La parola e l`ineffabile
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La parola e l`ineffabile
La parola e l’ineffabile. Percorsi ed echi danteschi nella poesia visionaria di T.S. Eliot Rachele Avagliano Da un’analisi diacronica del macrotesto eliotiano emerge come ad esso sia sottesa una quest spirituale e artistica orientata all’individuazione di un principio epistemologico ordinatore del reale, in grado di colmare il vuoto di valori e di significato del mondo moderno. Molti studiosi hanno individuato un parallelismo tra il percorso eliotiano che conduce dal quadro totalmente negativo dell’umanità d’oggi – offerto da Prufrock and Other Observations (1917) – al riscatto della temporalità tramite l’incontro con il trascendente – anelato più che definitivamente raggiunto nei Four Quartets (1943) – e l’iter 1 dantesco che dalla dimensione infernale approda al paradiso . Alcuni elementi caratteristici della fase “infernale” della poesia di Eliot affondano probabilmente le radici nella crisi di civiltà prodotta dal frenetico sviluppo economico dell’America che ebbe luogo negli anni della formazione interiore del poeta; questi trasse sia dallo spettacolo di città-babele, dove gli emigranti vivevano in condizioni di miseria e ignoranza estreme, sia da quello del capitalismo rampante, la sconfortata convinzione della mercificazione di tutti i valori e della scomparsa del sacro dal presente. Il suo forte senso di sradicamento e la decisione di partire per l’Europa maturano in questo clima. L’esperienza della metropoli quale caotico ricettacolo di masse abbrutite dalla routine del lavoro meccanico e alienante, o di una meschina borghesia 1 Fra coloro che hanno interpretato l’iter artistico del poeta in questi termini si veda in particolare Smidt, il quale esamina lo sviluppo della poetica eliotiana facendo esplicito riferimento alle tre parti della Commedia (Poetry and Belief in the Work of T.S. Eliot, Routledge and Kegan Paul, London 1961). 2 ridotta a moltitudine di “hollow men”, informa l’imagery della prima poesia eliotiana, nella quale si delinea un mondo privo di un principio ordinatore trascendente, dove, come nell’Inferno dantesco, prevale la penombra, e i personaggi, condannati alla ripetizione, tengono costantemente lo sguardo rivolto verso il basso, in un atteggiamento che ne metaforizza appunto 2 l’essenziale “terrestrità” . La visione del presente come caos ed eterna ripetizione trova espressione nell’adozione del metodo mitico, che caratterizza la poesia di Eliot fino alla Waste Land: in essa, se da un lato l’accumularsi delle citazioni in lingue diverse, di riecheggiamenti e allusioni ad altri testi è metafora della “Babele” a cui si accennava sopra, dall’altro il continuo ripresentarsi di archetipi e simboli dai significati non univoci (e talvolta contraddittori) allude all’incomprensibilità del reale e al suo procedere, un progressivo degradamento senza possibilità di riscatto. A ciò si aggiunge la condanna alla ripetitività, che coinvolge sia la dimensione spaziale, sia quella temporale, profilando la storia come sterile ripetizione di se stessa. Con la raccolta Poems 1920 si comincia a profilare la possibilità di una redenzione del tempo in chiave escatologico-cristiana, metaforizzata, in uno dei componimenti, dall’attesa della pioggia da parte di Gerontion, il personaggio che compare nella poesia eponima. Ma l’inizio effettivo della fase “purgatoriale” della produzione eliotiana è individuabile all’interno della Waste Land (1922), dove alla circolarità si sostituisce un diverso movimento che rende possibile il superamento dell’empasse epistemologica e spirituale legata alla visione “mitica” della storia. Ciò avviene nella quinta e ultima sezione, dove gli insistiti richiami al viaggio degli Ebrei verso la Terra Promessa delineano, se non altro, la possibilità di un superamento della paralisi spirituale, superamento correlato alla sostituzione che si verifica qui del metodo mitico col metodo allegorico e ad un radicale mutamento 2 F. Gozzi analizza in modo circostanziato i richiami intertestuali, i presupposti ideologici e l’imagery infernale della prima poesia (Letture eliotiane: “Prufrock” e “The Waste Land”, ETS, Pisa 2003). 