Come si propaga la luce - Educazione Scientifica nella Scuola
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Come si propaga la luce - Educazione Scientifica nella Scuola
Come si propaga la luce Prof. Paolo Donelli INDICE 1. Premessa 2. La luce 3. Sorgenti di luce 4. Stima della potenza del Sole 5. Stima della potenza della Luna 6. Il fascio laser 7. Misure di divergenza 8. Come deviare la luce 9. Come "visualizzare" la luce 10. La diffusione multipla 11. Visibilità 12. Dispersione di luce 13. Appendici 14. Bibliografia Hanno partecipato attivamente al percorso didattico gli studenti: Marco Bellini Federico Giorgini Niccolò Meriggi Matteo Tesi Chiara Castellani Lorenzo Corti Marco Gheri Alessandra Lelli Cristina Morelli Come si propaga la luce 1. PREMESSA Questo percorso è presentato come resoconto degli incontri da me tenuti con due gruppi di studenti del biennio liceo scientifico indirizzo PNI, anche se in origine era stato sperimentato (non integralmente) come modulo didattico rivolto a studenti di terza media. L’attività è stata svolta all’interno del progetto sperimentale di educazione scientifica INLAB-2001, gestito dall’ISISTS “Russell-Newton” di Scandicci per conto della Regione Toscana con la collaborazione del CRED “Le Corbinaie” del Comune di Scandicci. L'attività si è svolta in una aula-laboratorio della scuola, è stata guidata dal docente e ha visto la realizzazione di alcune esperienze e osservazioni (perlopiù a carattere qualitativo) volte a indagare alcuni aspetti della propagazione della luce che di norma non sono affrontati nella consueta attività didattica scolastica (o spesso sono solo "raccontati"). L'approccio all'argomento è stato essenzialmente di tipo fenomenologico-induttivo e ha permesso la costruzione di un "modello", per quanto incompleto e semplificato, utile per descrivere la propagazione della luce e comprendere alcuni fenomeni naturali (il tutto, volutamente, senza l'introduzione del concetto di onda). Alcuni approfondimenti fuori percorso sono riportati nelle note e nelle appendici nonché, ovviamente, nei rimandi bibliografici. Durante gli incontri con gli studenti è stato privilegiato l'aspetto dialettico, cercando di stimolare e favorire al massimo la discussione sia con il docente che all'interno del gruppo. Questo ha comportato frequenti pause nello svolgimento del percorso, ma è importante che gli studenti si sentano coinvolti e quasi obbligati a fornire risposte o suggerire ipotesi di spiegazione di ciò che si è osservato perché poi possa loro rimanere impresso in modo non superficiale ciò che si appreso ma anche, e soprattutto, possa svilupparsi nello studente un atteggiamento scientifico nell'affrontare problematiche nuove. Altrettanto importante è l'aver potuto lavorare con piccoli gruppi di studenti (4-5 persone), non solo per esigenze logistiche (di laboratorio) ma proprio perché tutti si devono sentire direttamente coinvolti nell'attività, sia sotto l'aspetto operativo che quello della discussione. A questo ha ulteriormente contribuito il fatto che gli studenti dovevano, oltre che redigere una relazione scritta, anche documentare il percorso e riferire pubblicamente i risultati della loro attività in una sessione plenaria con studenti e docenti. Tutte le esperienze e osservazioni sono state o direttamente eseguite o eventualmente ripetute dagli studenti (nel caso fossero state loro sottoposte dal docente). Il resoconto dell'attività che segue, pur mantenendo il tono discorsivo degli incontri, è però privo dei momenti di discussione che, come ho già detto, sono parte fondamentale del percorso stesso. Spero comunque che, anche così, questo percorso possa essere di aiuto a qualche docente che voglia introdurre l'argomento "luce" ai suoi studenti. Come si propaga la luce 2. LA LUCE Iniziamo col porci alcune domande: COME SI PRODUCE LA LUCE ? COME SI PROPAGA LA LUCE ? CHE COS'È LA LUCE ? LA LUCE HA UNA VELOCITÀ ? Durante questo percorso proveremo a rispondere, anche se non in modo esauriente, alle prime due domande, servendoci di alcune esperienze che realizzeremo insieme oltre che facendo riferimento costante a cose che già conoscete per averle osservate spesso nella vostra esperienza quotidiana. Alle successive due domande, altrettanto pertinenti, non saremo in grado di rispondere o, perlomeno, non potremmo motivare in modo semplice le risposte che forse alcuni di voi già conoscono, e cioè che la luce è una particolare onda elettromagnetica (quella a cui il nostro occhio è sensibile) che si propaga, nel vuoto, con una velocità spaventosamente alta: circa 300 000 km/s ! Partiamo quindi proprio da queste due ultime domande, cui non daremo risposte né approfondite né motivate, e poi passeremo alle prime due. Non è facile spiegare in termini elementari cosa si intende per onda elettromagnetica né come se ne riesca a misurare la velocità di propagazione; ci basti sapere, per ora, che un'onda elettromagnetica, e quindi anche la luce, trasporta energia (energia radiante) e che il primo a ipotizzarne una velocità di propagazione elevata ma finita fu Galileo Galilei, che suggerì un metodo per misurarla nella giornata prima dei suoi Discorsi (Appendice A). È chiaro che tale metodo, in linea di principio corretto, non porta a nessun risultato, visto l'elevato valore di tale velocità che comporta brevissimi tempi di percorrenza per la luce nel tragitto tra Galileo e il suo assistente (brevissimi se paragonati con i tempi di reazione umana). Per percorrere una distanza di 6 miglia (1miglio corrisponde a 1609 metri) il tempo impiegato dalla luce vale circa 3⋅10-5 s, di gran lunga inferiore ai tempi di reazione dell’uomo (∼ 0.1 s). Per misurare una velocità così alta è necessario essere in grado di misurare tempi molto piccoli; pensate che Galileo utilizzava il battito del polso e orologi ad acqua per le misure di tempo nei suoi esperimenti (i sofisticati cronometri attuali erano di là da venire). L'unica alternativa era quella di poter utilizzare un percorso molto lungo. Non deve stupire quindi il fatto che le prime misurazioni della velocità della luce vennero da un astronomo. L'astronomo danese Olaf Römer, nel 1676, che lavorava presso l'Osservatorio di Parigi, stimò questa velocità in circa 200 000 km/s, basandosi su degli studi sulle eclissi dei satelliti di Giove (che lo stesso Galileo aveva scoperto all'inizio del secolo col suo telescopio). Senza entrare nei dettagli del metodo, notiamo che qui le distanze che la luce deve percorrere sono dell'ordine della distanza Giove-Terra e quindi milioni di km e i tempi da misurare dell'ordine di diversi minuti, facilmente misurabili. In seguito la velocità della luce è stata misurata con sempre maggior precisione via via che la scienza e la tecnologia progredivano, come potete vedere dalla seguente tabella: ALCUNE MISURE DELLA VELOCITÀ DATA SCIENZIATO DELLA METODO 1600 1676 1729 1849 1862 1879 1927 1950 Galileo Lanterne Römer Lune di Giove Bradley Aberrazione luce stellare Fizeau Ruota dentata Foucault Specchio rotante Michelson Specchio rotante Michelson Specchio rotante Essen Maser 1972 Blaney Laser LUCE MISURA INCERTEZZA (km/s) (km/s) 214 000 304 000 315 300 298 000 299 910 299 798 299 792,5 ± 500 ± 50 ±4 ±3 299 792,4590 ± 0,0008 Vista l’importanza straordinaria, soprattutto alla luce della teoria della relatività, e l’universalità del valore di c, nel 1983 il Sistema Internazionale delle unità di misura ha assunto per essa il valore convenzionale di: c ≡ 299 792 458 m/s Nel SI l’unità di misura di lunghezza, il metro, viene così a essere definita come la distanza percorsa dalla luce, nel vuoto, in un tempo pari a: 1 299 792 458 secondi , relegando a pezzo da museo il vecchio metro campione in platino iridio conservato a Sevres (Parigi). Ma non vogliamo approfondire ulteriormente questi aspetti, un po’ troppo difficili da affrontare; torniamo pertanto alle due domande che ci eravamo posti all'inizio: COME SI PRODUCE LA LUCE ? COME SI PROPAGA LA LUCE ? perché è a queste che cercheremo di rispondere insieme durante il nostro percorso. Come si produce la luce? Vediamo se mi sapete indicare sorgenti luminose che conoscete, sono veramente molte ma cerchiamo di fissarne alcune per poi poterle analizzare in modo più approfondito. Osservate qui, ne abbiamo alcune disposte sul bancone: una candela, un proiettore, uno scaldino, una lampadina, un neon, un laserino puntatore, un laser. Tutte sorgenti artificiali ma ne esistono anche di naturali: per esempio le stelle, il Sole, la Luna e nel mondo vivente, per esempio, le lucciole e altri organismi. Riempiremo insieme una tabella SORGENTI DI LUCE SORGENTE INTENSITÀ COLORE FASCIO FONTE ENERGETICA CANDELA PROIETTORE SCALDINO LAMPADINA NEON LASERINO LASER SOLE LUNA di sorgenti di luce, le cose che non sarete in grado di dire voi ve le suggerirò io. Lo scopo è quello di caratterizzare queste sorgenti di luce che abbiamo elencato; in alto alle varie colonne ho messo gli elementi che ci sembrano importanti per classificare le nostre sorgenti e cioè: intensità (quanta energia viene emessa per unità di tempo) colore (quale colorazione ha la luce emessa) fascio (quale è la forma geometrica del fascio di luce emessa) fonte energetica (quale è la fonte energetica a cui attinge la sorgente di luce) Quantificheremo l'intensità della sorgente in Watt (1W=1J/s); come campione di riferimento qualitativo possiamo prendere una comune lampadina a incandescenza da 100W (illumina bene una stanza di appartamento). In realtà 100W emessi da una di queste lampadine non vanno tutti sotto forma di energia luminosa ma anche, come ben sapete per aver preso qualche scottatura, sotto forma di energia termica, calore. Tipicamente, una comune lampadina a incandescenza ha una efficienza di circa il 10 - 20 %, in altre parole il 90 - 80 % dell'energia prodotta viene disperso in calore. Esistono lampade speciali (più sofisticate e più costose) ad alta efficienza che sono definite "a risparmio energetico". Una di queste lampade, con 10 - 15 W di potenza, determina una illuminazione paragonabile alla nostra comune lampada da 100 W e permettono, oltre che a un risparmio sulla bolletta dell'ENEL, anche di contribuire a un minore inquinamento ambientale, visto che la gran parte dell'energia elettrica consumata in Italia viene prodotta da centrali termoelettriche, ossia centrali dove si brucia qualcosa (carbone, petroli, ecc..) per ottenere energia immettendo massicce dosi di gas inquinanti nell'atmosfera. Ma torniamo alla nostra tabella e iniziamo a riempirla: SORGENTE INTENSITÀ COLORE FASCIO FONTE ENERGETICA CANDELA ∼ 10 W (riscalda) Bianco Giallo Tutte le direzioni En. Chimica Combustione PROIETTORE ∼ 30 W (riscalda) Bianco Cono En. Elettrica SCALDINO ∼ 500 W (riscalda) Rosso-Arancio Tutte le direzioni En. Elettrica ∼ 100 W (riscalda) Bianco Tutte le direzioni En. Elettrica NEON ∼ 50 W Bianco Tutte le direzioni En. Elettrica LASERINO ∼ 4 mW Rosso Direzionato En. Elettrica En. Chimica (pila) LASER ∼ 1 mW Rosso Direzionato En. Elettrica ∼ 4⋅1026 W (riscalda) Giallo Rosso Tutte le direzioni En. Nucleare ∼ 1015 W Bianco Giallo Tutte le direzioni Luce solare riflessa LAMPADINA SOLE LUNA Come si propaga la luce 3. SORGENTI DI LUCE candela Osserviamo la fiamma di una candela ha una colorazione sul giallo, la luce si propaga in tutte le direzioni e insieme a energia luminosa si produce energia termica, calore (come d'altronde ben sapevate già tutti). Ma cosa accade quando accendiamo una candela? Quando accendiamo lo stoppino, il calore della fiamma scioglie la cera alla sommità, lo stoppino si impregna di cera liquida che, riscaldandosi ulteriormente, evapora alimentando la fiamma e innescando così un processo che si autosostiene e, lentamente, consuma la cera della candela (il vapore di cera, ad alta temperatura e a contatto con l'aria, si combina chimicamente con l'ossigeno contenuto in questa alimentando così la fiamma, per combustione). Il colore della fiamma Il colore di una fiamma dipende dalla sua temperatura ma anche dal tipo di sostanza che sta bruciando. Potete provare a casa a ottenere fiamme colorate nel modo seguente: versate, con molta attenzione, una piccola quantità di alcool in un contenitore (per es. un posacenere metallico), richiudete e allontanate la bottiglia dell'alcool. Accendete poi la fiamma che, come noterete, è incolore. Possiamo ottenere fiamme colorate versando del sale da cucina (il sodio, bruciando, produce una fiamma gialla), oppure un miscuglio preparato in precedenza di gusci d'uovo disciolti in aceto (il calcio contenuto nei gusci, bruciando, produce una fiamma rossa). L'effetto risulterà più suggestivo se si osserva la fiamma al buio. Altre sostanze, bruciando, producono fiamme anche di altri colori (è questo che permette la fabbricazione dei coloratissimi fuochi d'artificio). Strofinando un po’ di cenere di sigaretta su una zolletta di zucchero riusciamo a incendiarla e la fiamma prodotta assume una colorazione sul blu chiaro. In questo caso è la presenza della cenere che rende possibile la