dispensa pari opportunita` doce

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dispensa pari opportunita` doce
PARI
OPPORTUN
ITA’
ARTHA
2012-2013
Dott.ssa Rossana
Bonfiglio
INDICE
Cap. 1 PARI OPPORTUNITA’
1.1 Il CONCETTO DELLE PARI OPPORTUNITA’
………………………………………………PAG 3
1.2 EMPOWERMENT E PARI OPPORTUNITA’
……………………PAG. 6
1.3
FSE E PARI OPPORTUNITA’
…………………………………………..PAG. 9
CAP.2 QUESTIONE FEMMINILE
2.1. UOMINI E DONNE
…………………………………………………………………………………………………..
….PAG 11
2.2 LA CONDIZIONE DELLA DONNA NEL TEMPO
…………………………………………………………………PAG 14
2.3 IDENTITA’ DI GENERE
…………………………………………………………………………………………………
PAG 23
2.4 NORME E PARITA’
…………………………………………………………………………………………………
……..PAG.26
2.5 MOLESTIE SESSUALI E
MOBBING……………………………………………………………………………………
PAG.33
2.6 STEREOTIPI DI GENERE……………
………………………………………………………………………………..PAG.36
Cap.1 Pari opportunità
1.1 Il concetto delle Pari opportunità
Le pari opportunità racchiudono il fine di garantire uguali condizioni e prospettive di
vita a tutti i cittadini, attraverso la definizione di politiche e iniziative finalizzate alla
rimozione degli ostacoli che impediscono un'effettiva parità. In ambito comunitario il
termine pari opportunità è utilizzato in riferimento a interventi a favore di gruppi
svantaggiati e, principalmente, alle azioni volte a ridurre le disparità tra uomini e
donne.
La base legale dell’azione comunitaria si fonda sul Trattato Ce che all’art.3,
sancisce il duplice obiettivo di eliminare le diseguaglianze e di promuovere la parità
tra uomini e donne. L’Art. 13, poi, ci dice che il Consiglio, all’unanimità, può adottare
i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso.
Il Vertice europeo di Lisbona nel 2000 ha delineato la strategia europea per la
tutela delle pari opportunità individuando degli obiettivi come l’aumento del tasso
d’impiego delle donne e l’uguaglianza delle condizioni di lavoro e della parità
salariale.
La Commissione Europea ha elaborato una strategia per l’occupazione per
combattere: la disoccupazione femminile, la disparità nelle condizioni di lavoro e nel
salario, la difficoltà delle donne ad essere coinvolta nei vertici decisionali,
l’organizzazione del lavoro ponderata sull’uomo e non sulla donna, il mancato
investimento per l’inserimento della donna nel mondo del lavoro. Sono proposti:
1
Strumenti legislativi
2
Strategie di mainstreaming
3
Sostegno ad azioni specifiche
Nel 2003 La Commissione Europea ha adottato il settimo rapporto sulle pari
opportunità presentando i risultati prodotti nel corso del 2002. Si evince che c’è
ancora molto da fare sulla partecipazione delle donne ai processi decisionali.
A livello Nazionale
D.Lgs, 11-4-2006 n.198
Codice delle pari opportunità tra uomo e donna
La Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna (d.l. 31 luglio 2003,
n.226, art.1)
Fornisce al Ministro per le pari opportunità, consulenza e supporto tecnico scientifico
e svolge attività di studio e di ricerca in materia di pari opportunità.
Tipi di discriminazioni:
1
discriminazione diretta
2
discriminazione indiretta
3
molestie (anch’esse sono discriminazioni)
4
molestie sessuali
Divieti di discriminazione:
1
discriminazioni nell’accesso al lavoro
2
discriminazioni sulla retribuzione
3
discriminazioni sulla prestazione lavorativa e nella carriera
4
discriminazioni nell’accesso agli impieghi pubblici
5
discriminazioni nell’arruolamento nelle Forze armate e nel Corpo della
Guardia di Finanza
6
discriminazioni nelle carriere militari
7
discriminazioni per licenziamento per causa di matrimonio
È stata promulgata ed è in vigore dal 5 dicembre, la legge 183/2010 che riordina
complessivamente la disciplina sul lavoro, modificando e integrando numerosi
documenti legislativi già esistenti, che riguardano e regolano diverse attività
pubbliche e private. Si tratta di un testo ampio – 50 articoli – che contiene varie
deleghe al Governo in materie molteplici, e che in particolare interviene sulla
disciplina delle pari opportunità e dell'impiego femminile.
La nuova legge delega al Governo la revisione delle norme sui lavori usuranti e
suggerisce tra l'altro che si prevedano, in questi casi, modalità di pensionamento
anticipato.
Il testo assegna deleghe al Governo anche per la riorganizzazione degli enti vigilati
dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dal Ministero della Salute, con il
rafforzamento della Commissione per la Vigilanza ed il Controllo sul Doping e per la
Tutela della Salute nelle Attività Sportive, con specifiche disposizioni sui medici e su
altri operatori del settore sanitario extracomunitari.
Importanti nel nuovo testo di legge sono soprattutto le misure contro il lavoro
sommerso e per il controllo dell'orario di attività, che esprimono una più forte tutela
dei diritti dei lavoratori: esse prevedono, tra l'altro, sanzioni significative per chi non
dichiara entro i termini previsti un nuovo rapporto di lavoro instauratosi all'interno
della propria azienda, o per chi estende gli orari di lavoro oltre il limite consentito
dalla normativa vigente.
La nuova legge contiene pure disposizioni in materia di lavoro a tempo parziale e a
tempo determinato nonché norme sui contratti di collaborazione coordinata e
continuativa, oltre che sulle aspettative e sui permessi, sulla regolazione dei congedi
e degli ammortizzatori sociali, sugli incentivi all'occupazione Tutti argomenti per i
quali si delega al Governo una completa revisione delle leggi attualmente in vigore.
Uno spazio significativo è riservato, all'interno di questi temi, alla legislazione
specifica sulle pari opportunità e sull'occupazione delle donne.
Trattato di Amsterdam: è uno dei trattati fondamentali dell'Unione
europea ed è il primo tentativo di riformare le istituzioni europee in vista
dell'allargamento. Venne firmato il 2 ottobre 1997 dagli allora 15 paesi
dell'Unione Europea ed è entrato in vigore il 1º maggio 1999.
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: è stata
solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una
seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007
a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e Commissione. Con l'entrata in
vigore del trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha il medesimo valore
giuridico dei trattati, ai sensi dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, e si
pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati
membri e, allo stesso livello di trattati e protocolli ad essi allegati, come
vertice dell'ordinamento dell'Unione europea.
Essa risponde alla necessità emersa durante il Consiglio europeo di Colonia
(3 e 4 giugno 1999) di definire un gruppo di diritti e di libertà di eccezionale
rilevanza che fossero garantiti a tutti i cittadini dell’Unione.
1.2 Empowerment e pari opportunità
La parola inglese empowerment deriva dal verbo to empower e significa
incrementare il potere.
Il concetto è stato introdotto dagli studi di politologia al fine di analizzare quei gruppi
e movimenti statunitensi impegnati, tra gli anni ’50 e ’60, in azioni rivolte a tutelare i
diritti civili e sociali delle minoranze.
Empowerment, ovvero potere personale è stato utilizzato da C. Rogers in ambito
psicologico.
1
accrescimento della propria autostima;
2
la valorizzazione delle proprie conoscenze, competenze ed abilità;
3
lo sviluppo delle capacità e delle possibilità di decidere, di essere
autonome, di avere voce in capitolo nella famiglia, nella società, nella
politica;
4
la possibilità di accedere e di permanere nei centri decisionali della
società, della politica, dell’economia
Il concetto espresso può essere riferito sia singoli o i gruppi accrescano il proprio
potenziale e, quindi, la possibilità di controllare attivamente e responsabilmente la
propria vita.
Un ruolo significativo il concetto e il processo di empowerment lo hanno assunto
all’interno della Piattaforma di Pechino nel 1995.
Da quel momento empowerment, insieme ad altre, è diventata una parola d’ordine
attraverso la quale promuovere ed implementare le politiche di parità e di pari
opportunità tra donne e uomini.
In particolare, per le donne, si tratta di intervenire in favore di:
1
l’accrescimento della propria autostima;
2
la valorizzazione delle proprie conoscenze, competenze ed abilità;
3
lo sviluppo delle capacità e delle possibilità di decidere, di essere autonome,
di avere voce in capitolo nella famiglia, nella società, nella politica;
4
la possibilità di accedere e di permanere nei centri decisionali della società,
della politica, dell’economia.
L’empowerment non solo accresce il potere delle donne, ma costruisce anche una
società più democratico.
Dal canto nostro l’Italia ha recepito le indicazioni pervenute dalla Conferenza di
Pechino attraverso il D.P.C.M. 27 marzo 1997 (Direttiva Prodi – Finocchiaro)
identificando nella “Acquisizione di poteri e responsabilità” l’obiettivo strategico per
raggiungere condizioni di empowerment per le donne.
