La riforma del Titolo V della Costituzione e i Comuni

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La riforma del Titolo V della Costituzione e i Comuni
La finanza dei Comuni ed i nuovi contenuti dell’ordinamento costituzionale
Parte Prima
La riforma del Titolo V
della Costituzione e i Comuni
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La riforma del Titolo V della Costituzione e i Comuni
La finanza dei Comuni ed i nuovi contenuti dell’ordinamento costituzionale
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Capitolo 1
La finanza dei Comuni ed i nuovi contenuti
dell’ordinamento costituzionale
SOMMARIO: 1.1. La l. costituzionale n. 3/2001. – 1.2. L’autonomia finanziaria delle comunità territoriali. – 1.3. I limiti dell’autonomia: il primato della legge dello
Stato. – 1.4. Le “funzioni amministrative” dei Comuni nel Titolo V della Costituzione. – 1.5. Lo Stato “assicuratore di ultima istanza”. – 1.6. La sussidiarietà. – 1.7. Le autonomie degli Enti territoriali e la Costituzione della Repubblica. –
1.8. I poteri legislativi dello Stato e le materie di”competenza esclusiva” delle Regioni.
1.1. La l. costituzionale n. 3/2001.
La l. costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, reca “Modifiche al Titolo V della
Parte Seconda della Costituzione”. Il nuovo testo è vigente per effetto del risultato del referendum tenuto il 7 ottobre del 2001. L’oggetto specifico di
questo libro consiste nelle norme finanziarie che la riforma ha introdotto, le
quali per la parte prevalente risultano dall’art. 119 del provvedimento. Esse
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sono state specificate per effetto della l. delega n. 42/2009 e poi del d.lgs. n.
23/2011.
Hanno particolare rilievo, rispetto ai temi discussi in questo volume, oltre
all’art. 119, citato, gli artt. 114, 117, 118, 120 Cost. Consideriamo importanti,
altresì, la l. n. 42/1990 sull’“ordinamento delle autonomie locali”, nonché il
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d.lgs. n. 23/2011 , che reca il “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli
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Nel prosieguo di questo libro si farà riferimento alla l. n. 42/2009 con l’espressione “legge
delega”.
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Si farà riferimento alla normativa che il decreto legislativo ha ordinato con l’espressione
“Testo unico”.
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Enti locali” (TUEL). Naturalmente, valgono e sono pertinenti i principi enunciati negli artt. 1, 2, 3, 5, 23, e 53, della Costituzione.
1.2. L’autonomia finanziaria delle comunità territoriali.
In questo volume è tentata una ricostruzione del sistema finanziario dei
Comuni, nel contesto di regole che la nuova Costituzione detta. Nel presentare le questioni che al riguardo si pongono, è seguito lo schema che è proposto
nell’art. 119 Cost. È sembrato utile, tuttavia, premettere alcune considerazioni
riferite al ruolo delle norme costituzionali in un sistema democratico. Esse sono proposte in Cap. 2.
Il tema specifico concerne i Comuni. Si tratta di organizzazioni politiche
per mezzo delle quali una comunità territorialmente definita attraverso il parametro della residenza realizza una molteplicità di fini, la maggior parte dei
quali concerne l’uso comune di beni. Il “valore” fondamentale al riguardo
pertinente consiste nell’autonomia di dette comunità. Di esso, al livello più
generale, è discusso in Cap. 3. Si tratta di garantire nel concreto il rispetto del principio stabilito all’art. 2, comma 1, l. n. 142/1990: «Le comunità
locali, ordinate in Comuni e Province, sono autonome». La medesima norma è ora scritta nell’art. 3, comma 1, del Testo unico. Il valore dell’autonomia è peraltro affermato in via del tutto generale dall’art. 5 Cost., in cui è
scritto: «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali».
1.3. I limiti dell’autonomia: il primato della legge dello Stato.
È ancora utile ricordare che nell’art. 128 Cost., nel testo abrogato con la riforma del 2001, era scritto: «Le Province e i Comuni sono Enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni».
