Enzo Poci, Ernest Hemingway e gli arditi del maggiore

Transcript

Enzo Poci, Ernest Hemingway e gli arditi del maggiore
Al generale di Corpo d'Armata Angelo
Dello Monaco, caro nella memoria,
ufficiale probo e valente, per la sua
ricerca continua della verità storica e
umana del collega e concittadino,
Giovanni Messe, poiché in Cielo i prodi
sorridono ai prodi...
ERNEST HEMINGWAY E GLI ARDITI DEL MAGGIORE GIOVANNI MESSE
Enzo Poci, Società di Storia Patria per la Puglia
Le riflessioni che in questi mesi ci impegnano sulla figura e sulla
persona di Giovanni Messe ci portano lontano nella memoria ai
giorni infuocati e insanguinati degli ultimi mesi della Grande
Guerra, sulle cime aspre e desolate dell’Asolone, dove l’ufficiale
mesagnese, allora un maggiore, si faceva onore distinguendosi
oltre il dovere alla testa del suo reparto di assalto, il IX Arditi. Le
ricompense furono quelle solite degli eroi, le ferite, nel corpo e
nell’anima, i lutti, le medaglie... e la meritata copertina a tutta
pagina, nella edizione della Domenica del Corriere del 21 luglio
19181.
<<Verso la fine di quell’estate eravamo alloggiati in una casa di
un paese prospiciente al fiume e al piano, con uno sfondo di
montagne… Lassù si combatteva, e di notte vedevamo le vampe di
fuoco dei cannoni…>>.
E’ l’inizio di “Addio alle armi”, il romanzo forse più noto e più letto di
Ernest Hemingway. Lo scenario così descritto -- che il romanzo
ambienta nella valle dell’Isonzo - è quello che i volontari americani
scorgevano dai loro alloggiamenti presso Bassano del Grappa.
Migliaia di soldati per diversi mesi condivisero la compagnia della
morte sul monte Grappa, dove gli ideali di libertà condussero molti
giovani volontari americani dell’ARC (American Red Cross, la Croce
Rossa Americana), compreso Ernest Hemingway (1899-1961), futuro
scrittore, giornalista e corrispondente di guerra.
Le sue opere comprendono romanzi, come
l’autobiografico “Addio alle armi”, pubblicato nel
1929, e serie di racconti memorabili, come i
“Racconti bassanesi”, che menzioniamo perché
sono in relazione con i fatti che ci apprestiamo a narrare. Il suo ultimo
romanzo, altrettanto famoso, è “Il vecchio e il mare” del 1952, che nel 1953
gli vale il Premio Pulitzer e nel 1954 il Premio Nobel per la Letteratura.
Nell’inverno del 1917, tra i rinforzi che vennero in aiuto delle truppe
italiane, dopo la sconfitta di Caporetto, vi erano i volontari della Croce Rossa
Americana (ARC), nelle cui fila militava il giovane Hemingway. Egli avrebbe
voluto partecipare in qualità di soldato di prima linea, ma un difetto della vista non gli permise di
indossare l’uniforme di soldato americano e fu arruolato come volontario per condurre le
ambulanze. In un primo tempo egli fu assegnato alla Sezione della Croce Rossa Americana con
sede a Schio, successivamente, in seguito a una sua
richiesta, fu trasferito in <<prima linea>>, nelle
vicinanze di Fossalta di Piave, come assistente di
trincea. Il suo compito era quello di distribuire i generi
di prima necessità ai soldati, raggiungendo ogni giorno
le linee in bicicletta.
L’8 luglio 1918, durante una delle sue “incursioni”,
egli fu ferito alla gamba destra dal fuoco nemico.
Cercava di mettere in salvo alcuni feriti, e mentre stava
trasportando un ferito in spalla, fu colpito alla gamba
destra dai proiettili di una mitragliatrice, che gli
penetrarono nel piede e in una rotula. Portato in un ospedale da campo, il 15 luglio 1918 fu
trasportato su un treno-ospedale e il 17 luglio giunse a
Milano, dove fu operato. Fu ricoverato nell’ospedale della
Croce Rossa Americana, sito nella metropoli lombarda in via
Cantù n. 4. In questa via, sulla facciata del palazzo, una lapide
ricorda ancora i giorni della sua degenza.