3 3 dell’imagery : l’elemento mimetico, che caratterizza le prime tre sezioni del poemetto, qui sparisce del tutto. Non più squallide immagini quotidiane del mondo moderno, ma un paesaggio metastorico che fa da sfondo all’inizio di quel viaggio verso il divino che si svilupperà attraverso la produzione successiva. Ha così inizio la fase purgatoriale dell’iter poetico eliotiano, della quale Ash Wednesday (1930), il cui titolo fa riferimento al primo giorno del periodo penitenziale in vista della Pasqua, rappresenta il momento forse più significativo, quello in cui si esprime con maggiore intensità l’esigenza di purificazione. Il movimento ascensionale a spirale associato all’idea di espiazione richiama il percorso di purificazione intrapreso dalle anime del Purgatorio attorno al monte. Tuttavia, a differenza del modello dantesco, il cammino verso la redenzione prospettato in Ash Wednesday prevede progressi, ma anche periodici ritorni al punto di partenza, anticipando la citazione eraclitea posta in epigrafe ai Four Quartets: “Una e la stessa è la via 4 all’in su e la via all’in giù” . Nella visione cristiana del tempo redento dall’intervento di Dio nella storia Eliot cerca la via d’uscita alle proprie angosce metafisiche ed espressione di tale quest è la sua ultima opera poetica, i Four Quartets, che in qualche modo rappresenta il suo “paradiso”, ma un paradiso che differisce in modo significativo da quello dantesco. L’incontro con il trascendente rimane un episodio epifanico inappagante, in quanto la visione esperita non è ancora coscientemente letta nei suoi significati profondi. Il poeta guarda all’ineffabile dall’abisso del divenire, intuisce l’esistenza di chiare verità, ma le facoltà intellettive sono ancorate alla dimensione fenomenica e quindi escluse dal significato in quanto incapaci di cogliere e fissare il senso della visione. La frustrazione che ne consegue è ben espressa dal v. 93 di Dry 3 4 A. Serpieri individua il passaggio dal metodo mitico ad uno allegorico già all’interno della Waste Land (T.S. Eliot: le Strutture Profonde, Il Mulino, Bologna 1973). Sessantesimo frammento, cit. in G. Giannantoni, La ricerca filosofica: storia e testi, vol. I, Loescher, Torino 1981, p. 43. 4 Salvages: “We had the experience but missed the meaning”. In sostanza il metodo allegorico in Eliot non espleta la funzione epistemologica istituzionalmente ad esso associata in Dante, il quale rivendica la verità fattuale del viaggio e il valore profetico del discorso da lui condotto. L’incertezza epistemologica è attribuita al solo Dante-personaggio, il quale dubita nella dimensione dell’esperienza in fieri, mentre Dante-narratore, a posteriori, presenta il viaggio compiuto, nel quale il Senso è stato colto. L’esitazione e la difficoltà ad esprimere la visione risiedono soltanto nell’inadeguatezza del linguaggio, nella fallacia delle facoltà mnemoniche e nell’insufficienza delle tre dimensioni terrene ad esprimere l’Assoluto (a questo proposito è geniale l’immagine del geometra che tenta la quadratura del cerchio). Assente è qui il sentimento di frustrazione per l’incapacità ad articolare il concetto; piuttosto, il rievocare la visione rinnova nel poeta la gioia suprema della visione/sogno, ulteriore prova dell’avvenuto incontro con il Divino: La forma universal di questo nodo credo ch’i’ vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. (Paradiso, canto xxxiii, vv. 91-3) Si può legittimamente contestare il valore asseverativo comunemente attribuito al verbo “credo” al v. 92, senza peraltro mettere in discussione l’avvenuta visione di Dio, ma riferendo il possibile valore dubitativo del verbo alle incertezze della memoria nel ricordare con esattezza l’immagine 5 del “valore infinito” contemplata per un solo istante : Un punto solo m’è maggior letargo (Paradiso, canto xxxiii, v.94) 5 La fugacità del momento epifanico è, nei Quartets, non soltanto un limite per il ricordo dell’esperienza, ma un impedimento al raggiungimento del significato: “la precarietà dell’Eden che Eliot presenta nei Quartetti, collocato in un paradossale punto di incontro fra l’eterno ed il temporale [...] può, come la fiamma, essere attraversato in un attimo, in un abbagliante momento epifanico, e dev’essere però subito dopo abbandonato, [...] l’intelletto non riesce, così, ad ‘arrestarlo’ entro i propri schemi.” 