Investment Outlook

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Investment Outlook
Investment Outlook
di Bill Gross
aprile 2015
La Follia di marzo
Ogni anno la Follia di marzo (March Madness, il torneo di basket
universitario che si svolge a marzo negli USA) mi ricorda la mia
storica carriera di cestista, incentrata soprattutto sulle storie più
che sulla carriera, lo ammetto, ma che aspettarsi da un ragazzo
alto un metro e ottanta le cui doti migliori erano saltare più in
alto degli altri e fare una bella figura in pantaloncini corti? Iniziai
giocando per tre anni nel ruolo di guardia ma ciò che ricordo
meglio non è un canestro all’ultimo secondo, bensì le cheerleader
provocanti che urlavano: “Bill, Bill, he’s our man – if he can’t
do it no one can.” (Bill, Bill, lui é il nostro uomo - se non ce la
fa lui, nessuno puó farcela). Fuori dalla palestra però non c’era
alcun seguito ai loro urrà di incoraggiamento. Il fatto che non mi
salutassero mai nei corridoi mi lasciava un po’ perplesso, ma si
trattava in realtà di un significativo preludio di ciò che sarebbe
avvenuto nel college di Duke, dove mi trasferii in seguito per
continuare i miei studi.
Dato che al liceo ero una sorta di star, optai per il ruolo di riserva
nella squadra delle matricole. In quegli anni il Duke poteva contare
su tre futuri giocatori “All American” e NBA. C’era tuttavia bisogno di avversari per le partite di
allenamento, e io ero tra i possibili servitori della nobile causa, che non era certo il Duke, bensì
la possibilità di mettermi in mostra con le ragazze e riuscire finalmente, per la prima volta nella
mia vita, a farne salire una nel sedile posteriore della macchina. Non avvenne niente di tutto ciò,
poiché fui escluso dalla squadra al primo provino nonché scaricato da varie ragazze al secondo o
terzo appuntamento.
Ebbi tuttavia la possibilità di riprendermi la rivincita 35 anni dopo quando tornai nella mia
universitá per una missione di beneficenza e venne a prendermi all’aeroporto nientedimeno che
Bucky Waters, l’allenatore che mi aveva così crudelmente escluso dalla squadra. Riconoscendolo
senza essere a mia volta riconosciuto, gli dissi “Lieto di rincontrarti, Buck”. “Ci siamo già
incontrati?” chiese fiducioso, sperando in un rapporto personale più intimo e quindi in una mancia
più generosa. “Una volta” risposi “nel 1962, il giorno in cui mi hai fatto fuori dalle riserve delle
matricole”. “Oh, quanto mi dispiace...” replicò. “Dispiace tanto anche a me”, feci io. “Costerà caro
all’università!” Scoppiammo in una risata, e da allora siamo diventati amici.
Ma la mia storica carriera di cestista al Duke non finisce qui. Dodici anni fa ho frequentato un
campo estivo di pallacanestro per adulti al Cameron Indoor Stadium, proprio il luogo in cui ero
stato immeritatamente escluso dalla squadra quasi quarant’anni addietro. La sessione di tre
giorni fu condotta dal mitico allenatore K, il quale iniziò con un discorso stimolante, seguito
da un’amichevole esortazione a divertirsi. Concluse raccontandoci che nessuno di coloro che
avevano partecipato a quel campo negli ultimi 15 anni era mai tornato a casa senza aver fatto
un canestro. Per lo meno fino alla partecipazione di Bill Gross. Non saprò mai perché i miei
compagni di squadra non mi passarono mai la palla - forse per i tanti canestri mancati o le
Presentato da Janus Capital International Limited
Nessuno
lo conosce
veramente e,
a differenza
del facile layup
procuratomi
dall’allenatore
K, non ci sono
“assist” quando
si vuole fare
canestro con i
Fed Funds.