combustione dello zucchero, che altrimenti non brucerebbe; sostanze di questo tipo (la cenere nel nostro esempio) vengono denominate "catalizzatori". Nelle marmitte cosiddette catalitiche vengono immesse delle sostanze che catalizzano delle reazioni chimiche che permettono di trasformare, almeno in parte, i gas tossici di scarico in altri innocui o comunque meno nocivi. proiettore Questo è un proiettore di luce bianca ed è alimentato da una lampadina da 30W (avremmo potuto anche utilizzare una torcia elettrica o anche un comune proiettore per diapositive). Se sposto, allontanandolo, questo cartoncino (schermo) vediamo che la macchia circolare aumenta di dimensioni: questo significa che il fascio di luce ha la forma di un cono. Più tardi cercheremo di misurare l'apertura (angolare) di questo cono. scaldino Questo invece è un vecchio scaldino. Osservate cosa succede quando collego i cavi elettrici alla presa di corrente: il filamento diventa incandescente ed emette una luce rosso - arancio e, soprattutto, calore (di fatto è una piccola stufa elettrica). Lo scaldino trasforma energia elettrica in energia termica e in energia luminosa. lampadina Questa è una comune lampadina a incandescenza. Essa emette una luce di colore bianco cosiddetto "caldo", ossia un bianco sul giallo. Come potete vedere dentro l'involucro trasparente di protezione c'è un sottile filamento metallico che, durante il funzionamento, diventa incandescente. L'involucro serve a proteggere il filamento dall'ossidazione, permettendo di mantenere un vuoto attorno a esso. Questo vuoto è causa del rumore sordo che si sente quando, cadendo, la lampada si rompe (è dovuto alla differenza di pressione tra l'interno e l'esterno). Un corpo, per esempio un pezzo di metallo, riscaldato via via a temperature sempre più alte assume una colorazione prima sul rosso e poi sul bianco (incandescenza). Evidentemente la colorazione della luce emessa deve dipendere dalla temperatura del corpo che la emette. Possiamo facilmente riprodurre il fenomeno dell'incandescenza riscaldando questo pezzo di filo metallico (attenti, va impugnato con un materiale isolante, va benissimo un tappo da bottiglia di sughero, se non volete scottarvi) su una fiamma: al buio il metallo, inizialmente invisibile, diventa visibile assumendo una colorazione sul rosso. Lo stesso fenomeno è responsabile dell'emissione luminosa da parte della lampadina, anche in questo caso il filamento si riscalda quando viene attraversato da una intensa corrente elettrica, pensate che il filamento (di solito di tungsteno) di una lampadina può raggiungere i 2500 °C ! neon Questo che vediamo acceso sopra le nostre teste, sul soffitto del laboratorio, è un comune tubo a neon. La luce emessa ha una colorazione bianco - azzurro (un bianco cosiddetto "freddo"), piuttosto diversa da quella, più "calda", prodotta da una lampada a incandescenza; il fenomeno sfruttato da questo tipo di lampada è molto diverso dall'incandescenza e la differenza principale, a parte la colorazione della luce emessa, sta nel fatto che i tubi a neon non riscaldano e sono quindi sorgenti luminose più efficienti. Il neon è il gas contenuto nel tubo, detto anche tubo a scarica (elettrica), che emette luce quando viene stimolato con delle scariche elettriche. Questo gas può illuminarsi anche producendo elettricità statica per sfregamento. Se vi capita l'occasione potete provare, durante una bella giornata, a sfregare con un panno di lana uno di questi tubi (va bene anche uno fuori uso) facendo attenzione a non romperlo: se siete in condizioni di penombra, osserverete che il tubo si illuminerà di una debole luce bianca (fluorescenza). laserino Questo è un piccolo laser puntatore a diodo, di quelli che si usano nelle conferenze per attirare l'attenzione della platea su qualcosa di proiettato su uno schermo (una volta si usavano lunghe e scomode canne o attrezzi simili). Ha una potenza di 4 mW ed emette una luce rossa ben direzionata. La fonte energetica è di natura elettrica (e prima ancora chimica, dal momento che funziona con questa piccola batteria). D'ora in avanti lo chiameremo per brevità "laserino", anche per distinguerlo dal laser vero e proprio, questo che vedete qui. laser Questo è un laser a gas He-Ne (elioneon) di potenza 0,95 mW, che emette una luce rossa ben direzionata. La fonte energetica è elettrica, come si evince dalla presenza di questo cavo elettrico di alimentazione. È decisamente più grosso (e costoso) del laserino, nonostante sia circa quattro volte meno potente. Tuttavia bisogna fare molta attenzione perché è molto pericoloso per i nostri occhi se malauguratamente dovesse colpirli (è ancora più pericoloso del laserino, nonostante la potenza inferiore). Cercheremo di capire il perché di queste cose insieme più tardi eseguendo qualche semplice esperienza e misura. Sole La sorgente naturale più conosciuta e anche più intensa è ovviamente il Sole. Il Sole non è altro che una delle tante stelle che popolano la nostra galassia e il nostro universo. Astronomicamente, il Sole è una stella con caratteristiche abbastanza comuni, e si stima abbia una età di circa 5 miliardi di anni. La nostra vicinanza ad esso (distiamo "solo" 150 milioni di km, o, se preferite, circa 8 minuti luce) fa sì che l'intensità della radiazione che ci investe sia molto intensa e praticamente tutti i processi biologici sul nostro pianeta dipendono, più o meno direttamente, dall'energia solare. La fonte energetica è termonucleare (la cosiddetta "fusione" di idrogeno in elio) e le riserve di idrogeno contenute nel Sole dovrebbero bastare per farlo funzionare per altri 5 miliardi di anni. La potenza emessa dal Sole è, come ordine di grandezza, ben 1026 W ! Ma come facciamo a saperlo? Misurando la costante solare e poi effettuando un calcolo. Misura della costante solare. (→ → Misura della costante solare col metodo della palpebra) Calcolo della potenza del Sole. (→ → Calcolo della potenza del Sole) Luna La Luna è l'unico satellite naturale della Terra, da cui dista circa 60 raggi terrestri (RT ≅ 6400 km). La superficie lunare, per riflessione di luce solare, può illuminare le notti sul nostro pianeta, soprattutto quando siamo in condizioni di luna piena. La luminosità lunare deriva dalla riflessione della luce solare, riflessione che avviene lungo tutte le direzioni a causa della scabrosità della superficie lunare, come aveva ben compreso già Galileo. La potenza emessa dalla Luna è, come ordine di grandezza, circa 1015 W. Si può stimare la potenza della Luna con un calcolo a partire dalla potenza del Sole. Calcolo della potenza della Luna. (→ → Calcolo della potenza della Luna) Come si propaga la luce 4. STIMA DELLA POTENZA DEL SOLE Calcolo della potenza del Sole Per stimare la potenza del Sole, è necessario procedere preliminarmente a una determinazione della costante solare. Ma cosa è la costante solare ? Rappresenta la potenza, per unità di superficie perpendicolare alla radiazione, che riceviamo dal Sole a terra; in realtà, dato che dipende moltissimo dalle condizioni atmosferiche, essa non è in realtà una costante. Per ovviare a questo inconveniente, si possono fare misure fuori dall'atmosfera terrestre con palloni sonda o satelliti. Noi ne effettueremo una stima da Terra utilizzando la palpebra dell'occhio come rivelatore durante una bella giornata di Sole. 1 m2 Il valore corretto della costante solare è di circa 1400 W/m2 . Ma come si può risalire al valore della potenza del Sole da questo valore ? Per cominciare facciamo due ipotesi abbastanza ragionevoli: • il Sole irradia energia in tutte le direzioni allo stesso modo • l'energia irraggiata dal Sole non viene assorbita nello spazio interplanetario Consideriamo ora la sfera di centro il Sole e raggio la distanza Terra - Sole: S 4 ⋅π⋅ R2 T ≅ 3 ⋅1023 m2 La superficie di questa enorme sfera di raggio 150 milioni di km vale: S = 4 ⋅π⋅ R2 ∼ 3 ⋅1023 m2 Possiamo quindi impostare la seguente proporzione: 1400 W : 1 m2 = X : 3 ⋅ 1023 m2 trovando: Potenza Totale = 1400 ⋅ 3 ⋅1023 W e, in definitiva: POTENZA TOTALE IRRADIATA ∼ 4 ⋅ 1026 W DAL SOLE Misura della costante solare col metodo della palpebra Approfittiamo di questa bella giornata di Sole per provare a stimare l'intensità della radiazione solare partendo da una misura della costante solare utilizzando uno strumento piuttosto curioso, la palpebra del nostro occhio ! Come ? Confrontando la sensazione termica e visiva prodotta dal Sole sul nostro occhio (chiuso) con quella di una lampadina di intensità nota, per esempio questa da 60W montata su un portalampada. L'idea è quella di variare la distanza della lampadina dall'occhio fino a quando ci sembra che il suo effetto sia lo stesso di quello prodotto dal Sole. Noti questi due valori (distanza occhio - lampadina e potenza della lampadina), possiamo stimare la costante solare e poi calcolare, come abbiamo già visto, la intensità che la lampadina Sole emette nello spazio, il tutto applicando un po’ di proporzioni. Proviamo a organizzare il lavoro: uno di voi, tappandosi un occhio, si pone di fronte al Sole per qualche istante con la palpebra dell'altro occhio (chiuso ma non strizzato) cercando di memorizzare la sensazione termico - visiva e rapidamente (senza riaprire gli occhi) si gira verso un compagno che gli pone di fronte la lampadina. Si cercherà, per tentativi, la distanza ottimale perché i due effetti siano il più possibile simili. Un terzo compagno misurerà con la riga millimetrata queste distanze. Facciamo una prova, magari ripetendola più di una volta se non ci sente sicuri.1 La prima prova ha dato il valore, per la distanza ottimale, di 12 cm. Vediamo di impostare insieme il calcolo; se l'effetto è lo stesso la costante solare deve valere: costante solare = 1 60 W Plampada = ≅ 330 W / m 2 2 2 2 4πd 4 π (0,12) m Ovviamente il Sole e la lampadina sono sorgenti di luce piuttosto diverse: assimilandole entrambe a un corpo nero abbiamo infatti due temperature diverse (2500 °C per il filamento, 6000 °C per il Sole). Anche se dello stesso ordine di grandezza, la minore temperatura del filamento fa sì che si abbia in questo caso una maggiore emissione nell'infrarosso rispetto all'irradiamento solare, centrato sul visibile. Senza contare poi la risposta dell'inconsueto rivelatore utilizzato, la palpebra, certamente più sensibile all'infrarosso che non al visibile. Tuttavia, l'ordine di grandezza della costante solare lo si trova. L'idea di questa misura è stata ripresa dalla bella raccolta di esperienze di Ledo Stefanini: "La cattedra e il bancone", Cremona, 1999. e quindi, se ci accontentiamo degli ordini di grandezza, non siamo lontani dal valore noto (circa 1400 W/m2 ma che, a livello del mare, può ridursi sensibilmente a causa delle condizioni atmosferiche e delle caratteristiche di riflettività e assorbimento dell'atmosfera terrestre). Certo la misura è molto soggettiva e rudimentale ma tutto sommato se ci accontentiamo di una stima dell'ordine di grandezza (e non è poco!) va benissimo. Per cercare di rendere la misura un po’ meno arbitraria possiamo però ripeterla più volte con persone diverse e fare una media dei risultati. Procediamo e riportiamo in tabella i risultati ottenuti con almeno tre ripetizioni con tre di voi: Giorgini Tesi d (cm) Bellini d (cm) d (cm) 12 9 14 16,5 11 10 15 15,5 14,5 dmedio = (13 ± 4) cm (incertezza stimata come semidispersione delle misure) che ci permette di stimare la costante solare (c.s.) nel modo seguente: c.s. ≅ (300 ± 200) W/m2 la misura è affetta da una grossa incertezza, come d'altronde c'era da aspettarsi. Come si propaga la luce 5. STIMA DELLA POTENZA DELLA LUNA POTENZA LUNARE Per stimare la potenza riflessa dalla Luna dobbiamo valutare la frazione di potenza solare che essa intercetta e fare qualche ipotesi sulla percentuale di luce che viene riflessa dalla superficie lunare che, come sappiamo, è rocciosa; è ragionevole quindi ipotizzare una percentuale di luce riflessa di circa 10% (la Luna non è uno specchio e non può riflettere tutta la luce che la colpisce). Si chiama albedo il rapporto tra la radiazione incidente e la radiazione riflessa da un pianeta; nel caso della Luna, l'albedo vale 0,07 (ossia il 7% della luce che la colpisce viene riflessa). Abbiamo inoltre bisogno di conoscere le dimensioni della Luna e la sua distanza dal Sole: RL ≅ 1738 km raggio della Luna DSL ≅ DTS ≅ 150 M km distanza Sole - Luna PLuna = PSole ⋅ RL ⋅ albedo area della sfera di raggio DSL area del cerchio di raggio PLuna π R L2 R L2 26 = 4 ⋅ 10 W ⋅ 2 ⋅ albedo = 10 W ⋅ 2 ⋅ 0,07 4 π DSL DSL PLuna 1738 15 = 4 ⋅ 10 26 W ⋅ 6 ⋅ 0,07 ≅ 10 W 150 ⋅ 10 26 2 Abbiamo messo nel rapporto l'area della superficie del disco lunare piuttosto che l'intera superficie riflettente (la mezza sfera illuminata) perché, se ci pensate bene, il fatto che la superficie esposta sia bombata non significa che raccolga più luce, come si può capire dalle figure seguenti: emisfero illuminato emisfero non illuminato disco lunare Il numero di raggi che incidono sulla superficie (piana) del disco lunare è lo stesso