Sta crescendo come un bubbone, e in modo del tutto silenzioso

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Sta crescendo come un bubbone, e in modo del tutto silenzioso
Sta crescendo come un bubbone, e in modo del tutto
silenzioso. Perché le vittime si vergognano dei raggiri subiti
e, per timore di veder calare i propri affari, preferiscono
pagare e tacere. È un nuovo raggiro, quello che sta dilagando
in tutta la Lombardia negli ultimi mesi, messo a segno con
grande arte da gruppi di rom o zingari: un raggiro giocato sul
filo della legalità, su una possibilità che viene data al
venditore di case di rescindere un contratto d'acquisto in
cambio della restituzione del doppio della caparra consegnata
dal potenziale acquirente al momento del preliminare. Solo
che questa eventualità viene, come dire, «provocata» con
astuzia dai nomadi – che giocano proprio sul fatto di essere
nomadi e di sapersi invisi al resto della popolazione locale– e
che quindi spingono l'imprenditore, pare anche con minacce
neppure tanto velate, a bloccare la procedura d'acquisto in
cambio di sostanziose somme, che spesso lievitano di
parecchio, ben oltre il doppio della caparra previsto dalle
norme vigenti.
Un giochino astuto, giocato quasi con una capacità di ironizzare su se stessi da parte dei nomadi,
ma che proprio perché studiato a tavolino nei minimi particolari assume i connotati della truffa.
Una truffa su cui le vittime tacciono: quale imprenditore edile è disposto a denunciare di aver
venduto case a persone «sbagliate»?
I primi segnali sono arrivati dalla Bassa: una messinscena sempre con lo stesso modus operandi
da parte di gruppi di nomadi che, pare, siano sempre gli stessi a entrare in azione in diverse
località lombarde. Il gioco è questo: uno zingaro (che però non svela di essere nomade) ben
vestito, elegante, con l'aria del tutto affidabile si presenta al titolare di una società di costruzioni
edili, si dice interessato all'acquisto di un appartamento e firma il contratto preliminare versando
in contanti tutta la caparra richiesta. L'imprenditore si fida, ritiene di aver avviato un buon affare
(e pare che molti dei raggirati siano stati attratti proprio dalla possibilità di ricevere una caparra in
denaro sonante), ma dopo qualche giorno arriva la sorpresa: sul luogo della costruzione in
vendita, o ancora in fase di costruzione, arrivano carovane di rom con tanto di roulotte, camper,
accampamenti e si piazzano sulla «loro proprietà». L'imprenditore a questo punto, temendo di
non riuscire più a vendere altri appartamenti per la presenza di nomadi, che dicono di non avere
alcuna intenzione di spostare le loro roulotte, rescinde il preliminare: ma, stando ai racconti delle
vittime, i rom a questo punto pretendono non solo il doppio della caparra ma anche parecchio di
più, come indennizzo. E lo chiedono con minacce neppure tanto velate. Gli imprenditori tacciono
e pagano, i nomadi si spostano e vanno a colpire altrove. Nel Trevigliese all'inizio della
primavera erano stati segnalati almeno quindici casi di raggiri su questa falsariga, mentre nel
Pavese le indagini delle forze dell'ordine erano arrivate fino all'arresto di quattro nomadi,
responsabili secondo le accuse di estorsioni e truffe architettate proprio con questo copione. Ora
il fenomeno si sta allargando in tutta la Bergamasca, fino all'hinterland cittadino: sarebbero
almeno 5 i casi più recenti «ma riteniamo che possano essere molti, solo che i costruttori, per
vergogna e timore di perdere altri affari, tacciono su quanto accade – afferma Luigi Villa,
direttore dell'Aceb, Associazione costruttori edili di Bergamo –. Siamo stati messi al corrente
di quanto sta accadendo e non c'è dubbio che si tratti di truffe belle e buone, perché qui non si
parla di malintesi durante le procedure di compravendita, così da portare poi il venditore a
rescindere il contratto, ma di copioni studiati ad arte per poi spillare soldi all'imprenditore. Si ha
un'idea di cosa significhi dover restituire il doppio della caparra, quando non di più, per l'acquisto
di un appartamento? E non si parli di razzismo nei confronti dei nomadi: questi sono piani
studiati a tavolino, questi zingari non hanno affatto alcuna intenzione di comprare casa, sin
dall'inizio. Altrimenti questa messinscena delle roulotte e delle masserizie non avrebbe alcun
senso. Comunque, stiamo preparando una circolare per i nostri associati: abbiamo già dato
consigli ai singoli imprenditori, ma credo sia arrivato proprio il momento di diffondere un allerta
più generale». Intanto, pare che da parte di alcuni imprenditori raggirati sia stata preparata una
lista di nomi di questi presunti clienti (da qui l'ipotesi che gli autori delle truffe siano sempre gli
stessi) da far girare tra gli addetti del settore: un modo per tutelarsi prima di avviare la
compravendita e per arginare la diffusione del raggiro. Ma, a quanto pare, altre denunce che
potrebbero consentire di avviare ulteriori indagini non risulterebbero, nella Bergamasca: continua
a prevalere il timore di perdere altri affari, da parte degli imprenditori. E d'altra parte il gioco
della messinscena è talmente oscillante sul filo di illegalità e legalità da far temere, proprio alle
vittime dei raggiri, di aggiungere il danno d'immagine alla beffa dei soldi spesi per allontanare gli
autori della sceneggiata.