Tale obiettivo è stato declinato in:
1
assicurare una presenza significativa delle donne, valorizzandone
competenze ed esperienze, negli organismi di nomina governativa e in tutti
gli incarichi di responsabilità dell’amministrazione pubblica;
2
analizzare gli effetti dei sistemi elettorali vigenti, a livello europeo, nazionale e
locale, sulla rappresentanza delle donne negli organismi elettivi;
3
analizzare l’impatto dei sistemi e dei percorsi formativi, di aggiornamento, dei
modelli organizzativi del settore pubblico, sull’acquisizione di incarichi di
responsabilità da parte delle donne nell’ambito della riforma della pubblica
amministrazione e proporre gli opportuni aggiustamenti.
La verifica della Direttiva realizzata nel 2000 e diversi studi realizzati anche negli
anni successivi dimostrano che, con riferimento a queste tre modalità di declinazione
del concetto di empowerment c’è ancora molto lavoro da compiere:
1
le donne sono ancora poco presenti negli organismi di nomina governativa e
in tutti gli incarichi di responsabilità dell’amministrazione pubblica (solo circa il
10% nelle Assemblee Parlamentari Nazionali, intorno al 14% in qualità di
Assessore, intorno al 11% in qualità di Consigliere, intorno al 6% in qualità di
Presidente di Regione o Provincia e di Sindaco);
2
non esistono, evidentemente, ancora oggi meccanismi in grado di evitare
forme di discriminazione riferite alla rappresentanza delle donne negli
organismi elettivi (questione ancora dibattuta sulla utilità o meno del sistema
delle quote);
3
le donne sono ancora oggi scarsamente presenti nelle posizioni di vertice e di
massima responsabilità della pubblica amministrazione.
Un contributo positivo in queste direzioni è dato dalla recente introduzione delle
modifiche all’art.51 della Costituzione affinché preveda il principio dell’uguaglianza di
accesso alle cariche elettive.
Come tutti sappiamo il testo dell’articolo recita: Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro
sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
Ad esso è stata aggiunta la seguente integrazione: A tal fine la Repubblica
promuove con appositi provvedimenti le Pari Opportunità tra donne e uomini.
Attraverso tale integrazione si intende rafforzare quanto contenuto nella prima parte
dell’articolo e fornire legittimazione costituzionale a tutti quei provvedimenti legislativi
e amministrativi attraverso cui garantire una paritaria partecipazione di donne e
uomini, in particolare, alla designazione di cariche elettive.
L’impiego dei Fondi strutturali può contribuire allo sviluppo dell’empowerment delle
donne. In modo particolare può farlo il Fondo sociale europeo deputato alla
valorizzazione delle risorse umane e allo sviluppo di un sistema fondato sia sullo
sviluppo economico che sulla coesione sociale.
E se per empowerment intendiamo tutto ciò che abbiamo detto finora, il FSE può
rappresentare un suo strumento di implementazione con riferimento ai diversi target
di donne, che hanno diverse età e diversi problemi legati alla gestione della propria
vita personale, familiare e sociale, che posseggono diversi titoli di studio e che
incorrono in problemi di riconoscimento dei livelli di scolarizzazione e formativi
raggiunti, che desiderano contare maggiormente nei luoghi decisionali da cui
derivano ricadute dirette e indirette rispetto agli attori del sistema sociale al quale
apparteniamo.
Diverse sono le esperienze cofinanziate dal FSE concluse e in realizzazione intorno
a cui si potrebbe parlare all’interno del workshop in questione; in fin dei conti tutti i
progetti cofinanziati presentano elementi in grado di promuovere forme di
empowerment.
Alcune, tuttavia, sono risultate particolarmente significative e coerenti col tema;
offrono pertanto efficaci elementi di riflessione, utili per tutti coloro che hanno a
cuore l’empowerment della risorsa donna.
1.3 FSE e pari opportunità
l’Unione Europea ha creato i presupposti per l'uguaglianza fra i generi. Nonostante il
gap tra uomini e donne sia ancora esteso le donne, ad esempio, sono state
agevolate verso il mondo del lavoro.
Questo è stato possibile soprattutto attraverso azioni nell’ottica del mainstreaming,
ovvero introducendo le pari opportunità all’interno di obiettivi in ambiti diversificati.
Il Fondo Sociale Europeo è stato istituito nel 1957 nell’ambito del Trattato di Roma,
con il fine di di incentivare l’occupazione in Europa, finanziando attività di istruzione e
formazione che favoriscono l'accesso al mondo del lavoro e che, allo stesso tempo,
offrono alle aziende l'opportunità di avvalersi di risorse umane conformi agli scenari
produttivi moderni.
Nel periodo 2007-2013, l’FSE investirà circa 75 miliardi di euro in tutta l’Unione
europea. I finanziamenti maggiori spettano ai membri con uno sviluppo più arretrato
Gli ambiti in cui viene utilizzato sono:
•
apprendimento e formazione permanente per i lavoratori;
•
organizzazione del lavoro;
•
sostegno ai dipendenti nei contesti di ristrutturazione;
•
servizi all'occupazione;
•
integrazione delle persone svantaggiate nel mercato del lavoro;
•
riforme dei sistemi di istruzione e formazione;
•
reti di parti sociali e ONG;
•
formazione nelle amministrazioni e nei servizi pubblici.
I finanziamenti dell'FSE, quindi, sono incanalati in cinque aree prioritarie:
•
Adattabilità,
•
Occupabilità,
•
Inclusione sociale,
•
Capitale umano,
•
Transnazionalità e interregionalità
•
Capacità istituzionale
Il 6 ottobre 2011, la Commissione ha proposto una serie di regole che
determineranno l'operato del Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020. La
proposta fa parte di un pacchetto legislativo per il futuro della politica di coesione
dell'UE e consentirà all'FSE di continuare ad assicurare sostegno concreto a chi ha
bisogno di aiuto per trovare un impiego o per migliorare la propria posizione
lavorativa.
L’FSE sostiene molte migliaia di progetti differenti, tutti definiti e gestiti nei vari Stati
membri da partner in grado di comprendere le esigenze locali e operare in linea con
le priorità
La Strategia per la parità tra donne e uomini rappresenta il programma di lavoro
della Commissione europea in materia di uguaglianza di genere per il periodo 20102015. L’impegno della Commissione è quello di promuovere l'uguaglianza di
genere in tutte le sue politiche relativamente alle seguenti priorità tematiche:
pari indipendenza economica per le donne e gli uomini;
parità delle retribuzioni per un lavoro di uguale valore;
parità nel processo decisionale;
dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne;
promozione dell'uguaglianza di genere fuori dai confini dell'UE;
questioni orizzontali (ruoli di genere, strumenti normativi e governativi).
http://www.sicilia-fse.it
Cap. 2 La questione femminile
2.1 Uomini e donne
La falsa credenza che l’uomo fosse più intelligente della donna nasce nella metà del
secolo scorso in base all’osservazione, da parte di neurologi, di cervelli maschili più
pesanti di cervelli femminili. Ma l’ipotesi è stata presto messa in discussione
partendo dal fatto che il peso corporeo degli uomini supera in media quello delle
donne e che quindi, mediamente, il cervello maschile è più voluminoso; inoltre, il
peso del cervello è variabile da individuo e individuo, quindi, non c’è correlazione tra
peso cerebrale e intelligenza. E anche riduttivo sottolineare che l’uomo, legato
all’emisfero sinistro, sede della ragione, e la donna a quello destro, sede
dell’emotività, siano l’uno superiore all’altra.
Inoltre, Il cervello è un organo complesso in quanto si plasma attraverso i
cambiamenti ormonali e le stimolazioni ambientali. La conseguenza è che l’individuo
utilizza sistemi comportamentali e cognitivi differenti, anche secondo il sesso.
Nonostante non ci sia differenza rispetto l’intelligenza, esiste una sostanziale
differenza fra i cervelli relativa ai due sessi ed è nel modello d'organizzazione, nelle
procedure d'elaborazione e risposta delle informazioni provenienti dall'esterno.
Mentre, la donna presenta minor specializzazione emisferica, l'uomo ha un cervello
funzionalmente asimmetrico, ovvero molto lateralizzato e dominante a destra. La
maggiore simmetria funzionale nell'uomo determina, per esempio, la dominanza del
linguaggio nell'emisfero sinistro e delle abilità visuo-spaziali nell'emisfero destro.
Ma per comprendere meglio come funzionano il cervello maschile e quello femminile
è fondamentale conoscere le seguenti caratteristiche. Il cervello è costituito da due
emisferi, il destro e il sinistro, che sono connessi dal corpo calloso (una struttura
composta da fibre nervose che permettono all’emisfero di destra di comunicare con
quello di sinistra). Nell’emisfero di sinistra avvengono ragionamenti di tipo
sequenziale, logico. Il pensiero è lineare, ovvero, in funzione di idee concatenate. Si
basa su razionalità e analisi. L’emisfero destro, invece, permette di effettuare anche i
ragionamenti di tipo parallelo, ovvero attraverso l’intuito; consente di effettuare più
operazioni mentali contemporaneamente utilizzando modalità sintetiche; è analogico
in quanto confronta la somiglianza tra le cose. Infine,è olistico in quanto permette di
concepire le forme e le strutture connesse.
Nelle situazioni complesse l’utilizzo del cervello nella donna è più sofisticato, mentre
quello dell’uomo è più vincente nelle situazioni che prevedono uno schema.
Da un’intervista a Paolo Pancheri a cura di Arianna Gasparini, Supplemento Corriere
Salute al Corriere della sera del 21 maggio 2000, sono stati tratti i seguenti dati.
