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FOCUS
ALCUNE QUESTIONI FISCALI IN TEMA DI DIRITTO DI FAMIGLIA
Valentina Sarnari
Dottore commercialista e revisore legale in Roma
1. Premessa
Nel nostro ordinamento, il diritto tributario non prevede una disciplina specifica delle imposte dovute dai coniugi intesi come unico soggetto passivo d’imposta. Infatti, le imposte sui redditi hanno carattere personale e sono dovute da ciascun coniuge in ragione del reddito prodotto e prescindendo dai vincoli familiari con un altro soggetto. Il reddito prodotto e percepito da ciascun coniuge ha, pertanto, una propria autonomia fiscale e deve imputarsi in capo a ciascuno per intero e separatamente.
Fatte queste ordinarie premesse di carattere generale, non si può certo non tener conto che il reddito complessivo dei coniugi, intesi quale unico nucleo familiare, può essere, però, influenzato dall’esistenza di un fondo patrimoniale1 o anche dall’usufrutto legale su beni di figli minori2. Così come non si deve trascurare che per quanto riguarda l’azienda, costituita prima o dopo il matrimonio e gestita da uno solo o da entrambi coniugi, il codice civile prevede una disciplina specifica e
autonoma3.
Nella pratica professionale accade comunemente di dover determinare l’imposta dovuta da contribuenti che erogano, o percepiscono, un assegno di mantenimento a seguito della dichiarazione di
cessazione degli effetti civili del matrimonio, oppure valutare in che misura il diritto ad avvalersi
delle detrazioni di imposta per figli a carico, in quanto totalmente o parzialmente affidatari degli
stessi, incida sull’imposta netta dovuta.
Accade altrettanto frequentemente di essere chiamati a coordinarsi con il legale del giudizio di separazione/divorzio per la determinazione dell’assegno di mantenimento, spiegando così un intervento a monte del processo decisionale che porta alla richiesta di un assegno di mantenimento di
un determinato e specifico ammontare.
Da questo punto di vista, pertanto, senza alcuna presunzione di esaustività e completezza, ma so-
1
Il fondo patrimoniale è costituito da tutti i beni immobili e immobili che uno, entrambi i coniugi o un terzo, finalizzano specificatamente per far fronte ai bisogni della famiglia. L’articolo 4, comma 1, d.p.r. n. 917/1986, statuisce che i redditi derivanti dai
beni costituenti il fondo patrimoniale sono imputati, per metà del loro ammontare netto, a ciascun coniuge.
2 Per i redditi derivanti dai beni appartenenti ai figli minori, non emancipati, si deve distinguere se i beni ricadono o meno nell’usufrutto legale dei genitori. I redditi dei beni soggetti a usufrutto legale sono imputati a ciascun genitore per metà del loro ammontare netto. I redditi dei beni che non ricadono nell’usufrutto legale dei genitori vengono ricondotti direttamente al minore in
qualità di autonomo soggetto d’imposta.
3 Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4, comma 1, d.p.r. n. 917/1986, si distinguono tre categorie di azienda tra coniugi in comunione: 1) azienda costituita prima del matrimonio da uno solo dei coniugi, anche se entrambi la gestiscono; 2) azienda costituita dopo il matrimonio e gestita da un solo coniuge, mentre l’altro si limita a una semplice collaborazione senza assunzione di
responsabilità verso terzi; 3) azienda costituita dopo il matrimonio e gestita da entrambi i coniugi, ovvero in comunione legale
dei coniugi (si tratta della cosiddetta azienda coniugale).
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lo con l’intento di fornire alcuni spunti di riflessione su problematiche di carattere ricorrente, si procede a trattare le questioni di natura fiscale che hanno maggior interesse e un impatto diretto nei
giudizi di separazione e divorzio e che non possono, pertanto, rimanere sconosciute anche a chi
non è un operatore del diritto tributario. In quest’ottica, dunque, non si può prescindere da alcuni concetti e definizioni.
2. Il reddito tassabile
Il primo concetto e assunto, che a giudizio della scrivente è fondamentale, è che nel nostro ordinamento non c’è una specifica definizione di cosa debba intendersi per reddito tassabile, quanto
piuttosto un’elencazione di categorie di reddito e delle rispettive regole di tassazione4.
Il reddito complessivo imputabile a un determinato soggetto non è altro, pertanto, che la somma
algebrica (+/-) di uno o più redditi dallo stesso percepiti/prodotti dallo stesso in un determinato
periodo di imposta5, secondo il principio della annualità dell’obbligazione tributaria6.
Le categorie di reddito sono:
1. redditi fondiari, disciplinati dagli articoli dal 25 al 43 del d.p.r. n. 917/1986;
2. redditi di capitale, disciplinati dagli articoli dal 44 al 48 del d.p.r. n. 917/1986;
3. redditi di lavoro dipendente, disciplinati dagli articoli dal 49 al 52 del d.p.r. n. 917/1986;
4. redditi di lavoro autonomo, disciplinati dagli articoli 53 e 54 del d.p.r. n. 917/1986;
5. redditi d’impresa, disciplinati dagli articoli dal 55 al 66 del d.p.r. n. 917/1986;
6. redditi diversi, disciplinati dagli articoli dal 67 al 71 del d.p.r. n. 917/1986.