6 La dimensione entro cui la visione avviene assume, per entrambi i poeti, le connotazioni di una visio in somniis, molto comune nella letteratura allegorica medioevale, nella quale la sospensione dei vincoli spazio-temporali dà origine a forme non soggette alla tridimensionalità e al principio di non 7 contraddizione . Nella prima delle tre immagini del XXXIII canto del Paradiso in cui si articola la visione di Dio, l’essenza divina appare come un “universal nodo” (v. 91), entro il quale il mondo è riconciliato nelle sue contraddizioni. Tre cerchi o sfere, di tre colori e d’una medesima dimensione rappresentano, nella seconda immagine, le tre persone della Trinità, uguali tra loro e distinte negli attributi, compresenza paradossale dell’unità e della molteplicità, dell’uniformità e della varietà. L’ineffabile mistero dell’Incarnazione, infine, è trasposto, nella terza immagine, in un volto umano, discernibile, nonostante esso si stagli su di uno sfondo del medesimo colore del volto stesso. La scissione della rivelazione – che in sé è una, semplice e non suscettibile di modificazioni – in tre immagini successive rientra nel meccanismo onirico definito da Freud “condensazione”: la visione 5 Cfr. M. Tavoni, “La Visione di Dio nell’Ultimo Canto del Paradiso”, in corso di stampa nel volume Dire L’indicibile: Esperienza Religiosa e Poesia dalla Bibbia al Novecento (titolo provvisorio), a cura di Cesare Letta, ETS, Pisa, pp. 5-6. 6 L. Giovannelli, La Parola e la Visione, SEU, Pisa 1994, p. 2. 6 intellettuale dell’uomo deve scomporre l’immagine multidimensionale, poiché la mente umana può concepire soltanto forme rientranti nelle tre dimensioni spaziali. Il contenuto manifesto del sogno è quindi, in un certo senso, un compendio delle significazioni latenti. Il linguaggio ossimorico appare l’unico in grado di tradurre l’esperienza epifanica. La “coincidentia oppositorum”, tuttavia, è espressa non solo attraverso l’imagery ossimorica che caratterizza la visione in “Burnt Norton” e la triplice rappresentazione del divino nel Paradiso; essa può essere anche di tipo astratto e manifestarsi tramite il ricorso a paradossi concettuali che giocano sul duplice significato e sulle diverse accezioni di alcuni termini. In order to arrive there, to arrive where you are, to get from where you are not, you must go by a way wherein there is no ecstasy. (Four Quartets, “East Coker”, vv.135-7. Mio corsivo.) In order to possess what you do not possess you must go by the way of dispossession. (Four Quartets, “East Coker”, vv.140-1. Mio corsivo.) Il verbo “to be” è inteso nella doppia valenza di “trovarsi” ed “esistere”, mentre “possedere” allude sia al senso materiale del termine che a quello 8 spirituale . Il sostantivo “end”, parola chiave nell’esegesi dei Quartetti, riassume in sé il significato di “fine” e di “finalità”. A questo proposito vale la pena evidenziare un’interessante corrispondenza tra la duplice valenza dell’“end” eliotiano e il verbo “finii” al v.48 del XXXIII canto del Paradiso. Anche l’interpretazione di quest’ultimo non è univoca, ma anzi contraddittoria, significando esso sia “giungere al culmine” (conseguimento della finalità) che “esaurirsi, cessare” (giungere alla fine). Al v. 84 il verbo “consunsi”, riferito alla vista, presenta problematiche interpretative analoghe 7 Cfr. Tavoni, op. cit. 7 ai precedenti, potendo essere inteso come sfruttamento estremo della facoltà 9 visiva oppure come annullamento di essa . La portata semantica del duplice significato del termine “end” nei Quartetti, inoltre, attraversa trasversalmente l’intera opera ed è intimamente connessa al concetto della circolarità. Se nell’immagine dantesca della quadratura del circolo (Paradiso XXXIII, 137138) quest’ultimo è univocamente associato al divino e contrapposto al quadrato, riferito alla limitatezza dell’intelletto umano, in Eliot il cerchio si lega parimenti alla dimensione circolare dell’eterno e alla prospettiva ciclica 10 dell’immanenza, conciliando in sé l’opposizione end/beginning : la fine di un ciclo, eternamente presente perché ripetibile all’infinito e sempre uguale a se