Un campione di uomini e donne sani, uniformi per lavoro, età, cultura sono stati
studiati per anni attraverso studi dell’Università di Roma, Genova, Napoli e l’Aquila e
Il loro cervello è stato analizzato con la risonanza magnetica e con la tomografia a
emissione di positroni.
Paolo Pancheri, Ordinario di Psicologia e Psichiatria all’Università “La Sapienza” di
Roma, ha scoperto che nel cervello femminile il corpo calloso è più spesso di quello
maschile.
Ciò significa che le due metà del cervello nella donna comunicano più facilmente.
La maggiore comunicazione tra i due emisferi autorizza i ragionamenti paralleli a
raggiungere l’emisfero sinistro e a influenzare le decisioni al di là della logica. E’ per
questo che le donne sarebbero più intuitive degli uomini.
Di base, il cervello dell’uomo si differenzia da quello della donna per numerosi motivi
strutturali, fra cui:
1
Una regione dell’ipotalamo è più grande e sembra che si verifichi un’attività di
eccitazione sessuale più elevata di quanto avvenga nelle donne
2
La giunzione-temporo parietale è più attiva (ciò rafforza la loro capacità di
analizzare i problemi, e dato che è più grande, rende gli uomini più inclini
all’attività fisica)
3
La corteccia parietale è più grande favorendo una spiccata intelligenza
spaziale
Mentre nelle donne:
1
La corteccia frontale è più grande e più complessa favorendo la presa di
decisioni; la corteccia frontale dorso laterale è collegata con le aree limbiche
( sedi dell’emotività); quindi l’emotività in loro condiziona molto la presa di
decisioni
2
La corteccia insulare è più grande, rendendole più istintive
3
L’ippocampo è più grande e consente loro più memoria per i dettagli
In condizioni di equilibrio psicologico la donna ha grandi probabilità di effettuare delle
scelte vincenti grazie alla spinta emotiva e alla capacità di prendere in
considerazione più variabili contemporaneamente. Tuttavia, in condizioni patologiche
la donna corre dei rischi a causa di un’emotività eccessiva.
Quando una donna parla o ascolta, il suo cervello si "accende" in modo più
simmetrico rispetto a quello dell'uomo nel quale è soprattutto l'emisfero sinistro ad
essere sollecitato.
La donna è più resistente dell’uomo nella sopportazione dello stress sia per motivi
ormonali che per una maggiore tendenza a ricorrere al supporto sociale.
L’uomo tende ad un tipo di ragionamento lineare, mentre la donna tende ad un tipo
di ragionamento circolare.
Si può trovare una spiegazione a tali differenza se si pensa ai compiti di cui fin
dall’antichità la donna si è occupata, occupandosi di più azioni
contemporaneamente. La sopravvivenza del gruppo ha necessitato una netta
suddivisione del lavoro: la donna al focolare domestico e l'uomo a caccia. La caccia
avrebbe stimolato nell'uomo una migliore capacità visuo-spaziali. Nella donna, la vita
sociale e l'educazione dei giovani avrebbero stimolato lo sviluppo del linguaggio.
Naturalmente dall’antichità ad oggi tali suddivisioni di ruoli sono meno nette ma quel
che è certo è uomini e donne sono diversi pur essendo entrambi dotati di pari risorse
e potenzialità per affrontare la vita.
2.2 La condizione della donna nel tempo
La forza delle cosiddette “ideologie della differenza naturale” trae origine
fondamentalmente da una concezione tradizionale nella quale il genere non è
oggetto di cambiamento: è invece necessario riconoscere, sulla scorta di Connell,
come sia vero l’opposto, ossia che tutto ciò che riguarda il genere è storicamente
determinato. L’Autore propone un quadro interpretativo che considera le dinamiche
sociali – e non l’evoluzione organica – quali agenti primari del cambiamento della
biosfera. Connell afferma come l’orizzonte temporale nel quale nasce la storia
umana è anche l’“orizzonte del genere” (Connell, 2006). La questione femminile,
quindi, è stata determinata nel tempo dalla condizione di subordinazione ed
esclusione rispetto all’uomo.
Per comprendere meglio questo fenomeno delineerò un excursus storico.
Nell’ antica Grecia la donna viveva tutta la vita sottoposta all'autorità di un padrone
che, normalmente, era prima il padre e poi il marito. La donna libera non differiva
dagli schiavi per quanto riguardava i diritti politici e giuridici. Era vista come un"uomo
imperfetto" , paragonabile al fanciullo. In effetti le testimonianze che rimangono della
sua condizione portano la firma di uomini. Questo sottolinea ancor di più quanto la
realtà di quei tempi ha condizionato anche la percezione che hanno avuto i posteri
che se ne sono interessati. Sicuramente gli antichi Greci erano profondamente
misogeni e hanno sancito fermamente l’inferiorità della donna.
Il corteo nuziale, il trasferimento della sposa dalla casa paterna a quella dello sposo,
aveva la forma di un rapimento. Quest’usanza si conservava ancora di più a Sparta,
come si può leggere nella Vita di Licurgo di Plutarco.
In verità la sposa era offerta in dono dal padre e ritornava al padre in caso di
divorzio, se la donna si comportava da adultera. In verità era l’uomo che poteva
convivere con una concubina (anche se lei aveva solo doveri e nessun diritto).
Nel matrimonio uomini e donne avevano compiti ben distinti e definiti: la donna si
occupava della casa e dei figli, l’uomo di affari, di commercio e di attività pubbliche.
Secondo un articolo a cura della Dott.ssa Gianna Senesi per i Servizi Educativi della
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana,. La donna trascorreva il suo
tempo nel gineceo in cui vivevano anche i figli e le schiave. Durante la giornata
tesseva, filava, faceva il bucato, dava i compiti alle schiave e organizzava i banchetti.
Mentre i figli maschi rimanevano nel gineceo fino a sette anni e poi iniziavano a
studiare seguiti da un maestro, le figlie femmine rimanevano in quel luogo.
Le donne uscivano pochissimo. Le uniche donne che partecipavano a
manifestazioni culturali erano le etere, che erano prostitute di lusso che erano libere
di partecipare ai banchetti e di effettuare discorsi con gli uomini.
L’unico ambito in cui la donna aveva potere era quello religioso, infatti esistevano le
sacerdotesse.
A Sparta avevano, invece, maggiore libertà . Si dedicavano molto alla danza e agli
esercizi ginnici, al fine di procreare figli sani e robusti. Quindi, era una libertà fittizia
finalizzata ad accrescere lo Stato.
Anche nella Roma antica la donna non era indipendente ma non trattata come
schiava come nell’antica Grecia. Alla morte del marito il parente più prossimo
acquisiva la sua tutela.
La donna spesso non decideva il marito ed era vincolata ad una fedeltà
prematrimoniale sin da quando veniva promessa in sposa. Le lodi alle donne nelle
epigrafi romane non riguardavano mai la sua intelligenza o cultura, ma solo quanto
avevano servito e amato marito e figli e quanto avevano accudito la casa. In famiglia
la moglie stava vicino al marito anche nei banchetti e nei ricevimenti, ma seduta e
non sdraiata come i maschi. Solo in età imperiale le donne potevano sdraiarsi come
gli uomini.
Nella Roma Repubblicana la donna continuava ad occuparsi essenzialmente della
vita domestica però partecipava anche alla vita pubblica, recandosi al teatro o
partecipando ai banchetti. La sua condizione era migliorata in quanto poteva
frequentare alcuni luoghi prima di solo interesse maschile.
ll Cristianesimo ha tolto alle donne la libertà conquistata e da allora si è creato un
gap difficilmente colmabile tra il mondo maschile e quello femminile anche se la
donna nel tempo si è emancipata.
Alcune donne romane hanno lasciato un segno nel mondo della cultura. Ad esempio
Sulpicia era una poetessa famosa dell’età augustea. L’emancipazione è proseguita
e si è manifestata anche quando in alcuni casi la donna ha potuto divorziare dal
marito (possibilità venuta meno con il Cristianesimo). Ma i diritti erano ancora pochi.
Le donne non avevano ancora neanche la tutela dei figli e loro stesse erano sempre
sotto tutela o del padre o del marito. Le donne con maggior potere erano le matrone,
mentre le donne ritenute inferiori erano le prostitute, le concubine o quelle che
appartenevano al mondo del circo.
Con il Cristianesimo la condizione della donna ha fatto un grande passo indietro. Per
la Chiesa le donne erano in tutto più deboli e meno intelligenti degli uomini. Queste
sono alcune delle frasi che ricorrevano in quei tempi:
San Paolo:"Come la Chiesa è soggetta a Cristo, così le mogli debbono esser
soggette ai loro mariti in ogni cosa (Efesini 5:24);
S.Tommaso:
"La donna è un uomo mancato, un essere occasionale".
E’ anche vero che molti storici sostengono che questa è una visione maschiocentrica della concezione della donna nel medioevo e che, al contrario, le citazioni
delle donne nella Bibbia sono molteplici e l’atteggiamento di Gesù nei confronti della
donna era di apertura.
Nel Medioevo le donne erano ritenute debole, legate al peccato e esseri da
sottomettere perché i loro impulsi erano da controllare. Le conoscenze sulla loro
condizione erano trasmesse dalla Chiesa ed esse imprigionavano la donna in
numerosi stereotipi negativi di cui riusciva a riscattarsi solo con la castità o con il
matrimonio.
