ITALIA-ROMANIA: IN VIAGGIO CON LE BADANTI Mentre preparavo
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ITALIA-ROMANIA: IN VIAGGIO CON LE BADANTI Mentre preparavo
ITALIA-ROMANIA: IN VIAGGIO CON LE BADANTI Mentre preparavo l’intervento per questo incontro, mi sono chiesta, parlando anche con un gruppo di amiche, cosa hanno a che fare delle giovani e dei giovani studenti con il problema, le storie delle badanti. Sicuramente il fenomeno non è al centro dei loro pensieri, anche per quelle/i che hanno nonni o parenti anziani e disabili accuditi da badanti, appunto. È stato così anche per le mie figlie quando mia madre, vecchia e psicotica, era supportata da Stani, una signora polacca che viveva con lei e poi con tutta la nostra famiglia. Le persone giovani non si accorgono del lavoro di cura che accompagna l’esistenza, la loro stessa esistenza. Essere qui, nutriti, lavati e stirati, in buona salute comporta un lavoro di cura che le/li accompagna dalla nascita e che permette loro di essere in vita, cosa sostanziale per ciascuno/a, e di esserlo con una certa dose di benessere nonostante l’età difficile, la fatica delle relazioni e dello studio. Questo lavoro di cura che organizza la vita delle persone è talmente indispensabile da risultare invisibile, quasi un dato di fatto, che si evidenzia solo per sottrazione, quando non c’è. Quando un bambino, un disabile o un vecchio vengono abbandonati, non accuditi in modo adeguato, un’intera famiglia che perde la figura di riferimento che organizza e produce tale servizio. L’organizzazione di una casa, la casa dove ciascuno di noi vive, è gestita in modo tale da permettere di sapere qual è il posto di ciascuna cosa, il famoso posto dei calzini e delle mutande, delle pentole e delle lenzuola. Chi sa dove sono gli strofinacci e le presine per non scottarsi? Determina orari per svolgere alcune funzioni, specie quelle comuni. L’orario della cena ad esempio. Insomma una casa non è un albergo, come diceva mia madre, si entra, si resta e si esce accordandosi (preferibilmente). Mi viene in mente un episodio accaduto qualche hanno fa, in estate. Dopo un viaggio, io e una mia amica siamo tornate in anticipo di un giorno e quando siamo entrate nella sua casa… Se non viene avvertito il lavoro, ancora meno è individuato, emerge, chi questo lavoro svolge. I soggetti accudenti sono anch’essi un dato di fatto, fanno parte dell’esistenza quotidiana. Ebbene chi predispone e fa il lavoro di cura in Italia, al 77% (purtroppo), sono le donne , insomma qui da noi non c’è ancora una vera condivisione del lavoro di cura e del lavoro domestico. La creazione del termine “badante” prova che è stato necessario inventare un nome per definire un lavoro retribuito che prima non esisteva. Un lavoro presente da poco meno di venti anni, prima non c’era. Esisteva invece come lavoro erogato gratuitamente dalle donne italiane. Trasferendolo alle migranti è entrato nel mercato del lavoro pagato. Insomma il mercato delle badanti, si è aperto con l’arrivo delle migranti. Il loro è un lavoro svolto in uno spazio che coincide con il luogo di abitazione, dove è assai labile il confine tra prestazione materiale -pulire, cucinare, lavare, stirare- e prestazione immateriale -affetti, relazioni, emozioni-, tra fatica fisica e psichica: le caratteristiche pervasivi e totalizzanti del lavoro di cura. La badante è l’esempio perfetto del trasferimento di accudimenti e affetti determinato dalle migrazioni femminili. Quel che viene importato qui, da noi, viene a mancare là, nei paesi d’origine. Con un effetto a catena, altre donne rimpiazzano il vuoto lasciato dalle migranti: le nonne si occupano dei bambini, le sorelle si prendono cura dei genitori. Una quota delle rimesse risarcisce di fatto questo lavoro sostitutivo. Quando Stani, la badante di mia madre è dovuta tornare in Polonia per tre mesi, è stata sostituita, qui a Lucca, dalla moglie del figlio che ha lasciato, a casa, alle sue cure i due figli piccoli di 4 e 6 anni. La badante immigrata è il perno del cosiddetto welfare dal basso sviluppatosi da oltre vent’anni in Italia, un paese familista, si regge sulle famiglie (e non spende un soldo per le famiglie) con scarsi servizi pubblici per l’assistenza agli anziani, dove una consistente fetta di questi ultimi possiede la casa in cui vive e percepisce una seppur minima pensione, integrata spesso da un assegno di invalidità e/o di accompagnamento. Questi fattori, incrociano un forte afflusso di migranti sole, e spiegano il successo del welfare fai da te lasciato alla gestione, nella completa solitudine, delle singole famiglie (due solitudini individuali e sociali si incontrano). Credo sia importante per tutte/i parlare delle badanti, del lavoro che svolgono e delle loro storie di vita. Permette loro di diventare visibili, di avere una voce e una narrazione da mettere in comune con le altre e gli altri. Di uscire dal privato e accedere alla scena pubblica in cui si manifesta visibilmente l’esistenza. L’irruzione delle donne delle pulizie nello spazio pubblico è sempre un’immagine forte. Nelle strade di New York, nel maggio 2011, le loro manifestazioni a margine di un’audizione giudiziaria nel quadro dell’affare Strauss-Kahn (uomo potente che aveva insidiato una cameriera) suscitò scalpore, tanto l’immagine di queste lavoratrici, domestiche e casalinghe, è necessariamente quella di donne isolate, di una presenza frantumata negli spazi alberghieri. Esse hanno oltrepassato una barriera. Quella delle mura della vita privata e intima, di una casa privata o di un hotel. Superare la frontiera tra privato e pubblico è un atto trasgressivo. Soprattutto è un atto che permette di mettersi a confronto, di poter parlare del fenomeno. Altrettanto importante sarebbe parlare del lavoro di cura non come questione di donne, di cui si dispone nel chiuso delle pareti domestiche, ma ridefinire il “prendersi cura di”, sottraendo il suo significato profondo all’esclusività femminile/materna e restituendolo come “valore culturale collettivo”. E’ infatti la relazione il centro di questo spazio allargato: come semplicemente costitutiva della vita, in opposizione all’isolamento, che è la sua negazione. Quindi interrogarsi sul cosa significa prendersi cura della comunità, dell’ambiente, a partire dal luogo in cui si vive, del lavoro. Avere caro il benessere proprio, nella scuola ad esempio, nei rapporti interpersonali, compreso l’amore, inserito nel benessere e nella libertà delle altre e degli altri. In questo modo forse, si riconoscerebbe valore alla cosa e si potrebbero superare gli aspetti servili della cura costruendo ruoli diversi. Dare alla relazione di impegno una sua positività, una carica energetica valida per tutti, attivabile anche dagli uomini e dalla società. Come qualcuna dice “Proviamo a immaginare una società basata sul principio della cura: di sé, degli altri, dell’ambiente. Il bilancio della Difesa usato non per le armi ma per strumenti di locomozione per disabili, case sicure e per tutti, treni efficienti e confortevoli, strade e auto che non uccidono, produzione alimentare sana, agricoltura pulita…” 25 settembre 2013 Casermetta San Colombano ore 11:00 Italia-Romania: in viaggio con le badanti Ascolto dell’audiodocumentario e tavola rotonda. Partecipanti: Flavia Piccinni - autrice dell’audiodocumentario Maria Ilaria Vietina - assessora Politiche Sociali e di Genere del Comune di Lucca Anna Maria Medri - La città delle donne