Carmen Tancredi
Tanti non sono più nomadi ma italiani
Nomadi, così siamo solito chiamarli, ma in realtà da decenni, da secoli, di nomade hanno ben
poco, perché vivono in situazioni stanziali, molto spesso su terreni di loro proprietà su cui
installano accampamenti, o anche in case «normali». È quanto emerge da una ricerca effettuata
dalla Caritas Ambrosiana in collaborazione con la Fondazione Ismu (Istituto di studi sulla
multietnicità), aggiornata al 2006: le cifre più recenti, secondo il dossier, danno in Lombardia 13
mila rom e sinti presenti, su un totale di 900 mila stranieri. Ma in realtà se per più della metà
questi nomadi sono bulgari, macedoni, romeni o kosovari, il resto è composto da cittadini italiani.
Dei 13 mila rom e sinti, tra 9.600 e 11 mila vivono in insediamenti collettivi o familiari di vario
tipo, regolari o irregolari, permanenti e temporanei, mentre almeno 1.400 risiedono in case
convenzionali. Vi sono inoltre 1.400 giostrai. In tutto il territorio lombardo ci sono circa 240
insediamenti conosciuti, i cosiddetti «campi nomadi», ma se ne stimano esistenti tra i 290 e i 350.
Di questi il 43% sono regolarmente autorizzati dalle Amministrazioni locali, aree di sosta
permanenti o temporanee gestite solitamente da volontari. Il restante 57% è costituito da
insediamenti «irregolari»: baraccopoli abusive di diverse dimensioni, e soprattutto, piccoli
insediamenti in terreni privati, per la maggior parte di proprietà della famiglia che vi abita. La
concentrazione maggiore di insediamenti si registra nella provincia di Milano: soltanto nel
capoluogo ne sono stati censiti 45, con una popolazione di 4.310 persone, ai quali bisogna
aggiungerne un centinaio (2.300-3.100 persone), nel resto della provincia di Milano. La tipologia
abitativa prevalentemente diffusa è rappresentata ancora, in Lombardia, da roulotte e camper,
presenti nel 75% degli insediamenti. Ma la ricerca Caritas-Ismu ribalta anche diversi luoghi
comuni: anche se i rom e sinti stranieri sono in numero maggiore, la distanza tra italiani e stranieri
è di pochi punti percentuali. Oltre la metà degli insediamenti ospita soltanto rom o sinti italiani e
non è vero neppure che queste popolazioni siano nomadi: tendono a stabilizzarsi nello stesso
insediamento per parecchio tempo e se ne vanno, generalmente, solo quando vengono cacciati. E,
sottolinea don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana, diventa a questo punto
necessario un intervento sovracomunale che arrivi a obbligare gli enti locali a prevedere quote di
accoglienza obbligatorie dei rom, perché in realtà per l'inserimento di rom e sinti poco o nulla è
stato fatto: «La questione dell'integrazione delle popolazioni rom e sinti rappresenta una delle
contraddizioni sociali più acute per la convivenza civile in una regione avanzata come la nostra».
«Io raggirato, ho rischiato l'infarto»
In ufficio si è presentato un giovane insospettabile. Sullo scavo con i panni dello
zingaro
«Ho rischiato un infarto, davvero. Un'esperienza che non auguro a nessuno: ero convinto di aver
concluso un buon affare, e in meno di 2 ore mi sono ritrovato alleggerito di parecchie migliaia di
euro. E la cosa paradossale è che a distanza di pochi giorni qualcun altro ci ha riprovato: per
questo mi sono deciso a raccontare questa storia, farò anche la figura dello sprovveduto, qualcun
altro mi taccerà di razzismo, ma almeno altri imprenditori come me drizzeranno le antenne
quando si presenteranno potenziali acquirenti di case come quelli che sono capitati a me».
Lo chiamiamo Giovanni, il titolare di una società bergamasca di costruzioni edili che ha subìto
quello che ha tutta l'aria di un raggiro in grande stile: ha chiesto di non svelare la sua vera identità
e il luogo in cui sta costruendo eleganti villette a schiera in provincia di Bergamo proprio per
evitare che qualche altro «benintenzionato» gli prepari qualche altro tiro. Ma si è detto disponibile
a raccontare tutto per filo e per segno, perché si diffonda l'allerta.