Data in sposa da giovanissima era sottoposta al potere paterno e poi del marito.
Non studiava e si occupava solo della vita domestica. Era frequente che i mariti
accusassero ingiustamente le mogli di adulterio per avere altre spose, considerando
il fatto che le spose avevano una dote.
Le donne dei contadini e degli operai lavoravano duramente in casa, anche quando
erano in cinte e già a trent’anni erano reputate anziane.
Le donne nobili e ricche dovevano saper dirigere la servitù ma avere sempre un
comportamento e u n aspetto rigoroso e riservato. Solo quando nelle famiglie
mancavano fratelli o mariti le donne potevano avere dei poteri.
Alcune in via eccezionale hanno partecipato alla vita politica.
Pochissime donne, nell’Alto Medioevo, sono state colte, fra queste Lutgarda, moglie
di Carlo Magno, sappiamo che frequentò la scuola palatina.
E’ nei monasteri che le donne occidentali hanno cominciato ad emanciparsi. Sono
esistite, infatti, monache emanuensi, insegnanti e bibliotecarie.
Del XI sec. D.C. ricordiamo una donna alla quale è stato attribuito un trattato di
medicina, Trotula, la quale ha insegnato alla Scuola Medica di Salerno. Si è
occupata molto di ginecologia e ostetricia trasmettendo trattamenti che si sono
diffusi in tutta Europa.
Negli ultimi secoli del Medioevo alcune donne, escluse dalle gerarchie
ecclesiastiche, si sono immerse in un intenso misticismo. Fra esse spiccava
Caterina da Siena.
Un’altra donna che ha segnato un cambiamento sostanziale in quegli anni è stata
Giovanna D’Arco la quale è stata protagonista della riscossa francese contro
l’Inghilterra nella Guerra dei Cent’anni marciando armata a capo delle truppe. Il
finale però è stato penalizzante, in quanto è stata accusata per condotta scandalosa
d’eresia e per il fatto di “sentire delle voci”. E’ stata bruciata al rogo. Dopo
venticinque anni è stata ritenuta innocente e proclamata santa nel 1920.
Nel Rinascimento , XV-XVI sec., la condizione della donna è mutata profondamente.
A quei tempi è esistita una pioniera del femminismo, Christine De Pizan che ha
ispirato alcuni scritti in difesa delle donne. Nel XV sec., pur essendoci ancora il ruolo
ben definito del pater familias e la posizione principale della donna fra le mura
domestiche ,si è verificato, però, che le donne sono entrate in politica, come
duchesse, marchesi, principesse o regine pur avendo un ruolo marginale rispetto
agli uomini. Fra le donne di spicco ricordiamo Lucrezia Borgia e la sua cultura
musicale e linguistica.
Sono Proliferati salotti culturali nelle corti italiane ed europee, patrocinate da donne
di ceti elevati (patrizie) e nobili e sono circolate opere artistiche e letterarie. Si sono
diffuse le letture al femminile. Mentre le donne giovani erano ancora molto vincolate
le donne più grandi, vedove avevano la libertà di occuparsi di interessi culturali. Per
quanto riguarda i cenacoli intellettuali nelle Corti italiane si sono distinte poetesse
come Gaspara Stampa e Alessandra Scala e filosofe morali come Isabella Sforza.
Il 1600 è stato un momento storico di ampliamento culturale e politico in generale
dovuto alle scoperte geografiche.
“Per la prima volta, sembra che valga la pena di sprecare tempo e cura a fare della
donna una persona con un suo ruolo e un suo destino ben definito, non meno
importante di quello dell’uomo.” (Bianchini, 1979, p.125).
Nel 1791 è stata creata la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” di
Olympe de Gouges, con cui l’autrice rivendicava il riconoscimento dei diritti naturali
di cui la donna era stata privata per secoli. Oltre alla Rivoluzione francese e
l’illuminismo ha lasciato il segno anche la Rivoluzione industriale. Durante
quest’ultima il passaggio dal lavoro artigianale alla produzione di massa ha
permesso l’entrata delle donne in fabbrica come salariate e le lotte per maggiori
diritti proprio in ambito lavorativo. Altri diritti che venivano rivendicati erano la
possibilità di insegnare nelle scuole superiori e, soprattutto, il diritto elettorale.
Tra il 1800 e il 1900 è iniziata l’era del femminismo. La Rivoluzione francese,
introducendo il modo radicale il principio di eguaglianza di fronte alla legge, ha posto
le basi per le successive rivendicazioni femminili.
Il film “Angeli D’acciaio” (titolo originale “Iron Jawed Angels”- USA 2004) è una
testimonianza del movimento femminista Americano dai primi anni del ‘900 fino al
riconoscimento nazionale del suffragio universale avvenuto nel 1921.
Per rivendicare il diritto al voto, anche in paesi come l’Italia nella seconda metà
dell’800 sono nati i primi movimenti delle sufragette, similmente a quanto avveniva in
paesi come l’Inghilterra.
Intanto la società borghese nell’epoca vittoriana, ovvero fino all’inizio del 1900,
ancora creava una netta divisione tra i due sessi con il motto “All’uomo lo Stato, alla
donna la famiglia”.
Nella letteratura, a partire da metà dell’ ‘800, alla figura della donna-angelo cantata
da Dante si è sostituita una figura di donna più aggressiva come si può evincere in
questa poesia tratta da “I fiori del male” di Baudelaire:
“Tu, che come un colpo di coltello sei entrata nel mio cuore che gemeva, tu, che
potente come un esercito di demoni sei venuta, ornata e folle a fare del mio spirito
umiliato il tuo letto ed il tuo reame…”
In Italia, il fascismo ha relegato la donna alla definizione di angelo del focolare.
Mussolini divideva i compiti dei due sessi in questo modo:<li uomini devono fare la
guerra, le donne i figli> .Intanto però la donna è riuscita a creare una propria
immagine che non coincide con quella del partito. Lo ha fatto attraverso la lettura
rosa che ignorava l’iconografia fascista. Nel 1920 sono nati infatti rotocalchi ancor
oggi esistenti come “Gioia” e “Grazia”. La donna vedeva in quei giornali immagini di
donne all’aperto, belle, vestite a festa, chimere di ciò che difficilmente avrebbe
potuto ottenere.
La stampa femminile, quindi, è stata oltreché una fabbrica di sogni anche una fonte
di stimoli da seguire per mettere in atto un’opposizione. Il ‘45 è stato un anno
spartiacque fra la donna del fascismo e quella del nuovo Stato democratico. Una
delle grandi lotte delle donne è stata quella relativa al diritto di voto, al quale le
donne in Italia sono arrivate più tardi rispetto ad altri paesi.
In Italia gli anni del dopoguerra sono stati caratterizzati dal ritorno degli uomini dalla
guerra, i quali hanno sostituito le donne che lavoravano nelle fabbriche. Questo
fattore legato ad un declino dell’occupazione ha comportato una stagnazione
dell’occupazione femminile. Inoltre, nonostante la povertà di quegli anni le famiglie
italiane rimanevano di grandi dimensioni e le nascite erano in crescita. Di
conseguenza la dedizione femminile alla famiglia era ritenuta necessaria. Le donne
che continuavano a lavorare erano coadiuvanti nell’ambito dell’agricoltura. Le
modalità lavorative erano irregolari e informali. Tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 molte
donne del Sud sono andate a lavorare in fabbrica al Nord, ma questo è stato un
fenomeno di breve durata che è svanito nei primi anni sessanta. Allora molte donne
sposate hanno dovuto abbandonare i campi a causa dello spostamento dalle
campagne alle città. Aumentava il lavoro a domicilio e nascosto. Le donne che
riuscivano a lavorare non rientravano a lavoro dopo la nascita dei figli.
Dal punto di vista delle leggi l’Italia del ‘900 è stata caratterizzata da numerosi
mutamenti.
Mentre il primo paese a concedere il diritto alle donne è stata la Nuova Zelanda nel
1893, in America e in Inghilterra dopo il 1918, in Italia e in Francia il suffragio per
entrambe i sessi è stato introdotto solo nel 1946.
Nel 1948 la Costituzione repubblicana è stata l’approdo di ottant’anni di lotte in cui il
movimento paritario si è dovuto misurare. La Costituzione, grazie anche alle donne
votanti e alle elette, ha stabilito dei punti fermi irreversibili su tutte le questioni su cui
si era incentrata fino ad allora la battaglia per ottenere la parità.
Non solo l’art.3 ha riaffermato l’eguaglianza davanti alla legge ed è stata ribadita nei
rapporti tra coniugi e nella struttura familiare (artt.29 e 30), nel lavoro subordinato
della donna (art.37), nel diritto al voto (art.48), nell’accesso agli uffici pubblici e alle
cariche elettive (art.51).
Nilde Iotti ha detto: <La Costituzione è il più grande atto di questo secolo fatto in
favore delle donne>. E’ stato segnato il distacco dal passato attraverso la proiezione
extradomestica della vita femminile.
Un’altra legge importante ai fini di un cambiamento di mentalità è stata la legge
Merlin del 1958 n.75. Con essa è stato abolito il controllo statale della prostituzione.
Nella prostituzione schedata la donna diventava merce da comprare e da usare e
scompariva come persona in quanto diventava oggetto sessuale “ufficiale”. Dar fine
a questa modalità di prostituzione ha permesso di rendere anche le prostitute
padrone di sé e delle proprie scelte; inoltre, è stata l’occasione per analizzare le
cause civili e sociali del fenomeno.
