Multiculturalismo e pluralismo religioso fra illusione e realtà : un

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Multiculturalismo e pluralismo religioso fra illusione e realtà : un
multiculturalismo e pluralismo religioso
Introduzione.
Multiculturalità, pluralismo religioso, conflittualità.
Prospettive
Arnaldo Nesti
1. Sul titolo
L’enunciazione del titolo potrebbe indulgere a modi di pensare
– di agire, di dire – ambigui, per cui, fra l’altro:
1. le culture sarebbero come qualcosa di definito che si concretizza in individui che ne divengono così rappresentanti
e portatori;
2. esisterebbe una omogeneità fra lingua, cultura, etnia e religione.
Il tema indubbiamente è arduo, complesso e si presta a non pochi equivoci. Mi riferisco in particolare alla tesi per cui pluralismo e
multiculturalismo sono subordinate al fatto che alla civiltà occidentale deve essere riconosciuta la superiorità rispetto alle espressioni
degli altri popoli del pianeta. Anzi l’unica via per salvare l’umanità in
pericolo sia la riscossa dell’Occidente che è minacciato. In particolare mi riferisco alla tesi per cui il pluralismo, se non viene salvaguardata “la vera religione” cioè la verità assoluta porterebbe al relativismo
che è il principale pericolo che minacciala libertà di religione.
*
I contributi del presente volume nascono dalla rielaborazione e dall’ampliamento degli interventi tenuti alla XII International Summer School on Religions
(San Gimignano, 27-31 Agosto 2005), organizzata dal CISRECO (Centro Internazionalle di Studi sul Religioso Contemporaneo) con la collaborazione della UAM
(Universitad Autonoma Metropolitana di Città di Messico) e la Cattedra di Ricerca
“Ernesto De Martino” della UAM.
Multiculturalismo e pluralismo religioso fra illusione e realtà: un altro mondo è possibile?,
A. Nesti (a cura di), ISBN 88-8453-477-1
© 2006 Firenze University Press
arnaldo nesti
In via preliminare viene in mente quanto scrisse Voltaire
in una sua lettera dall’Inghilterra: “Mettete una sola religione in
uno Stato e ci sarà il dispotismo. Mettetene due e ci sarà la guerra civile. Mettetene molte e tutti vivranno felici e in armonia”.
L’antirelativismo, in genere riduce le possibilità ad una e non consente varianti. Tale atteggiamento se spinto troppo avanti, finisce
per tradursi in fanatismo. Non è male ricordare che “La natura
degli uomini è identica, a dividerli sono i loro costumi”scriveva
Confucio. I costumi come dice la parola sono abiti, come lo sono
le abitudini che appunto non sono innate nella natura umana, ma
indotte e pertanto variabili. Cercare la natura dell’uomo e un’operazione “relativista”, lottare contro la sua diversità significa fermarsi
alla superficie. “Noi siamo qui, osserva il poeta senegalese A. Diop,
per affermare solennemente il nostro diritto e la nostra volontà di
condividere con gli altri la responsabilità della cultura universale e
l’universale, per sua natura non può che essere la sintesi della nostra qualità nella diversità” e non contro la diversità.
A noi preme invece sottolineare, in modo forte, al riguardo che
la storia degli uomini e delle culture è caratterizzata dal movimento
e della creazione di reti e intrecci tra persone provenienti da contesti
geografici diversi. Il dovere essenziale della politica in una società
moderna è quello di contrastare tutte le discriminazioni. Di queste
discriminazioni il razzismo e la xenofobia sono le più odiose e aberranti. L’”integralismo” mira a costringere una società, dalla persona
singola ad arrivare allo Stato, ad adottare valori che discendono non
dal consenso democratico ma da una visione rigorista e moralista
della religione. Al centro di questa minaccia, va detto, stanno in particolare i diritti delle donne. È necessario misurarsi con una memoria
plurale per saper leggere la complessità di contesti anche se spesso vengono ideologicamente ridotti ad entità monolitiche, statiche
ed omogenee. Per esemplificare: si pensi al medioevo con gli arabi
che interpretano il ruolo di mediatori culturali facendo del Sud del
Mediterraneo una “piattaforma girevole” di collegamento fra diverse aree geografiche. Il Rinascimento europeo non è leggibile senza
le sue progressive inclusioni di popolazioni di altri continenti che ha
inaugurato “il sistema-mondo” con il quale ci confrontiamo ancora
oggi. Quindi, e sarà detto in modi diversi, le culture sono fluide e
gli individui devono interpretare attivamente le loro tradizioni rinnovandole, per poter comprendere e gestire i cambiamenti che le
relazioni con gli altri inevitabilmente comportano.