di quelli che incidono, perpendicolarmente, sulla superficie semisferica. La questione non è comunque molto importante (si tratta di un fattore 2) visto che siamo interessati solo agli ordini di grandezza. esercizio1 Determinare l'ordine di grandezza della costante lunare (dove per costante lunare s'intende, per analogia con la costante solare, i W/m2 che giungono a Terra provenienti dalla Luna), in condizioni di Luna piena e trascurando la presenza dell'atmosfera terrestre: 1015 W PLuna ≅ 10 − 3 W / m 2 costante lunare = 2 = 2 2 4πd 4 π ( 380 000 000) m Avremmo dovuto in realtà più correttamente inserire non la distanza tra i centri (della Terra e della Luna) ma tra le superfici, ma l'ordine di grandezza del risultato non cambia. A livello del mare, ovviamente, tale valore può ridursi sensibilmente a causa delle condizioni atmosferiche e della riflettività e assorbimento dell'atmosfera terrestre. L'illuminamento lunare è quindi di circa 6 ordini di grandezza più debole di quello solare. esercizio2 Determinare l'ordine di grandezza della costante stellare (dove per costante stellare s'intende, per analogia con la costante solare, i W/m2 che giungono a Terra provenienti da una stella) relativamente a una stella simile al Sole e distante 1 anno luce da noi (ordine di grandezza della distanza delle stelle più vicine a noi, per esempio potrebbe essere la stella Sirio): 4 10 26 W Pstella 2 −7 ≅ costante stellare = 10 W / m 2 = 2 4πd 4 π (1016 ) m 2 A livello del mare, ovviamente, tale valore può ridursi sensibilmente a causa delle condizioni atmosferiche e della riflettività e assorbimento dell'atmosfera terrestre. L'illuminamento stellare è quindi almeno 4 ordini di grandezza più debole di quello lunare. Come si propaga la luce 6. IL FASCIO LASER premessa Parliamo ora dei laser. È necessario però premettere alcune cose relativamente alla pericolosità dei fasci di luce. Se questi sono troppo intensi, possono danneggiare la retina dei nostri occhi, come per esempio accadrebbe se si fissa il disco del Sole, anche per poco tempo: ma in questo caso il fastidio dell'abbagliamento ci protegge perché nessuno, neanche un bambino, osserva il disco solare a lungo senza nessuna protezione. Nel caso dei laser invece il discorso è diverso, dal momento che la luce, concentrata lungo un sottilissimo fascio, può essere molto pericolosa per il nostro occhio anche se dovesse incrociarlo solo per un tempo molto breve. Anche i nostri due laser, per quanto piuttosto deboli, possono rappresentare un pericolo per la nostra retina se utilizzati senza le dovute precauzioni (ecco perché non ve li farò maneggiare di persona, lo farò io per voi). Il laser non va mai puntato verso il viso (gli occhi) di qualcuno, né contro superfici riflettenti quali possono essere degli specchi, ma anche vetri o superfici metalliche, perché così facendo si rischia di perdere il controllo della direzione del fascio. È quindi altrettanto ovvio che non dovete mai guardare il forellino di uscita del fascio dallo strumento. Un criterio di sicurezza che adotteremo sarà quindi quello di disporre il laser orizzontalmente e a una altezza più bassa rispetto a quella dei nostri occhi. Cerchiamo di capire come mai i nostri occhi possano correre dei rischi anche con laser di bassa potenza, come i nostri, mentre questa lampadina accesa da 30W (intensità tipica delle lampade da comodino) non ci fa paura, anche se non è bene fissarla a lungo. La luce laser rimane monodirezionata (e quindi concentrata) su lunghe distanze e pertanto se dovesse malauguratamente entrare nella pupilla dell'occhio, vi entra tutta o quasi mentre nel caso di una comune lampada la pupilla intercetterà soltanto una piccola frazione del totale, frazione che inoltre decresce sensibilmente allontanandosi dalla sorgente. Vediamo però di quantificare quanto detto: assumendo per la pupilla un diametro d indicativo di circa 5 mm (che corrisponde all'incirca alla sezione lineare del fascio in uscita dal laser) possiamo dire che nel caso di un laser ben puntato negli occhi di una persona non troppo distante arrivano, e per giunta focalizzati, sulla retina praticamente tutti gli 0,95 mW del fascio; nel caso della lampadina da 30 W, invece, è necessario conoscere la distanza D dell'occhio dalla sorgente (diciamo per es.1m) e calcolare la frazione di potenza intercettata dalla pupilla: 0,95 mW 0,95 mW Laser D = 1m 30 W 47 µW D = 1m Lampada π ( d / 2) d/ 2 d2 = 30W ⋅ = 30W ⋅ = 30W ⋅ 4 π D2 16 D 2 area della sfera di raggio D 2 area del cerchio di raggio 2 ( 5mm ) 30 W ⋅ 2 16(1m ) = (5 ⋅ 10 ) 30 W ⋅ −3 2 16 = 30 W ⋅ 1 ≅ 47 µW 640000 e quindi, in definitiva, penetra nell'occhio soltanto una piccolissima frazione della energia emessa dalla lampadina e che è pari a solo il 5% circa della potenza del laser, una sorgente 30 000 volte meno intensa della lampada. il fascio laser Abbiamo constatato che la luce emessa da una lampada va in tutte le direzioni, dal momento che ognuno di voi la può vedere, mentre la luce emessa dal proiettore è confinata all'interno di un cono con vertice la sorgente: i "raggi di luce" che costituiscono il fascio viaggiano quindi lungo direzioni diverse ma, evidentemente, non tutte. Nel caso del laser si osserva una piccola macchiolina rossa sullo schermo, che rimane tale e quale anche spostandolo. La forma del fascio è quindi una linea retta, ma forse è meglio dire, visto che la macchiolina non è proprio puntiforme, che la forma è quella di un sottile cilindro. Più tardi cercheremo di caratterizzare meglio la geometria del fascio laser con alcune semplici misure e osservazioni. diffusione della luce Poniamoci ora una domanda: come mai per vedere la luce prodotta abbiamo bisogno di uno schermo? Evidentemente, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, perché la luce per provocare una sensazione (la "visione") deve raggiungere il nostro occhio e quindi i raggi di luce che si dirigono verso direzioni diverse non possono essere visti: se il fascio di luce, conico o cilindrico che sia, non è diretto verso i nostri occhi, non può essere visto. Perché allora con lo schermo riesco a vedere la macchia di luce? La luce, intercettando il cartoncino sul suo percorso, "rimbalza" , potremmo meglio dire che si riflette un po’ in tutte le direzioni, come prova il fatto che la macchia è visibile da tutti noi che siamo disposti lungo direzioni di osservazione diverse. E se invece del cartoncino mettessi uno specchio vero e proprio cosa pensate che succeda? Proviamo: con lo specchio inserito sul percorso del fascio laser non si vede più nulla…. o forse no, ecco la macchiolina rossa ricomparire laggiù sul muro. Cosa è successo? Lo specchio ha riflesso secondo un angolo ben preciso tutti i raggi e quindi il risultato è stato quello di deviare il fascio lungo una nuova direzione (che posso regolare inclinando lo specchio) e il muro della stanza riveste la stessa funzione del cartoncino - schermo di prima. Abbiamo quindi capito che la luce "rimbalza" sugli ostacoli che frappongo ma: • nel caso dello specchio lo fa in modo ordinato deviando tutti i raggi lungo una stessa e nuova direzione e il fascio rimane invisibile (parliamo in questo caso di riflessione della luce da parte dell'ostacolo) • nel caso dello schermo (o del muro) i raggi di luce vengono deviati in modo disordinato, lungo tutte le direzioni (parliamo in questo caso di diffusione della luce da parte dell'ostacolo) Ma perché, secondo voi, questo succede? Quale la differenza tra le due situazioni? Proviamo a pensare alla riflessione della luce come rimbalzi di palle sulle sponde di un biliardo e forse siamo in grado di capire; la differenza sta nella scabrosità della superficie investita dalla luce: uno specchio ha una superficie estremamente liscia (come una normale sponda di un biliardo) e tutti i raggi si riflettono (rimbalzano) nella stessa maniera mentre la superficie del cartoncino, o ancora più evidente (basta sfiorarla con una mano) la parete del muro, è scabra, rugosa, irregolare. I raggi incidenti su tale superficie, inizialmente tutti paralleli, rimbalzano ancora secondo la legge del biliardo, ma ognuno di essi trova la sua "sponda", che è diversamente inclinata e il risultato è che essi vengono deviati un po’ lungo tutte le direzioni. Che la superficie di una parete sia scabra e rugosa non è un caso, è bene che siano fatte così (oltre che di colore chiaro per impedire che assorbano troppo la luce). La scabrosità della parete assicura, grazie alla diffusione, che la luce proveniente da una finestra o da una lampada si distribuisca un po’ ovunque nella stanza, illuminandola in modo omogeneo. Provate a pensare a cosa succederebbe se le pareti fossero di specchi. A questo proposito leggiamo e commentiamo insieme alcune pagine scritte da Galileo tratte dal Dialogo2 (Appendice B) nelle quali i tre interlocutori Simplicio (l'aristotelico), Sagredo (il moderatore) e Salviati (Galileo) discutono sulla possibile forma della superficie lunare. la macchia Concentriamo ora la nostra attenzione sulla macchia che la luce del laser produce sullo schermo e osserviamola bene. Poniamoci la seguente domanda: l'energia luminosa è distribuita uniformemente sulla macchia? In altri termini: i raggi di luce sono distribuiti in modo uniforme a formare il fascio cilindrico oppure sono addensati in certe zone piuttosto che in altre ? Avanziamo una ipotesi: potrebbero essere ammassati nella zona centrale piuttosto che alla periferia? oppure no? come verificarlo ? L'osservazione diretta, a occhio, non permette di rivelare apprezzabili differenze tra centro e periferia e quindi siamo portati a pensare a una distribuzione uniforme, ma vediamo di esserne sicuri. Realizziamo per questo le seguenti due situazioni: • prendiamo il laserino e, dal fondo del laboratorio, puntiamolo contro la parete opposta (10 - 15m): la macchia rossa sul muro ha un diametro di circa 2 cm (evidentemente il fascio non è un cilindro ma un cono!) 2 Galileo Galilei, "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo", ed. Studio Tesi, Pordenone 1992 (pag. 79 e seguenti) • osserviamo la stessa situazione oscurando però la stanza: la macchia appare più intensa e il diametro della macchia sul muro è ora più grande (circa 3 cm) Come è possibile? Quale spiegazione si può ipotizzare? La maggiore intensità apparente nel secondo caso è evidentemente dovuta all'assenza della luce solare che diminuiva il contrasto tra la luce del laser e lo sfondo, ora scuro. La maggiore dimensione invece potrebbe essere spiegata in questo modo: se la macchia è più intensa al centro che ai bordi, questi ultimi risultano poco visibili in condizioni normali di illuminazione del laboratorio, essendo di luce debole che "affoga" nel mare della luce solare. In condizioni di oscuramento questa luce ai bordi, per quanto debole, può essere percepita dall'occhio in quanto non più sovrapposta allo sfondo (la pupilla dopo qualche minuto al buio si dilata e l'occhio diventa più sensibile a luci di bassa intensità). Macchia vista in condizioni normali di illuminazione La stessa macchia vista in condizioni di oscurità Ci sembra così corretto concludere che la macchia, e quindi il fascio laser, ha intensità massima al centro e decrescente ai bordi3. 