Ritornando all’ambito del lavoro, invece, è bene citare la legge d’iniziativa
parlamentare del 9 febbraio del 63 n.66 secondo cui “la donna può accedere a tutte
le cariche, professioni e impieghi pubblici, compresa la magistratura, nei vari ruoli,
carriere e categorie, senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera,
salvo i requisiti stabiliti dalla legge” ha finalmente permesso alle donne di occuparsi
di professioni fino ad allora rigorosamente maschili. Tuttavia, ancora la donna si
sentiva in conflitto con le sue conquiste in un mondo modellato su valori maschili.
L’emancipazione di quei tempi ha investito anche la struttura familiare.
L’introduzione del divorzio è stato per la donna la liberazione da un ruolo
predeterminato e obbligato (o prostituta o massaia). E’ avvenuto un passaggio dal
matrimonio legato ad interessi economici e sociali a quello basato sulla comunione
spirituale e materiale di vita fra i coniugi. In Italia il testo definitivo del divorzio
appartiene al 1975. Negli stessi anni è stata introdotta anche la legge sull’aborto che
ha significato un’ulteriore slancio verso la libertà di scelta delle donne e si sono
diffusi i metodi contraccettivi.
Poco dopo un’altra legge fondamentale è stata la n.903 del 9 dicembre 1977 sulla
parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Legge nata in
occasione di un rinnovato interesse al tema della parità a livello nazionale. La CEE
ha emanato due direttive nel ‘75 sulla realizzazione della parità salariale e nel ‘76
sull’attuazione della parità tra uomini e donne nell’accesso al lavoro, alla formazione
e alla promozione professionale.
Era sedimentata da tempo la legislazione protettiva che, pur essendo finalizzata ad
evitare lo sfruttamento, allo stesso tempo gravava di vincoli l’impiego della
manodopera femminile nell’industria. Si è inteso sostituire a quel punto alla logica
della protezione la legge dell’uguaglianza grazie anche ad una legislazione sui diritti
del lavoratore (orario massimo, ferie retribuite, riposo settimanale, ecc.). Questo ha
eliminato anche la possibilità di dare alla donne ingiustificati benefici.
Dal 1972 al 1989 le donne occupate sono aumentate in Italia. Sono entrate
soprattutto nel terziario. Inoltre una maggiore scolarizzazione-intellettualizzazione ha
creato una nuova qualità della risorsa donna in ambito professionale.
Sono stati gli anni della doppia presenza in cui si è evidenziata da parte della donna
il doversi divincolare tra lavoro e famiglia. L’invecchiamento della popolazione è
diventa un ostacolo per le vite lavorative femminili in quanto la cura degli anziani e
prevalentemente a carico delle donne adulte. In Italia lo svantaggio maggiore è
stato dovuto al fatto che fossero messi in atto pochi part time. Le più giovani hanno
iniziato a tardare l’entrata nel mondo del lavoro investendo maggiormente negli
studi. Le donne hanno lavorato in quel periodo in vari settori entrando anche nella
pubblica amministrazione e diventando imprenditrici.
L’emancipazione non ha significato solo ingresso della donna nella polis ma anche
espressione completa della personalità femminile.
Tuttavia, a parità di titolo di studio, le donne hanno occupato rispetto agli uomini
posizioni inferiori. Inoltre, nella scelta della professioni altamente femminilizzate
pesano i percorsi di studi seguiti., come i corsi di indirizzo letterario e umanistico.
Queste scelte hanno creato uno squilibrio di opportunità fra uomini e donne sul
mercato del lavoro. Quelle delle donne speso erano scarsamente coerenti con la
richiesta. Così negli anni ‘80 la disoccupazione femminile è aumentata
paradossalmente in quanto un ampio potenziale di lavoro femminile tende a
consolidarsi ai margini del mercato.
Tra il ’79 e il ‘92 in Italia le donne in politica sono aumentate ma erano ancore poche
(come Nilde Iotti nel PCI), mentre in altri paesi del mondo sono state più attive.
In quegli anni era problematica la questione della maternità, in quanto si erano
incrementate le nascite fuori dal matrimonio e i matrimoni erano più instabili. Oltre
ciò si sono create nuove visioni di famiglia attraverso gli affidi, le adozioni e le
procreazioni artificiali.
Pian piano Le donne, che hanno conquistato l’autonomia attraverso il lavoro, hanno
assimilato i modelli della cultura maschile. Gli uomini si sono aperti alle emozioni, a
interessi reputati un tempo femminili e hanno iniziato a stabilire un rapporto con i figli
basato su presupposti diversi.
Le famiglie adesso hanno aspetti eterogenei e si fondano su una certa espansione
della soggettività lasciando da parte la concezione della famiglia come gruppo.
Oggi la donna è molto più emancipata, ma la questione femminile è molto diversa da
paese a paese. La parità in paesi come l’Afganistan è solo un sogno. In altri paesi
come il nostro sicuramente la donna viene riconosciuta in molti diritti. Ma in realtà la
nostra è ancora una società patriarcale e il gap tra il mondo maschile e quello
femminile è evidente.
BIBLIOGRAFIA
Bianchini A. (1979).Voce di donna, Milano, Bompiani,
Connell, R.W. (2006), Questioni di genere, Bologna: Il Mulino.
2.3 Identità di genere
Appartengono alle scienze sociali i cosiddetti Women’s Studies che sono stati
approfonditi a partire dagli anni Sessanta, per allargare una visione dell’universo
umano basato sull’androcentrismo, sul quale si basava la ricerca scientifica.
Per Freud la differenza di genere è radicata nella biologia ed è immodificabile.
Secondo la teoria psicosessuale freudiana i bambini di entrambi i sessi sono
inizialmente convinti di essere tutti uguali. La femminilità sarebbe il risultato del
riconoscimento dell'assenza del pene. Mentre, la mascolinità è uno stato naturale, la
femminilità è una modificazione di questa.
È l’epoca della critica femminista alle scienze sociali e alla retorica che associa la
scienza alla mascolinità: si è cercato di riconoscere una concezione asessuata della
scienza, dei metodi, dei linguaggi e dei concetti di analisi, al fine di individuare
elementi e strutture il più possibile neutri (Peiffer, 2000).
Il termine genere è stato introdotto in America grazie al movimento femminista in
contrasto con il determinismo biologico e si è diffuso in Europa alla fine degli anni
settanta.
Robert Stoller (1968) ha teorizzato il concetto di identità di genere: il bambino/a è
consapevole della sua mascolinità/femminilità già entro il primo anno e mezzo di vita,
al di là del DNA o dall’anatomia dei genitali. Secondo Stoller, sono fondamentali le
etichettature di genere da parte dei genitori. Secondo lo studioso intorno ai 3 anni si
consoliderebbe in ogni individuo un nucleo di identità di genere. All'età di 4 o 5 anni
interiorizzerebbero gli stereotipi dei ruoli sessuali specifici della loro cultura
diventando consapevoli della propria identità di maschio o di femmina.
È utile considerare il contributo, rispetto a tali questioni, dato dall’antropologia, in
particolare dalle ricerche etnografiche di Margaret Mead che, a partire dallo studio di
diverse popolazioni della Nuova Guinea e dell’isola di Samoa. Mead ha mostrato la
potenza della trasmissione delle identità di genere da parte della famiglia e della
comunità di appartenenza (Mead, 1963). L’autrice ha osservato come i
comportamenti di uomini e donne siano condizionati dall’educazione che viene loro
impartita dai primi giorni di vita.
La nozione di genere, in altre parole, si afferma contro la riduzione delle differenze
tra l’uomo e la donna al sesso, inteso come differenza anatomica e biologica.
La prospettiva essenzialista è così chiamata in ragione della sua centratura sulle
qualità considerate come innate; la base biologica è considerata quale elemento
fondante per la definizione delle qualità personali. Si tratta, dunque, di un punto di
vista che considera come “naturali” certe differenze e determinate caratteristiche
(Chodorow, 1978; Daly, 1978, 1979; Gilligan, 1982).
La Chodorow, infatti, è stata una delle prime donne ad esplorare questo campo di
ricerca. sceglie la teoria delle relazioni oggettuali come approccio allo studio dello
sviluppo psicodinamico dell'Io, della differenza sessuale e delle psicodinamiche
femminile e maschile.
Il concetto di identità di genere (gender Self) rappresenta uno dei contributi più
significativi della Chodorow.
Il concetto di soggettività di genere aiuta a comprendere ancor meglio quello di
identità di genere. Con il concetto di soggettività di genere si intendono i significati
soggettivi creati psicologicamente a partire dalle rappresentazioni interiori, dalle
emozioni, dagli affetti e dalle fantasie presenti nelle prime relazioni parentali. La
soggettività di genere si crea a partire dalla storia personale di ogni bambina e di
ogni bambino: esperienze personali e fantasie nelle relazioni con i genitori,
esperienze corporee e abitudini comportamentali, credenze e valori culturali. Su di
essa influisce,
ovviamente, il genere dei genitori, vissuto nel loro rapporto con i bambini e le
bambine, insieme al condizionamento della cultura.
La Chodorow sostiene che la relazione primaria con la madre differisce in modo
sistematico a seconda che si tratti di una bambina o di un bambino e comincia ad
aver luogo nei primi otto mesi di vita. La capacità dell'esercizio materno si sviluppa
nelle bambine, ma non nei bambini.
