Assistenza sotto accusa

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Assistenza sotto accusa
(fonte Redattore Sociale 08/01/2013)
A Prato l’ultima tragedia con protagonista un’assistente familiare straniera con disagio
psichico. Maioni (Acli Colf): “Bisogna interrogarsi sui ritmi di lavoro a cui sono sottoposte
queste donne e sulle famiglie che le lasciano sole”
"Non abbandonare le badanti sotto stress"
A Prato l’ultima tragedia con protagonista un’assistente familiare straniera con disagio psichico.
Maioni (Acli Colf): “Bisogna interrogarsi sui ritmi di lavoro a cui sono sottoposte queste donne e
sulle famiglie che le lasciano sole”
ROMA – Assistenti familiari e badanti lasciate sole con gli anziani, esposte a stress elevato per
guadagnare qualcosa in più, ma che troppo spesso finiscono per tagliare i ponti con famigliari e
amici. È questo, secondo Raffaella Maioni, responsabile nazionale di Acli Colf, il contesto in cui si
trovano diverse badanti e assistenti famigliari che in alcuni determina situazioni problematiche,
dagli esiti anche drammatici, come nel caso della 24enne georgiana che ha confessato l’omicidio
dell’anziana che accudiva a Prato, tagliandole la gola in un raptus di follia. Ultimo episodio di una
serie di tragedie simili. “Il caso in questione è particolare. Secondo quanto si apprende dalla stampa
la ragazza aveva già dei problemi in quanto secondo un’amica aveva già tentato un suicidio. Ma la
vicenda deve farci interrogare sull’assistenza famigliare – spiega Maioni -, sui ritmi di lavoro molto
stressanti e sulle lavoratrici che restano in casa sole senza riuscire ad avere qualcuno con cui
parlare, con cui confrontarsi”.
Solitudine e stress che per Maioni sono maggiormente diffuse quando non c’è un rapporto stretto
con la famiglia dell’assistito e che in alcuni casi possono comportare anche disturbi psichici.
“Alcune ricerche segnalano casi di burn-out (esito patologico da stress che riguarda chi esercita
professioni d'aiuto, ndr) di assistenti famigliari in Italia che ritornando in patria sono state accolte in
centri dove fanno percorsi di recupero. La chiamano “sindrome Italia” legata al fenomeno del
lavoro domestico in situazioni di alto stress. Si tratta di persone che non riescono a gestire la parte
emotiva e il rapporto di lavoro. Per questo la formazione nel settore del lavoro domestico è molto
importante, per capire che ci sono delle tecniche per riuscire a gestire anche patologie più gravi e
situazioni di lavoro difficili”.
Lavoratrici sotto stress che però non hanno servizi di riferimento a cui rivolgersi. “Non ci sono dei
servizi sociali per gli assistenti famigliari – spiega Maioni -. Sarebbe utile cercare di rapportarsi con
i servizi sociali sul territorio, chiedere aiuto anche ai medici di base nei momenti in cui non si riesce
a gestire l’anziano e poi avere rapporti con la famiglia. Ci sono infine le associazioni come la
nostra, che cercano di dare un supporto”. Tuttavia, per Maioni, la prima regola da rispettare per
evitare situazioni di stress e affaticamento è quella di non lasciare soli gli anziani con le lavoratrici.
“Non si può delegare totalmente la cura ad un'altra persona – aggiunge -. Bisogna seguire il
rapporto di lavoro e fare in modo che la lavoratrice sia nella rete dei servizi socio-sanitari, che abbia
rapporto con i servizi sociali o col medico”. Un insieme di accortezze che vanno precedute da una
riflessione sui bisogni della famiglia e sul livello di gravità dell’assistito, in base ai quali cercare
una persona che abbia una professionalità che corrisponda alle necessità. “Non c’è un vincolo che
permetta di assumere solo persone formate – conclude -, però si può chiedere al lavoratore o
all’ente terzo un curriculum che risponda ai propri bisogni”.
