Radiodramma mon amour

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Radiodramma mon amour
Radiodramma mon amour
di Gianni Garamanti
Mio padre è sempre stato un uomo alto e grosso. Quando era giovane pesava più di cento chili
e aveva una pancia che ci potevi suonare sopra come con un tamburo. Beveva e fumava in quantità.
Le domeniche d'estate, con le finestre mezze coperte dagli scuri, lui sedeva accanto a una
vecchia radio a valvole. Il ricordo più nitido che ho di lui è quello di un uomo immerso nei pensieri
accanto a un bicchiere colmo di vino, la Nazionale senza filtro tra i polpastrelli gialli delle dita,
soddisfatto del pranzo che gli aveva preparato mia madre.
La radio trasmetteva radiodrammi a puntate, voci profonde e impostate che uscivano da quella
enorme scatola marrone posata sul mobile del salotto, nell’aria c'era sempre un che di mielato.
Io sedevo su un cuscino verde, attento a non avvicinarmi troppo alle gambe che mio padre
stendeva avanti.
Le sue ciabatte erano così brutte che ancora oggi non sono riuscito a vederne di simili, ma
mio padre le indossava con dignità e questo me le faceva sembrare, se possibile, un po' meno
spaventose.
I momenti accanto alla radio si consumavano tra la rassegnata convinzione di mia sorella e
mia madre che quello fosse il naturale diritto dei maschi della nostra famiglia di sprecare il tempo.
"La radio, eh... la radio!" biascicava molte volte mio padre, fino a preoccuparmi che non
sarebbe mai nato un discorso oltre l'immagine della scatola parlante. Ma poi accadeva che il suo
racconto decollava e la stanza si faceva più scura intorno a noi, chiusi in una nuvola al riparo dai
deboli raggi di luce che insidiavano il buio della stanza.
Radio Londra, la Guerra, il Duce, gli allarmi bomba, attacchi aerei, i Radiogiornali… il
bicchiere si vuotava lentamente, i mozziconi di sigaretta riempivano il posacenere e lui parlava di
due fili elettrici, di onde radio con voci lontane e delle musiche degli americani...
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Tanto tempo dopo volli costruire anch'io una radio a galena: studiai lo schema su internet,
usai una cuffia ad alta impedenza, un pezzo di filo per antenna, un baffo di gatto che sollecitava un
pezzo di galena, il condensatore recuperato da un vecchio ricevitore a valvole...così speravo di
raccogliere suoni che venivano dal cielo. Alla fine si sentiva solo un gracchiare confuso, ma proprio
allora capii qual era la magia: interpretare quei rumori voleva dire forgiare volti, vestiti, azioni,
espressioni e paesaggi!
***
Mio padre è fermo sul letto di un ospedale. Non gli manca nulla, anche se non so se questo si
può dire per un uomo della sua età e nella sua condizione. Dopo l'incidente gli ho sempre fatto
visita con un radiodramma nuovo. Lo collego al lettore mp3, che sta accanto al suo letto, gli metto
una cuffia in testa e aspetto. Aspetto che lui parli come una volta, con le pause, i ricordi e tutto il
resto. Ancora non è successo, però i suoi occhi cambiano colore quando le voci lontane lo
raggiungono... e io sono felice.
Davvero non so se ascolti le mie registrazioni, ma sono certo che solo in questo modo si sente
a casa sua.
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