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In modo provocatorio mi piace citare quanto dice di sé
Moni Ovadia:
L’origine di un uomo non è genealogica. È la ricerca dei pezzi
di straniero che hanno fatto la sua identità. E quindi io posso
ritrovare nel mondo yiddish l’humus slavo che l’ha fertilizzato
e che mi appartiene. Questa ricerca è tipica della mia gente.
Chi trova dolce la sua patria è un tenero dilettante. Chi trova
dolci tutte le patrie si è già avviato sulla strada giusta. Ma solo
è perfetto chi si sente straniero in ogni luogo.
Il multiculturalismo afferma che persone di radici diverse possono coesistere e guardare al di là delle frontiere di razza, lingua,
sesso ed età. Per Habermas, società multiculturali come gli Usa
e la Svizzera dimostrano che non c’è bisogno di ricorrere ad una
origine etnica, linguistica e culturale comune a tutti. Negli ultimi
tempi, però, l’Occidente si è venuto a trovare con l’accentuarsi dei nuovi processi migratori, fra integrazione e conflitto. Si
sono delineati nuovi fondamentalismi politici e religiosi stanno
minacciando il nuovo confronto fra culture diverse. Da un lato
il volto della paura, dall’altro il valore della tolleranza e del rispetto. Quali gli esiti prevedibili? In un recente saggio Ulrick
Beck (Lo sguardo cosmopolita, Roma, Carocci, 2005) osserva che
“il multiculturalismo consiste in una strategia di approccio sociale all’alterità che, sia in termini teorici che in termini politici,
insedia nello spirito nazionale il rispetto delle differenze culturali. Ne deriva una contraddizione: un’omogeneità nazionale viene nello
stesso tempo presupposta e combattuta. In breve, il multiculturalismo
celebra ed enfatizza entusiasticamente l’approccio sociale alla
pluralità, ma gli manca il realismo cosmopolita. Esso accetta la
distinzione nazionale-internazionale, sicché gli sfuggono le contingenze e le ambivalenze nell’approccio sociale alla differenza,
al di là dell’alternativa tra assimilazione e integrazione. Qualcuno
ha detto che il multiculturalismo equivale all’idea da anime belle
che “il gatto, il topo e il cane mangino nella stessa ciotola”. Che
possibilità abbiamo di creare nelle nostre città forme di vita che
siano condivise, ricche e giuste che garantiscano a tutti pieni
diritti di cittadinanza democratica e di partecipazione sulla base
dell’eguaglianza, rispettando le differenze che intervengono naturalmente quando persone diverse, religioni, culture, tradizioni
obbligano a vivere in uno spazio condiviso? In effetti, il multi-
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culturalismo può avere un senso solo se favorisce la pace sociale,
grazie al controllo esercitato dai leaders comunitari sui fedeli,
inculcando loro valori peculiari ma sempre di natura da favorire
la sottomissione all’ordine globale.
2. Parlare di multiculturalismo significa parlare di pluralismo religioso
Indubbiamente più che un fatto è un miraggio, un impegno ed
esige una complessa riflessione. La prima cosa comunque da cui
mettere in guardia è la tentazione eurocentrica, un approccio che
rende immune da colpe l’Occidente cristiano. Ciò che Woytyla era
riuscito, con grande fatica, a fare nella basilica vaticana con i mea
culpa del Giubileo, Benedetto XVI lo ha fatto a Colonia, nell’agosto
del 2005. Il pontefice ha evocato nella sinagoga i misfatti antiebraici dei cristiani e ha usato parole di fuoco sulle guerre organizzate
dalla cristianità contro l’Islam, “quasi che combattere il nemico e uccidere
l’avversario potesse essere cosa gradita a Dio. Il ricordo di questi tristi
eventi dovrebbe riempirci di vergogna ben sapendo quali atrocità
siano state commesse nel nome della religione”. Invitando a trarre
lezione dalla storia, ha invitato al rispetto della dignità della differenza, dello spazio da riconoscere all’identità dell’altro, dunque
all’impegno per la libertà religiosa e per il rispetto delle minoranze,
ricostruendo la cultura dell’accoglienza. Non c’è spazio nell’orizzonte del pontefice per nostalgie di crociata, per cedimenti all’idea
di uno “scontro di civiltà”, per gesti e parole in sintonia con le ricorrenti campagne xenofobe.