Badanti sotto stress: le frustrazioni per un lavoro non gratificante
Todeschini (Anolf): “L’assistenza familiare è un assurdo tutto italiano. Occorre far emergere
appieno questo servizio e migliorare la professionalità”
MILANO – Un assurdo tutto italiano l'assistenza domiciliare: "Quando ne parlo all'estero, la
reazione è sempre di meraviglia", dice Lorenzo Todeschini presidente dell'Anolf Lombardia della
Cisl (Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere). "Abbiamo creato questo sistema perché non
esiste altro, il settore pubblico non è sufficiente", aggiunge. Per quanto sia un lavoro difficile,
spesso è svolto da persone che non hanno una preparazione adeguata: "La maggior parte dei corsi
viene fatta dai Comuni – continua Todeschini – mentre chi si specializza lo fa attraverso corsi socio
assistenziali". E con l'obiettivo di entrare in ospedali o in residenze per anziani, piuttosto che restare
a casa. Così l'assistenza a domicilio è solo "per gli ultimi arrivati".
Il lavoro è malpagato, poco riconosciuto e spesso in nero: il 62% degli 1,5 milioni di assistenti
domestici italiani, secondo l'indagine Censis del 2010. Così, il più delle volte si sceglie un badante
solo per risparmiare. "L'unica soluzione è far emergere appieno questo servizio, che ormai è
arrivato a sostituire il vuoto delle istituzioni", precisa Todeschini. Meno la professionalità è
riconosciuta, più cresce la frustrazione per un lavoro spesso poco gratificante: "Bisogna investire
per migliorare i rapporti di lavoro, garantire ai badanti i turni di riposo e una paga adeguata",
aggiunge Todeschini. Al momento, invece, il badante resta solo la professione attraverso cui
accedere alle sanatorie per irregolari, come capitato anche nell'ottobre 2012: "Anche quella
sanatoria ha riguardato solo una minima percentuale di chi effettivamente passa tutto il giorno ad
assistere gli anziani".
Disturbi psichici tra le “badanti”: pesano lontananza dalla famiglia e carichi di lavoro
Parla Ilaria Tarricone, coordinatrice del Centro di ricerca di psichiatria transculturale e della
migrazione G. Devereux dell’Università di Bologna: "Ma le migranti hanno personalità più forti
del normale. Non esiste un 'problema badanti'"
BOLOGNA. Lontananza dalla famiglia, carichi di lavoro troppo pesanti che creano condizioni di
stress, e annullamento della propria personalità in favore di un’attenzione totale nei confronti delle
persone per cui lavorano. Sono queste, secondo Ilaria Tarricone, coordinatrice del Centro di
psichiatria transculturale e della migrazione “Georges Devereux” dell’Università di Bologna, le
cause maggiori di disturbi psicologici tra le donne migranti che in Italia svolgono lavori da
“badante”. Però, sottolinea Tarricone, “questi casi sono molto rari al nostro Centro di salute
mentale, anche perché tendenzialmente i migranti sono persone con caratteristiche di personalità
forti e capaci di reggere maggiormente le pressioni rispetto ai ‘nativi’”.
Tuttavia, “è chiaro che si tratta di persone più soggette a condizioni avverse”, e ciò può alla lunga
contribuire a creare condizioni di stress. Tra queste cause o tra la somma di esse, dunque, andrebbe
forse ricercata quella “scintilla scatenante”, che talvolta porta le “badanti” ad esplosioni di rabbia
inaudita, come nell’ultimo caso di cronaca nera: Natia Tatarashvili, una ragazza georgiana di 24
anni, ha accoltellato ed ucciso una signora di 90 anni per cui lavorava a Prato, spiegando che il suo
gesto era dovuto alle continue critiche che le rivolgeva l’anziana.
“Ogni caso è diverso dall’altro - commenta però Tarricone - e bisogna anche verificare se la ragazza
accusava davvero disturbi psichici e dovuti a che cosa”. E’ “certamente vero che ci sono condizioni
comuni a questo tipo di persone che possono influire sulla personalità”, ma “i casi sono talmente
pochi rispetto al numero di migranti che lavorano in Italia che non si può certo parlare di un
‘problema sociale’”. Al Centro Devereux, Tarricone si occupa di ricerca e nei suoi studi ha potuto
constatare quanto le badanti siano “accomunabili ai migranti uomini, perché di solito sono soggetti
di ‘prima migrazione’, ovvero le prime della famiglia a lasciare il paese di origine per trasferirsi
all’estero”. Questo le rende “responsabili per se stesse e per il resto della famiglia, che spesso
aspetta i soldi a casa”. Così come per gli uomini, anche per le migranti “i primi disturbi cominciano
a svilupparsi dopo diverso tempo che risiedono in Italia”, si parla “mediamente di circa sette anni”.