L’educazione dei bambini rispetto alle norme di genere è un ambito nel quale gli
studi e le analisi delle scienze sociali hanno proposto diversi tipi di interpretazione: in
ogni caso, l’importanza attribuita alla socializzazione, con diverse considerazioni del
peso del ruolo degli elementi compresi in tale processo, resta centrale.
Gianini Belotti sottolinea come nell’educazione delle bambine vigano alcune
istanze specifiche, e diverse rispetto a quelle tipicamente valorizzate nell’educazione
dei
bambini (Gianini, Belotti, 1973).
La Scuola è stata a lungo pensata in modo distinto per maschi e femmine e,
sebbene riservata a bambini e bambine dei livelli sociali più elevati, in ogni caso era
soprattutto destinata a formare futuri adulti conformemente ai tradizionali ruoli
maschili e femminili: Rousseau, nel XVIII secolo, indica quelle che sono le capacità
che una bambina è bene che apprenda o no (Rousseau 1762, 1995).
BIBLIOGRAFIA
Chodorow, N. (1978), The Reproduction of Mothering. Psychoanalysis and the
Sociology of Gender, Berkeley: University of California Press
Gianini Belotti, E. (1973), Dalla parte delle bambine, Feltrinelli: Milano.
Pfeiffer, J. (2000), « Les débuts de la critique féministe des science en France
(1978-1988) » in Gardey, D., Lowy, I., dir., L’invention du naturel, Paris :
L’Harmattan.
Mead, M. (1935, 1967), Sesso e temperamento in tre società primitive, Milano: il
Saggiatore
Rousseau, J.-J. (1762, 1995), Emilio o dell’educazione, a cura di Nardi, E.,
Firenze: La Nuova Italia.
Stoller, R.J. (1968), Sex and Gender. Vol. 1. On the Development of Masculinity and
Femininit, London: Hogarth Press.
2.4 Norme e donne
Le norme relative al lavoro nel periodo precostituzionale sono state basate su due
esigenze: difendere la salute contro i danni fisici derivanti da determinate modalità di
lavoro, considerando che le donne erano paragonate ai fanciulli; e partire dal
presupposto che, secondo il pensiero di allora, la donna era caratterizzata da una
evidente inferiorità.
Su queste esigenze si è portata avanti una linea protettiva verso l’universo
femminile.
Tuttavia solo nel 1902, con la legge n.242, nota come legge Carcano, è stato
regolamentato l’uso della forza lavoro femminile. Sono stati vietati alle donne i lavori
sotterranei e i lavori insalubri e pericolosi; il limite del monte orario giornaliero è stato
stabilito a 12 ore.
Inoltre, è stato istituito il cosiddetto congedo per maternità dopo il parto, della
durata di un mese, riducibile, peraltro, a tre settimane. Tuttavia, tale decreto ha
incontrato delle difficoltà nella sua espletazione. La legge di tutela della donna
consisteva nell’astensione obbligatoria dal lavoro non retribuita, quindi, era
penalizzante per l’economia delle stesse e delle famiglie. Inoltre, la tutela era valida
solo in caso di lavoro nelle industrie, mentre non era prevista nel lavoro agricolo e
domiciliare.
La legge del 1907 sul lavoro notturno era discriminante in quanto metteva ancora
sullo stesso piano donne e fanciulli, questi inferiori a 15 anni, e imponeva divieti
nell’effettuare il lavoro di notte (tranne in alcuni casi eccezionali).
Le principali leggi sul lavoro femminile sono state stabilite nel periodo fascista, fra
queste le più incisive sono state: la legge del 23 aprile 1934 n.653, sulla tutela del
lavoro delle donne e dei fanciulli, e la legge del 5 luglio1934 n.1347, sulla tutela
della maternità delle lavoratrici. Quest’ultima ha instituito il congedo di maternità
relativo al periodo precedente al parto. Era imposto il divieto di licenziamento
della lavoratrice e l’assicurazione obbligatoria di maternità.
Tutte queste disposizioni di legge apparentemente hanno offerto alla donna dei
privilegi, ma hanno contribuito a relegare la donna all’ambito domestico
(coerentemente con il volere fascista).
Solo con l’emanazione della Costituzione si è realizzato un equilibrio nel rapporto
uomo-donna in ambito sociale e lavorativo.
L’art.37 della Costituzione recita “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di
lavoro, la stessa retribuzione che spetta al lavoratore. Le condizioni del lavoro
devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e
assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”.
Mentre è stato riconosciuto di il diritto di uguaglianza alla donna è sorta, però,
un’ambiguità rispetto al concetto di “essenziale funzione familiare”. L’unico modo per
superarla era creare condizioni di conciliazione tra sfera lavorativa e sfera familiare
per la donna.
Un altro momento storico di cambiamento legislativo è stato nel 1968 quando la
Corte di Cassazione ha previsto, quale presupposto unico alla parità retributiva,
l’espletamento di
identiche funzioni lavorative, in relazione alla qualità e alla quantità del lavoro fornito.
Negli anni ’50 un altro svantaggio per le donne è stato dovuto all’inserimento della
clausola di nubilato che comportava il licenziamento delle donne per causa
matrimonio.
Finalmente con l’entrata in vigore della legge n.7 del 1963 sono stati annullati i
licenziamenti a causa di matrimonio.
In generale, Legge n. 300 del 20 maggio 1970 ("Norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento"),è una delle norme principali del diritto del
lavoro in Italia.
L'esigenza di una regolazione precisa ed equitativa dei meccanismi del mondo del
lavoro post-fascista e di una nascente democrazia.
Altre due norme importanti sono state: la legge n.1204/71 “sulla tutela delle
lavoratrici madri”e la legge n.1044/71 sul “piano quinquennale per l’istituzione
degli asili nido comunali”.
Quest’ultima ha rappresentato il primo strumento legislativo finalizzato a spostare la
cura e la tutela del bambino dalla famiglia alla comunità, attraverso un’accurata
programmazione dei servizi sociali con un diretto appoggio delle Regioni e degli enti
locali.
Sempre in quel periodo è stata estesa alle lavoratrici a domicilio l’applicazione delle
norme relative al divieto di lavoro nel periodo pre e post-partum, al divieto di
licenziamento, nonché all’obbligo di assistenza sanitaria e ospedaliera.
La legge ha disposto: il divieto di licenziamento della lavoratrice madre, la previsione
di un periodo di astensione dal lavoro obbligatoria per maternità, la corresponsione
di un’indennità di maternità per tutto il periodo di sospensione dal lavoro.
L’art.7 della legge 1204, poi ha consentito di estendere l’astensione dal lavoro postpartum
“per un periodo, entro il primo anno di vita del bambino, non superiore a sei mesi”.
E’ prevista, altresì la possibilità di assentarsi anche “durante le malattie del bambino
di età
inferiore a tre anni, dietro presentazione di certificato medico”.
La sezione III della legge 1204, si è occupata, infine, dei trattamenti economici di
maternità agli articoli 13,15 e 35: durante tutto il periodo di astensione obbligatoria la
legge
assegna a tutte le lavoratrici, la corresponsione di un’indennità giornaliera di
maternità pari
all’80% della retribuzione, ridotta, per il periodo di astensione facoltativa, al 30%.
L’indennità, corrisposta materialmente dal datore di lavoro, è a carico dell’Inps e non
è
subordinata a particolari requisiti contributivi.
Mentre nel ’77 la legge n. 903 rappresentava il passaggio dalla tutela alla parità,
successivamente è stata introdotta la legge 125 del ’91 (vedi allegato).
Con la Legge 10 aprile 1991 n. 125 il legislatore italiano ha cercato di dare una
risposta
complessiva alle nuove esigenze e ai problemi di interpretazione ed applicazione
delle normative
antidiscriminatorie emerse precedentemente.
L’indennità spetta alle lavoratrici dipendenti che si assentano dal lavoro per un
periodo di 5 mesi, utilizzabile in forma flessibile a partire dal nono mese di
gravidanza. Le lavoratrici che svolgono lavori faticosi o pericolosi e che non possono
essere adibite ad altre mansioni possono anticipare, per rischio, il periodo di
astensione obbligatoria che precede il parto e posticipare i periodi di astensione
obbligatoria successivi al parto. Il periodo di astensione obbligatoria successivo al
parto può essere prorogato sino alla fine del 7° mese dopo il parto stesso. In caso
di parto prematuro, alla madre viene data la possibilità di recuperare i giorni di
assenza obbligatoria persi prima del parto, in modo che la durata del congedo sia
sempre di cinque mesi.
L'indennità spetta anche in caso di adozione e affidamento. In questi casi, l’indennità
spetta per i 3 mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia
adottiva o affidataria, a condizione che non abbia superato i 6 anni di età, 18 anni
per le adozioni o gli affidamenti preadottivi internazionali.
In caso di morte o di grave malattia della madre, di abbandono del figlio da parte
della stessa o di affidamento esclusivo al padre, l'indennità per astensione
obbligatoria dal lavoro spetta al padre lavoratore.
L’indennità spetta anche alle lavoratrici autonome (coltivatrici dirette, colone,
mezzadre, artigiane e commercianti) iscritte nei rispettivi elenchi prima del periodo
indennizzabile, in regola con il versamento dei contributi.