La sua convalescenza, durata circa tre mesi, trascorse tutta
in questo ospedale, dove egli conobbe l’infermiera Agnes
Von Kurowski, Miss Catherine Barkley di “Addio alle armi”.
Guarito, fu dimesso dall’ospedale, decorato con la Croce al
merito di guerra americana e con la Medaglia d’argento al
valore militare italiana, e ritornò al fronte alloggiando a Cà Erizzo, una villa antica di Bassano del
Grappa, ad un tiro di schioppo da Pove, dove era stanziato il
IX Reparto Arditi, comandato dal Maggiore Giovanni Messe.
I giorni trascorsi a Milano furono per Hemingway anche
l’occasione per incominciare ad elaborare il materiale di base
per la sua opera “Addio alle armi”, un romanzo storico e un
capolavoro, nel quale l’autore racconta le esperienze vissute
in quel terribile anno di guerra2.
In uno dei racconti bassanesi, scritto durante le vacanze
estive nello stato del Michigan nel 1919, dal titolo “La
scomparsa di Pickles McCarthy”, lo scrittore presenta il
ferimento di un Maggiore italiano. La storia di Pickles rimane
inedita al pubblico fino al gennaio del 1976, quando la
traduzione italiana di Giovanni Cecchin compare nella rivista
<<Il racconto>>, diretta da Giovanni Arpino. Sebbene
squisitamente letterario, quindi di pura fantasia, il racconto si
è rivelato una fonte così piena di informazioni da dare origine
ad uno studio completo (Giovanni Cecchin, Con Hemingway e
Dos Passos sui campi di battaglia italiani della Grande Guerra,
Milano, Mursia, 1980).
I fatti storici che in esso si riconoscono comprendono
l’azione degli Arditi quando sfondarono sull’Asolone e con
una puntata fulminea si spinsero fino a Col della Berretta e
a Col Bonato (mattina del 25 ottobre 1918).
E’ verosimile che l’americano sia stato messo al corrente
dai diretti protagonisti di quegli avvenimenti, in quanto tra
il 20 e il 27 ottobre egli era a Bassano, a Pove e a
Cittadella, dove si mescolava con gli Arditi del IX Reparto
d’Assalto comandati dal Maggiore Giovanni Messe, una
unità combattente e uomini riconosciuti distintamente nel
racconto. Il capitano Enrico Picaglia del IX Reparto
d’Assalto, è identificato per alcuni tratti nell’Ardito Pickles
del racconto in esame, che corre in soccorso del suo maggiore e muore nella stessa occasione,
evocando il combattimento che il 25 ottobre ha impegnato il Reparto tra Col della Berretta e
l’Asolone.
Leggiamo un breve passaggio tratto dal suo racconto: “… Gli uomini della fila del camion stavano
calandosi giù con l’ordine di schierarsi sulla strada. La strada qui era intagliata nella roccia e non
c’era spazio per manovrare.
Mitragliatrice austriaca
Schwarzlose mod.
1907/12, cal. 8 mm
Una valle veniva a finire in strada duecento metri più avanti
di una curva, e lì gli austriaci erano penetrati e avevano
tagliato la strada principale della montagna. Stavano
penetrando a cuneo sulla strada anche in un’altra parte. Tà
tà tà tà!... Le mitragliatrici martellavano la curva in cui gli
austriaci sciamavano giù per la valle e sulla scarpata di
fianco alla strada.
<<E’ molto semplice>>, disse il maggiore al battaglione, con voce chiara e un po’ blesa.
<<Dobbiamo cacciarli indietro. Su per la valle e oltre la cresta. E’ molto semplice, bisogna cacciarli
indietro. Siamo gli Arditi>>. E la sua voce si alzò a tono di comando: <<Battaglione Savoia!>>.
E il battaglione avanzò. Non dietro uno sbarramento, non in ordine
regolare, non a passo cadenzato, ma urlando, bestemmiando, correndo,
urtandosi, spingendosi per essere primi all’urto. Un battaglione contro un
esercito. Quando la prima mitraglia li investì, come un manicotto d’acqua su
una fila di formiche di una stradetta laterale, non si scomposero. Fu colpito il
maggiore, cadde, si rialzò, fu abbattuto ancora, ma continuò a trascinarsi
carponi e ad aggrapparsi con le mani su per il pendio, muovendosi a piccoli
scatti come un bambino. E allora gli austriaci vennero giù dalla montagna
come un’onda verde e grigia e il maggiore sparì travolto da una marea di
piedi, e lui da sotto tagliava e scarnificava gambe.