Il testo costituzionale stabiliva il precetto che dovessero essere le leggi generali
della Repubblica a dettare i principi all’interno dei quali trovano spazio le autonomie locali, costituzionalmente garantite. Nel nuovo testo costituzionale vale
anzitutto il punto stabilito nell’art. 117, comma 2, lett. p, che attribuisce allo Stato la legislazione esclusiva, tra l’altro, in materia di funzioni fondamentali degli
Enti locali. Per la specifica materia finanziaria, è affermato il principio del coordinamento, che è stabilito per la finanza pubblica ed il sistema tributario nell’art.
117, comma 3, Cost..
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In ordine a queste materie nello stesso comma 3 è scritto che spetta alla Regione la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, che è riservata alla legge dello Stato.
La consapevolezza di questi profili trovava espressione, prima della riforma costituzionale, nell’art. 54, comma 1, l. n. 142/1990: «L’ordinamento della
finanza locale è riservato alla legge dello Stato». Nell’attuale contesto sembra
utile ricordare altresì il testo dell’art. 120, comma 2, Cost.: il Governo può sostituirsi agli organi degli Enti territoriali «quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».
Un punto contenuto nel testo ora abrogato dell’art. 128 Cost. merita ancora
di essere ricordato. Esso consiste nel precetto che le funzioni degli Enti locali
debbano essere determinate da leggi della Repubblica. La lettura prevalente di
questa norma era comunque tale da garantire un ambito all’interno del quale gli
Enti, nell’esercizio della loro autonomia, avessero titolo ad individuare funzioni
che potessero essere appropriatamente svolte nell’interesse delle comunità amministrate.
Il sistema degli Enti locali non può essere inteso, infatti, come una struttura
statica di norme e di comportamenti, ma costituisce strumento d’intervento di
cui le comunità locali dispongono e di cui esse, attraverso meccanismi democratici di volizione collettiva, possono avvalersi per la realizzazione di interessi
generali, o riferiti a specifici sottogruppi, o individui. Le regole di formazione
delle volontà collettive, nonché quelle che si riferiscono alla individuazione
degli interessi che possono essere realizzati, come era stabilito nell’art. 128
Cost., dovevano essere, tuttavia, determinate con leggi generali della Repubblica: ciò comportava, almeno in via di principio, una valutazione, al livello nazionale, degli interessi che fossero privilegiati e di quelli eventualmente sacrificati; ciò comportava, altresì, che fosse considerato rilevante (al livello costituzionale) il principio dell’uguale trattamento dei cittadini appartenenti ad Enti
locali diversi. Questi contenuti vanno ora ricostruiti, a partire dalle norme che
sono contenute nell’art. 117 Cost.. Ampiamente rilevano, come contiamo di
mostrare in questo testo, le regole finanziarie, dalle quali nel concreto dipende
l’autonomia degli Enti.
Con riferimento ancora all’art. 128 Cost., testo abrogato, va sottolineata la
specificazione relativa alle leggi della Repubblica che esso conteneva. Questa
specificazione andava letta nel senso che intanto potessero avere rilievo leggi regionali, in quanto lo Stato definisse con legge generale gli ambiti all’interno dei
quali la legge regionale operava.
Il Testo unico può essere inteso, appunto, come la legge generale della Repubblica in cui sono stabiliti i principi che definiscono l’autonomia degli Enti lo-
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cali; che determina in via generale le funzioni degli Enti; che definisce il ruolo
che nella materia è assegnato alle Regioni.
Valgono oggi i contenuti di cui all’art. 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, così come essi sono specificati nella legge delega: cfr., al riguardo, il
§ 10.2.
La gerarchia delle fonti normative era, prima della riforma del Titolo V
Cost., ben chiara: a partire dall’art. 128 Cost., che era esso stesso specificazione dell’art. 5, si giungeva alla normativa di principio contenuta nella l. n. 142/
1990, che era poi specificata, per quanto concerne i contenuti contabili, nel
d.lgs. n. 77/1995; i contenuti della l. n. 142/1990 e quelli del decreto anzidetto, con l’entrata in vigore del Testo unico, sono stati peraltro abrogati e trasposti in detto Testo unico. A sua volta, il Testo unico contiene esso stesso disposizioni di principio, che devono trovare specificazione nei regolamenti che gli Enti locali hanno l’impegno di deliberare.