stesso, è riscattata dal fine provvidenziale, che rappresenta la meta dell’agire umano, il quale garantisce e finalizza un nuovo inizio. All’inadeguatezza delle dimensioni spazio-temporali terrene a contenere la portata della visione, si aggiunge il difetto inerente alle possibilità concesse all’espressione poetica: Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! E questo, a quel ch’i’ vidi, è tanto, che non basta a dicer “poco”. (Paradiso, canto xxxiii, vv.121-3) La stessa consapevolezza dell’insufficienza dell’intelletto umano a concepire la trama dell’eterno conduce, nei Quartetti di Eliot, ad una riflessione metalinguistica sui limiti della parola e sull’impotenza di quest’ultima a rendere l’esperienza del trascendente: 8 9 Cfr. L. Giovannelli, op. cit., p. 71 Cfr. Tavoni, op. cit., p.6. 8 That was a way of putting it – not very satisfactory: a periphrastic study in a worn-out poetical fashion, leaving one still with the intolerable wrestle with words and meanings. (Four Quartets, “East Coker”, vv.68-71) Ed ancora, altrove: Words strain, crack and sometimes break, under the burden, under the tension, slip, slide, perish, decay with imprecision, will not stay in place, will not stay still. Shrieking voices scolding, mocking, or merely chattering, always assail them. (Four Quartets, “Burnt Norton”, vv.149-55) Se nei Quartetti la limitata potenzialità comunicativa ed epistemologica della parola umana è ulteriormente ridotta dalla banalizzazione del linguaggio ad un insignificante “chattering” o ad un “twittering” (“Burnt Norton”, v. 113), nel Paradiso di Dante, di fronte ai misteri della fede, l’espressione artistica regredisce ad articolazione primitiva di suoni, quale il balbettio di un lattante: Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante che bagni ancor la lingua alla mammella. (Paradiso, canto xxxiii, vv.106-8) Il riferimento all’organo del gusto, inoltre, allude allo stadio iniziale del processo conoscitivo dell’uomo, intrapreso, appunto, nella prima infanzia (da 10 Cfr. H. Gardner, The Art of T.S. Eliot, The Cresset Press, London 1949, p. 53. 9 notare la quasi perfetta identità dei verbi latini “săpĕre” e “sapēre”, i quali designano rispettivamente l’attività del gustare e del conoscere). Se, a proposito della Commedia, si può certamente parlare di sincretismo – una delle caratteristiche essenziali della cultura medievale – per il ricorso in essa a numerosissimi spunti culturali e filosofici del mondo pagano fusi e armonizzati con la dottrina cristiana, ciò è valido anche per i Quartetti, nei quali la prospettiva religiosa di tipo sincretistico istituisce un legame tra il misticismo cristiano-occidentale e quello orientale attraverso il richiamo al 11 testo sacro indiano della Bhagavad-Gita . L’operazione sincretistica eliotiana consiste nella rivisitazione e riformulazione in senso cristiano di alcuni aspetti della dottrina orientale, come ad esempio l’idea fondamentale della “rinuncia al frutto dell’azione”, ampiamente trattata in Bhagavad-Gita (testo definito da Eliot stesso “the next 12 greatest philosophical poem to the Divine Comedy” ) e esplicitamente riferita, nel testo sacro indiano, al principio della reincarnazione. Eliot sostiene invece che l’agire disinteressato, il quale tiene conto solo del presente, è in grado di fruttificare nelle vite degli altri. Pure dalla concezione induista del tempo e del libero arbitrio – visto come ostacolo il primo e con fiducia assoluta il secondo – Eliot si distacca, riaffermando con decisione l’imprescindibilità dell’intervento divino e l’importanza del tempo, teatro di 13 manifestazione del Sacro . Anche Dante attinge largamente dalla tradizione pagana, e soprattutto a Virgilio e Ovidio. Tuttavia all’ammirazione che il poeta fiorentino mostra per la perfezione formale raggiunta dagli antichi – da lui manifestata attraverso la loro assunzione a modelli e oggetti di imitazione – corrisponde una profonda rilettura della fonte (talvolta un vero e proprio rovesciamento) alla luce della 11 Per un’analisi approfondita del “compromesso” eliotiano tra Cristianesimo e misticismo orientale si rimanda a P. Forster, The Golden Lotus: Buddhist Influence in T.S. Eliot’s Four Quartets, Lewes: Book Guild, 1998. 