E allora vidi Pickles.
Puntò dritto nel più folto di essi. Con un coltello per mano. Ammassate e scioccate dal
contrattacco, le truppe si erano come inceppate. Vidi Pickles dare uno strattone alla cordicella al
collo e usare la pesante pistola automatica come una fionda, mentre con la sinistra giocava come
un fulmine d’estate facendo guizzare il pugnale.
Gli Arditi attaccavano a testa bassa, balzavano, pugnalavano,
lanciavano <<signorine>>3, dovunque c’era spazio, nella massa grigia
dei nemici. Pickles si aprì un varco verso il maggiore caduto, gli fece
spazio attorno. Fu allora che gli austriaci, compatti, incominciarono a
ritirarsi su per la vallata. Gli Arditi non li distinguevi più. Si vedevano
solo vortici di austriaci, e potevi esser certo che lì in mezzo c’era un
Ardito. Ma furono bloccati, e allora dalla strada si riversò la fanteria.
E in ordine sparso e alla baionetta li caricò su per la vallata. I
mitraglieri di un battaglione misero su i treppiedi e sgranarono nastri
dopo nastri contro gli austriaci in ritirata e incalzati dalla fanteria su
per le pendici”.
Fino a questo punto il racconto dello scrittore americano.
Nel febbraio del 1918, il comando degli Arditi del IX Reparto (il
numero della nuova denominazione viene assunto nel mese di
maggio), è affidato al Maggiore Giovanni Messe, un ufficiale
energico e provato, che ha ricevuto i mezzi necessari e rilanciato
l’addestramento: molta ginnastica, molto poligono, reali
esercitazioni a fuoco, avanzata sotto l’arco della traiettoria
dell’artiglieria e assalto alla “collina tipo”. Il maggiore ha migliorato
le condizioni di vita degli Arditi e organizzato lezioni di morale
patriottica, imponendo “una sagace disciplina che chiameremo
all’italiana, quasi completamente basata sulla stima e l’affetto
verso il superiore”. Il IX reparto è divenuto una formidabile
macchina da guerra, come attestano le sue imprese sul Grappa nel
giugno 1918.
L’episodio narrato da Hemingway, come anticipato, ricorda
immediatamente la giornata del 25 ottobre 1918. Ecco come
viene narrato nella testimonianza resa dal Tenente Dario Vitali,
presente nel fascicolo istruttorio per la concessione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare al Maggiore Messe per i fatti del
25 ottobre sul Monte Asolone4.
“Attesto, sulla mia fede di uomo e di soldato, quanto segue:
1. Il giorno 25 ottobre 1918 fui sempre – quale Ufficiale porta
stendardo – al fianco del Maggiore Cav. Giovanni Messe,
Comandante il IX reparto “Fiamme Nere” che quel giorno guidò
all’assalto ed alla conquista dell’Asolone e del Col Berretta.
2. Il Maggiore Messe, sempre alla testa dei suoi arditi, giunse
con i primissimi, combattendo ferocemente, sul Col Berretta.
Immediatamente contrattaccato da masse nemiche ingentissime
(erano vari battaglioni che salivano in fitte ondate il colle) egli,
uomo più avanzato del battaglione, riuscì con pochissime forze a trattenere la marea avversaria,
prima col fuoco, poi con violenti corpo a corpo, alla baionetta, a colpi di bomba, a pugnalate.
3. Il Maggiore Messe, visto che tali eroici sforzi (che costarono
perdite gravissime agli arditi che lo fiancheggiavano) non potevano
contenere e ricacciare ulteriormente i battaglioni nemici che ormai
avevano circondato il reparto, ordinò il ripiegamento. Con abilità
grandissima egli riuscì a spezzare l’accerchiamento ed a far si che tutti i
600 prigionieri fatti venissero trasportati indietro.