Oggi, dopo la riforma costituzionale, le questioni sono più complicate. Il
sistema dovrà ritrovare, nel nuovo contesto, un plausibile assetto, il che non è
fino ad oggi avvenuto.
1.4. “Le funzioni amministrative” dei Comuni nel Titolo V della Costituzione.
Oltre che gli art. 117, comma 2, lett. p e 119 Cost., rileva rispetto al problema qui esaminato l’art. 118, comma 1, Cost.. In esso è scritto:
Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Sono importanti, nell’articolo citato, due profili:
A) A partire dal “postulato” dell’autonomia degli Enti territoriali (delle
comunità in essi ordinate), è indicato l’insieme delle ragioni in forza delle quali questa autonomia trova un limite. Tra di esse, è appropriato il riferimento
alla “sussidiarietà”: può trattarsi di un orientamento offerto al legislatore (nazionale o regionale) che determini, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p, le
funzioni degli Enti, o che regolamenti, ai sensi dell’art. 117, comma 6, i modi
di gestione delle funzioni riferite a materie di legislazione esclusiva statale o di
legislazione concorrente o di materie “residuali”, ai sensi dell’art. 117, comma
4. Alternativamente (o in modo concomitante), la sussidiarietà può costituire
ragione non per l’attribuzione di funzioni, ma per interventi dell’Ente a mag-
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giore scala demografica su funzioni attribuite a livelli di governo minori, ove
tale minore scala pregiudichi obiettivi di efficienza, o di benessere.
B) Viene fornito per l’attribuzione delle funzioni, nell’art. 118 che abbiamo
riportato, il doppio criterio della differenziazione e dell’adeguatezza. Spetta perciò al legislatore (nazionale o regionale) stabilire il peso relativo dei due criteri, per l’ipotesi che essi siano, come risulterà per numerosi casi, tra loro in contrasto. L’adeguatezza può comportare, in particolare per il caso delle economie di scala (cfr. il § 7.2), l’attribuzione delle funzioni agli Enti di maggiore dimensione demografica, il che evidentemente contrasta con l’obiettivo della differenziazione. È ben chiaro che la questione, in tal modo, è enunciata ma non
risolta. Si pone, fra l’altro, per una molteplicità di ipotesi il problema del diritto di auto-governo delle comunità territoriali: si ammetta che una certa funzione (per esempio, l’assistenza agli anziani) è svolta in modo più appropriato
ad una scala demografica maggiore; non riteniamo, tuttavia che ciò precluda
all’Ente di minore dimensione di darsi in una qualche misura carico di essa,
ove ciò sia nella volontà della comunità amministrata.
1.5. Lo Stato “assicuratore di ultima istanza”.
Occorre avere chiaro in questo contesto, che la missione dello Stato non è
quella di darsi carico dell’una, o dell’altra, funzione pubblica. L’ambito concreto delle funzioni dello Stato può essere il più vario, sempre che la missione
di esso sia perseguita in concreto.
Questa missione consiste nel darsi carico, in via diretta o indiretta, di quelle
situazioni che la comunità nazionale considera inaccettabili, in quanto esse contrastino con i principi fondamentali della Costituzione, quali sono dettati nei
primi dodici articoli di essa.
Lo Stato si pone, in tal modo, come una sorta di assicuratore di ultima istanza, il cui intervento può risultare per tutte le materie non necessario, ma
che può essere costretto, o indotto, a farsi carico di qualsivoglia problema, ove
la mancata soluzione di esso comprometta i principi su cui la nostra convivenza civile si basa. Tutto ciò può essere espresso dicendo che vi è in ogni caso, come limite dell’autonomia di qualsivoglia potere, o vi può essere, questione di interesse nazionale; vi è, o vi può essere, nello specifico della finanza comunale (delle norme che la regolano), questione riferita all’unità economica e civile d’Italia.