12 “Dante”, in Selected Essays, Faber and Faber, London 1963, p. 258. 13 Cfr. L. Giovannelli, op. cit., p. 107. 10 visione escatologica cristiana, finalizzata ad evidenziare la fallacia di una visione limitata e parziale – in quanto non illuminata dalla venuta di Cristo – del significato dell’esistenza. Il motivo della discesa nel mondo ctonio è un topos che ricollega il poema dantesco direttamente alla visita dell’eroe virgiliano nell’oltretomba pagano – luogo che presenta alcune analogie con quello della Commedia e dal quale Dante trae ispirazione per alcuni personaggi dell’Inferno – , ma il poeta fiorentino prende le distanze dal suo modello per le motivazioni e le finalità sottese al viaggio stesso. Ad una attenta lettura emerge come a livello metaforico gli stessi segni assumano, nei due testi, significati diversi, talvolta opposti. E’ il caso della terza similitudine ornitologica del canto V 14 dell’Inferno , la quale ricalca l’episodio dell’incontro tra Enea e le due colombe alle porte degli inferi, nel VI libro dell’Eneide: Vix ea fatus erat, geminae cum forte columbae ipsa sub ora viri caelo venere volantes, et viridi sedere solo. Tum maximus heros maternas agnoscit aves, laetusque precatur: «Este duces, O, si qua via est, cursumque per auras dirigite in lucos, ubi pinguem dives opacat ramus humum. Tuque, O, dubiis ne defice rebus, diva parens. 15 (Eneide, libro VI, vv.190-7) Rovesciando il ruolo di guida che le due colombe qui espletano, Dante 16 associa i volatili ad una coppia di peccatori . 14 “Quali colombe dal disio chiamate,/ con l'ali alzate e ferme al dolce nido/ vegnon per l'aere, dal voler portate” (Inferno, vv. 82-84). 15 “Ciò disse a pena, ed ecco da traverso / due colombe venir dal ciel volando, / ch'avanti a lui sul verde si posaro / Conobbe il magno eroe le messaggiere / de la sua madre, e lieto orando: «O, - disse, - / siatemi guide voi, materni augelli, / s'a ciò sentier si truova; ite per l'aura / drizzando il nostro corso, ov'è de l'ombra / del prezïoso arbusto il bosco opaco. /E tu, madre benigna, in sí dubbioso passo, del lume tuo ne porgi aíta». ( Trad. di Annibal Caro). 16 Cfr. M. Tavoni e M. Santagata, Lettura del V canto dell’Inferno, in corso di elaborazione, p. 5. 11 Anche la figura di Apollo, nell’antichità identificato con il sole, subisce, nell’invocazione del canto primo del Paradiso, una raffinato spostamento metaforico: simbolo della poesia stessa, il sole è indirettamente identificato con il divino cristiano, avendo la creazione poetica la sua fonte prima in Dio. Similmente l’omofonia tra le parole inglesi “sun” e “Son” chiarisce indirettamente il legame metaforico tra il sole e Dio, fornendo una chiave esegetica per la visione di Burnt Norton: Dry the pool, dry concrete, brown edged, And the pool was filled with water out of sunlight, And the lotos rose, quietely, quietely, The surface glittered out of heart of light, And they were behind us, reflected in the pool. Then a cloud passed, and the pool was empty. (Four Quartets, “Burnt Norton”, vv. 34-9) The black cloud carries the sun away (Four Quartets, “Burnt Norton”, v.128) Il sole è chiaramente simbolico dell’epifania del soprannaturale, mentre il passaggio della nuvola, che oscura lo “heart of light”, metaforizza il sopravvenire di uno stato di paralisi conoscitiva che interrompe la visione. 17 La presenza del fiore di loto associato al verbo “rose” (con riferimento alla rosa mistica cristiana) è un’operazione sincretistica che congiunge la religione occidentale e orientale: in quest’ultima il movimento ascendente del loto corrisponde all’innalzamento dello spirito umano verso la luce divina, 17 Per un’analisi circostanziata della simbologia della rosa e del giardino si rimanda a G. Melchiori, “Il Loto e la Rosa” (1954), in I Funamboli, Einaudi, Torino 1974, pp. 133-50, A.L. Johnson, Sign and Structure in the Poetry of T.S. Eliot, ETS, Pisa 1976, p. 209; e Serpieri, op. cit. 12 18 per giungere alla condizione ideale di santità . Il cerchio delle allusioni si chiude quindi sull’immagine dantesca della “rosa dei beati”. Il fuoco – esplicitamente o indirettamente presente in tutta l’opera – è legato ad un tempo alla spiritualità e al mondo fenomenico, per