3 L'intensità del fascio laser sulla sua sezione diminuisce dal centro ai bordi con un andamento gaussiano. Come si propaga la luce 7. MISURE DI DIVERGENZA divergenza del proiettore Riprendiamo la caratterizzazione del fascio di luce emesso dal proiettore. Abbiamo visto che è di forma conica, con vertice sulla lampada. Una caratteristica importante è l'apertura del cono di luce, ossia l'angolo α (vedi figura) anche detto angolo di divergenza del fascio. α d r Si può risalire all'angolo α proiettando il fascio di luce su uno schermo posto ad una distanza nota r dal proiettore e misurando d, il diametro della macchia circolare luminosa che si produce sullo schermo. Se l'apertura del cono è piccola si può confondere l'arco con la corda per il settore circolare di apertura α e impostare così la seguente proporzione: α° : d = 360° : 2 π r da cui si ricava α : 360° d α° = 2π r Procediamo allora con le misure, ripetendole per diversi valori della distanza d. Per comodità di misura possiamo montare proiettore e schermo con questi due cavalieri su una guida graduata (banco ottico); inoltre fissiamo sullo schermo un foglio di carta mm e passiamo alle misure. Nella tabella seguente riportiamo i risultati ottenuti: distanza diametro r (cm) angolo α° d (cm) 25 4,7 10,7 40 9,2 13,2 55 12,1 12,6 70 17,7 14,5 Assumiamo pertanto per l'apertura α il valore medio: αmedio ≅ (13 ± 2) ° (incertezza stimata come semidispersione delle misure) divergenza del laser e del laserino Abbiamo visto che la macchia di luce prodotta dal laserino su una parete lontana si allarga, dimostrando così che il fascio non è cilindrico bensì conico. Vogliamo allora determinare anche in questo caso l'angolo α di apertura del fascio. Avremo bisogno di distanze maggiori per avere delle misure attendibili. Il sotterraneo della scuola (per lunghezza e oscurità) è il luogo più adatto per fare le misure. Utilizziamo il muro come schermo e le piastrelle del pavimento come unità di lunghezza (1piastrella = 29,8 cm) e ripetiamo le misure per diverse distanze e per i nostri due laser. Nella tabella seguente riportiamo i risultati ottenuti: Laserino piastrelle distanza n° diametro r (m) angolo α° d (cm) 12 3,58 0,9 0,14 25 7,45 2,0 0,15 50 14,90 3,9 0,15 75 22,35 6,4 0,16 102 30,40 7,2 0,13 Assumiamo pertanto per l'apertura α il valore medio: αmedio ≅ (0,15 ± 0,02) ° per il laserino Laser piastrelle distanza n° diametro r (m) angolo α° d (cm) 12 3,58 0,7 0,11 25 7,45 1,5 0,11 50 14,90 2,3 0,09 75 22,35 3,5 0,09 102 30,40 4,5 0,08 Assumiamo pertanto per l'apertura α il valore medio: αmedio ≅ (0,10 ± 0,02) ° per il laser Oltre una certa distanza la macchia del laser sul muro, allargandosi, diventa sempre più tenue ed è necessaria una buona oscurità per osservarla. Possiamo quindi concludere che, vista la piccolezza dell'apertura del fascio, questo può, per brevi distanze, essere considerato di forma cilindrica; su lunghi tragitti però non si può prescindere dalla reale forma conica che determina un allargamento del fascio di luce. Il laser ha una divergenza minore di quella del laserino e possiamo pertanto dire che, in un certo senso, arriva più lontano, intendendo con questo che la luce rimane più concentrata per distanze maggiori (ecco uno dei motivi per cui risulta più costoso del laserino). esercizio I primi astronauti che misero piede sulla Luna (20 luglio 1969) posero sulla superficie lunare uno specchio (o meglio un pannello riflettore di 45 cm di lato). Puntando un laser come il nostro verso la Luna (potendo non considerare lo strato di atmosfera da attraversare), sapreste calcolare le dimensioni della macchia che si formerebbe sulla superficie lunare ? Occorre conoscere la distanza Terra - Luna che vale circa 60 raggi terrestri, ossia circa 60x6380 km ≅ 380 000 km (in realtà questa distanza è ottenibile con grande precisione proprio misurando il tempi di andata e ritorno di luce laser puntata sul riflettore) e quindi si ha: α° : d = 360° : 2 π r da cui si ricava d : d = 2π r 2 π 380 000 km ⋅ 0,1° ≅ 663 km ! α° = 360° 360° Ovviamente i laser che puntano sui riflettori lunari saranno decisamente migliori del nostro (sia per potenza che per divergenza) per poter attraversare l'atmosfera terrestre e tornare, dopo la riflessione, con ancora una energia misurabile da un rivelatore. Come si propaga la luce 8. COME DEVIARE LA LUCE un modello Tutto quello che abbiamo visto finora lascia pensare che la luce si propaghi in linea retta. Anzi, in modo non del tutto esplicito, ci siamo costruiti un "modello" abbastanza semplificato per la luce e la sua propagazione: una forma di energia che si propaga (a elevatissima velocità) in linea retta (per "raggi di luce"). In fondo questa rappresentazione della luce è insita nel linguaggio comune quando parliamo di "raggio di sole", oppure diciamo "veloce come la luce". Come tutte le rappresentazioni della realtà che ci costruiamo, un "modello" è spesso una comoda e utile semplificazione dei fenomeni con pregi e difetti. Il nostro modello della luce è in effetti piuttosto semplice e certo non permetterà di spiegare tutti i fenomeni che hanno a che fare con essa, ma ha il pregio di aiutarci a comprenderne alcuni in modo semplice. In aggiunta, il nostro modello è anche un po’ vago, perché dire che la luce è una forma di energia, se ci pensate bene, non aiuta molto a capire cosa la luce effettivamente sia. Che sia una forma di energia è indubbio, visto che per produrla abbiamo sì bisogno di una qualche sorgente (naturale o artificiale), ma anche di una fonte di energia a monte che la alimenti (elettrica, chimica, nucleare, ecc..). Un modello più completo (e complesso) è quello, messo a punto alla fine dell'800 dal fisico britannico J.C.Maxwell, che descrive la luce come una particolare onda elettromagnetica; studierete questo modello più avanti, nel vostro corso di studi, ma sappiate fin d'ora che non è l'unico e che non permette la spiegazione di tutti i fenomeni relativi alla luce e alla sua propagazione. A inizio '900, Albert Einstein propose infatti un modello corpuscolare della luce per spiegare alcuni esperimenti di fisica atomica e oggi si assume che la luce abbia una doppia natura (ambigua in un certo senso): corpuscolare e ondulatoria e manifesti questa o quella a seconda delle circostanze. Tutto questo l'ho accennato solo per completezza di informazione, ma noi non siamo in grado di affrontare ora queste teorie, e allora continueremo a muoverci solo all'interno del nostro semplice modello. come deviare la luce Assumiamo quindi che la luce si propaghi in linea retta, per raggi. Come si può deviare, se si può deviare, il percorso della luce? Beh, è facile: per esempio con degli specchi. Ma anche con un pezzo di vetro. Vediamo insieme: con questo specchio posso deviare il raggio laser indirizzandolo come voglio, ma anche con questo prisma di vetro. È come se la luce rimbalzasse su questa liscia superficie come le palle contro le sponde di un biliardo; gli angoli di incidenza e di riflessione sono uguali e, come ben sapete questa è la legge della riflessione. Ci sono però altri modi per deviare il cammino della luce; per esempio, sempre utilizzando questo prisma avrete notato che oltre al raggio riflesso abbiamo anche un altro raggio che lo attraversa e ne fuoriesce deviato anch'esso rispetto alla direzione di incidenza. È questo il ben noto fenomeno della rifrazione e la relativa legge è un po’ più complicata della precedente ma non ci interessa indagarla ulteriormente, per il momento ci basta aver osservato il fenomeno. la fibra ottica Abbiamo detto (anzi, assunto) che la luce si propaga in linea retta, anche se abbiamo visto che può essere deviata. Ma siamo proprio sicuri? è sempre così? Osservate ora questo "cavo trasparente" che ho in mano, sicuramente ne avrete visti altri, si chiama fibra ottica. Avvicino una estremità della fibra al laserino e osservate che succede: si illumina anche l'altra estremità! (se si lavora nell'oscurità l'effetto è decisamente più visibile). Lo stesso accade se cambio sorgente, per esempio utilizzando una torcia elettrica, quindi l'effetto non dipende dalle proprietà della luce laser, ma piuttosto dalle proprietà della fibra. Dobbiamo ammettere che la luce ha seguito il percorso della fibra, incurvandosi con essa. Ma come è possibile? Cerchiamo di capirlo insieme. Le fibre ottiche sono dei dispositivi artificiali, frutto di una tecnologia sviluppata negli ultimi 20 - 30 anni del secolo scorso, che riescono nell'intento di convogliare la luce lungo un percorso curvilineo, un po’ come l'acqua che scorre in un lungo tubo di gomma per innaffiare. La guaina esterna, di protezione, è di materiale plastico (nel nostro caso trasparente) ed è piuttosto spessa, la vera fibra ottica è un "capello" di vetro, sottilissimo e flessibile. Ma se, come è vero, il vetro è trasparente, perché allora la luce non fuoriesce dalla fibra quando la incurviamo? Il perché risiede nel fenomeno della riflessione totale, fenomeno che già voi conoscete bene. Infatti la fibra, almeno nelle versioni più semplici, è composta di due strati cilindrici coassiali di materiali vetrosi con indici di rifrazione diversi così che, se l'angolo di incidenza è superiore all'angolo limite, si verifica la riflessione totale (non c'è quindi rifrazione e la luce non esce dalla fibra). percorso di un raggio di luce dentro la fibra sezione della fibra Si ha quindi una situazione del tipo rappresentato in figura: i raggi di luce subiscono una serie di riflessioni multiple (totali) alla superficie di separazione i due materiali vetrosi. Quindi il percorso della luce, anche se non lo si apprezza ad occhio nudo, sarà in realtà una spezzata. In altre parole, possiamo ancora affermare che la luce si propaga in linea retta. Ma come facciamo a essere sicuri che l'angolo di incidenza superi sempre l'angolo limite? Infatti non ne siamo sicuri. Oscuriamo innanzi tutto la stanza e aspettiamo qualche minuto così che l'occhio si abitui alla oscurità e osservate cosa succede quando incurvo molto la fibra (senza esagerare per non romperla). In corrispondenza della curvatura massima la fibra si illumina! perché? Evidentemente in corrispondenza di quella zona l'angolo di incidenza non supera l'angolo limite e parte della luce fuoriesce dalla fibra per rifrazione. Per capire come mai questo accade, osservate le due figure seguenti: fibra molto incurvata (angolo di incidenza inferiore all'angolo limite) fibra poco incurvata (angolo di incidenza superiore all'angolo limite) Si parla, nel caso di fibra incurvata, di perdite per rifrazione e l'energia luminosa che esce dall'estremità della fibra sarà evidentemente inferiore a quella che vi entra. La rifrazione non è l'unica causa di perdite di energia lungo la fibra: si verificano infatti assorbimento e diffusione di luce in corrispondenza di impurità e microfratture nella struttura del vetro. Qualunque ne sia la causa, l'attenuazione della luce lungo la fibra richiede l'amplificazione (e la ricostruzione) del segnale luminoso in tutti quei casi (telecomunicazioni ottiche) in cui si richiede, per il segnale, la percorrenza di lunghi tragitti. Oltre che nel campo delle telecomunicazioni, le fibre ottiche trovano largo impiego ovunque nell'industria e in particolar modo nelle applicazioni di telemedicina (per diagnostica e microchirurgia). ulexite Una fibra ottica è un prodotto della tecnologia, quindi artificiale. Esiste un minerale che presenta un comportamento curioso, del tutto simile alle fibre ottiche di cui abbiamo appena parlato. Questo che tengo in mano, appunto, è un campione, in verità non molto puro, di questo minerale. Il suo nome è ulexite4 e lo si può facilmente acquistare alle mostre - mercato di minerali (il costo si aggira sui 10 euro). Osserviamolo bene: se lo metto di lato è opaco, se lo dispongo così è trasparente. Provate voi stessi, magari applicandolo su una scritta, e guardateci attraverso. Appoggiandolo lateralmente (Fig. 1) non si riesce a leggere nulla, mentre disponendolo nell'altro verso (Fig.2) la scritta diventa leggibile; in effetti però si nota qualcosa di strano, la scritta è come "avvicinata", non come quando si osserva qualcosa attraverso un comune materiale trasparente, per es. una lastra di vetro. Questo strano effetto giustifica il nome di "pietra televisione" , dato in gergo a questo minerale. Ma perché si vede così? cosa succede? Proviamo a rispondere. Osserviamo il lato opaco della pietra: si vedono dei filamenti paralleli; a questo punto possiamo ipotizzare che questa struttura fibrosa sia responsabile di ciò che abbiamo visto prima: è come se ciascuno di questi filamenti si comportasse come una fibra ottica convogliando la luce da una estremità all'altra. Questo spiega come mai la luce riesca ad attraversare la pietra soltanto in una direzione, appunto quella parallela alla disposizione delle fibre. La struttura fibrosa della pietra permette il passaggio della luce lungo una sola direzione. Rimane da spiegare quello che abbiamo chiamato l'"effetto televisione". A pensarci bene, quanto già detto permette di spiegare anche questo effetto. La luce proveniente dalla scritta su cui abbiamo appoggiato la pietra viene convogliata lungo le fibre naturali del minerale per poi essere ri-emessa all'altra estremità così che è come se l'immagine che stiamo osservando fosse situata sulla superficie superiore della pietra. La pietra funziona in definitiva come un "traslatore di immagine". Visione senza la pietra interposta: l'oggetto è percepito alla distanza vera. h Visione con la pietra interposta: l'oggetto è percepito come traslato di una distanza h La scritta non viene né distorta, né ingrandita ma semplicemente traslata da un piano all'altro. Ulexite o Boronatrocalcite: Na Ca B5 O9 ⋅ 8H2O (densità 1,96 g/cm3). È un minerale che solitamente si presenta in cristalli fibrosi. In Cile (dove viene chiamato Tiza) esistono numerosi giacimenti di questo minerale che vengono sfruttati per ricavarne boro. 4 Come si propaga la luce 9. COME “VISUALIZZARE” LA LUCE visualizzare il fascio di luce Un altro punto importante da esaminare è il seguente: abbiamo capito la forma di un fascio di luce da semplici considerazioni geometriche (osservando la forma della macchia sullo schermo e come questa variava, se variava, spostando quest'ultimo), ma se volessimo "visualizzarlo"? come si può fare? Siete mai stati al cinema? Penso proprio di sì. Se per un attimo vi siete distratti dal film e vi siete girati verso la cabina di proiezione avrete sicuramente visto l'intenso fascio di luce che da lì parte per raggiungere lo schermo situato dalla parte opposta. Molti anni fa al cinema era permesso di fumare e il fascio era decisamente più visibile. Oppure ancora: chi di voi non ha mai visto un sottile pennello di luce solare penetrare attraverso una finestra chiusa da qualche