Le libere professioniste che richiedono la maternità possono assumere come reddito
di riferimento per calcolare l'indennità solo quello professionale, con esclusione di
quanto eventualmente percepito per altre attività svolte.
L'indennità di maternità non spetta mai ai padri liberi professionisti. A differenza di
quanto avviene per i padri lavoratori dipendenti, che hanno diritto all'astensione dal
lavoro ed al relativo sussidio, qualora la madre non possa avvalersene, la legge non
prevede analoghe facilitazioni per gli autonomi. La legittimità di tale norma è stata
anche ribadita dalla sentenza n. 285 del 28 luglio 2010 della Corte Costituzionale.
In caso di adozione internazionale, le libere professioniste che abbiano adottato un
bambino hanno diritto a percepire l’indennità di maternità anche se il minore ha
superato i sei anni di età. Tale possibilità è stata introdotta da una sentenza della
Corte di Cassazione, che ha dichiarato incostituzionale la norma che non lo
consentiva, ovvero l'articolo 72 del Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di tutela e sostegno della maternità e paternità.
Per le professioniste, il reddito da considerare non è più quello prodotto al momento
della presentazione della domanda, bensì quello percepito nel secondo anno
precedente l’evento. Viene inoltre introdotto un limite massimo dell'indennità, pari a 5
volte l'importo minimo già prescritto dalla legge, ferma restando la potestà delle
singole Casse di stabilire importi più elevati.
Con il decreto interministeriale del 4 aprile 2002 si è disposto che l'indennità di
maternità deve essere erogata anche alle lavoratrici parasubordinate iscritte alla
gestione separata dei lavoratori autonomi (collaboratori coordinati e continuativi e
libere professioniste). La Circolare Inps numero 93 del 26 maggio 2003 ha poi
precisato le modalità di misura e calcolo dell’indennità di maternità a favore di questi
soggetti.
Alle mamme lavoratrici precarie spetta l’assegno di maternità dello Stato. Anche
alle atlete, "che esercitano attività sportiva anche in modo non esclusivo, a fronte di
un compenso in qualsiasi forma corrisposto" deve essere riconosciuto l’indennità di
maternità.
Nei primi otto anni di età del bambino i genitori, lavoratori dipendenti, hanno il diritto
al congedo parentale di assentarsi dal lavoro, anche contemporaneamente:
•
la madre può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a
6 mesi;
•
il padre può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 7
mesi;
Le astensioni dal lavoro, se utilizzate da entrambi i genitori, non possono
superare il limite complessivo di 11 mesi.
•
il genitore solo può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, non
superiore a 10 mesi;
•
i genitori adottivi o affidatari possono usufruire del congedo parentale entro i primi
8 anni dall’ingresso del bambino in famiglia, a prescindere dall’età del bambino, e
comunque non oltre il raggiungimento della maggiore età).
Le mamme con contratto di lavoro a tempo determinato hanno anche loro diritto,
entro il primo anno di vita dei figli, ad un congedo di tre mesi con retribuzione pari al
30% del reddito percepito. Inoltre, per aiutare le famiglie a conciliare vita e lavoro,
viene innalzato il limite d’età dei minori per i quali si può chiedere il congedo
parentale: da 8 a 12 anni di età in caso di affidamento e da 12 a 15 anni, in caso
di adozione.
Le lavoratrici autonome possono astenersi dal lavoro per 3 mesi entro il primo anno
di vita del bambino. Ai padri lavoratori autonomi non è riconosciuto il diritto al
congedo parentale
A partire dal 1° gennaio 2007, le lavoratrici e i lavoratori parasubordinati, che non
siano titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie,
possono astenersi dal lavoro per 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino.
L'indennità di maternità o "indennità per astensione obbligatoria"', è sostitutiva della
retribuzione viene pagata alle lavoratrici assenti dal lavoro per gravidanza e
puerperio o per interruzione di gravidanza dopo il 180° giorno.
A chi spetta
• Alle lavoratrici/lavoratori dipendenti, compresi quelli comunitari o extracomunitari;
alle lavoratrici/lavoratori autonomi (coltivatrici/coltivatori dirette, mezzadre/i e
colone/i, artigiane/i e commercianti);
• alle lavoratrici/lavoratori domestiche (colf e badanti);
• alle lavoratrici/lavoratori agricole/i;
• alle lavoratrici/lavoratori iscritti alla gestione separata (lavoratrici/lavoratori a
progetto, associate/i in partecipazione) che non siano iscritte/i ad altra forma di
previdenza, non titolari di pensioni e che versino, dal 1° gennaio 2008, l'aliquota
del 24,72%;
• al padre lavoratore dipendente, in alternativa alla madre lavoratrice, in casi
particolari.
L’indennità di maternità spetta anche nei casi di adozione o di affidamento, secondo
le seguenti modalità.
In caso di affidamento:
l'indennità di maternità spetta - entro 5 mesi dall'affidamento - per un periodo
massimo di 3 mesi, a prescindere dall'età del minore.
In caso di adozione nazionale:
l’indennità spetta per i 5 mesi successivi all’ingresso del minore in famiglia, a
prescindere dall’età del minore.
In caso di adozione internazionale:
l'indennità spetta per un totale di 5 mesi, a prescindere dall'età del minore. Il
congedo può essere utilizzato, anche parzialmente, prima dell'ingresso del minore in
Italia, durante il periodo di permanenza all'estero necessario per l'incontro col minore
e per il completamento della procedura adottiva.
E' una prestazione che spetta alle madri residenti, cittadine italiane, comunitarie o
extracomunitarie in possesso del 'permesso CE per soggiornanti di lungo periodo,
per ogni figlio nato, adottato, o in affidamento preadottivo.
Dal 1 gennaio 2007 (vedi allegato), ai collaboratori iscritti alla gestione separata
Inps, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria,
spetta una indennità giornaliera di malattia a carico dell’Inps, per eventi non inferiori
a 4 giorni ed entro un limite massimo di giorni pari a un sesto della durata
complessiva del rapporto di lavoro e comunque non inferiore a 20 giorni nell’arco
dell’anno solare. L’importo dell’indennità è pari al 50% di quanto corrisposto a tale
categoria di lavoratori a titolo di indennità per degenza ospedaliera. I requisiti
contributivi e reddituali sono gli stessi previsti per la corresponsione dell’indennità
spettante in caso di degenza ospedaliera.
E’ altresì previsto un trattamento economico per congedo parentale, in relazione agli
eventi di parto verificatisi a decorrere dal 1 gennaio 2007, nonché nei casi di
adozione o affidamento per ingressi in famiglia a decorrere dal 1 gennaio 2007. Il
trattamento economico spetta per un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita
del bambino, ed il suo importo è pari al 30% del reddito preso a riferimento per il
calcolo dell’indennità di maternità.
Viene poi riconosciuta, in principio, la gravidanza a rischio. Si prevede infatti che,
con decreto interministeriale, venga disciplinata l’applicazione, ai collaboratori, degli
artt. 17 e 22 del d.lgs.151/2001 (Testo Unico Maternità e Paternità), che si
riferiscono, rispettivamente, all’astensione anticipata dal lavoro in caso di gravidanza
a rischio, e al relativo trattamento economico e normativo.
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LEGGE 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007)
Norme in materia di lavoro - Scheda di lettura e commento
CISL USR Lombardia - Sito internet: www.lombardia.cisl.it > Chi siamo > I
dipartimenti > Lavoro e formaz
L'assegno spetta alla madre che:
• abbia un rapporto di lavoro in essere e una qualsiasi forma di tutela per la
maternità e abbia almeno 3 mesi di contribuzione (da lavoro subordinato,
parasubordinato o autonomo) nel periodo compreso fra i 18 e i 9 mesi precedenti
la nascita del bambino (o il suo inserimento in famiglia, nel caso di adozione o
affidamento), ma che non abbia raggiunto i requisiti per l’indennità di maternità o
risulti di importo inferiore all’assegno (in questo caso spetta la differenza);
• si sia dimessa volontariamente dal lavoro durante la gravidanza ed abbia almeno
3 mesi di contribuzione (da lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo) nel
periodo compreso fra i 18 e i 9 mesi precedenti la nascita del bambino (o il suo
inserimento in famiglia, nel caso di adozione o affidamento);
• precedentemente abbia avuto diritto ad una prestazione dell'Inps (ad esempio per
malattia o disoccupazione) per aver lavorato almeno tre mesi (come subordinata,
parasubordinata o autonoma), purché tra la data della perdita del diritto a
prestazioni previdenziali e la data di nascita o di ingresso del minore in
famiglia non siano trascorsi più di nove mesi.
Ai fini del diritto all'assegno di maternità, sono considerati utili anche i periodi di
lavoro svolti negli altri Stati membri dell'Unione Europea e in Islanda, Liechtenstein,
Norvegia e Svizzera. La lavoratrice, pertanto, può raggiungere il requisito
contributivo necessario (3 mesi) sommando i periodi di lavoro italiani con quelli
esteri. Tali periodi, però, non devono essere coincidenti e la lavoratrice deve
avere almeno un contributo settimanale in Italia.
La domanda per l’assegno deve essere presentata all’INPS entro 6 mesi dalla
nascita o dall’adozione o dall’affidamento preadottivo.
Se l’INPS accoglie la domanda, dopo i dovuti accertamenti, il beneficiario ha diritto a
ricevere l’assegno entro 120 giorni dalla data di presentazione della domanda.