poi perdere progressivamente le sue qualità cosmogoniche e caricarsi anch’esso (come la rosa) di connotazioni simboliche e trascendenti. Lungo il percorso di avvicinamento a Dio l’elemento manifesta gradualmente la propria natura divina e la funzione purificatrice: From wrong to wrong the exasperated spirit proceeds, unless restored by thet refining fire where you must move in measure, like a dancer. (Four Quartets, “Little Gidding”, vv.144-6. Mio corsivo) Il motivo del “refining fire” riecheggia un passo del XXVI canto del Purgatorio: “Ara vos prec, per aquella valor que vos condus al som de l’escalina, sovenha vos a temps de ma dolor!” Poi s’ascose nel foco che li affina (Purgatorio, canto XXVI, vv.145-8) L’immagine finale delle anime danzanti nel fuoco purificatore, della citazione da Little Gidding, esprimono come il tormento e la sofferenza siano voluti e ricercati dalla anime penitenti, poiché la purificazione rappresenta 19 per loro l’anticamera della beatitudine . Il Fuoco e la rosa sono infine riconciliati nell’immagine che chiude l’opera: 18 19 Cfr. L. Giovannelli, op. cit., pp. 35-36. Cfr. “Dante”, op. cit., pp. 255-6. 13 When the tongues of flame are in-folded into the crowned knot of fire and the fire and the rose are one (Four Quartets, “Little Gidding”, vv.257-9) “Il riferimento al ‘crowned knot of fire’ chiude il Quartetto con una dantesca prefigurazione di beatitudine celeste, in cui l’unione del fuoco e della rosa opera indirettamente anche una fusione tra il ‘foco dell’alto lume’ 20 divino e la ‘candida rosa’ dei beati” . 20 L. Giovannelli, op. cit., p. 149. 14 Bibliografia delle opere consultate: Alighieri, D. La Divina Commedia, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia, Firenze 1971. - La Divina Commedia, con pagine critiche, a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Le Monnier, Firenze 1988. - Commedia, con il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori, Milano 1991. Eliot, T. S. “Dante”, In Selected Essays, Faber and Faber, London 1963. - La Terra Desolata, introduzione, traduzione e note di Alessandro Serpieri, Rizzoli, Milano 1982. - Prufrock and Other Observations, Faber and Faber, London 2001. - Scritti su Dante, a cura di Roberto Sanesi, Bompiani, Milano 2001. - The Waste Land, introduzione, commento e appendici a cura di Mario Melchi, Mursia, Milano 1976. - The Waste Land and Ash Wednesday, a cura di Arnold P. Hinchliffe, MacMillan, Houndmills and London 1987. - “What Dante Means to Me”, in To Criticize the Critic, Faber and Faber, London 1965. Forster, P. The Golden Lotus: Buddhist Influence in T.S. Eliot’s Four Quartets, Book Guild, Lewes 1998. Gardner, H. The art of T.S. Eliot, The Cresset Press, London 1949. 15 Giannantoni, G. La ricerca filosofica: storia e testi, vol. I, Loescher, Torino 1981. Giovannelli, L. La Parola e la Visione: per una lettura dei Four Quartets di T.S. Eliot, SEU, Pisa 1994. Gozzi, F. Letture Eliotiane: “Prufrock”, i “Preludes” e “The Waste Land”, ETS, Pisa 2003. - La Cosmogonia della Waste Land, ETS, Pisa 1979. Johnson, A.L. Sign and Structure in the Poetry of T.S. Eliot, ETS, Pisa 1976. Melchiori, G. “Il Loto e la Rosa” (1954), in I Funamboli, Einaudi, Torino 1974. Nicolì, V. "L'influenza di Dante nell'opera di Eliot". <http://siba2.unile.it/ese/issues/273/646/Segnicomprn48-03p39.pdf> Serpieri, A. T.S. Eliot: le Strutture Profonde, Il Mulino, Bologna 1973. Smidt, K. Poetry and Belief in the Work of T.S. Eliot, Routledge and Kegan Paul, London 1961. Tavoni, M. «La visione di Dio nell’ultimo canto del Paradiso», in corso di stampa nel volume Dire L’indicibile: Esperienza Religiosa e Poesia dalla Bibbia al Novecento (titolo provvisorio). A cura di Cesare Letta, ETS, Pisa. <http://www.humnet.unipi.it/dlfm/fileadmin/template/main/drsu/visione.pdf> Tavoni, M. e Santagata, M. Lettura del V canto dell’Inferno. Materiali da un commento alla Commedia in corso di elaborazione. <http://www.humnet.unipi.it/dlfm/fileadmin/template/main/drsu/if_v_note.pdf> 16 Virgilio. Eneide. Libro VI, introduzione, commento e note di Remigio Sabbadini, revisione di Concetto Marchesi, Loescher, Torino 1995. - L’Eneide, traduzione di Annibal Caro, commento di Vittorio Turri, Sansoni, Firenze 1961.