Lo Stato si pone, altresì, come meglio si dirà in Cap. 3 (cfr. il § 3.3, sub A)
come garante di ultima istanza. Spetta allo Stato, cioè, assicurare la democraticità sostanziale del regime su cui la nostra vita civile è ordinata.
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1.6. La sussidiarietà.
Il principio di sussidiarietà è riferito, nella sostanza, al ruolo dello Stato già
menzionato, che è quello di “assicuratore di ultima istanza”. È pertinente, al
riguardo, l’art. 5 (ex art. 3 b) del Trattato CEE, in cui è scritto quanto segue:
«La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli
obiettivi che le sono assegnati nel presente trattato.
Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene,
secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi
dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati
membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione
in questione, essere realizzati meglio al livello comunitario».
Vale dunque, in via generale, il principio dell’autonomia: l’intervento dell’Ente di maggiore grado (della federazione) si giustifica solo se l’autonomia
produca specifici costi. In tal caso, gli interventi dell’Ente hanno carattere
sussidiario, di “aiuto” (di “sussidio”) alle comunità territoriali in vista di una
migliore realizzazione dei fini comuni.
Se il principio di sussidiarietà, per come è correttamente dettato in sede
CEE, viene riferito, sulla base anche delle indicazioni dell’art. 118, comma 1,
Cost., alle questioni della Repubblica d’Italia, si giunge alle conclusioni che
seguono:
– esistono funzioni attribuite in via esclusiva allo Stato; in ordine ad esse
non è in via di principio precluso l’intervento di altri livelli di governo, ove essi
ne abbiano ragione;
– per le funzioni (per tutte le funzioni) non attribuite in via esclusiva allo
Stato l’intervento della comunità nazionale, quale nello Stato medesimo è rappresentata, potrà (dovrà) essere svolto «soltanto se e nella misura in cui gli
obiettivi dell’azione prevista (quali lo Stato li configura) non possono essere sufficientemente realizzati» dagli altri livelli di governo. Questo potere dello Stato non costituisce limite alle competenze attribuite agli altri Enti e dovrebbe avere, appunto, funzione «sussidiaria». Ciò pone problemi di coordinamento, che
dovranno essere risolti nella sede appropriata.
Nella Costituzione della Repubblica rinviano in via diretta al principio di
sussidiarietà due norme. Rileva, anzitutto, l’art. 120, comma 2, già menzionato
in § 1.3, in cui è stabilito che
«Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane,
delle Province e del Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità
giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali
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delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i
poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del
principio di leale collaborazione».
Costituisce applicazione del principio di sussidiarietà, in secondo luogo, il
disposto dell’art. 117, comma 2, lett. m, che stabilisce la competenza esclusiva
dello Stato in ordine alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Si tratta di applicazione al caso dei LEP (acronimo per “livelli essenziali delle prestazioni”) del principio dello “Stato assicuratore di ultima istanza”, cui abbiamo già fatto cenno.
Ha, a ben vedere, analogo significato la competenza di carattere generale
attribuita allo Stato dall’art. 119, comma 5, Cost., in cui si legge che
«Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale,
per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio
dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio
delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni».
Si tratta, in via di principio, di un generale spending power dello Stato, ma
anche degli altri livelli di governo, riferito a materie che non sono nelle competenze ad essi specificamente attribuite.
1.7. Le autonomie degli Enti territoriali e la Costituzione della Repubblica.
Questo libro è riferito ai principi sulla base dei quali il nostro sistema di
decentramento istituzionale è costruito. Più specificamente, l’oggetto di esso
concerne il ruolo che, all’interno del sistema, spetta alle comunità territoriali
ordinate in Comuni. Questo ruolo va oggi ricostruito, a partire dalle nuove regole che il nostro Paese si è dato.