Si è ben lontani da frasi che affiorano e sono affiorate anche
sulla bocca del singolare “neocon” prof. Pera per cui siamo tutti in
“una guerra”e l’Occidente rivestito di paramenti cristiani possiede
la missione di esportare il proprio modello di società. Non intendo qui polemizzare con i manifesti per un Occidente indipendente e sovrano, per armare l’Europa a fianco degli Usa di identità,
orgoglio, valori, radici, ogni cosa brandita come una spada, per
riaffermare il valore superiore e assoluto della nostra cultura. È
opportuno subito distinguere, fra fede e cultura, fra cristianesimo
e Occidente, fra radici e fenomeno occidentale. Perchè poi parlare di debolezza morale dell’Occidente? Altro è la forza del sacro,
del sublime, altro è la chiesa cattolica e le altre chiese cristiane. È
comunque in questo contesto che è nato e si è prodotto, non lo si
dimentichi, Auschwitz.
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Comunque la battaglia secolare per l’autodeterminazione
dell’individuo, la storia della liberazione della mente umana dalle
tutele esterne presenta caratteri direi quasi sacri. Questo suo saper
vivere della propria facoltà di autocritica è indubbiamente una
forza della civiltà occidentale.
Alzando alte lamentazioni contro il multiculturalismo e
il pluralismo, che sono associati al relativismo e al meticciato
culturale, purtroppo non mancano posizioni catastrofiste come
quelle di un ex redattore dell’Avvenire che scrive: “Tutta la mia
modesta scrittura tende a mostrare che dietro la storia e la politica
c’è una metastoria, una ‘storia sacra’ in svolgimento, e che questa
storia ha come centro gli ebrei: il popolo che avendo rifiutato
il Cristo sta abbracciando – tremo nel dirlo – l’Anticristo del
potere, dell’inganno e della violenza, per il dominio su ‘questo’
mondo”. Ben altra è la posizione di ebrei nomadi quali il già
citato Moni Ovadia che osserva sullo stato di Israele ӏ il caso
più straordinario di ricomposizione dell’infranto che si sia mai
visto nella storia dell’uomo. Ma Israele è rimasto intrappolato
in una logica di potenza. È voluto tornare agli eserciti di David,
rimuovendo i duemila anni di esilio nel deserto. Ha dimenticato
la Sukkah, la capanna misera del Sinai dove è nato il pensiero
moderno. Levitico 25, versetto 23: “le terre non si venderanno
per sempre, perché la terra è di Dio”. Nella Torah sta scritto che
la Terra Promessa non è dell’uomo, quindi la dividerai con lo
straniero che amerai come te stesso”.
3. Nel pluriverso religioso
Ritengo comunque destinata al fallimento l’aspirazione dell’attuale establishment iraniano a dotarsi di armamenti nucleari con
l’esplicita minaccia di “cancellare” Israele dalla carta geografica. A
distanza di molti anni è opportuno citare Samuel P. Hunghtington
per il quale ”Fino a che l’Islam resterà l’Islam e l’Occidente resterà
Occidente il conflitto di fondo tra le due grandi civiltà e stili di vita
continuerà”. Come leggere allora “la guerra teocratica” nel seno
dell’Europa? La tendenza a vedere i musulmani occidentali come
un gruppo compatto e chiuso in se stesso si fonda su un errore di
Lo scontro delle civiltà, Milano 1996.
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valutazione. L’idea che in Europa possa esistere una cultura musulmano pura, incontaminata e immune dai valori occidentali è solo
una proiezione astratta e nostalgica. Di fatto i musulmani, gli oltre
20 milioni di immigrati musulmani, in molti casi, sentono la mancanza di uno sforzo delle società in cui vivono per dare a loro e ai
loro figli le stesse opportunità di formazione e di lavoro di cui fruisce la maggioranza dei cittadini. Come riuscire ad attivare segnali
che li facciano sentire accettati e necessari? Come ben osserva T.
Todorov: “Bisogna cominciare col dominare la propria tradizione: non ci
sono strade che conducono all’universale senza passare per il particolare. L’obiettivo dell’educazione umanistica e liberale è dunque
dei più ambiziosi: formare spiriti aperti, tolleranti e critici al tempo
stesso. Per arrivare al necessario spaesamento, bisogna imparare a
staccarsi da se stessi, a distanziarsi dalle proprie abitudini a vederli
come dall’esterno”.
