in
cui la polizia municipale aveva accertato l’inosservanza dell’ordine di rimessione in pristino. La difesa aveva invece eccepito che il termine da indicare
avrebbe dovuto essere quello del sessantesimo giorno successivo alla notifica dell'ordinanza e ciò perché l'ordinanza sindacale indicava di adempiere in
termini perentori ("entro e non oltre").
La sentenza era perciò chiamata ad affrontare, tra
l’altro, la problematica della natura istantanea o
permanente del reato di cui all’art. 255, D.Lgs. n.
152/2006.
Invero, la soluzione adottata suscita alcuni dubbi.
In primo luogo, va detto che, esattamente un anno
prima della sentenza di cui stiamo ora discutendo,
la stessa sezione terza della Cassazione (2) aveva
deciso in senso esattamente opposto: infatti, rinviando al proprio precedente conforme, costituito
da Cass. 18 maggio 2006, Marini (3), aveva riconosciuto che il reato in questione ha natura di reato
permanente e che pertanto la scadenza del termine
per l'adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l'inizio della fase di
consumazione che si protrae sino al momento dell'ottemperanza all'ordine ricevuto.
Orbene, è evidente che si possa cambiare opinione,
ma sarebbe opportuna, in tal caso, una approfondita motivazione che spieghi il superamento delle
posizioni prima assunte. Nella specie, infatti, la
Corte si è limitata ad abbracciare la tesi sostenuta
da Cass. 28 febbraio 2007, Viti (4) che, a sua volta,
aveva argomentato la propria decisione fondandosi
su una decisione emessa dalla Cassazione in materia di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità
di cui all’art. 650 cod. pen., decisione che, come
tra breve diremo, non è espressione di un orientamento univoco e consolidato.
Invero, riteniamo che sia maggiormente preferibile
la tesi propugnata da Cass. 18 maggio 2006, Marini, che ha rilevato che, per l’individuazione del criterio da seguire per stabilire se un reato omissivo
sia istantaneo o permanente quando è fissato un
termine per l’adempimento del dovere, si prospettano due ipotesi: scaduto il termine, l’azione prescritta non può essere utilmente compiuta, per cui
l’inosservanza produce in modo definitivo la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma (il reato
ha natura istantanea). Se il dies è invece fissato solo per il regolare e tempestivo adempimento della
prescrizione, che può essere adempiuta in modo
utile sia pure tardivo, non viene meno l’obbligo di
agire anche dopo la scadenza del termine (il reato
è permanente).
Il problema, perciò, non è tanto quello di distinguere le ipotesi nelle quali l’autorità abbia fissato
un termine perentorio per l’adempimento dell’ordine, da quelle nelle quali non ne abbia fissato alcuno oppure il termine, quantunque fissato, non sia
perentorio. Essenziale è, invece, stabilire se, scadu-
(*) Magistrato
(1) Si veda: Cass. 21 febbraio 2014, n. 17868, D'Ambrosio,
già massimata in questa Rivista, 2014, 652.
(2) Si veda: Cass. 14 febbraio 2013, Scardino, in questa Rivista, 2013, 947. La particolarità è che relatore ed estensore
della decisone è il medesimo della sentenza che qui si commenta.
(3) Così Cass. 18 maggio 2006, Marini, Ced Cass., rv.
234484.
(4) Ced Cass., rv. 236718.
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to il termine fissato dall’autorità, la lesione del bene giuridico protetto si sia irrimediabilmente prodotta oppure se l’agente, anche dopo la scadenza
del termine, possa validamente far cessare la situazione antigiuridica.
I reati omissivi propri
Questa opinione si aggancia alla giurisprudenza
elaborata a proposito del reato di cui all’art. 650
cod. pen. che presenta una struttura sovrapponibile
alla contravvenzione di cui trattasi.
Anche in relazione a questa fattispecie incriminatrice, come per la categoria generale dei reati omissivi propri, è da lungo tempo dibattuta la natura
istantanea o permanente del reato (5). All’uopo
vengono utilizzati gli stessi argomenti già passati in
rassegna (il reato è permanente se è previsto un
termine puramente ordinatorio; è istantaneo se il
termine di scadenza è perentorio).
In proposito, vanno registrati due importanti rilievi: da un lato, è condivisibile l’obiezione che il termine di adempimento, che assume rilevanza penale, non può che essere quello perentorio: se il termine fosse meramente ordinatorio, vuol dire che è
concessa al soggetto la facoltà di decidere il momento dell'adempimento, con la conseguenza che,
entro questo spazio di tempo, non potrebbe configurarsi un obbligo penalmente sanzionato.
Dall’altro lato, la dottrina che più ha studiato questo problema (6), muovendo dalla struttura tipica
della fattispecie di pura omissione, ha concluso che
la quasi totalità dei reati omissivi propri ha natura
istantanea. Infatti, questa fattispecie punisce il non
facere quod debetur entro un certo termine e dunque contempla una condotta tipica di natura normativa che «prende forma» dall'azione che deve
compiersi.