continue perdite di palla, chi lo sa - però ricordo che nell’ultima partita l’allenatore ci chiese di applicare
uno schema di gioco particolare, simile a quello organizzato per il povero Rudy che giocava come riserva
nel Notre Dame, nell’omonimo film. L’allenatore disse persino all’altra squadra di darmi la possibilità
di raggiungere il canestro, per salvare la tradizione dei quindici anni. A trenta secondi dalla fine presi
la palla. Le mie bellissime gambe erano ora coperte da moderni calzoncini al ginocchio. Avevo ormai
perso l’elasticità che da ragazzo mi permetteva di schiacciare e non sentivo più l’incoraggiamento
delle provocanti cheerleader che urlavano il mio nome da bordo campo, eppure, con un dribbling
esperto portai la palla fino al canestro, senza incontrare nessuno, e saltai per mettere a segno un
facile layup. La palla, dopo aver ruotato attorno al cerchio, uscì dal canestro. Fu così che la tradizione
venne interrotta. “Ti costerà caro, mister” esclamai offeso quando ci stringemmo le mani dopo il fischio
finale. Ridemmo entrambi, commiserando il mio singolare contributo al Duke Basketball. Come ho detto
all’inizio fu una carriera storica, ricca di episodi ma con zero punti segnati, tanto al Cameron Indoor
Stadium quanto con le ragazze.
Se mai è esistito un concetto economico che attualmente non è da considerarsi un layup, quello è
certamente il futuro livello medio dei Fed Funds. Nessuno lo conosce veramente e, a differenza del
facile layup procuratomi dall’allenatore K, non ci sono “assist” quando si vuole fare canestro con i Fed
Funds. Come tutti sappiamo, quello del tasso d’interesse naturale o neutrale non è un concetto nuovo.
All’inizio del XX secolo, Irving Fisher ipotizzò che mentre i tassi ufficiali nominali neutrali potevano salire
o scendere a seconda dei livelli di inflazione e di crescita ciclica, il tasso d’interesse naturale reale
rimaneva relativamente costante. A mio avviso la storia ha smentito questa tesi, non solo perché le
politiche delle banche centrali e quelle fiscali attuate dai governi hanno soppresso (e talvolta innalzato)
tale tasso reale, ma anche in ragione delle variazioni strutturali dei tassi di crescita del PIL reale e delle
dinamiche demografiche, nonché della globalizzazione della finanza. Alan Greenspan accennò alla
questione quando gli fu posta la domanda sull’”esuberanza irrazionale”, a cui non ha mai risposto, Ben
Bernanke si spinse oltre con la teoria dell’eccesso di risparmio globale, ma nessuno di loro, nemmeno
Janet Yellen con i suoi migliaia di collaboratori guidati da modelli storici, è mai giunto a una soluzione.
Continuano a credere nel 3,75% indicato dai loro “blue dots” che coincide con un tasso d’interesse
reale dell’1,75%, un concetto ormai in voga da trent’anni. La stessa Yellen ha ammesso che il tasso
neutrale reale è soggetto a variazioni e che dipende da una molteplicità di fattori (così numerosi che non
è possibile rappresentarli in un unico modello) tra cui la politica fiscale e monetaria, i premi a termine, le
quotazioni azionarie e le curve dei rendimenti. Quando Jim Cramer urlava “non sanno niente, non sanno
niente”, forse esagerava un po’, ma in fondo non così tanto. È stato il tasso d’interesse reale del 3%
negli Stati Uniti a mettere in ginocchio un’economia globale cosí indebitata nel 2006/2007. Un tasso di
questo livello sarebbe stato appropriato vent’anni prima, quando il debito rappresentava il 200% e non il
350% del PIL, ma non certo nel 2006, quando, citando un semplice esempio, un tasso “civetta” a breve
termine dell’1% su un immobile da $500.000 a Modesto, in California, si trasformò nel giro di poco
tempo in un mutuo basato sul Libor +3%, mettendo in crisi il mercato immobiliare statunitense.
In realtà alcuni economisti della Fed hanno aderito alla politica della nuova neutralità già a partire dal
2001, anno della pubblicazione di un articolo di Thomas Laubach e John Williams della Fed di San
Francisco di Janet Yellen, che illustrava la storia delle variazioni del tasso d’interesse reale statunitense
sceso gradualmente dal 4,5% del 1965 al -0,35% attuale. Il loro modello viene aggiornato con
cadenza trimestrale e, pur non essendo un sostenitore dei modelli storici, mi pare evidente che il tasso
neutrale reale abbia evidenziato variazioni notevoli, come emerge dall’andamento dei prezzi nel mercato
obbligazionario. Quale sarà il tasso della Nuova neutralità per i prossimi cinque-dieci anni è tutto da
vedere, e ciò costituisce ovviamente il tema centrale di questo Outlook.