fessura dentro una stanza buia? Oppure ancora vi sarà capitato di vedere i fari di una automobile che avanza lentamente nella nebbia. Vi sarà certo capitato molte volte di osservare situazioni di questo genere: ma vi siete mai chiesti perché in queste situazioni si riesce a visualizzare la forma del fascio luminoso ? la diffusione Abbiamo visto alcuni modi per deviare un fascio di luce, alcuni, diciamo così, ordinati (riflessione, rifrazione) e altri disordinati (diffusione). Si parla di diffusione di luce quando questa viene deviata un po’ lungo tutte le direzioni. Si parla di diffusione sia nel caso di riflessione disordinata da parte di una superficie scabra (come nel caso della superficie lunare o di un muro intonacato) che nei casi cui abbiamo accennato sopra. Per approfondire questo fenomeno, realizziamo alcune semplici situazioni utilizzando il fascio laser come sorgente di luce. Inizialmente, con la luce del giorno, esso è del tutto invisibile anche se sappiamo bene che c'è e dove si dirige utilizzando il solito cartoncino come schermo mobile. Osserviamo con attenzione le seguenti situazioni: 1. fascio laser in aula oscurata 2. fascio laser in presenza di polvere di gesso 3. fascio laser in presenza di fumo di sigaretta 4. fascio laser in acqua (useremo questa vaschetta di plastica trasparente) 5. fascio laser in acqua con disciolta qualche goccia di latte In tutti questi casi osserviamo una fenomenologia comune: riusciamo infatti a visualizzare il fascio di luce laser evidenziandolo come una sottile linea retta. In tutte queste situazioni descritte si nota del pulviscolo, del fumo, dell'umidità ecc. muoversi in modo caotico attraverso il fascio di luce e …. pensandoci bene è proprio la loro presenza che ci permette di vedere il fascio di luce altrimenti invisibile. Sono infatti queste micro-particelle sospese (e in continuo movimento) in aria che, illuminandosi quando investite dalla luce, permettono di visualizzare il fascio di luce e i suoi contorni geometrici. Le particelle di fumo, di polvere, di umidità, ecc. riflettono la luce che le colpisce in tutte le direzioni. Questo significa che un po’ della luce del fascio viene estratta e deviata verso altre direzioni permettendoci così di vederlo. È necessario però che si verifichino almeno due condizioni: 1. che le particelle siano piuttosto piccole 2. che le particelle siano presenti in gran numero perché? 1. se le particelle fossero molto grosse (dell'ordine delle dimensioni della sezione del fascio) costituirebbero un ostacolo che di fatto, come il cartoncino - schermo di prima, arresta il fascio impedendone la propagazione 2. se le particelle fossero poche non potremmo distinguere i contorni del fascio (e quindi nemmeno distintamente la sua forma) ma vedremmo solamente scintillare qua e là dei puntini Quindi più sono piccole e numerose meglio è? Non esattamente. In fondo, a pensarci bene, l'aria limpida non ci permette di vedere un fascio, per es. laser, nonostante tutti sappiano che essa sia costituita da molecole (ossigeno e azoto essenzialmente) che sono molto piccole (circa 10-10 m) e numerosissime (circa 1023 molecole/cm3). D'altra parte, se di particelle di fumo o polvere o quello che è ce ne fossero troppe (grandi concentrazioni) la luce estratta, che è quella che ci permette di visualizzare il fascio, potrebbe diventare una frazione cospicua del totale provocando una sensibile attenuazione del fascio stesso durante la propagazione fino a determinarne addirittura la scomparsa (pensate all'effetto su un fascio di luce che può provocare una cortina di fumo intenso oppure una nebbia molto fitta). Ma ritorniamo alle 5 situazioni realizzate. Nella prima si vede il fascio (in modo piuttosto tenue, per la verità) e, se osservate attentamente, si vede più distintamente disponendo l'occhio lungo direzioni di osservazione poco inclinate rispetto alla direzione del fascio stesso (sia davanti che dietro) mentre quasi non lo si vede mettendosi di lato (vedi figura). Laser NO ! Questa stessa situazione si ripresenta nel caso del laser quando attraversa l'acqua (prima di versare il latte); in tutti gli altri casi il fascio risulta sempre ben visibile da tutte le direzioni ma è ancora vero che, osservando da direzioni quasi allineate con esso, il fascio appare più brillante che non quando lo si osserva da direzioni laterali (perpendicolari). Possiamo pertanto concludere che la diffusione (pur essendo la luce deviata lungo tutte le direzioni) non avviene nello stesso modo lungo le varie direzioni. Questa osservazione ci tornerà utile più tardi quando affronteremo il problema della visione in nebbia. Non abbiamo ormai più dubbi che a diffondere la luce siano le microparticelle sospese (in acqua o in aria) lungo il percorso del fascio; infatti la polvere di gesso, che precipita verso il basso per gravità oppure il fumo di sigaretta, che tende a salire perché caldo e meno denso dell'aria, quando svaniscono annullano l'effetto di visualizzazione del fascio. Il latte, invece, rimane disciolto in acqua e le microparticelle di grasso rimangono in sospensione uniforme ovunque nel liquido: questo è dunque il metodo migliore, pur per un breve tratto, di visualizzazione del fascio laser. È possibile ovviamente rendere l'effetto duraturo anche nel caso del fumo di sigaretta semplicemente intrappolandolo utilizzando una teca trasparente, per es. la stessa vaschetta di plastica usata per l'acqua (rovesciandola). Come si propaga la luce 10. LA DIFFUSIONE MULTIPLA diffusione multipla Abbiamo osservato che poche gocce di latte disciolte in acqua rendono ben visibile il fascio laser che attraversa la soluzione. Le particelle di grasso in sospensione diffondono infatti la luce in tutte le direzioni. Cosa accade se aumentiamo la dose di latte disciolta in acqua? Proviamo: via via che con il contagocce aggiungo latte all'acqua osserviamo in sequenza susseguirsi le situazioni seguenti: • acqua pura (il fascio laser non si vede) • inizia a vedersi qualcosa (il fascio appare sottile e tenue) • il fascio appare sempre più brillante e diventa un “segmento” sempre più spesso (inoltre iniziano a comparire delle zone, ad esso contigue, debolmente illuminate) • il fascio inizia ad “accorciarsi” sempre di più e il segmento brillante che vedevamo prima diventa sempre meno nitido estinguendosi lungo il suo cammino nella soluzione • il fascio si estingue (sparisce) subito dopo il suo ingresso nella vaschetta e il liquido appare debolmente illuminato dalla luce rossa del laser Cerchiamo di capire insieme cosa sta succedendo. Se, contestualmente a queste osservazioni, abbiamo cura di mettere uno schermo oltre la vaschetta possiamo osservare la luce del fascio laser trasmessa (vedi figura). macchia Laser acqua e latte schermo La macchia che si forma sullo schermo, inizialmente molto brillante e nitida, via via che si aggiunge latte in acqua si allarga e si attenua in intensità fino a scomparire, infine, del tutto. Mettiamo insieme tutte queste osservazioni e cerchiamo di capire. Aumentando la concentrazione di latte in acqua aumentiamo il numero di particelle diffondenti la luce e quindi aumenterà anche l’effetto diffusivo: il fascio laser si vede meglio perché un maggior numero di diffusori viene a trovarsi lungo il suo percorso in acqua (ovviamente la soluzione è omogenea, ma la luce “illumina” solo le particelle che incontra sul suo cammino e il resto del liquido rimane invisibile). Questo ragionamento non può essere però protratto ulteriormente aumentando ancora la concentrazione di latte perché la frazione di luce diffusa diventa una percentuale consistente del totale (ricordate: la luce diffusa è sottratta alla luce del fascio!) e questo fa sì che il fascio si attenui in intensità lungo il suo percorso (ecco perché la macchiolina sullo schermo fa altrettanto). Perché però inizia ad illuminarsi anche debolmente anche la zona intorno al fascio laser e la macchia sullo schermo si allarga? Se la concentrazione di particelle diffondenti diventa elevata, allora un raggio di luce diffusa può, nel resto del suo tragitto nel liquido, subire una seconda diffusione (con basse concentrazioni questo evento era del tutto improbabile): in altre parole questo raggio di luce può andare ad “illuminare” particelle della soluzione che si trovano al di fuori del percorso diretto del fascio laser; evidentemente, nelle zone contigue il fascio questi raggi di luce diffusa sono più concentrati e quindi proprio in queste zone avremo una maggiore possibilità di incappare in una seconda diffusione (vedi figura). Laser acqua e latte Se aumentiamo ancora la concentrazione di latte nell’acqua la diffusione aumenterà a tal punto che da una parte il raggio laser si estingue strada facendo (quasi tutti i raggi di luce che lo compongono vengono diffusi) e non arriva più luce sullo schermo e dall’altra l’elevata concentrazione di diffusori fa sì che un raggio di luce possa essere deviato molte volte provocando così una sorta di “rimescolamento” della luce all’interno della vaschetta, finendo così per illuminarlo tutto in modo quasi uniforme (vedi figura). Laser acqua e latte Possiamo dire che in questa situazione (latte diluito in alta concentrazione in acqua) la luce del laser che entra ben direzionata nella vaschetta fuoriesce da tutte le direzioni dopo aver subito molte diffusioni all’interno della sostanza. Chiameremo allora questo effetto “diffusione multipla” di luce. Portando all’estremo questo discorso, potremmo chiederci cosa accadrebbe se, invece di diluirlo in acqua, utilizzassimo direttamente del latte. Proviamo. Conviene prendere un contenitore trasparente più piccolo della vaschetta (va bene anche un bicchiere), per non sprecare troppo latte. Vediamo cosa succede. Il latte non si illumina tutto in modo omogeneo come ci saremmo aspettati ma diventa visibile solo una ristretta zona superficiale (quella in corrispondenza del punto di impatto del laser). La concentrazione di particelle diffondenti è ora talmente elevata che la diffusione multipla impedisce di fatto alla luce di penetrare più di tanto e la maggior parte di essa se ne esce subito dal liquido come se avesse incontrato un muro insuperabile (una situazione questa simile a quando si incontra un “muro” di nebbia molto fitta attraverso cui non si riesce a vedere nulla perché la luce dei fari non penetra, ma di questo parleremo poi). Come il latte, sono sostanze molto diffondenti la luce anche i tessuti biologici. Prendiamo un dito della nostra mano, oppure un dente, oppure ancora un osso. Illuminiamoli con il laserino oppure con una piccola torcia elettrica. Vediamo come questi oggetti si illuminano in modo abbastanza uniforme, e se oscuriamo la stanza l’effetto è ancora più visibile. Come nel caso del latte non diluito, anche qui interviene la diffusione multipla a rimescolare la luce incidente all’interno dell’oggetto. La sensazione che si prova osservando questi oggetti illuminati è proprio quella di vederci dentro ma basta porre qualcosa dalla parte opposta e guardarci attraverso per rendersi immediatamente conto che è solo un’illusione, in realtà non si vede proprio un bel nulla! Se guardiamo il dito, pur sapendo che deve esserci, non vediamo l'osso al suo interno; eppure il dito è tutto illuminato, perché non lo vedo? Premettiamo alcune riflessioni sulla visione: per vedere un oggetto è necessario che della luce proveniente da esso (o dai suoi contorni) raggiunga direttamente i nostri occhi. Se tale luce viene invece deviata (e molte volte) in modo disordinato da qualcos'altro (i diffusori) perdo l'informazione visiva che essa trasportava, per es. la forma di un oggetto. L'energia luminosa, rimescolata dai diffusori, diventa disordinata e si assiste gradualmente ad un deterioramento delle immagini che essa eventualmente "trasportava" via via che l'effetto diffusivo aumenta. Così la macchia di luce laser sullo schermo oltre la vaschetta si allarga fino a sparire del tutto con alte concentrazioni di latte in acqua: a questo punto non riesco a vedere nulla attraverso la vaschetta, né qualcosa che eventualmente si trovi dentro di essa, pur essendo illuminata. La diffusione quindi deteriora le immagini fino ad impedirne completamente la visione nel caso di forte diffusione multipla come nei casi esaminati. Inserisco ora un oggetto, per es. questo sottile e lungo chiodo, nel latte e lo allontano lentamente dalla parete del bicchiere; lo vediamo sparire quasi subito (dopo circa appena 1mm o poco più): questo significa che la luce diretta non riesce a penetrare, senza subire diffusioni, per più di un mm o due nel latte. Il tessuto biologico diffonde molto la luce ma poco i raggi X, mentre le ossa li assorbono: ecco perché per vedere le ossa dobbiamo ricorrere a lastre impressionate con i raggi X e non con la luce. Come si propaga la luce 11. VISIBILITÀ visibilità Il problema della visione è strettamente legato, oltre che alle caratteristiche del nostro occhio (e del nostro cervello), al tipo di luce coinvolta ed alla sua propagazione. Quest'ultimo