Pertanto, dovendo guardare l'azione che si sarebbe
dovuta compiere, secondo questa posizione dottrinaria se l'azione comandata dura nel tempo ed ha
perciò natura permanente, anche la condotta omissiva tipica, ad essa speculare, avrà natura permanente; se l'azione comandata ha natura istantanea,
anche la condotta omissiva tipica avrà natura
istantanea.
Così accanto ai casi, che rappresentano la maggior
parte, in cui la condotta doverosa ha natura istan(5) Per un quadro dettagliato degli orientamenti dottrinali e
giurisprudenziali, cfr. Cadoppi, Il reato omissivo proprio, II, Padova, 1988, 878 ss.
(6) Citata nella nota che precede.
(7) Secondo l’Autore sarebbero rari gli obblighi di tipo «statico» qualificabili come permanenti. Infatti, quando si impone
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tanea (ad esempio: un soggetto è obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi o a effettuare
un soccorso o a cedere valuta straniera), vi sono
(pochi) casi in cui la norma impone una condotta
che ha effettivamente natura permanente (ad
esempio: un soggetto è obbligato a conservare per
un certo periodo di tempo scritture di vario genere;
ad un soggetto è imposto di soggiornare in un certo
comune per un certo periodo di tempo).
La caratteristica saliente degli obblighi appartenenti a questa seconda categoria è stata individuata
nella «staticità» della condotta comandata, nel
senso che in queste fattispecie il legislatore non
impone al soggetto di «agire» in senso «dinamico»,
e cioè creare una vera e propria modificazione della
realtà, ma piuttosto, ad esempio, di «mantenere»
una relazione con la cosa da conservare o, comunque, di osservare un obbligo che non richiede al
soggetto uno sforzo particolare e soprattutto non
gli impedisce di fare altre cose (7).
Tuttavia, una riflessione ulteriore sul tema potrebbe svilupparsi osservando che, se è indiscutibile la
natura istantanea dell'obbligo di effettuare una dichiarazione all'autorità entro un certo termine, il
provvedimento da cui nasce l’obbligo di agire potrebbe fissare la scadenza per l'adempimento senza
però stabilire espressamente anche il limite temporale «finale».
Tale termine potrebbe, quantomeno in via implicita, essere determinato con riferimento ad una situazione che perdura nel tempo: cosicché, il termine indicato come iniziale fa sorgere un dovere
«continuo» ed «omogeneo» che si protrae oltre il
termine stabilito e dura sino a che non si adempia
all’obbligo oppure fino a quando, per altra causa,
non sia divenuto oggettivamente impossibile detto
adempimento (caso di scuola il sequestro del bene
da parte dell’Autorità giudiziaria).
Conseguentemente, dato il collegamento funzionale fra il dovere e la situazione che lo fa sorgere e
perdurare, il reato è permanente in quanto la condotta omissiva persiste nel tempo: infatti, lo stato
antigiuridico, creatosi per volontà dell’agente, si
protrae nel tempo e può essere fatto cessare sempre
per volontà dello stesso agente. Ovviamente, questa impostazione presuppone che l’obbligo affondi
ad un soggetto un'attività «dinamica» - il che, come detto, avviene nella maggioranza dei casi - non si può imporla continuamente, permanentemente: la libertà dell’individuo «sarebbe troppo mutilata, non potendo egli far altro, in tutto quel
tempo, che adempiere al precetto».
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la sua ragione d’essere nella tutela di beni giuridici
comprimibili.
Richiamo alla contravvenzione di cui
all’art. 650 cod. pen.
realizza nel momento stesso della scadenza del termine di adempimento, senza che l’ordine sia osservato; ne consegue che da tale momento decorre il
termine di prescrizione del reato e che dell’eventuale, successivo protrarsi della condotta illecita il
giudice può tenere conto soltanto se oggetto di
un’ulteriore contestazione ad opera del p.m., a norma dell’art. 516 cod. proc. pen.».
In motivazione, però, la Corte si preoccupa di spiegare che «Non ignora il Collegio il diverso e risalente indirizzo per il quale anche in ipotesi siffatte
il reato avrebbe natura permanente con consumazione protratta fino all'esecuzione dell'ordine da
parte del destinatario di esso ovvero con la pronuncia della sentenza di primo grado, ma l'indirizzo
giurisprudenziale più recente, al quale il Collegio
aderisce … appare dare doveroso risalto alle differenziate ipotesi fattuali, ravvisando la natura permanente del reato solo nei casi in cui non sia stato
apposto un termine perentorio per l'adempimento
dell'ordine e permanga comunque l'interesse della
Pubblica Autorità al rispetto di esso».
Vi è quindi un richiamo alla giurisprudenza che ha
posto in evidenza che se l’ordine può essere utilmente eseguito anche dopo la scadenza del termine
fissato nel provvedimento, il reato è eventualmente permanente (12).
Anche nella giurisprudenza relativa all’art. 650
cod. pen., si profilano, sostanzialmente, due orientamenti (con alcune leggere variabili).
Oltre al filone per cui il reato è istantaneo, si è affermato l’orientamento secondo cui il reato è permanente in considerazione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice: sicché se l'offesa
perdura nel tempo, il reato è suscettibile di permanenza; al contrario, se l'oggetto di tutela può essere
distrutto in via definitiva, il reato è istantaneo.
In questa prospettiva, si sostiene anche che se la
condotta non può più essere "utilmente attuata", il
reato è istantaneo, mentre se "l'adempimento può
utilmente avvenire anche in un tempo successivo",
il reato è permanente.
Per lungo tempo la Cassazione ha sostenuto la tesi
che la contravvenzione de qua sia omissiva permanente perché l'inosservanza del provvedimento legalmente dato non si esaurisce nel momento in cui
l'infrazione sia accertata o contestata, ma si protrae
ulteriormente, lasciando intatta la situazione antigiuridica (8) fatto salvo il caso di ordine che non
possa essere utilmente eseguito dopo la scadenza
del termine fissato dall'Autorità (9).
Un’ulteriore puntualizzazione si è avuta con la sentenza del 4 giugno 1997 (10), in cui si è stabilito
che la contravvenzione di cui trattasi costituisce
un reato non necessariamente, ma solo eventualmente permanente: lo è sicuramente quando la
condotta omissiva (in presenza o meno di un termine) protraendosi nel tempo lasci sussistere una
situazione non solo antigiuridica, ma nella quale
permanga l'interesse al rispetto dell'ordine legalmente dato.
Per la verità, questa posizione sembra contraddetta
dalle decisioni emesse negli anni più recenti (almeno in base alla sola lettura delle massime ufficiali):
infatti, Cass. 13 luglio 2009 (11) ha stabilito che
«L’inottemperanza all’ordine, legalmente dato dall’autorità, di compiere una determinata attività entro un prefissato termine integra reato istantaneo e si
Alla luce di questa elaborazione, siamo fondatamente convinti che la fattispecie di inottemperanza dell’ordinanza sindacale prevista dall’art. 255,
D.Lgs. n. 152/2006 integri un reato omissivo permanente nel quale, dopo la scadenza del termine
fissato dal Sindaco, persista la condotta illecita.
Infatti, il dovere (comandato) perdura nel tempo
in dipendenza della presenza inalterata del presupposto in base al quale si è emesso l’ordine di rimozione dei rifiuti e/o di bonifica dello stato dei luoghi.
In questa situazione, il termine (iniziale) stabilito
dalla P.A. contrassegna solo il momento prima del
quale l’agente non è obbligato ad agire (e quindi
non è punibile), mentre il termine finale (per
adempiere all’obbligo) è rappresentato dal venire
(8) Si veda: Cass. 13 aprile 1965, Ced Cass., rv. 099820; 20
febbraio 1969, Ced Cass., rv. 111074.
(9) Si veda: Cass. 14 aprile 1992, Ced Cass., rv. 191142; 9
gennaio 1996, Ced Cass., rv. 203801; 22 gennaio 1997, Ced
Cass., rv. 206919; 30 maggio 1997, Dir. pen. e proc., 1999, 59.
(10) Ced Cass., rv. 208000.
(11) Ced Cass., rv. 244305.
(12) Peraltro, anche Cass. 30 marzo 2006, Ced Cass., rv.
234108, e 23 settembre 2004, Ced Cass., rv. 230632, richiamate nella motivazione dalla sentenza Cassino, ribadiscono che il
reato è istantaneo o solo eventualmente permanente, qualora
permanga l'interesse della pubblica autorità al rispetto dell'ordine non eseguito anche dopo la scadenza del termine fissato
per la esecuzione.
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Analogie tra le due contravvenzioni
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meno della situazione tipica offensiva del bene protetto.
Non vi è poi alcun dubbio che persista, anche dopo l’infruttuosa scadenza del termine stabilito dalla
P.A., l’interesse della stessa amministrazione all’adempimento del dovere da parte del destinatario
dell’ordine. Basti dire che, se il privato dovesse
continuare nel suo inadempimento, è il Comune
tenuto a dare esecuzione d’ufficio al provvedimento. Il fatto che le spese siano successivamente ad-
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debitate al privato nulla toglie - soprattutto in
tempi di scarse risorse pubbliche - al sacrificio che
grava sull’ente.
Ci pare, in conclusione, pienamente sostenibile la
tesi secondo cui il reato di cui all’art. 255, D.Lgs.
n. 152/2006 rivesta natura permanente e non
istantanea. A questo punto, ci chiediamo perché le
sezioni unite non vengano investite della soluzione
del contrasto.
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