A rigor di logica, lasciando da parte i modelli statistici, non sarebbe irrealistico aspettarsi una nuova
neutralità dopo il tracollo di Lehman e la Grande depressione. Reinhart e Rogoff hanno misurato
tassi di riferimento reali estremamente diversi durante le fasi di depressione e quelle successive di
ripresa, dimostrando l’ovvio, ossia che i lunghi periodi di repressione finanziaria caratterizzati da tetti ai
rendimenti dei Treasury e da modifiche del sistema finanziario globale volte a combattere l’inflazione,
come Bretton Woods con la conseguente transizione al sistema del dollaro agli inizi degli anni ‘70,
hanno avuto un impatto significativo. Ma tali cambiamenti di politica in realtà corroborano la mia
tesi. I tassi di riferimento reali medi (–2%) misurati da Rogoff e Reinhart nelle economie avanzate
in riferimento al periodo 1940-1980 erano una funzione del precedente indebitamento e della sua
necessaria riduzione. Le banche centrali hanno utilizzato i tassi di riferimento come arma segreta fino
a quando la ripresa non fu assicurata e l’inflazione tanto temuta da Jim Grant non riapparve negli anni
‘70. A quel punto era opportuno che Paul Volcker imponesse tassi d’interesse reali positivi, realmente
positivi. In maniera soggettiva e a rigor di logica, è possibile attribuire al tasso reale, che a mio parere
è difficile da analizzare tramite modelli, la capacità di creare cicli di super-indebitamento e bolle
finanziarie, e quindi tentare di porvi rimedio dopo il loro scoppio. Tale è stata l’esperienza delle banche
centrali, e non solo quella statunitense, nell’ultimo secolo.
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Non sto presentando alcuna tesi rivoluzionaria degna di un premio Nobel, ma semplicemente
ricordando a me stesso e ai miei lettori per quale motivo il tasso d’interesse reale della Nuova
neutralità potrebbe essere nettamente più basso, ora e in futuro, di quanto non lo fosse nel
periodo tra Volker (1979) a Bernanke (2009), un valore che secondo i calcoli di Rogoff e Reinhart
sarebbe del +1,35% nelle economie avanzate e del +2,88% in quelle emergenti.
È possibile ottenere una stima della nuova neutralità per le economie sviluppate (e per quelle
emergenti) anche seguendo un metodo diverso. Ritengo che sia utile misurare il differenziale tra
i tassi di riferimento e i tassi di crescita del PIL nominale per il periodo successivo al tracollo di
Lehman al fine di comprendere quali livelli di tassi d’interesse sono stati necessari per stabilizzare
alcune grandi economie sviluppate in quel momento. L’introduzione del QE a livello globale
complica il quadro, ma ciò solo a favore di una conclusione più conservatrice. La mia ipotesi basata
sul buon senso è che i tassi di riferimento nominali devono essere necessariamente inferiori al
PIL nominale. Se il PIL annuo rappresenta il rendimento del credito in circolazione e il valore del
capitale investito nell’economia di una nazione, allora l’attività più sicura e più liquida deve avere un
prezzo necessariamente inferiore al PIL al fine di stimolare l’investimento. E tale dovrebbe essere
il tasso di riferimento. Il punto è quanto più basso esso debba essere. In breve, i tassi di riferimento
nominali negli USA, in Gran Bretagna e in Germania si sono attestati in media a 350 punti base in
meno rispetto alla crescita del PIL nominale dal 2010 e a 150 punti base in meno dell’inflazione.
E queste cifre si riferiscono alle tre principali economie sviluppate! Al fine di stabilizzare questi tre
titani del mondo sviluppato, il tasso di riferimento reale della nuova neutralità è stato pari a -1,5%
per cinque anni. Non è irragionevole supporre che possa essere dello 0% invece che dell’1,75%
della Fed, anche se queste economie ritornassero alla “normalità”. Anche altri paesi sviluppati ed
emergenti hanno bisogno di ridurre i propri tassi in maniera analoga.
È importante sottolineare che tassi della Nuova neutralità più bassi si riflettono sulle duration dei
portafogli e sui posizionamenti sulla curva dei rendimenti sul fronte obbligazionario, sul rapporto
prezzo/utile per i portafogli azionari, e sui tassi di capitalizzazione a lungo termine per il settore
immobiliare, unitamente ad altre valutazioni. Ma ancora più importante è il fatto che essi ci
consentono di formulare ipotesi sui futuri rendimenti delle attività: se lo 0% reale rappresenta
la Nuova neutralità negli Stati Uniti e di conseguenza un livello inferiore in altri paesi, è evidente
l’impossibilità per risparmiatori e investitori di ottenere rendimenti sufficienti a soddisfare le
presunte passività. Se i tassi reali resteranno su livelli così contenuti, i flussi di reddito attualizzati
dipenderanno unicamente dalla crescita e/o dall’inflazione piuttosto che dalle plusvalenze, che
negli ultimi trent’anni sono state notevolmente influenzate dal calo dei tassi reali. Il transatlantico
dei “tassi reali piú bassi/plusvalenze in conto capitale” ci ha portato in acque inesplorate, ma
acque che sappiamo essere ostili agli investitori.