aspetto è quello che più ci interessa e di cui abbiamo già detto. Se la luce che perviene all'occhio dall'oggetto osservato viene diffusa da particelle interposte tra questo e l'osservatore, allora la sua immagine risulta deteriorata. Il deterioramento dell'immagine dipende dall'entità della diffusione che dipende, a sua volta, in gran parte dalla concentrazione delle particelle in sospensione. Se inserisco una matita nella solita vaschetta con acqua e latte la vedo sempre peggio via via che aumento la concentrazione del latte, fino a perderla completamente di vista a causa del forte effetto di diffusione multipla. Come abbiamo già visto nel latte puro (ossia non diluito in acqua) la visibilità non supera il mm di distanza! Esempi di fenomeni naturali che limitano la visione per motivi simili sono molti: la foschia, la nebbia, la pioggia, lo smog, le cortine di fumo, le tempeste di sabbia nel deserto. Quando si parla di visione (e non solo) occorre non confondere la intensità con la nitidità di una immagine (la prima ha a che fare con la quantità complessiva di energia luminosa che produce l'immagine, mentre la seconda con il contrasto fra le varie parti dell'immagine, ossia con le differenze di intensità). Una sostanza interposta tra oggetto e osservatore può, in generale, sia ridurre l'intensità che la nitidità dell'immagine. Una sostanza può essere, nei confronti della luce che la attraversa, sia assorbente che diffondente; nel primo caso (assorbimento) l'energia luminosa diminuisce a favore di un riscaldamento della sostanza, mentre nel secondo (diffusione) si assiste a un rimescolamento dell'energia luminosa e non ad una sua riduzione. Il latte, come abbiamo visto, è un esempio di sostanza che diffonde molto, mentre il fumo, per es., assorbe molto la luce. ENERGIA LUMINOSA energia incidente energia riflessa energia trasmessa EINCIDENTE = ETRASMESSA + ERIFLESSA + EASSORBITA Se la luce trasmessa o riflessa non è direzionata si parla di luce diffusa È possibile fare qualcosa per vederci meglio quando siamo in condizioni critiche? Per esempio in caso di forte nebbia, tutti i maggiori aeroporti sono dotati di sistemi radar per l'atterraggio: in questo caso è lo strumento che "vede" per noi, essendo le microonde utilizzate da questi strumenti onde elettromagnetiche diverse dalla luce. La nebbia è infatti del tutto trasparente per questo tipo di onde che pertanto non vengono diffuse dalle particelle di umidità. In questo caso il problema è aggirato utilizzando onde che non vengono diffuse, ma come potremmo migliorare la visione in nebbia utilizzando la luce? Più tardi analizzeremo la questione dei fari fendinebbia delle automobili, cercando di capirne insieme il principio di funzionamento. il caffellatte Torniamo al problema della visione attraverso acqua intorbidita dal latte. Il latte è una sostanza che diffonde la luce e la assorbe molto poco, pertanto la sua presenza riduce la nitidità dell'immagine ma non la sua intensità, mentre una sostanza molto assorbente, come l'inchiostro o il caffè, ne riduce principalmente l'intensità. luce incidente acqua + latte A questo punto potremmo chiederci, dopo tanto latte, cosa accade con il caffellatte, cioè come vedo attraverso una soluzione di acqua con latte e caffè. Mi aspetto una riduzione sia della nitidità che della intensità dell'immagine, vista la presenza di sostanze diffondenti e assorbenti la luce. Mi posso chiedere se l'aggiunta finale del caffè, oltre a una riduzione nell'intensità dell'immagine, porta a cambiamenti anche nella sua nitidità. Proviamo a ipotizzare cosa può accadere, considerando il caffè un assorbitore puro. luce incidente acqua + latte + caffè La nitidezza di una immagine vista attraverso la sostanza dovrebbe migliorare perché, anche se attenuata in intensità, il caffè assorbe in modo selettivo: sono assorbiti di più i raggi diffusi più volte rispetto a quelli poco diffusi (quanto più lungo è il percorso del raggio nella sostanza, quanto più esso viene assorbito, e quindi attenuato); il contrasto (nitidezza) nell'immagine aumenta perché i raggi diffusi molte volte sono proprio quelli che rovinano di più l'immagine. Quindi l'aggiunta del caffè potrebbe portare, paradossalmente, ad un miglioramento nell'immagine deteriorata dal latte! Proviamo: in realtà, addizionando caffè alla soluzione di acqua e latte, la visione peggiora ulteriormente; peccato, la nostra teoria non ha funzionato. Però, prima di bocciarla definitivamente, dovremmo analizzare le ipotesi fatte. La principale è stato l'assumere che il caffè sia un assorbitore puro, ma sarà vero? Versiamo del caffè in acqua limpida e osserviamo cosa accade al fascio laser: effettivamente si visualizza molto bene il fascio come negli altri casi, il che prova che il caffè diffonde abbastanza la luce, ossia non è un assorbitore puro. Per mettere alla prova la nostra teoria avremmo bisogno quindi di una sostanza che assorba senza diffondere la luce (dovremmo riprovare con qualche altra sostanza). nebbia Veniamo ora al problema della visione in nebbia. Evidentemente la visione in queste particolari condizioni atmosferiche è limitata dalle particelle di nebbia in sospensione nell'aria che diffondono la luce. Ma cosa sono le "particelle di nebbia" ? Nient'altro che umidità, ossia finissime goccioline di acqua sospese in aria. Tutti sanno che esistono i fari fendinebbia che molte automobili montano ma forse non tutti sanno il principio del loro funzionamento. Emettono una luce speciale? Emettono una luce più intensa? Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la risposta a entrambe queste domande è NO. Per capire dove risiede il "segreto" dei fari fendinebbia è necessario ricorrere ad alcune osservazioni, la prima delle quali, di natura sperimentale, abbiamo già fatto. Abbiamo infatti osservato che la diffusione della luce, pur verificandosi lungo tutte le direzioni, non avviene in modo uniforme, ossia l'energia luminosa diffusa non è ripartita uniformemente lungo tutte queste direzioni. Riprendiamo la situazione per cui il fascio laser che attraversa la vaschetta di acqua con un po’ di latte disciolto: la diffusione ci permette di visualizzare un "segmento" rosso (il fascio laser) all'interno della vaschetta, ma notiamo come questo appaia piuttosto brillante per direzioni di osservazione quasi parallele al fascio (di più in avanti che in indietro, per la verità) mentre la visibilità del fascio diminuisce cambiando direzione di osservazione fino a diventare a malapena visibile quando ci si dispone di lato, perpendicolarmente al fascio. Un'altra considerazione importante è quella che, non so se ci avete mai fatto caso, i camion non hanno fari fendinebbia. Infine, l'ultimo tassello è rappresentato dal fatto che le automobili montano i fari fendinebbia bassi, spesso addirittura sotto il paraurti. Mettendo insieme queste osservazioni, dovremmo essere in grado di comprendere il principio di funzionamento di questi fari. La nebbia fitta diffonde molto la luce all'indietro, verso gli occhi del guidatore e quindi la luce dei fari di fatto abbaglia chi guida. Provate ad accendere le luci abbaglianti in caso di nebbia fitta e vi renderete conto che la visibilità peggiora decisamente. Vi state infatti autoabbagliando con la luce retro-diffusa dalla nebbia, in un certo senso state solo illuminando bene lo strato di nebbia che vi precede, e certo questo non vi aiuta a vederci oltre! Non è quindi un fatto di intensità luminosa. Anzi, vogliamo invece ridurre la quantità di luce retro diffusa dalla nebbia che ci abbaglia. Abbiamo però visto come l'intensità di luce diffusa diminuisca al variare della direzione di osservazione, raggiungendo un minimo per visione laterale. Ora è evidente che è impossibile disporsi di lato rispetto alla direzione dei fari della propria automobile, però quello che si può fare è variare il più possibile l'angolo di osservazione per diminuire l'effetto retro diffusivo della nebbia. Si può realizzare ciò in due modi: o si sollevano gli occhi (caso del camionista, che ha la cabina di pilotaggio alta), oppure si abbassano i fari NEBBIA NEBBIA (caso dell'automobilista), come si può vedere in figura. In entrambi i casi si aumenta l'angolo di vista e si riduce l'effetto retrodiffusivo della nebbia e ci si vede un po’ meglio. Come si propaga la luce 12. DISPERSIONE la dispersione Uno dei modi che abbiamo visto per deviare un fascio di luce è il fenomeno della rifrazione. Osserviamo ora la rifrazione attraverso un prisma di vetro di un sottile fascio di luce laser e poi di uno di luce bianca. Mentre la luce laser dopo la rifrazione rimane inalterata, la luce bianca manifesta il noto effetto di scomposizione nei "colori dell'arcobaleno". Questo effetto di scomposizione della luce bianca prende il nome di dispersione per rifrazione. Cosa è accaduto alla luce che attraversava il prisma? Possiamo pensare, all'interno del nostro modello di luce che si propaga per raggi, che questi raggi non siano tutti uguali bensì siano "colorati" e che la rifrazione abbia, in qualche modo, smascherato la loro vera identità. In questo caso il fatto che la luce del laser non si scompone è spiegabile ammettendola costituita di raggi tutti uguali, di un colore rosso "puro" (la purezza della radiazione, detta anche monocromaticità, insieme con la mono-direzionalità, è una delle due caratteristiche notevoli della luce laser che la distinguono nettamente da quella emessa da tutte le altre sorgenti). Il bianco assume quindi il significato di mescolanza di più colori, così come il nero è il percetto del nostro occhio in assenza di luce. Potremmo controllare meglio questa ipotesi rimescolando nuovamente la luce dispersa per riottenere il bianco: questo si può fare con una ulteriore rifrazione oppure anche osservando un disco in rapida rotazione i cui settori siano stati colorati con le tinte dell'arcobaleno. La sovrapposizione dei colori avviene sulla nostra retina, lo schermo dentro il nostro occhio su cui si proiettano le immagini degli oggetti che osserviamo. Queste immagini persistono sulla retina, prima di svanire, per circa un decimo di secondo, e sarà sufficiente che il disco compia un giro completo entro questo stesso tempo per dare l'effetto desiderato (corrispondente a una velocità di rotazione di dieci giri al secondo). Pensate che se non ci fosse questo effetto di persistenza delle immagini sulla retina non avremmo l'illusione della continuità del movimento nelle proiezioni cinematografiche, durante le quali vengono proiettati sullo schermo 24 fotogrammi/secondo. Per capire meglio questo effetto prendete uno di quei libriccini per bambini che, se sfogliati alla velocità opportuna, danno l'impressione della continuità del movimento, mentre se lo si sfoglia lentamente si percepisce la successione discontinua delle pagine; i cartoni animati, oggi perlopiù realizzati al computer, prima erano realizzati in questo modo, e ogni fotogramma non era altro che un disegno fatto a mano! Tornando alla dispersione della luce bianca attraverso il prisma osserviamo che i raggi sul blu-violetto sono deviati (rifratti) più di quelli, all'altro estremo, sul rosso. Evidentemente, raggi di colore diverso, attraversando il vetro del prisma, subiscono l'effetto di rifrazione in maniera leggermente diversa producendo così l'osservato effetto della dispersione. Avrete osservato effetti simili nella vita di tutti i giorni molte volte: ad es. il più spettacolare e conosciuto è sicuramente l'arcobaleno. Anche per l'arcobaleno si tratta di un fenomeno di dispersione per rifrazione, sono le goccioline d'acqua rimaste in sospensione nell'atmosfera dopo un temporale che, rifrangendo la luce solare, provocano tale effetto. Se volete provare, potete riprodurre un arcobaleno in questo modo: in una bella giornata di sole andate in giardino e, con le spalle al sole, spruzzate per aria dell'acqua con la canna per innaffiare, schiacciandone l'estremità con un dito così da produrre tante goccioline fini e…osservate il vostro personale arcobaleno (potete provare anche con quegli spray rinfrescanti che si trovano in vendita d'estate che vaporizzano l'acqua). Ma riprendiamo il nostro discorso. Il fatto che la luce blu-violetta sia deviata più di quella rossa è un fatto che riprenderemo più avanti per spiegare anche altri fenomeni naturali. Cominciamo col porci una domanda solo in apparenza banale: perché il cielo è azzurro? Ovviamente intendiamo di giorno, dal momento che la notte esso, fatta eccezione per la luna e qualche stella, ci appare perlopiù nero (ossia buio, per l'assenza di sorgenti luminose). Le stelle non sono percepibili di giorno perché la loro debole luce "affoga" nel mare della intensa luce solare. Questo ci fa pensare quindi che la colorazione del cielo non è frutto di una luminosità propria, diretta, ma piuttosto che abbia a che fare con la luce solare. Arriviamo così a porci anche un'altra domanda, che vedremo essere strettamente collegata alla prima: perché il disco del Sole diventa, all'alba e al tramonto, di colore rosso