Nel Cap. 2 sono chiarite le ragioni della preminenza, in un Paese democratico, della Costituzione. Fin da ora va tuttavia detto che se i valori della Costituzione non sono di comune accettazione da parte dei cittadini, la pretesa
che la Repubblica d’Italia sia un Paese democratico è infondata. Nello specifico, occorre che le regole costituzionali concernenti i poteri e le responsabilità
dei Comuni nel nostro sistema pubblico possano essere accettate. Perché ciò
avvenga, occorre che queste regole siano intese e, in via di principio, intese da
tutti. Perciò, la pretesa di costituire una categoria dello scibile i cui cultori
siano i soli a poter stabilire i contenuti della Costituzione, in un sistema di rigida separazione (di incomunicabilità anche lessicale) rispetto alle altre com-
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petenze, è una pretesa che di per sé mostra che questi medesimi studiosi non
hanno ben chiaro che cosa sia una Costituzione e quale ne sia l’effettivo rilievo. Una Costituzione, perché sia tale, deve essere accettata; per poter essere
accettata, essa deve essere intesa. Il ruolo effettivo dei “costituzionalisti” è
quello di produrre, in un rapporto del tutto aperto rispetto ad ogni pertinente
competenza (cioè, in via di principio, rispetto a tutte le competenze), questo
risultato. Essi hanno, nel nostro sistema civile, le preminenti responsabilità.
La qualità dei risultati che essi abbiano a raggiungere dipende dall’accessibilità delle proposizioni prodotte e dall’accettabilità (dall’accettazione) di esse,
da parte di tutti. Ma ciò, per la maggior parte dei costituzionalisti, è peraltro
ben chiaro.
Per lo specifico di questo volume, una analisi significativa dei caratteri del
decentramento istituzionale, sotto il profilo finanziario, postula che sia ricostruito il ruolo che, all’interno del sistema, va attribuito allo Stato. Ciò è tanto
più importante in quanto sono ben evidenti posizioni esplicitamente eversive,
tali, cioè, da rifiutare i contenuti (starei per dire, i più significativi contenuti)
della Carta costituzionale d’Italia, a partire dal principio di uguaglianza dei
cittadini, quale esso è stabilito nell’art. 3 Cost..
La Costituzione detta (contiene), tra l’altro, l’insieme delle regole sulla base delle quali il nostro sistema pubblico è ordinato. Tra queste regole vi è il
riconoscimento della articolazione territoriale di esso, in un sistema costituito,
come ora stabilisce l’art. 114 Cost., dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Perciò, vale il principio (cfr. l’art. 5
Cost.) della articolazione territoriale del sistema, cioè della presenza fondante,
all’interno di esso, di meccanismi di decentramento istituzionale delle funzioni pubbliche, che sono in via di principio (cfr. l’art. 118 Cost.) affidate alle medesime comunità territoriali, ordinate negli Enti che le rappresentano. Vi è, se
esiste il sistema e se esso è accettato, la Repubblica d’Italia. Le regole di essa
sono stabilite dai cittadini (essa è Repubblica democratica), che le dettano nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Tra queste regole è preminente il principio che la Repubblica d’Italia è fondata sul lavoro: se, nel concreto, il diritto di ciascuno al lavoro ed il diritto del lavoratore al salario non sono adeguatamente difesi rispetto ad ogni altro interesse,
ciò comporta che la Repubblica d’Italia (forse) esiste, ma che la sua preminente
missione non è realizzata.
Il popolo esercita la sua sovranità (anche) attraverso il Parlamento, cui in
modo precipuo è affidata la funzione legislativa (cfr. l’art. 70 Cost.). I contenuti dell’art. 117 Cost., ora introdotto, vanno considerati specificazione di questo principio. Essi vanno letti avendo ben chiaro che la Costituzione riconosce
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l’esistenza e le funzioni dello Stato, cioè dell’organizzazione dei poteri in cui
la comunità nazionale (e cioè l’insieme di tutti i cittadini, dovunque essi risiedano) è ordinata. Nel nostro sistema civile non può essere limitato, o addirittura precluso, il diritto della comunità nazionale, ordinata nello Stato italiano,
all’autogoverno, così come lo stesso diritto è riconosciuto agli altri Enti territoriali. I contenuti ed i limiti di questo diritto risultano dall’impianto costituzionale, sempre che esso sia adeguatamente inteso.