Potrebbe darsi, dunque, che “il carico di lavoro e di responsabilità alla lunga possano sviluppare
quadri depressivi di disadattamento”. Tuttavia le cause “vanno sempre ricercate nella storia del
disturbo e del paziente: i richiedenti asilo politico, ad esempio, spesso hanno sofferto traumi che
possono indurre il soggetto a sviluppare dei disturbi psichici”. La coordinatrice del Centro
Devereux porta ad esempio anche un altro caso: “Esiste un problema relativo alla permanenza nei
centri di detenzione temporanea- sostiene- permanenza che spesso può causare o aggiungersi a
disturbi già presenti, raggiungendo livelli insostenibili per i pazienti”. Per questo “bisogna lavorare
su tutti indiscriminatamente e non solo su chi ha il permesso di soggiorno”. Anche perché nei casi
più estremi “si possono sviluppare alterazioni della sfera psicotica, con perdita dei confini della
propria persona e del mondo interno o esterno”. Ecco, questi casi possono sfociare in episodi simili
a quello di Prato.
Sulla questione interviene anche Domenico Berardi, che coordina l’attività clinica del Centro
Devereux: “Ogni migrante ha un’esperienza personale diversa, con provenienze geografiche
differenti”. Le migranti provenienti dall’Est, ad esempio, “soffrono meno di problemi di
adattamento rispetto a quelli provenienti dal Nord Africa - spiega Berardi - perché le differenze con
il loro paese di origine non sono così tante”. E’ invece “più frequente una sorta di annullamento
della propria personalità, perché queste donne sono totalmente concentrate ed immerse nella vita di
coloro che seguono e per cui lavorano”. Ma, ribadiscono in conclusione sia Tarricone che Berardi,
“stiamo parlando di un numero di casi ridottissimo”. (Giovanni Baiano)
Badanti sotto stress: "Serve una rete contro la loro solitudine"
Il ricercatore Sergio Pasquinelli (Irs) commenta gli ultimi casi di omidici di anziani ad opera
delle loro assistenti straniere. "Gli sportelli che mettono a contatto domanda e offerta di aiuto
familiare sono una prima sentinella”
MILANO – Le radici della violenza che le badanti riversano sugli anziani si nascondono nella
solitudine e nel senso dell'abbandono che esse vivono. Ecco la chiave secondo Sergio Pasquinelli,
ricercatore dell'Irs per leggere i casi che negli ultimi mesi hanno visto assistenti familiari straniere
protagoniste di delitti e portatrici di chiari disagi psichici. Una ucraina a Ravenna nel marzo 2011,
un’altra a Seregno nel maggio 2012, fino all’ultimo l'omicidio di Cleofe Nizza, 91enne uccisa in
provincia di Prato dalla sua assistente, Natia Tatarashvili, georgiana di 24 anni. "Questi episodi
sono la conferma che c'è bisogno di luoghi dove le badanti possano incontrarsi e parlare, luoghi di
mutuo aiuto per combattere la solitudine", spiega Pasquinelli.
La convivenza con l'anziano si aggiunge a una situazione affettiva già pesante per le badanti:
"Hanno una rete di relazioni a distanza con figli e genitori difficile da mantenere – aggiunge il
ricercatore -. Certe situazioni di maggiore fragilità possono diventare esplosive: senso di abbandono
e senso di colpa e frustrazione per la famiglia distante compongono già un quadro emotivamente
difficile". È qui che nasce la rabbia che si manifesta poi in raptus improvvisi. La situazione è
talmente pesante da spingere le lavoratrici a cercare, il più delle volte, un lavoro da infermiere e in
ospedali e residenze per anziani, piuttosto che continuare con l'assistenza a domicilio. "La direzione
in cui muoversi è quella che punta a creare una filiera di tutte queste diverse forme di assistenza",
prosegue il ricercatore. Al momento, però, non esistono nemmeno gli standard per capire quali sono
le competenze di un'assistente familiare: "Il fai-da-te è totale: ci sono regioni più attente come
Puglia e Emilia-Romagna, dove esiste un albo di assistenti accreditate, ma a livello nazionale è il
vuoto totale", aggiunge Pasquinelli. Senza contare che quest'assenza di merito priva le badanti del
riconoscimento per il proprio lavoro.