vivo? il colore del cielo Per provare a rispondere a queste domande realizziamo una nuova situazione sperimentale utilizzando come sorgente il proiettore di luce bianca e la solita vaschetta trasparente riempita con acqua e qualche goccia di latte diluita. L'effetto diffusivo del latte permette la visualizzazione del fascio conico emesso dal proiettore, ma di questo effetto abbiamo già ampiamente parlato in precedenza. Quello che invece ci interessa osservare adesso è che, aumentando piano piano il numero di gocce di latte disciolte nell'acqua, l'aumentato effetto diffusivo ha prodotto un fatto nuovo e sorprendente: Proiettore acqua e latte vaschetta rettangolare Visione in luce diretta (trasmessa). Osservando, come in figura sopra, la luce che ha attraversato direttamente il liquido, vediamo un disco che ha assunto una colorazione, da bianco che era, sul giallo-arancio. Osservando invece, come in figura sotto, da una posizione laterale, vediamo che il fascio ha assunto una colorazione, per la verità abbastanza tenue, sull'azzurrino. Proiettore acqua e latte vaschetta rettangolare Visione in luce laterale (diffusa). Perché? Sappiamo già che la luce bianca è composta di raggi di tanti colori e quindi … siamo portati a concludere che siamo di fronte a un effetto di dispersione della luce simile a quello già visto e associato al fenomeno della rifrazione (dispersione per rifrazione). Battezzeremo allora il nuovo effetto: "dispersione per diffusione". Ma, al di là dei nomi, cerchiamo di capire cosa c'entrano il colore del Sole e del cielo. Beh, a tutti voi il disco arancione della luce diretta del fascio ha ricordato il disco solare, mentre l'azzurrognolo osservato in visione laterale può far pensare al colore azzurro del cielo. Per completare il quadro, possiamo pensare al liquido contenuto nella vaschetta come allo strato di atmosfera che riveste il nostro pianeta e, in particolare, le particelle di latte svolgono il ruolo delle molecole atmosferiche. Se l'idea è giusta, siamo riusciti a simulare in laboratorio, con il nostro modellino in scala, il comportamento di decine di chilometri in poche decine di centimetri! Vediamo un po’ se, con l'aiuto del nostro modellino, riusciamo a darci una spiegazione di cosa succede. Sappiamo che, nella "dispersione per rifrazione", i raggi blu-violetti vengono deviati più di quelli rossi: nella dispersione per diffusione potrebbe forse accadere la stessa cosa. Il fatto che il disco del proiettore ci appare rosso-arancione significa che dal fascio di luce (inizialmente bianca) direttamente trasmesso attraverso la vaschetta sono stati estratti i raggi del colore complementare, appunto il blu; possiamo quindi ragionevolmente pensare che i "raggi blu" sono diffusi di più di quelli rossi, come nel caso della dispersione per rifrazione. Il fatto che la visione laterale (e quindi in luce diffusa) sia caratterizzata da una colorazione azzurrognola conferma ulteriormente la nostra ipotesi. L'azzurro del cielo è tale perché da quelle direzioni proviene luce solare diffusa (dall'atmosfera), osservando invece il disco del Sole (e quindi in luce diretta) arriva a noi luce che, inizialmente bianca, assume una colorazione giallo-arancione (ed eventualmente rossa) perché dalla radiazione solare incidente l'atmosfera ha sottratto, in proporzione, più raggi blu che non rossi. Ci si può facilmente convincere che la luce proveniente dal cielo sia luce solare diffusa dal semplice fatto che, di notte, esso appare buio (a parte la presenza di stelle o altri corpi celesti); e che a diffondere la luce solare sia l'atmosfera terrestre è provato dal fatto che, per es., sulla Luna, anche durante il giorno il cielo appare nero (la Luna non possiede infatti nessuna atmosfera) come avrete sicuramente visto in certe fotografie scattate da astronauti o da sonde lunari. Bene, la spiegazione avanzata appare convincente. La nostra simulazione funziona abbastanza bene ed è stata resa possibile dal forte potere diffusivo del latte che ci permette di concentrare in pochi centimetri l'effetto diffusivo, molto più blando, delle molecole dell'atmosfera. Rimane però ancora un punto da chiarire: perché il Sole appare, durante il giorno, di colore giallo - arancione mentre all'alba e al tramonto appare arancione - rosso ? Penso che nessuno di voi possa pensare che il Sole cambi davvero il suo colore durante l'arco della giornata (se lo avete pensato, come spieghereste allora la cosa a una persona, che vive altrove nel mondo, in un posto in cui magari è mezzogiorno quando qui da noi albeggia?). Prima di rispondere alla domanda, osserviamo il disco del proiettore attraverso la vaschetta nelle due seguenti situazioni sperimentali: Proiettore acqua e latte il disco appare di colore giallo - arancione vaschetta disposta sul lato corto Proiettore acqua e latte vaschetta disposta sul lato lungo il disco appare di colore arancione - rosso Evidentemente la prima situazione (vaschetta disposta lungo il lato corto) ricorda il disco solare osservato nelle ore diurne, mentre la seconda (vaschetta disposta lungo il lato lungo) il disco solare osservato all'alba o al tramonto. Quale è la differenza tra le due situazioni? Perché nella seconda il disco appare di un rosso più vivo? Evidentemente l'effetto è lo stesso (la dispersione per diffusione, come l'abbiamo chiamata), ma nella seconda situazione è più accentuato, dovendo la luce incontrare un numero maggiore di particelle diffondenti lungo il suo più lungo percorso attraverso il liquido (e quindi è maggiore l'estrazione del blu dal fascio di luce inizialmente bianca). Perché questa seconda situazione simula meglio la fenomenologia del tramonto? Per capirlo bisogna pensare alla Terra come una sfera e all'atmosfera che la circonda come una corona, come riportato in figura (dove, per maggior chiarezza, non sono rispettate le proporzioni, essendo l'atmosfera uno strato di circa 50 km mentre il raggio terrestre è più di 6000 km): il disco appare di colore arancione - rosso Sole basso sull'orizzonte Sole alto sull'orizzonte Terra il disco appare di colore giallo - arancione atmosfera La situazione con la vaschetta disposta sul lato lungo simula meglio la fenomenologia del tramonto (Sole basso sull'orizzonte) perché la luce solare, in quei momenti, deve attraversare un più lungo tratto di atmosfera mentre l'altra (vaschetta disposta sul lato corto) simula meglio la situazione diurna (Sole alto sull'orizzonte) . Dovendo infatti attraversare un più lungo tratto di atmosfera, la luce solare risulta sottoposta a un maggiore effetto diffusivo da parte di questa e il disco appare più rosso che non nell'altro caso. Come si propaga la luce 13. APPENDICI Lambert - Beer L'intensità I della luce direttamente trasmessa attraverso un mezzo diffondente si attenua, dopo un percorso x (in cm), in accordo con la legge di Lambert - Beer: I = I 0 ⋅ e −α ⋅ x α essendo (in cm-1) il coefficiente di diffusione del mezzo. Se oltre che diffusivo il mezzo è anche assorbente allora il coefficiente sarà la somma dei due coefficienti di diffusione e di assorbimento: α = αdiff . + αass. Nel caso di un liquido puro trasparente (ad es. acqua) si ha che α ∼10-5 cm-1 (l'intensità si riduce di un fattore 1/e a circa 1 km), mentre nel caso del latte si ha α ∼10 cm-1 (l'intensità si riduce di un fattore 1/e a circa 1 mm); per la soluzione di acqua e latte si ha quindi un valore intermedio (secondo la concentrazione): 10-5 cm-1 ≤ α ≤ 10 cm-1 . Visibilità Si definisce visibilità meteorologica standard la distanza per cui l'intensità di un fascio collimato di lunghezza d'onda λ = 0,55 µm si riduce al 2% del suo valore iniziale. Scattering Rayleigh Nel caso della diffusione da parte di particelle piccole rispetto alla lunghezza d'onda (∅<<λ) la quantità di radiazione diffusa è ∝ 1/λ4 (scattering di Rayleigh). La radiazione violetta è pertanto diffusa (0,7µm /0,4µm)4 ∼ 10 volte la radiazione rossa. È questo il caso tipico di atmosfera limpida (scattering molecolare). il blu è diffuso un po’ meno rispetto al violetto (e quindi il cielo dovrebbe apparirci di colore violetto) ma, avendo il nostro occhio scarsa sensibilità verso quest'ultimo, il cielo ci appare azzurro. Polarizzazione Osservando lateralmente (radiazione diffusa a 90°) si può verificare che, utilizzando un polaroid, che la radiazione diffusa risulta polarizzata (è vero a rigore solo in regime di scattering singolo di Rayleigh). Scattering non Rayleigh Se le particelle non sono piccole rispetto alla lunghezza d'onda (∅ ≥ λ) la quantità di radiazione diffusa è sostanzialmente indipendente dalla λ; in questo caso non si verifica l'effetto dispersivo della luce bianca, che rimane tale anche dopo essere stata diffusa molte volte. Questo spiega, ad esempio, la colorazione bianca delle nubi o della nebbia: infatti in questi casi le molecole di H2O si riuniscono in goccioline le cui dimensioni sono dell'ordine della λ (scattering non Rayleigh). Una spiegazione molto qualitativa del perché della sostanziale indipendenza dalla λ della quantità di radiazione diffusa può essere la seguente: aggregandosi le particelle diffondono in maniera cooperativa, la luce blu è ancora diffusa di più della luce rossa da parte di ciascuna di esse però, essendo λrosso > λblu , la luce rossa investe un maggior numero di particelle dell'aggregato, compensando così il deficit iniziale e si ottiene una diffusione uniforme su tutte le lunghezze d'onda. Dipendenza dall'angolo di diffusione In generale la funzione di distribuzione dell'intensità luminosa diffusa ai vari angoli, chiamiamola L(θ), è piccata nelle direzioni in avanti (θ=0°, forward scattering) e in indietro (θ=180°, back scattering) per tutti i tipi di particelle. In particolare, per particelle grandi (∅ ≥ λ), i picchi sono molto più pronunciati che non nel caso di particelle piccole (∅ << λ). In quest'ultimo caso (scattering Rayleigh) si ha: L(θ) ∝ cos2θ per luce polarizzata (es. luce laser) L(θ) ∝ 1 + cos2θ per luce non polarizzata (es. luce solare) e la funzione L(θ) non dipende dalla forma della particella. Nel primo caso (∅ ≥ λ), invece, la funzione L(θ) dipende molto dalla forma della particella perché l'onda, essendo λ grande, ne investe parti diverse che diffondono diversamente e l'onda diffusa è l'interferenza di queste onde parziali. Il problema è quindi più complesso rispetto al caso Rayleigh ma, ricavando la funzione L(θ) sperimentalmente, si possono ottenere, per es., preziose informazioni sulla struttura morfologica di macromolecole. Come si propaga la luce APPENDICE A - Galileo Galilei : “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” Galileo, nella giornata prima dei suoi Discorsi, ipotizza, per primo, la possibilità che la luce abbia una velocità finita : Sagredo: “Ma quale e quanta doviamo noi stimare che sia questa velocità del lume? forse instantanea, momentanea, o pur, come gli altri movimenti, temporanea? né potremo con esperienza assicurarci qual ella sia?" Simplicio: “Mostra l’esperienza quotidiana, l’espansion del lume esser istantanea; mentre che vedendo in gran lontananza sparar un’artiglieria, lo splendor della fiamma senza interposizion di tempo si conduce a gli occhi nostri, ma non già il suono all’orecchie, se non dopo notabile intervallo di tempo.” Sagredo: “Eh, Sig. Simplicio, da cotesta notissima esperienza non si raccoglie altro se non che il suono si conduce al nostro udito in tempo men breve di quello che si conduca il lume; ma non mi assicura, se la venuta del lume sia per ciò istantanea, più che temporanea ma velocissima. Né simile osservazione conclude più che l’altra di chi dice: - Subito giunto il Sole all’orizzonte, arriva il suo splendore a gli occhi nostri - imperò che chi mi assicura che prima non giugnessero i suoi raggi al detto termine, che alla nostra vista? “ Salviati: “La poca concludenza di queste e di altre simili osservazioni mi fece una volta pensare a qualche modo di poterci senza errore accertar, se l’illuminazione, cioè se l’espansion del lume, fusse veramente instantanea; poiché il moto assai veloce del suono ci assicura, quella della luce non poter essere se non velocissima: e l’esperienza che mi sovvenne, fu tale. Voglio che due piglino un lume per uno, il quale, tenendolo dentro lanterna o altro ricetto, possino andar coprendo e scoprendo, con l’interposizion della mano, alla vista del compagno, e che, ponendosi l’uno incontro all’altro in distanza di poche braccia, vadano addestrandosi nello scoprire ed occultare il lor lume alla vista del compagno, sì che quando l’uno vede il lume dell’altro, immediatamente scuopra il suo; la qual corrispondenza, dopo alcune risposte fattesi scambievolmente, verrà loro talmente aggiustata, che, senza sensibile svario, alla scoperta dell’uno risponderà immediatamente la scoperta dell’altro, sì che quando l’uno scuopre il suo lume, vedrà nell’istesso tempo comparire alla sua vista il lume dell’altro. Aggiustata cotal pratica in questa piccolissima distanza, pongansi i due medesimi compagni con due simili lumi in lontananza di due o