Sarà fondamentale sapere in che modo massimizzare il rendimento rispetto al rischio in queste
acque sconosciute. Esistono diversi approcci, ciascuno dei quali potrebbe rivelarsi quello giusto.
Dalio e Prince di Bridgewater suggeriscono con una certa prudenza che se i costi di finanziamento
reali si attestano attorno allo 0%, le attività possono essere finanziate da debito, agendo con
prudenza e con la consapevolezza degli scenari estremi insiti nel nuovo mondo in cui viviamo,
caratterizzato da indebitamento e politiche monetarie radicali. Jeremy Grantham e i suoi colleghi
di GMO consigliano di aspettare fino a che i rendimenti della liquidità non riprenderanno a salire,
presupponendo che si verifichi un ritorno verso la media in un lasso di tempo di sette anni, invece
che in un ciclo di vent’anni come ipotizzato da Rogoff e altri. Grantham prevede una crisi sui
mercati azionari nel prossimo futuro e potrebbe aver ragione, ma in caso contrario, GMO rischia
di sottoperformare nell’attesa. Poi c’è Warren Buffett che beneficia di un fondo chiuso quasi
permanente che acquista azioni sottovalutate dal punto di vista dei fondamentali. Per la maggior
parte degli investitori che non beneficiano di un fondo chiuso, Jack Bogle potrebbe aver ragione.
Non possiamo prevedere con certezza la direzione che prenderanno i mercati, sostiene Bogle, ma
sappiamo per certo che più basse sono le commissioni, meglio è.
Tra i quattro approcci descritti sopra, i portafogli flessibili di Janus si avvicinano maggiormente
alla filosofia strategica di Bridgewater. Il finanziamento a basso costo rappresenta una strategia
di generazione di alfa fintantoché i tassi a breve rimangono bassi e replicano il tasso reale dello
0% della nuova neutralità. Ovviamente se un investitore contrae prestiti a breve termine per
effettuare investimenti di lunga durata e più rischiosi, la potenziale generazione di alfa dipenderà
dalla capacità di scegliere correttamente le attività su cui investire a leva. E tale scelta non è
affatto semplice al giorno d’oggi, poiché quasi tutti gli asset presentano valutazioni artificiali. La
sfida consiste dunque nell’acquistare quelli che potrebbero mantenere tale valutazione artificiale
per l’intera durata del proprio orizzonte d’investimento. Gli spread di credito sono secondo
me troppo ridotti e quindi costosi. La duration è più neutrale, ma non offre molte possibilità di
guadagno negli USA, nell’eurozona e in Gran Bretagna, a meno che l’economia globale non ricada
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Il transatlantico
dei “tassi reali piú
bassi/plusvalenze
in conto
capitale” ci ha
portato in acque
inesplorate,
ma acque che
sappiamo
essere ostili agli
investitori.
lentamente in recessione. A mio avviso l’opportunità più interessante resta legata al fatto che il QE di Draghi, che prevede
in diciotto mesi l’acquisto di circa il 200% delle nuove emissioni di debito sovrano, manterrà bassi i rendimenti tedeschi e
ancorerà di conseguenza quelli dei Treasury statunitensi e dei Gilt britannici. Non sono propenso ad acquistare queste attività
chiaramente sopravvalutate, bensì a vendere la “volatilità” ad esse connessa, in modo da poter ottenere rendimenti molto più
elevati presupponendo, ad esempio, che quello del Bund decennale a 20 punti base rimanga tra il -0,05% e il +0,50% in un
periodo di tre mesi. Il QE di Draghi dovrebbe rendere altamente probabile che ciò avvenga, come è altrettanto probabile che il
Kentucky vinca ad inizio aprile la Follia di marzo. Staremo a vedere.
Buona fortuna a tutti gli scommettitori! Personalmente non amo fare scommesse e non riesco a guardare le partite del Duke
perché ho paura di fare un infarto. Non sono riuscito ad entrare nella squadra, ma il mio cuore è con loro. Avrei voluto segnare
quel layup, però.
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