Perciò, per conoscere i meccanismi del nostro sistema istituzionale, nel
senso che è oggi dettato nell’art. 117 Cost. e, in via generale, nel Titolo V della Costituzione (che riteniamo sia pienamente accettabile e di fatto accettato)
occorre partire, come appunto fa l’art. 117, da una appropriata individuazione dei poteri e delle responsabilità dello Stato (della comunità nazionale in esso ordinata, le cui volizioni, nelle forme e nei limiti della Costituzione, sono
espresse dal Parlamento della Repubblica).
1.8. I poteri legislativi dello Stato e le materie di “competenza esclusiva” delle Regioni.
È assai importante chiarire le implicazioni dell’assunto proposto in § 1.7,
concernente i poteri dello Stato. Le conclusioni che intendiamo affermare sono che esso ha per tutte le competenze di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 117 Cost.
(oltre che, naturalmente, per quelle indicate nel comma 2 dell’articolo) responsabilità che non si limitano al livello dei principi. Perciò, la “devoluzione”
di funzioni pubbliche alle Regioni, per come taluni la configurano, non può
essere intesa, nell’impianto del nostro sistema di convivenza civile, come una
regola che affida taluni poteri, quali che siano, a specifiche comunità territoriali, nell’intesa che delle materie di cui si tratta lo Stato non abbia titolo ad
occuparsi.
È opportuno fare riferimento, a questo riguardo, in via esemplificativa, alla
competenza esclusiva ed alle conseguenti responsabilità attribuite allo Stato
dall’art. 117, comma 2, lett. m, Cost.. In questo articolo è stabilito che è compito dello Stato determinare «i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere forniti su tutto il territorio nazionale».
Ciò vale per tutte le materie, senza distinzione tra quelle indicate nel comma
2, nel comma 3 e nel comma 4 dell’art. 117 Cost..
La questione dei livelli essenziali non è che un esempio, che conferma che
l’impianto della nostra Costituzione si basa, come dato fondante, sul riconoscimento della funzione dello Stato come soggetto cui è affidata, per tutti i cittadini della Repubblica, la funzione di assicuratore di ultima istanza. Ne segue
che, in ogni caso, in qualsivoglia materia il Parlamento della Repubblica ha di-
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ritto a legiferare. Questo diritto, che non può essere, in via di principio, limitato, o escluso, risulta dalle affermazioni che «ogni membro del Parlamento
rappresenta la Nazione» (art. 67 Cost.) e che «la sovranità appartiene al popolo» (art. 1, comma 1, Cost.).
Ciò vale anche in ordine alle competenze residuali attribuite alle Regioni
nell’art. 117, comma 4. In esso si legge: «Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione
dello Stato». Questa norma, evidentemente, afferma la competenza delle Regioni, ma non nega, di per sé, il potere di intervento normativo che lo Stato
può esercitare, ove ve ne sia ragione. L’affermazione di una competenza esclusiva regionale, contenuta ad esempio nel testo proposto dal Governo sulla devoluzione e non ratificata nel referendum del 2006, non può negare questo
dato, che è strutturale nell’impianto della Costituzione italiana. Lo Stato può
intervenire in tutte le materie, ogni volta che ve ne sia ragione (adeguata).
Naturalmente, occorre che questa ragione (in ultima analisi, la tutela dell’unità economica e civile d’Italia) sussista e vi è comunque il problema del rapporto tra competenza generale dello Stato e competenza specifica che la Costituzione riconosce alle Regioni. Si tratta, tuttavia, di problemi che non attengono ai principi e che in ultima analisi rinviano alla ragionevolezza e all’equilibrio di tutte parti in causa. La stessa Costituzione (cfr. l’art. 120, comma 2), sia
pure ad altro riguardo, rinvia al “principio della leale collaborazione”. In ordine a questi problemi ha competenza, come risulta dalla Costituzione della Repubblica di Italia, la Corte costituzionale.