PASSEGGIATA Richiuse la portiera e l`auto accanto a lei ripartì

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PASSEGGIATA Richiuse la portiera e l`auto accanto a lei ripartì
PASSEGGIATA Richiuse la portiera e l’auto accanto a lei ripartì. Attraverso il vetro scorse una mano che si alzava in segno di saluto. Sorrise per ricambiare quel gesto delle dita appena accennato e restò a guardare la sagoma dei veicolo allontanarsi, fino a scomparire dietro il colonnato della piazza. Era una fredda mattina di inizio Marzo e un manto pallido risaliva dal fiume diffondendosi lungo le strade e avvolgendo i primi piani dei palazzi. Spostando lo sguardo oltre, i lineamenti morbidi della collina apparivano sempre più vividi. Si mescolavano e si confondevano con le luci delle vie e delle case, che durante la notte avevano reso dono, agli animi dei viaggiatori, di un paesaggio incantato. Le stesse luci, tremolanti e silenziose, che ancora qualcuno cercava di scorgere, in solitudine, dalla finestra della propria camera da letto, attraverso il varco lasciato dai palazzi antistanti. In alto il cielo iniziava ad addolcirsi e avanzava un timido nastro azzurro, tappeto rosso per un pallido sole di fine inverno. La scelta di lasciare il centro storico sgombro dal traffico cittadino rendeva quell’area un luogo speciale. I clacson, il caos e i motori oltre il fiume giungevano lì come ovattati dalla foschia che li circondava e archi e colonne di questi spazi protetti scivolavano in un altro tempo. Veronica distolse la mente dai suoi pensieri e portò la mano nella tasca del cappotto, in cerca di riparo dall’aria pungente. Le sue dita sfiorarono un foglio di carta: pensò all’appunto che vi aveva segnato il giorno precedente e si ricordò del suo appuntamento. Si voltò e iniziò a camminare seguendo i portici della piazza. Osservava scorrere la pietre sotto i suoi piedi e vedeva, accanto ai suoi passi, marciare le truppe regie, con andamento ritmico e cadenza perfetta. Ammirava l’armonia delle campate che con austerità rendevano elegante quello spazio e lo legavano in modo indissolubile al suo tempo, agli abiti di gusto francese di inizio Ottocento, ai romanzi di Stendhal, agli scritti di Balzac. Al fondo della piazza, dove si attesta la via che collega all’antico baluardo medievale, primordiale porta cittadina, le linee rette dei palazzi convergono in un’esedra. Da lì è possibile comprendere il fascino che suscita una delle più grandi piazze d’Europa e chiedersi se possa esistere unione più felice tra natura e arte umana. Vi sono, infatti, spazi dove l’architettura raggiunge un connubio perfetto con l’ambiente che la circonda, dove le prospettive ordinate si fondono con quelle libere, disegnate dal vento e dalle stagioni. Si tratta di luoghi dove le architetture non alterano il territorio, non lo trasformano, non lo stravolgono: semplicemente restano lì, in modo delicato e silenzioso, come se ci fossero sempre state. Veronica svoltò l’angolo e non si accorse, tanto era assorta nei suoi pensieri, di un ragazzetto che procedeva verso di lei correndo, con lo zaino sulla schiena che oscillava ciclicamente e lo costringeva ad avanzare con il busto proteso verso il senso di marcia. Notò lo studente affannato solo quando lui, passandogli accanto, urtò il suo braccio e, facendola vacillare la costrinse a cercare un appoggio con la mano. Le parse di sentire una voce scusarsi per l’irruenza; poi alzò lo sguardo e sotto il suo palmo vi era la pietra fresca di una delle colonne del porticato. Ringraziò con gli occhi per il sostegno offerto, gettò un’ultima occhiata al ragazzetto ormai lontano, e proseguì la sua passeggiata mattutina. Lungo la via passava qualche raro tram e le vetrine dei negozi erano velate da una saracinesca che permetteva la vista ma ancora rimarcava la chiusura dell’esercizio. Camminare in mezzo a quelle strutture che avevano osservato lo scorrere del tempo in modo silenzioso, che avevano ascoltato lingue diverse e veduto centinaia di volti le dava un senso di dolcezza. Le sembrava che non tutto ciò che esiste fosse destinato ad avere in inizio e una fine. Può subire trasformazioni, adattarsi al fluire delle stagioni, al passaggio dei venti, e comunque permanere. O, perlomeno, non avere una vita che si limitasse alla durata dell’esistenza umana. Si portò nuovamente la mano in tasca in cerca dell’appunto scritto il giorno precedente. Lo estrasse e vi lesse l’indirizzo segnatovi: “Via XX Settembre. Civico 88”. Sentì le campane suonare. Sette rintocchi. Poi un altro. Si accorse di doversi affrettare per evitare di tardare all’appuntamento. Percorse, allora, con passo svelto gli ultimi metri di strada sotto i portici. Svoltò a destra in direzione del teatro, passò accanto l’Armeria Reale, varcò le cancellate di Palazzo Reale, fiancheggiò la manica che ospitava la biblioteca, attraversò la Piazzetta Reale, rivolse lo sguardo verso la chiesa di San Lorenzo dolendosi di non poter rallentare la sua passeggiata, e, infine svoltò nella Via Venti Settembre. Si fermò un istante. Le era stato detto: “Ti propongo un’escursione”; non riusciva, però, a capire che tipo di escursione potesse esserci in centro città. Smise di porsi domande e continuò la sua marcia. Giunta al luogo cercato si fermò, lesse il numero sul portone e la targa metallica che era apposta più in basso. Sorrise. Prima a se stessa, poi all’uomo che all’attendeva più in là. Capì. Era arrivata.