In queste pagine sono raccolti molti i contributi specifici
su queste tematiche. A noi preme sottolineare che in un tempo
di secolarizzazione e di pluralismo stiamo andando al di là del
monoteismo culturale. È cambiata la stessa qualità della secolarizzazione. Non si tratta più di una disaffezione nei confronti
del fatto religioso, ma di una pluralità di atteggiamenti dentro e
fuori le istituzioni del religious factor. Di fatto non viviamo più in
un universo ma in un pluriverso religioso. Proprio il pensiero
del ’900 ha riaperto la possibilità di interrogarsi sui limiti umani.
L’uomo è e rimane un mendicante di senso. Ad una lettura attenta, dunque, le questioni in oggetto non sono affatto pacifiche e
destinate a situarci in un mare tranquillo. Per quanto riguarda la
rivendicazione delle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente,
innanzitutto si è di fronte ad un processo in cui l’informatizzazione,
la libera circolazione dei capitali e di nuovi strumenti finanziari, travalicano le vecchie e le nuove frontiere, ed in particolare le emigrazioni
di massa sono destinate, fra l’altro, a non lasciare indenni per
esempio i modelli e le pratiche educative. Si pensi all’apporto
sulla mimesi di Girard che offre un punto di vista innovativo per
osservare e comprendere le relazioni tra le persone, partendo dal
presupposto che il desiderio sia ciò che guida ogni azione umana.
A suo parere è necessario tener presente la natura dinamica e
relazionale dell’essere umano che sviluppa la sua identità e le sue
scelte attraverso un percorso imitativo articolato e continuo che
lo può portare alla realizzazione delle proprie capacità o all’in-
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verso, alla degenerazione nella rivalità e nella violenza. Si pensi
altresì alle recenti insorgenze etnocentriche di cui sono segnali
i risultati ai referendum sulla Costituzione Europea in Francia
e in Olanda. Di fronte all’Asia, l’Europa appare in sofferenza,
la sua crescita rallenta e sembrano diffondersi i timori di non
reggere più alle sfide. Come riuscire a ridare una passione europea al di là degli etnocentrismi, di fronte anche alle sfide del
mondo? Infine si pensi alla persistenza di nodi storici per cui il
pluralismo e la diversità ancora si reggono, in modo coatto, per
la logica delle armi degli eserciti della NATO o dell’ONU come
si può constatare osservando molte aree della ex Jugoslavia. Nel
luglio 1995 nella ex Jugoslavia a Srebrenica, veniva commesso il
più feroce e devastante atto di violenza contro popolazioni civili
dopo la seconda guerra mondiale: il massacro di quasi 8.000 musulmani bosniaci a opera delle milizie serbe. Bratunac-Srbrenica,
poco prima dell’estate ’95, era una località; era difficile arrivarci
dalla valle della Neretva. Il colore era livido e gli sguardi dentro la
Bdatunac serba, ed appena fuori dalla musulmana Srbrenica, erano tutti uguali. Ragazzine di tredici anni, sdentate e visibilmente
ipertruccate, ridevano ad ogni uomo che passava, precocemente
invecchiate al seguito degli odi e delle armi dei padri. La maggior
parte dei profughi non è rientrata. La Bosnia Erzegovina resta a
brandelli. Quanto potrà reggere l’attuale leadership democratica
serba? Il libro di Michel Mann (Il lato oscuro della democrazia. Alle
radici della violenza etnica, Bocconi, Milano, 2005) costituisce un
grandioso tentativo di ricostruire, su scala globale, le condizioni
che innescano e radicalizzano fino alle ultime conseguenze, la
pulizia etnica. Come riuscire a creare gli argini della democrazia?
Quale il ruolo delle religioni? Si pensi altresì alle situazioni di
alcune aree, in cui nonostante la formalizzazione dei partiti e del
pluralismo nei mezzi di informazione, la democrazia appare assai
debole e spesso assai esterna.
Che pensare del pluralismo e della democrazia nella Russia
attuale? Quale peraltro il ruolo delle distinte religioni? Facendo
riferimento alle chiese ortodosse, la mondializzazione non rischia
di renderle un’ideologia politica, uno strumento a servizio degli
stati-nazioni? Le relazioni ecumeniche fra Chiesa ortodossa russa
e Chiesa cattolica dopo la fine dell’epoca sovietica sono caratterizzate da tensioni significative cui concorrono ragioni di ordine storico e socio-politico. Non manca chi pensa che il difficile
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rapporto, in ultima istanza, debba essere attribuito al fatto che
la chiesa ortodossa russa non riconosca la chiesa cattolica come
chiesa sorella, in senso forte, e non in termini meramente sociologico. Peraltro il difficile rapporto della chiesa ortodossa russa con
il pluralismo culturale e religioso che si è instaurato nella società
russa post-sovietica e con il fenomeno della sempre più larga individualizzazione dell’opzione religiosa. La Chiesa ortodossa ha finora reagito con atteggiamenti di autoaffermazione difensiva che
hanno reso ulteriormente diffidi i rapporti ecumenici all’interno
della federazione russa. Senza dire che il paesaggio si complica
alla luce delle relazioni interortodosse nell’Europa contemporanea. Per capire le ragioni di tale problema bisogna tener conto,
innanzi tutto, che oggi ci sono 14 chiese autocefale cioè completamente indipendenti. Vi sono inoltre diverse chiese autonome ma
parzialmente indipendenti. Questo complesso quadro dell’intero
mondo ortodosso rivela una delle sue principali caratteristiche
cioè le continue tensioni tra unità e divisione con le relative conseguenze, senza dire se siano positive o negative.