4. Siccome però il nemico premeva ed attaccava furiosamente,
minacciando di tramutare l’ordinato ripiegamento in una rotta, il
Maggiore Messe, presi pochi uomini, gli si slanciò contro e in un
attacco furibondo lo respinse per un momento. Però ciò non sarebbe
stato sufficiente se egli – messosi in una buca con me e con un’altra
decina di uomini – non avesse cominciato a fare un fuoco calmo e
preciso sul nemico, infliggendogli gravi perdite e costringendolo a
sospendere l’inseguimento.
Quasi tutti i pochi arditi vennero uccisi o feriti, io persi un occhio: ma
il Maggiore Messe, magnificamente calmo, continuava il suo fuoco
implacabile, da dieci metri, mentre noi, coadiuvandolo, lo rifornivamo
di cartucce e gli cambiavamo il moschetto rovente. Intanto una parte
degli Austriaci ci cadde alle spalle, tagliandoci fuori. Anche contro
questi il Maggiore Messe per nulla abbattuto dalla situazione
disperata, aprì un violento fuoco, costringendoli a non appressarsi
troppo, e deciso più che mai a non arrendersi. Ormai non eravamo che
tre o quattro: mentre il comandante progettava di precipitarci nella
valle Cesilla per cercar poi, colla notte, di raggiungere le nostre linee,
Enrico Picaglia, M.A.,
un pattuglione di arditi, guidati dal capitano Picaglia che morì allora da
caduto il 25.10.1918
prode, piombò alle spalle del nemico che ci aveva tagliati fuori e che,
preso tra due fuochi, si arrese”.
In quella occasione le perdite furono le seguenti: Ufficiali, morti 5 e feriti 8; truppa, morti 30,
feriti 140, dispersi 6. Né in questa testimonianza, né nella relazione ufficiale firmata dal maggiore
Messe si parla di un suo ferimento.
Ci viene da pensare che Hemingway abbia colorito o esagerato un poco il suo racconto, invece...
Il Ten. Alberto Businelli, nelle sue memorie Gli Arditi del IX (Edizioni Ardita - Roma), narrando
dettagliatamente le azioni, scrive “I miseri resti del IX Reparto d’Assalto verso le ore 14,00 si
ritrovano nelle linee di partenza. Fra i morti si contano 5 Ufficiali; altri otto sono feriti.
Anche Messe non è illeso. Ma egli rimane con i superstiti a difendere ancora l’ultima trincea; e
l’aspetto di quei valorosissimi è tale che il nemico non osa attaccare”.
E ancora “… Avuto il cambio dalla fanteria, il 26 ottobre il Reparto si porta a Pove per procedere
ad una rapida riorganizzazione. E’ necessario dare – a quanto pare - anche qualche cosa più della
vita perché la Patria non muoia e i superstiti sono pronti a tutto. Il Maggiore Messe cura alla
meglio le sue ferite mentre colma i vuoti prodotti dalla giornata del 25; parla ai nuovi venuti e in
poche parole trasfonde in essi l’ardore e l’ardire che sono state la caratteristica precipua del suo
Reparto; il 29 li porta nuovamente alla lotta”.
Le testimonianze dirette degli ufficiali, rese forse con una prosa
marziale e piuttosto scarna, trovano la eco ultima nel paragrafo
che segue, tratto da uno studio approfondito e puntuale, curato
da Luigi Longo per il conto dell’Ufficio Storico dello Stato
Maggiore dell’Esercito.
“Gli Arditi del IX ... nella giornata del 25 ottobre... dopo aver
risalito di slancio le pendici dell'Asolone avevano raggiunto la
dorsale proiettata verso il Col della Berretta e si erano impegnati
in duri combattimenti nella Valle delle Saline, riportando gravi
perdite e sottraendosi a stento all'accerchiamento. A loro si
doveva la cattura di buona parte dei circa 600 prigionieri avviati
nelle retrovie dalla Brigata Bari. A testimonianza del loro sacrificio
stavano, in modo eloquente le cifre delle perdite che
assommavano a 5 morti e 8 feriti tra gli ufficiali (tra essi, lo stesso
comandante del reparto, che peraltro provvedeva a riparare alla meglio i propri danni per
rimanere alla testa di questo), 130 morti, 140 feriti e 6 dispersi tra la truppa.