tre miglia, e tornando di notte a far l’istessa esperienza, vadano osservando attentamente se le risposte delle loro scoperte ed occultazioni seguono secondo l’istesso tenore che facevano da vicino; che seguendo, si potrà assai sicuramente concludere, l’espansion del lume essere istantanea: ché quando ella ricercasse tempo, in una lontananza di tre miglia, che importano sei per l’andata d’un lume e venuta dell’altro, la dimora dovrebbe essere assai osservabile. E quando si volesse far tal osservazione in distanze maggiori, cioè di otto o dieci miglia, potremmo servirci del telescopio, aggiustandone un per uno gli osservatori al luogo dove la notte si hanno a mettere in pratica i lumi; li quali, ancor che non molto grandi, e perciò invisibili in tanta lontananza all’occhio libero, ma ben facili a coprirsi e scoprirsi, con l’aiuto de i telescopii già aggiustati e fermati potranno esser commodamente veduti.” Sagredo: “L’esperienza mi pare d’invenzione non men sicura che ingegnosa. Ma diteci quello che nel praticarla avete concluso.” Salviati: “Veramente non l’ho sperimentata, salvo che in lontananza piccola, cioè manco d’un miglio, dal che non ho potuto assicurarmi se veramente la comparsa del lume opposto sia instantanea; ma ben, se non instantanea, velocissima, e direi momentanea, è ella, e per ora l’assimiglierei a quel moto che veggiamo farsi dallo splendore del baleno veduto tra le nugole lontane otto o dieci miglia: del qual lume distinguiamo il principio, e dirò il capo e fonte, in un luogo particolare tra esse nugole, ma bene immediatamente segue la sua espansione amplissima per le altre circostanti; che mi pare argomento, quella farsi con qualche poco di tempo; perché quando l’illuminazione fusse fatta tutta insieme, e non per parti, non par che si potesse distinguere la sua origine, e dirò il suo centro, dalle sue falde e dilatazioni estreme. Ma in quai pelaghi ci andiamo noi inavvertentemente pian piano ingolfando? tra i vacui, tra gl’infiniti, tra gl’indivisibili, tra i movimenti instantanei, per non poter mai, dopo mille discorsi, giugnere a riva? ” Galileo Galilei “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” (Leida, 1638) Si veda per es. : Giulio Einaudi Editore, 1990 a cura di E.Giusti, pagg 51,52,53 Come si propaga la luce APPENDICE B - Galileo Galilei : “ Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo ” Galileo, nel Dialogo, spiega come l'origine del chiarore lunare sia prova della scabrosità della superficie del nostro satellite, contro le tesi sostenute dagli aristotelici che la ritenevano liscia come uno specchio: Salviati: “ […] ella [la Luna] è, come la Terra, per sé stessa oscura ed opaca, per la quale opacità è atta a ricevere ed a ripercuotere il lume del Sole, il che, quando ella non fusse tale, far non potrebbe. Terzo, io tengo la sua materia densissima e solidissima non meno della Terra; di che mi è argomento assai chiaro l'esser la sua superficie per la maggior parte ineguale, per le molte eminenze e cavità che vi si scorgono mercè del telescopio […] " […] Salviati: “ […] Noi cerchiamo, signor Simplicio, se per fare una reflession di lume simile a quello che ci vien dalla Luna, sia necessario che la superficie da cui vien la reflessione sia così tersa e liscia come di uno specchio, o pur sia più accomodata una superficie non tersa e non liscia, ma aspra e mal pulita. Ora, quando a noi venisser due reflessioni, una più lucida e l'altra meno, da due superficie opposteci, io vi domando, qual delle due superficie voi credete che si rappresentasse a gli occhi nostri più chiara e qual più oscura." Simplicio: “Credo senza dubbio che quella che più vivamente mi riflettesse il lume, mi si mostrerebbe in aspetto più chiara, e l'altra più oscura." Salviati: “Pigliate ora in cortesia quello specchio che è attaccato a quel muro, ed usciamo qua nella corte. Venite Sig. Sagredo. Attaccate lo specchio là a quel muro, dove batte il Sole; discostiamoci e ritiriamoci qua all'ombra. Ecco là due superficie percosse dal Sole, cioè il muro e lo specchio. Ditemi ora qual vi si rappresenta più chiara: quella del muro o quella dello specchio? Voi non rispondete?" Sagredo: “Io lascio rispondere al Sig.Simplicio, che ha la difficultà; ché io, quanto a me, da questo poco principio di esperienza son persuaso che bisogni per necessità che la Luna sia di superficie molto mal pulita." Salviati: “Dite, Sig. Simplicio: se voi aveste a ritrar quel muro, con quello specchio attaccatovi, dove adoprereste voi colori più oscuri, nel dipignere il muro o pur nel dipignere lo specchio? Simplicio: “Assai più scuri nel dipigner lo specchio. " Salviati: “Or se dalla superficie che si rappresenta più chiara vien la reflession del lume più potente, più vivamente ci refletterà i raggi del Sole il muro che lo specchio." Simplicio: “Benissimo Signor mio; avete voi migliori esperienze di queste? Voi ci avete posti in luogo dove non batte il reverbero dello specchio; ma venite meco un poco più in qua: no, venite pure." Sagredo: specchio?" “Cercate voi forse il luogo della reflessione che fa lo Simplicio: “Signor sì.. " Sagredo: “Oh vedetela là nel muro opposto, grande giusto quanto lo specchio, e chiara poco meno che se vi battesse il Sole direttamente." Simplicio: “Venite dunque qua, e guardate di lì la superficie dello specchio, e sappiatemi dire se l'è più scura di quella del muro. " Sagredo: “Guardatela pur voi, ché io per ancora non voglio accecare; e so benissimo, senza guardarla, che la si mostra vivace e chiara quanto il Sole istesso, o poco meno." Simplicio: “Che dite voi dunque che la reflession di uno specchio sia meno potente di quella di un muro? Io veggo che in questo muro opposto, dove arriva il reflesso dell'altra parete illuminata insieme con quel dello specchio, questo dello specchio è assai più chiaro; e veggio parimente che di qui lo specchio medesimo mi apparisce più chiaro assai che il muro." Salviati: “Voi con la vostra accortezza mi avete prevenuto, perché di questa medesima osservazione avevo bisogno per dichiarar quel che resta. Voi vedete dunque la differenza che cade tra le due reflession, fatte dalle due superficie del muro e dello specchio, percosse nell'istesso modo per l'appunto da i raggi solari; e vedete come la reflession che vien dal muro si diffonde verso tutte le parti opposteli, ma quella dello specchio va verso una parte sola, non punto maggiore dello specchio medesimo; vedete parimente come la superficie del muro, riguardata da qualsivoglia luogo, si mostra chiara sempre egualmente a sé stessa, e per tutto assai più chiara che quella dello specchio, eccettuatone quel piccolo luogo solamente dove batte il riflesso dello specchio, ché di lì apparisce molto più chiaro del muro. Da queste così sensate e palpabili esperienze mi par che molto speditamente si possa venire in cognizione, se la reflessione che ci vien dalla Luna venga come da uno specchio, o pur come da un muro, cioè se da una superficie liscia o pure aspra." Sagredo: “Se io fussi nella Luna stessa, non credo che io potessi con mano toccar più chiaramente l'asprezza della sua superficie di quel ch'io me la scorga ora con l'apprensione del discorso. La Luna, veduta in qulsivoglia positura, rispetto al Sole e a noi, ci mostra la sua superficie tocca dal Sole sempre egualmente chiara; effetto che risponde a capello a quel del muro, che, riguardato da qualsivoglia luogo, apparisce egualmente chiaro, e discorda dallo specchio, che da un luogo solo si mostra luminoso e da tutti gli altri oscuro. In oltre, la luce che mi vien dalla reflession del muro è tollerabile e debile, in comparazion di quella dello specchio gagliardissima ed offensiva alla vista poco meno della primaria e diretta del Sole: e così con suavità riguardiamo la faccia della Luna; che quando ella fusse come uno specchio, mostrandocisi anco, per la vicinità, grande quanto l'istesso Sole, sarebbe il suo fulgore assolutamente intollerabile, e ci parrebbe di riguardare quasi un altro Sole." Salviati: “Non attribuite di grazia, Sig. Sagredo, alla mia dimostrazione più di quello che le si perviene. Io voglio muovervi contro un'instanza, che non so quanto sia di agevole scioglimento. Voi portate per gran diversità tra la Luna e lo specchio, che ella rimandi la reflessione verso tutte le parti egualmente, come fa il muro, dove che lo specchio la manda in un luogo solo determinato; e di qui concludete, la Luna esser simile al muro, e non allo specchio. Ma io vi dico che quello specchio manda la reflessione in un luogo solo, perché la sua superficie è piana, e dovendo i raggi reflessi partirsi ad angoli eguali a quelli de' raggi incidenti, è forza che da una superficie piana si partano unitamente verso il medesimo luogo; ma essendo che la superficie della Luna è non piana, ma sferica, ed i raggi incidenti sopra una tal superficie trovano da reflettersi ad angoli eguali a quelli dell'incidenza verso tutte le parti, mediante la infinità delle inclinazioni che compongono la superficie sferica, adunque la Luna può mandar la reflessione per tutto, e non è necessitata a mandarla in un luogo solo, come quello specchio che è piano." […] Salviati-Galileo a questo punto manda a prendere uno specchio sferico dimostrando come anche in questa situazione il risultato è sostanzialmente lo stesso del caso dello specchio piano. Simplicio: “Io mi trovo più inviluppato che mai, e mi sopraggiugne l'altra difficoltà, come possa essere che quel muro, essendo di materia così oscura e di superficie così mal pulita, abbia a ripecuoter lume più potente e vivace che uno specchio ben terso e pulito. " Salviati: “Più vivace no, ma ben più universale; ché , quanto alla vivezza, voi vedete che la reflessione di quello specchietto piano, dove ella ferisce là sotto la loggia, illumina gagliardamente, ed il restante della parete, che riceve la reflession del muro, dove è attaccato lo specchio, non è a gran segno illuminato come la piccola parte dove arriva il reflesso dello specchio. E se voi desiderate intender l'intero di questo negozio, considerate come l'esser la superficie di quel muro aspra, è l'istesso che l'esser composta di innumerabili superficie piccolissime, disposte secondo innumerabili diversità di inclinazioni, tra le quali di necessità accade che ne sieno molte disposte a mandare i raggi, reflessi da loro, in un tal luogo, molte altre in altro; ed in somma non è luogo alcuno al quale non arrivino moltissimi raggi reflessi da moltissime superficiette sparse per tutta l'intera superficie del corpo scabroso, sopra il quale cascano i raggi luminosi; dal che segue di necessità che sopra qualsivoglia parte di qualunque superficie opposta a quella che riceve i raggi primarii incidenti, pervengano raggi reflessi, ed in conseguenza l'illuminazione. Seguene ancora, che il medesimo corpo sul quale vengono i raggi illuminanti, rimirato da qualsivoglia luogo, si mostri tutto illuminato e chiaro: e però la Luna, per esser di superficie aspra e non tersa, rimanda la luce del Sole verso tutte le bande, ed a tutti i riguardanti si mostra egualmente lucida. Che se la superficie sua, essendo sferica, fusse ancora liscia come uno specchio, resterebbe del tutto invisibile, atteso che quella piccolissima parte dalla quale potesse venir reflessa l'immagine del Sole, all'occhio di un particolare, per la gran lontananza, resterebbe invisibile, come già abbiam detto." Galileo Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” (Firenze, 1632) Si veda per es. l'edizione: Ed. Studio Tesi, Pordenone,1992, pagg 79 - 98. Come si propaga la luce BIBLIOGRAFIA F.A. Jenkins – H.E. White, “Ottica”, Istituto Editoriale Universitario (1972) Classico testo universitario introduttivo che rivolge particolare attenzione alla fenomenologia e alla strumentazione ottica. R.C. Van de Hulst, “Light scattering by small particles”, Dover Publ. N.Y. (1957) Testo universitario di approfondimento sullo scattering di luce da particolato. L. Stefanini, “La cattedra e il bancone” Cremona (1999) Raccolta di esperienze di fisica per la scuola. In particolare, da questo testo si è tratto spunto per il metodo della stima della costante solare con la palpebra. A. Frova, “Luce, colore, visione”. Ed. Riuniti (1984) Bel libro di ottica accessibile a tutti. Consigliabile in particolar modo per gli studenti. R. Pierantoni, “La trottola di Prometeo. Introduzione alla percezione acustica e visiva". Ed. Laterza (1996) Come dice il sottotitolo è un testo introduttivo ai fenomeni della percezione, completo ed aggiornato, ricco di riferimenti storici e culturali, e praticamente quasi senza formule (e quindi accessibile a tutti). Consigliato come ampliamento per gli aspetti di percezione visiva che in questo percorso didattico sono stati del tutto trascurati. G.Galilei, “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” Leida, 1638 (si veda per es. l'edizione Giulio Einaudi Editore, 1990 a cura di E.Giusti) G.Galilei, “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Firenze, 1632 (si veda per es. l'edizione Ed. Studio Tesi, Pordenone,1992)