Se, invece, l’INPS non accoglie la domanda, questa viene automaticamente
trasmessa al comune territorialmente competente perché il richiedente riceva l’
assegno di maternità concesso dai Comuni’.
Il comune di residenza può concedere un assegno di maternità per ogni figlio nato,
adottato o in affidamento preadottivo.
L’assegno spetta in alternativa:
• alla madre naturale, all’affidataria in preadozione, all’adottante;
• al padre naturale, al coniuge della donna adottante o affidataria, all’adottante non
coniugato, all’affidatario preadottivo.
Il richiedente deve:
• risiedere in Italia al momento della domanda;
• se extracomunitario, essere in possesso del 'permesso CE per soggiornanti di
lungo periodo (ex carta di soggiorno);
• non beneficiare di alcuna indennità di maternità;
• il reddito del nucleo familiare di appartenenza non deve superare testo un
determinato limite stabilito ogni anno dalla legge.
La domanda per l'assegno deve essere presentata al Comune di residenza della
madre entro 6 mesi dalla nascita o dall'adozione o dall'affidamento preadottivo.
Chi richiede l’assegno di maternità dello Stato non ha diritto all’assegno concesso
dai comuni.
2.5 Molestie sessuali e mobbing
Il decreto legislativo n. 5/2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 5 febbraio
2010, serie generale n. 29, ha emanato il recepimento della Direttiva n. 54 del 2006
relativa al principio "delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e
donne in materia di occupazione e di impiego".
Il decreto prevede il divieto di discriminazione per ragioni connesse al sesso, allo
stato di gravidanza, di maternità o paternità, anche adottive. Vengono garantiti
l'accesso al lavoro, la parità di trattamento economico per la medesima mansione, la
mobilità verticale nella carriera. Tra i fattori discriminanti, sono considerati i
trattamenti di sfavore subiti da chi ha rifiutato comportamenti indesiderati o molestie
sessuali, espresse a livello fisico, verbale o non verbale, che violano la dignità di una
lavoratrice o di un lavoratore e creano un clima intimidatorio e offensivo. Sanzionabili
anche le discriminazioni cosiddette "indirette", ossia quelle provocate da disposizioni,
prassi, atteggiamenti in apparenza neutri che mettono o possono mettere i lavoratori
di un determinato sesso in una posizione di svantaggio rispetto ai lavoratori dell'altro
sesso.
Le molestie e le molestie sessuali sono contrarie al principio della parità di
trattamento fra uomini e donne e costituiscono forme di discriminazione fondate sul
sesso. Pertanto dovrebbero essere vietate e soggette a sanzioni efficaci.
Ma perché un fatto acquisisca la valenza di problema sociale occorre che sia visibile
e riconosciuto come tale. Le molestie sessuali hanno ricevuto attenzione reale nel
momento in cui sono stati definiti come molesti dei comportamenti che in passato
non erano definiti così. Quel che un tempo era ritenuto come un prezzo naturale ed
inevitabile da pagare da parte delle donne oggi è detto molestia e riconosciuto sulla
scena sociale.“Ciò che ieri veniva vissuto dalle donne con disagio, a volte
necessariamente dissimulato , oggi acquisisce il valore di un’impropria , offensiva e
oltraggiosa prevaricazione che il soggetto maschile esercita nei confronti delle
donne, oppure esercita nei confronti di soggetti del proprio genere. (C. Ventimiglia,
2003).
Nel 1998 è stato approvato in Italia il DDl.1286 del 23 Aprile, ovvero: “Norme per la
tutela della dignità e libertà della persona che lavora, contro le molestie sessuali nei
luoghi di lavoro”.
Gli ambienti di lavoro sono quelli in cui si registrano maggiormente comportamenti
sessualmente molesti.
La Commissione della Comunità Europea sulla tutela delle donne e degli uomini sul
lavoro (1991) ha recepito le indicazioni concettuali fornite dal Rapporto di Michael
Rubenstein del 1987, e ha introdotto il concetto di non gradimento di determinati
comportamenti e di indesiderabilità da parte di coloro che sono le vittime. Tale
Rapporto ha introdotto anche il concetto di intenzionalità dell’autore dei
comportamenti molesti.
Anche per quanto riguarda il mobbing il riconoscimento e la trattazione di questo
problema è andata di pari passi con i processi di civilizzazione e della modificazione
della soglia di tolleranza dinanzi a determinati fatti.
In Italia risale al 1999 una sentenza che è stata la prima di risarcimento per danno
biologico da mobbing. Molestie sessuali e mobbing non coincidono. Le molestie
infatti possono anche avere carattere di estemporaneità, il mobbing richiede, invece,
tra le altre, la caratteristica di continuità nel tempo e di perseveranza in un
determinato periodo; inoltre la molestia sessuale riguarda essenzialmente i due
generi, il mobbing, invece, può avvenire anche tra soggetti dello stesso genere.
La letteratura scientifica considera Il mobbing come quadro d’insieme caratterizzato
dall’intenzionalità di colpire il lavoratore nel tentativo di renderlo incapace di reagire.
Il mobbing è un fenomeno relazionale patologico che si realizza nei contesti
lavorativi organizzati. Presuppone la presenza di almeno due persone nel ruolo di
attori (mobber e mobizzato) e di altre in quello di spettatori. Si manifesta con la
messa in atto di precisi comportamenti vessatori e persecutori da parte di una o più
persone ai danni di una o più persone. Le vessazioni continue sono guidate dalla
spinta di disfarsi o di screditare la vittima distruggendone l’autostima.
Il mobbing produce nella vittima un danno che può essere lavorativo, sociale
esistenziale e biologico, oltreché comportare l’estromissione dal contesto lavorativo
in cui opera il soggetto.
Il mobber coglie le debolezze psicologica della vittima, organizza e attua un piano, e
la chiude dentro una rete invischiante , che ne rende difficile la lucidità e la possibilità
di reagire.
Per osservare e trattare tali vessazioni Il C.C.N.L. comparto Sanità personale non
dirigente, ha previsto l'istituzione, all'interno di ogni Azienda o Ente, di appositi
Comitati paritetici per le Pari Opportunità e sul Fenomeno del Mobbing quali
organismi di rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori, allo scopo di prevenire
e di rimuovere ogni forma di discriminazione e di promuovere l'effettiva parità tra
tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, di tutelarne la salute, la dignità e la
professionalità e di garantire un ambiente di lavoro sicuro, sereno, orientato alle
relazioni interpersonali e fondato su principi di solidarietà trasparenza, cooperazione
e rispetto.
BIBLIOGRAFIA
C. Ventimiglia “Disparità e disuguaglianze. Molestie sessuali, mobbing e dintorni”
(2003) Franco Angeli
2.6 Stereotipi di genere
Lo stereotipo è la tendenza cognitiva a categorizzare per semplificare il mondo. Gli
stereotipi sono un background comune che può servire come punto di riferimento
nella comunicazione ed influenzare la nostra identità sociale.
Essi sono negativi in quanto associati a:
1
Distanza dalla realtà
2
Fissità, rigidità
3
Incapacità di accettare le differenze
Infatti, l termine stereotipo deriva dal greco stereos = rigido e tupos = impronta.
Gli stereotipi di genere sono“Immagini e rappresentazioni comuni e semplificate
della realtà trasmesse socialmente, che influenzano il pensiero collettivo, le
convinzioni e le idee di un determinato gruppo sociale rispetto all’essere uomo e
all’essere donna” [Ruspini, 2003].
Nei secoli gli stereotipi legati al sesso femminile sono stati numerosi. A partire
dall’ambito religioso: pensiamo all’ interpretazione patriarcale del ruolo femminile nel
Vecchio testamento.
Durante il Medioevo la donna è stata associata a diversi stereotipi legati alla
stregoneria e alla superstizione.
Nel tempo la donna è stata ingabbiata in definizioni come: essere inferiore, limitata
verso determinate prestazioni, angelo del focolare, dotata di emotività eccessiva,
incapace di assumere responsabilità nel lavor, ecc.. Oggi un altro stereotipo è quello
della donna /corpo, utilizzabile come prodotto commerciabile.
Pur esistendo le differenze tra uomini e donne, nessuno studioso oggi può pensare
che vi siano influenze unicamente biologiche o unicamente sociali sullo sviluppo
dell’identità di una persona, e quindi anche della sua identità di genere sessuale .
La strategia utile per garantire a tutti la vera parità di opportunità appare non la
negazione o l’annullamento delle differenze, ma il loro riconoscimento e la loro
valorizzazione, all’interno di condizioni sociali e culturali che non penalizzino le
differenze stesse.
Sarebbe importante riuscire a mischiare in modo intelligente e fantasioso, da ambo
le parti, gli interessi in apparenza separati e trasferirli in ambedue i campi con spirito
di reciprocità, per ammettere che gli stereotipi trovino la strada per scomparire (S.
Ulivieri, 1992)
BIBLIOGRAFIA
Educazione e ruolo femminile. La condizione delle donne in Italia dal dopoguerra a
oggi. (1992) A cura di Simonetta Ulivieri. Contributi di A. Bertondini, F.Bimbi, F.
Cambi, G. Campani, C. Covato, A. galoppini, A. Porcheddu, F. Pristinger, S.Ulivieri
Ruspini, E.(2003) Le identità di genere, Carocci, Roma
All.