In effetti il magg. Messe, della giornata, fu uno dei protagonisti. Ad un certo momento, nella
zona interposta fra l'Asolone ed il Col della Berretta, gli arditi vennero costretti a ripiegare verso la
posizione di partenza a seguito dell'energica reazione austriaca. Messe, con una ventina di uomini,
stava proteggendo la ritirata quando venne individuato e riconosciuto dai nemici che cercarono in
tutti i modi di catturarlo. Il comandante del IX, in piedi, sparava con il moschetto sugli assalitori,
sostenuto dai pochi gregari rimasti incolumi ai quali gli austriaci intimavano la resa e che erano
ormai giunti al limite delle possibilità di resistenza. Ma, improvvisamente, piombava loro addosso
il comandante della I Compagnia, cap. Picaglia con pochi uomini racimolati alla meglio, che
liberava Messe dalla critica situazione pagando con la vita questa manifestazione di attaccamento
alla figura del proprio comandante…”5.
NOTE.
1
La didascalia in calce alla figura a destra recita: COME MORI' UN PORTABANDIERA. "Sull'Asolone, il magnifico
portabandiera del IX reparto di Arditi, Ciro Scianna, siciliano, dà il tricolore al vento gridando: Fiamme nere! Avanti!
Viva l'Italia!". Colpito in pieno petto da una sventagliata di mitragliatrici muore nelle braccia dell'eroico maggiore
Messe, dicendo: "Maggiore, muoio... ma... Viva l'Italia... mi dia la bandiera da baciare!" - (Dis. di A. Beltrame).
2
Edito nel 1929, il romanzo è la tragedia, narrata in prima persona, di Frederic Henry, un giovane americano
volontario sul fronte italiano durante la Prima guerra mondiale. Vicino a Gorizia fa il conducente di autoambulanze e si
innamora di una infermiera inglese, Catherine Barkley. I due si incontrano di nuovo a Milano, dove Frederic sta
trascorrendo un periodo di convalescenza dopo essere stato ferito. Si innamorano e Catherine rimane incinta. Frederic
ritorna al fronte, poi, durante la ritirata che segue la disfatta di Caporetto, fugge e raggiunge Catherine a Stresa. Da
questa città, attraversando di notte il lago Maggiore con una barca a remi, i due trovano rifugio in Svizzera, ma poco
tempo dopo Catherine muore dopo avere dato alla luce un bambino, anch’egli morto.
3
Le bombe a mano con un manico di legno e una specie di gonnellino.
4
Durante la guerra italo-turca del 1911-12, egli guadagnò la prima ricompensa al Valor Militare, la Croce di Guerra, per
aver comandato “in ripetuti combattimenti… il plotone con intelligenza e coraggio”.
Decorato con due Medaglie d’Argento al Valor Militare per i combattimenti di Grazigna del 21-23 maggio 1917 e di
Veliki Vrh-Hoie del 21-27 agosto 1917, e di Medaglia di bronzo al Valor Militare per i combattimenti sul San GabrieleVeliki Vrh del 1°-12 ottobre 1917, in qualità di Capitano del 57° Ret. Fanteria. Ferito in combattimento, nel periodo
della convalescenza è promosso al grado di Maggiore.
Per i combattimenti del 15-16 giugno 1918, che si riferiscono alla riconquista dei capisaldi dell’ultima linea di
resistenza Fagheron, Fenilon, Col Moschin gli viene concessa la Croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia.
Per la riconquista del monte Asolone del 24 giugno 1918, gli venne conferita la terza Medaglia d’Argento al Valor
Militare…”Fulgido esempio di ardimento, di fermezza e di efficacissima azione di comando”.
Fu anche proposto, con esito negativo, per la Medaglia d’Oro al Valor Militare, ma in compenso, dopo Vittorio Veneto,
venne promosso Tenente Colonnello per merito di guerra.
Per il combattimento sul Mai e Sturos (Albania), ebbe anche la Croce di Guerra al Valor Militare , in commutazione
della Croce al Merito di Guerra, il 19 giugno 1920.
Gli ottimi risultati ottenuti nel periodo dicembre 1940 - aprile 1941 gli valsero la promozione per merito di guerra»
a generale di corpo d'armata.
5
Longo Luigi Emilio, Giovanni Messe. L'ultimo Maresciallo d'Italia, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito.