nessun reato dichiarare falso nel ricorso

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nessun reato dichiarare falso nel ricorso
Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 9 marzo 2015, n. 9951
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 8/5/2014, il Gup di Milano dichiarava non doversi procedere nei confronti
di C.G. imputato di falso in atto pubblico e truffa aggravata con la formula perché il fatto non
sussiste con riferimento al reato di cui all’art. 640, 2 co. cod. pen. e per difetto di querela con
riferimento al reato di falso, riqualificato ex art. 485 cod. pen..
2. I fatti in contestazione riguardavano la presentazione di una serie di ricorsi al Prefetto avverso
verbali di accertamento di violazioni al CdS, in cui si prospettava falsamente di aver trasportato un
soggetto titolare di pass per invalidi e si allegavano false dichiarazioni degli invalidi.
3. Il Gup escludeva che il fatto materiale di presentare ricorsi al Prefetto con motivazioni
pretestuose e fondati su documenti falsi potesse integrare l’elemento oggettivo del reato di truffa
evidenziando due profili fra loro collegati: da un lato il fatto che i raggiri fossero destinati ad
incidere su una attività tipicamente inerente all’esercizio di una pubblica funzione e dall’altro il
fatto che il soggetto raggirato (il Prefetto) non coincideva con il soggetto danneggiato (il Comune),
non avendo il primo alcun potere di disposizione sul patrimonio del secondo.
4. Quanto al reato di falso il Gup riqualificava il fatto come falso in scrittura privata, non punibile
per mancanza di querela.
5. Avverso tale sentenza propone ricorso il P.M. deducendo violazione di legge ed osservando che
la condotta contestata comportava l’annullamento di sanzioni già irrogate, venendo così ad incidere
sul patrimonio dell’organo competente. Eccepiva inoltre che la struttura del delitto di truffa non
postula l’identità fra la persona offesa e quella indotta in errore. Quanto al reato di falso, contestava
la riqualificazione del fatto come falso ex art. 485, insistendo per la tesi della falsità ideologica
commessa dal privato in atto pubblico.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. Questa Sezione, in un caso analogo al presente ha statuito che non integra il delitto di tentata
truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al
prefetto avverso l’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per
violazione delle norme sulla circolazione stradale, perché l’eventuale decisione favorevole non da
luogo ad un atto di disposizione patrimoniale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17472 del 24/03/2009 Ud.
(dep. 23/04/2009 ) Rv. 244349) In motivazione la Corte ha osservato:
“Il reato di truffa è un reato contro il patrimonio la cui ratio consiste nella tutela della libertà di
determinazione negoziale che, per essere tale, dev’essere assunta in assenza di qualsiasi atto
fraudolento; – il reato in questione, è caratterizzato, sotto il profilo dell’elemento materiale, dai
seguenti elementi: a) gli artifizi o raggiri; b) l’incidenza sul patrimonio della vittima;
– secondo, poi, il consolidato indirizzo di questa Corte, nel caso in cui il soggetto raggirato sia
diverso dal soggetto danneggiato, ai fini della configurabilità del reato, è indispensabile che fra i
due sussista un rapporto di rappresentanza legale o negoziale tale per cui il soggetto che subisce il
comportamento dell’agente abbia la possibilità di incidere giuridicamente sul patrimonio del
rappresentato nel senso che il rappresentante abbia il potere di compiere l’atto di disposizione
destinato efficacemente a incidere sul patrimonio del danneggiato per effetto di una libera scelta
negoziale: in altri termini, l’induzione in errore ed il conseguente danno non possono derivare da
qualsiasi generico rapporto di interferenza fra soggetto raggirato e soggetto danneggiato ma solo da
un rapporto qualificato per cui il rappresentante abbia il potere di compiere libere scelte negoziali
destinate a ricadere sul patrimonio del danneggiato: ex plurimis Cass. 37409/2001, rv 220307;
– sulla base di tale osservazione, questa Corte, ha tratto la conclusione che non è configurabile il
reato di truffa, tutte le volte in cui la frode (rectius: gli artifizi o raggiri) sia destinata ad incidere
sulla determinazione di un organo che esercita un potere di natura pubblicistica, proprio perché
manca l’elemento costitutivo del reato ossia l’atto di disposizione patrimoniale di natura
privatistica: ex plurimis Cass. 37409/2001, rv 220307 fattispecie, come quella in esame, in tema di
frode sia destinata a incidere sull’autorità amministrativa tenuta ad accertare una violazione
amministrativa nell’ambito di un procedimento destinato alla verifica della sussistenza delle
condizioni per l’emanazione dell’ordinanza- ingiunzione di cui alla L 24 novembre 1981, n. 689,
art. 18 Cass. 21868/2002, Rv 221842 – Cass. 29929/2007, Rv 237699 fattispecie in tema di ed
truffa processuale – Cass. 6022/2008, Rv 239506 fattispecie in tema di decisione favorevole
ottenuta con artifizi e aggiri in un procedimento arbitrale”.
3. Non c’è motivo di cambiare tale orientamento che il Collegio condivide. Di conseguenza nessuna
censura può essere mossa alla sentenza del GUP che legittimamente ha dichiarato non doversi
procedere perché il fatto non sussiste.
4. Ugualmente infondate sono le censure in punto di falso. Le false dichiarazioni degli invalidi
costituiscono falso materiale in scrittura privata, perché tale è la natura delle scritture allegate ai
numerosi ricorsi al Prefetto presentati dall’imputato. Tali scritture non sono destinate ad essere
trasfuse in alcun atto pubblico destinato a provare la verità dei fatti attestati. Sul punto la
giurisprudenza di questa Corte ha precisato che il delitto previsto dall’art. 483 cod. pen. sussiste
qualora l’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è trasfusa, sia destinato a provare la
verità dei fatti attestati e, cioè, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero
ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la dichiarazione è inserita dal pubblico
ufficiale ricevente. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la configurabilità del delitto in
questione nel caso di falsa dichiarazione di distruzione di documentazione contabile e societaria
rilasciata al curatore fallimentare e ad un organo di polizia giudiziaria). (Cass. Sez. 5, Sentenza n.
18279 del 02/04/2014 Ud. (dep. 30/04/2014 ) Rv. 259883). Pertanto legittimamente il GUP ha
derubricato il reato contestato in falso in scrittura privata, dichiarando non doversi procedere per
difetto di querela.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.