La risposta alla solitudine e al mancato riconoscimento della propria professionalità non può che
essere la creazione di reti che possano sostenere le badanti, che ricreino un tessuto sociale: "Gli
sportelli con cui si mettono a contatto domanda e offerta di assistenza familiare sono una prima
sentinella. Servono a monitorare le esigenze". L'ultimo progetto di questo genere è partito proprio in
questi giorni e coinvolge l'area dell'alto milanese. I dettagli sono ancora da stabilire, ma a metà
2013 si avvierà una fase sperimentale in cui verranno creati degli spazi per gruppi di muto aiuto per
badanti. (lb)
L’assistenza ai disabili gravi e il timore di affidarsi a una "badante"
Marina Cometto, madre di una donna affetta da sindrome di Rett e animatrice
dell’associazione Claudia Bottigelli. "Un’assistenza di questo genere andrebbe pagata
adeguatamente, non con una paga oraria di 6 euro"
ROMA – “Come madre sono consapevole dell’impegno che richiede l’assistenza di Claudia. Per
questo mi si affacciano mille interrogativi e il pensiero di una badante mi spaventa molto”. Marina
Cometto è la mamma di Claudia, una donna di quasi 40 anni che soffre di una rara e grave malattia,
da poco definita come Sindrome di Rett. Ad occuparsi di Claudia sono oggi soprattutto la mamma e
il papà, ma “noi stiamo diventando anziani – spiega Marina - e la questione ‘badante’sta diventando
un tema quasi quotidiano tra di noi. Il nostro Comune – continua Marina - prevede per i casi gravi
come Claudia fino a 1.350 euro al mese per l’assegno di cura e quindi l’assunzione di una badante o
assistente familiare. Certo sarebbe un grande e bell’aiuto: Claudia deve essere spostata decine di
volte al giorno dal letto alla carrozzina, fatta camminare con il deambulatore, aspirata per liberarle
le vie respiratorie. Un’assistenza di questo genere andrebbe pagata adeguatamente, non con una
paga oraria di 6 euro. E poi Claudia non parla, non sa spiegare o raccontare, non è in grado di
difendersi, potrebbe subire qualsiasi cosa senza che noi possiamo esserne informati: tutto questo mi
fa paura”.
Ad alimentare i suoi timori ci sono le storie e le esperienze delle numerose mamme di ragazzi
disabili che Claudia, come presidente dell’associazione Claudia Bottigelli e animatrice di numerosi
gruppi Facebook, ha raccolto in questi anni: “Una mamma di Roma, per conservare il posto di
lavoro, si era trovata costretta ad assumere una badante a cui lasciare la figlia di 10 anni – racconta Un giorno, aveva dimenticato qualcosa a casa. E tornata indietro e dal pianerottolo ha sentito le
grida della badante che inveiva contro la figlia, chiamandola ‘handicappata di merda’. Ha preso la
donna per un braccio e l'ha sbattuta fuori di casa”. Per avere maggiori garanzie rispetto alle qualità
professionali e umane degli assistenti, ci sarebbero le cooperative convenzionate con il Comune,
che hanno personale assunto per il compito di assistenza. Ma neanche loro, secondo Cometto, “sono
in grado di offrire garanzie sufficienti. Le badanti (o i badanti) sono pagati 4-5 euro l’ora, spesso
non hanno alcuna competenza o preparazione nell’assistenza di persone con grave e gravissima
disabilità e fanno in alcuni casi turni massacranti. Tempo fa a una famiglia era stato assegnato un
badante di notte, per assistere la bambina che aveva crisi respiratorie. Una volta la mamma,
tornando dal lavoro la mattina, ha trovato il badante che dormiva e la bambina sveglia, che non
riusciva a respirare. Il badante si scusò dicendo che lavorava anche tutto il giorno: la stanchezza
aveva preso il sopravvento”.
Tra maltrattamenti e inadeguatezza professionale, “noi abbiamo scelto di continuare a sollecitare la
nostra forza fisica e mentale per curare Claudia personalmente, come meglio possiamo fare. Perché
il sistema dell’assistenza migliori e riconquisti la fiducia delle famiglie, ci vorrebbero maggiori
controlli, anche installando telecamere sia nelle abitazioni privare che nelle case di cura o comunità.
Servirebbero poi veri corso di formazione, come pure paghe adeguate all’impegno e all’orario di
lavoro. L’umanità, invece, possiamo misurarla solo con la conoscenza diretta, con l’osservazione,
con il tempo e affidandoci al nostro istinto. Io al momento non ho ancora incontrato una persona di
fronte alla quale mi sento di dire: ‘ecco, questo può essere il futuro di Claudia’”. (cl)