«È successo verso la metà di marzo: ricordo che proprio qualche giorno prima avevo letto notizie
di episodi simili a quello in cui mi sono ritrovato invischiato io. E avevo pensato: basta stare un
po' attenti, certe cose non possono certo capitare a me. Che presunzione! Comunque, mi si
presenta in ufficio un giovane: ben vestito, elegante, l'aria di chi non è certo sprovveduto
nell'acquisto di case. Mi dice che aveva visto il cartello di vendita delle villette a schiera che sto
costruendo in provincia e di essere interessato all'acquisto di una unità per la sua famiglia. Aveva
fretta, mi ha detto, perché aveva appena concluso la vendita della casa in cui abitava in quel
momento: gli ho fatto vedere le piantine delle diverse proposte, si è detto soddisfatto e ha chiesto
di poter fare il preliminare. Ho verificato i documenti, l'ho ascoltato a lungo: tutto tornava. Perché
no, mi sono detto. Firmiamo per il preliminare, ci diamo appuntamento in cantiere per un
sopralluogo sul campo, perché il cliente vedesse di persona quello che stava comprando». E per
l'imprenditore il giorno dopo la firma del preliminare c'è stato lo choc. «Era sabato, avevo
volutamente fissato l'incontro in cantiere in un giorno in cui non si lavorava per dare al cliente la
possibilità di vedere il luogo in tutta calma. Sono arrivato prima delle 10: appena sceso dall'auto
mi sono sentito come su un set di un film. Roba da non credere: davanti alle villette in costruzione
c'erano due roulotte, con tanto di panni stesi, masserizie varie, e un numero imprecisato di zingari,
rom sì, non so neppure da dove venissero. Ho detto loro di andarsene, ed è spuntato l'uomo che
aveva firmato il preliminare: non era più quel giovane distinto con l'aria elegante che era stato nel
mio ufficio. Era uno zingaro. Gli ho chiesto cosa facessero quelle roulotte sul mio cantiere,
invitandolo a spostarle. Mi ha risposto in modo spiccio: "Io ho comprato questa casa, lei non può
più mandarmi via. Anzi, appena sarà tutto a posto sappia che terrò le roulotte nel mio giardino: il
terreno è mio, nessuno può dirmi niente". Mi si è gelato il sangue: ho capito che ero caduto in un
tranello, che quella gente stava giocando sul fatto di essere nomade proprio per spaventarmi, e che
quella messinscena era studiata ad arte, non avevano certo intenzione di comprare la casa. E non
avevo scelta: se comunque avessero concluso la trattativa, facendo andare in porto il rogito, io
potevo pure rinunciare a qualunque altro affare, con quel cantiere. Chi avrebbe mai comprato altre
villette a schiera da me, sapendo che avrebbe avuto come vicini di casa zingari che tenevano
roulotte e masserizie nel giardino? Ho immediatamente portato il cliente nel mio ufficio: gli ho
detto che non avevo intenzione di concludere l'affare e che avrei senza indugio rescisso il
preliminare, pagando il doppio della caparra, come previsto dalla legge in questi casi. E ho capito
che ormai nel raggiro ci ero finito in pieno: l'altro, lo zingaro, di fronte a me, ha rincarato i toni.
"Guardi che lei mi ha messo in un brutto guaio: io già venduto la casa dove abito, ora mi dice che
non vuole più vendermi questa: come faccio, dove trovo un altro appartamento che vada bene?
Lei non può lasciarmi a piedi in questo modo», ma posso assicurare che il tono non era affatto
gentile, anzi, stavo subendo minacce e neppure tanto velate. Ho sborsato il doppio della caparra e
ci ho aggiunto un'altra cifra, consistente. Parlo di migliaia e migliaia di euro. Mi hanno davvero
"pelato", come si dice. Ma non avevo altra scelta. Ho chiuso la questione in fretta e furia». E,
continua l'imprenditore, la faccenda in realtà non si è fermata lì. Evidentemente era proprio nel
mirino di qualcuno che il raggiro voleva metterlo a segno, a ogni costo. «Due giorni dopo, ricevo
un'altra telefonata: stessa scena, il potenziale acquirente aveva letto delle villette in costruzione,
aveva bisogno di una casa subito, ed era pronto a fare un preliminare all'istante. Mi è scattato
qualcosa in testa: ci si risiamo, mi sono detto. Ho dato appuntamento al cliente in ufficio, l'ho
ascoltato, mi sono detto disponibile per un immediato preliminare ma a una condizione: che lui mi
desse qualche giorno di tempo per consentire alla banca di aprire una fideiussione per garantirlo in
caso di qualche problema nel corso della realizzazione delle villette. Peraltro, è una formula
prevista dalla legge: gli ho quindi detto che mi servivano i suoi dati, le sue coordinate bancarie e
quant'altro. È scattato come una molla, urlando in ufficio come un forsennato: forse non mi fidavo
di lui, pensavo che volessi tirargli un tranello? Non so come, ma sono riuscito a calmarlo:
ovviamente se n'è andato con la coda nel sacco, ma mi aveva lasciato gli estremi dei suoi
documenti. Ho controllato: erano falsi, all'anagrafe non risultava nessuno con quel nome e con
quel numero di carta d'identità. Ci hanno riprovato, insomma. E nel giro di pochi giorni».
Ca. T.