4. Un saluto con un ricordo
Quale dunque la trama del nostro viaggio fatto nelle giornate di San Gimignano? Innanzi tutto abbiamo ritenuto di iniziare
rivolgendo un pensiero a Renzo Imbeni, che ci ha lasciato. Un
anno fa era qui fra noi a stimolarci per rendere il nostro lavoro più
ricco e coinvolgente. Un grazie a Corrado Corghi che interverrà in
memoriam. Con la prolusione di Franco Ferrarotti sul tema La crisi
dell’eurocentrismo e la convivenza delle culture si entrerà nel vivo delle
questioni. Consentitemi di rivolgere un saluto affettuoso e grato
al Maestro della Sociologia italiana che da anni mi onora della sua
amicizia. Unendomi al Sindaco Marco Lisi gli ripeto: benvenuto e
grazie prof. Ferrarotti! L’indomani mattina il dibattito si snoderà
affrontando analiticamente i dilemmi del multiculturalismo odierno affrontando il tema: Multiculturalismo, identità, nomadismo, paura.
Si alterneranno i proff. Giuseppe Cognetti, Fabio Dei, Pietro De
Marco, Andrea Spini. Successivamente compaiono gli interventi
sull’identità e il ruolo degli emigranti e del fenomeno immigratorio
in Italia. Lunedì la terza sessione è dedicata ai multiculturalismi
in Europa e in America Latina. Partecipano con studiosi italiani
la messicana prof. Maria Olavarria ed Enzo Segre della UAM.
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Seguono molti interventi concernenti il pluralismo religioso in distinte aree europee: fra i relatori Carmen Castilla della Università
di Granada. Con l’intento di illustrare aspetti del pluralismo religioso sarà dedicata una speciale attenzione al mondo greco ortodosso. Rivolgo con molta cordialità un saluto agli amici Tsironis e
Migdalis di Salonicco.
L’ultima parte dei contributi è dedicata alla situazione della
Russia con l’intervento, oltre che dell’amico Risaliti, del prof. Sergey
Filatov di Mosca. Fra gli interventi finali è previsto quello di Vine
Mihaljevic di Zagabria su alcuni aspetti della società post-jugoslava.
Mentre sul piano internazionale gli atti di terrorismo che hanno straziato il mondo in questi anni, inducono a far leva su opzioni
responsabili che si oppongono all’apatia etica e ad un facile entusiasmo per la diversità. L’accettazione del dubbio non è segno di
debolezza di chi lo pratica ma la sua forza in quanto è dalla consapevolezza del proprio limite che può nascere tolleranza. Il dubbio
è una spinta inesauribile alla ricerca. Nonostante posizioni di taluni
gruppi “cristianisti” e di teocon, cui sta a cuore l’alleanza con quanti
dicono di non credere in Dio come creatore ma lo vorrebbero
legislatore, sono molti i credenti tormentati dal dubbio, convinti
che “il seme del fanatismo si annida nella rettitudine inflessibile,
piaga di molti secoli. Come sintetizza lo scrittore israeliano Amos
Oz: “Il fanatico riesce a contare fino a uno, perché due è un’entità
troppo grande per lui”.
A tutti, nuovi e “vecchi” frequentanti della Summer School:
buon lavoro ed un invito a voler visitare la bella mostra “I paesaggi
dell’anima” appositamente allestita da Lucia Schiano che ringrazio
e saluto. Sono contento che questo volume sia pubblicato nella collana “Religion and Society” della Firenze University Press.
Nel ringraziare i vari collaboratori, un ringraziamento particolare
lo devo a Giuseppe Picone, l’infaticabile segretario del nostro
Centro. Se questo volume vede la luce si deve alla sua paziente e
intelligente opera.
S. Gimignano, marzo 2006