I redditi di partecipazione in società di persone e assimilate non costituiscono un’autonoma categoria di reddito anche se hanno una disciplina tipica e particolare, prevista dall’articolo 5 del d.p.r.
n. 917/1986.
3. Le modalità di determinazione dell’imposta/del reddito netto
Per determinare l’imposta dovuta ovvero, ai fini che qui forse maggiormente interessano, il reddito netto complessivamente percepito da un determinato soggetto, occorre seguire una serie di specifici passaggi:
1. determinare il reddito complessivo lordo, che è dato dalla somma algebrica dei redditi imponibili netti di ciascuna categoria, calcolati e definiti ciascuno sulla base delle regole sue proprie e
specifiche. La determinazione del reddito derivante da ciascuna categoria è un passaggio essenziale per calcolare il reddito complessivo di ciascun contribuente. Infatti, ai sensi dell’articolo 9
del d.p.r. n. 917/1986, a ogni categoria di reddito preside una diversa regola di determinazione,
così come redditi appartenenti a un’unica categoria devono essere determinati unitariamente7;
2. determinare gli oneri deducibili (si dirà nel seguito di cosa si tratta e della differenza con gli
4
Articolo 6 del d.p.r. n. 917/1986.
5
Per le persone fisiche e le società di persone, il periodo d’imposta coincide sempre con l’anno solare, mentre per le società
di capitale il periodo di imposta può essere anche a cavallo di due anni solari (i.e. 1 luglio - 30 giugno dell’anno successivo).
6 Articolo 7, comma 1, d.p.r. n. 917/1986. Invero questo principio presenta due eccezioni: una in sede di perdite riportabili da
anni precedenti, l’altra in sede di pagamento dell’imposta dovuta, considerata la possibilità di compensare i crediti d’imposta dell’anno precedente con i debiti dell’anno in corso.
7 Ad esempio un contribuente può essere proprietario di più beni immobili, diversamente utilizzati, ma avrà un unico reddito
fondiario che li comprenderà tutti.
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oneri detraibili) per i quali il contribuente ha diritto a una corrispondente diminuzione dal reddito lordo complessivo (punto 1);
3. calcolare il reddito imponibile come differenza delle poste di cui ai precedenti punti 1 e 2 (i.e.
reddito complessivo meno oneri deducibili);
4. determinare l’imposta lorda dovuta, mediante l’applicazione al reddito imponibile (punto 3) delle aliquote progressive corrispondenti ai diversi scaglioni8;
5. determinare gli oneri detraibili (si dirà nel seguito di cosa si tratta e della differenza con gli oneri deducibili di cui al precedente punto 2), per i quali il contribuente ha diritto a una riduzione
dell’imposta lorda (punto 4);
6. determinare l’imposta netta definitivamente dovuta come differenza tra l’imposta lorda e gli oneri detraibili.
Dal procedimento sopra esposto se ne deduce che il reddito netto imputabile a ciascun contribuente è dato dalla differenza tra il reddito lordo complessivo (punto 1) e l’imposta netta (punto 6).
È ora possibile introdurre altre due definizioni e concetti che fiscalmente hanno rilevanza e significato specifici, ma che possono assumere, per l’operatore del diritto di famiglia, un diverso interesse e motivo di attenzione.
Indipendente dalle spese sostenute per la produzione di ciascuna tipologia di reddito (i.e. spese
telefoniche per l’avvocato che svolge la propria attività professionale presso uno studio autonomo
o spese di carburanti e lubrificanti per un imprenditore che esercita il trasporto merci eccetera),
l’ordinamento tributario attribuisce rilevanza fiscale ad alcuni oneri, in termini di vantaggio fiscale,
sia sotto il profilo della loro deducibilità dal reddito lordo sia sotto quello della loro detraibilità dall’imposta lorda.
E precisamente:
3.1 Gli oneri deducibili
Può trattarsi di spese rappresentate da materiali esborsi finanziari sostenuti dal contribuente ovvero di poste a carattere meramente figurativo, che possono essere portati in detrazione dal reddito
lordo, con l’indubbio conseguente vantaggio di ridurre il reddito imponibile e, come si dice in gergo, di “scendere di scaglione” e di “abbattere l’aliquota marginale”9.
Un esempio di onere deducibile corrispondente a un materiale esborso di denaro è rappresentato
dai contributi previdenziali e assistenziali obbligatori sostenuti per sé o per familiari a carico (i.e. i
contributi soggettivi versati da un ingegnere alla propria cassa di previdenza). Altro esempio di
onere deducibile, ma che non comporta per il contribuente un esborso di denaro, è il valore corrispondente alla rendita catastale dell’abitazione principale e di sue pertinenze. In questo caso la
deduzione è consentita nella misura del 100% della rendita rivalutata al fine di evitare che venga
8
Le aliquote sono progressive nel senso che aumentano più che proporzionalmente rispetto all’aumento del reddito e si applicano su scaglioni di reddito. Si riporta qui di seguito una tabella degli scaglioni e delle aliquote vigenti alla data attuale:
reddito
da
15.000,00
28.000,00
55.000,00
75.000,00
9
a
15.000,00
28.000,00
55.000,00
75.000,00
oltre
scaglioni di
reddito
aliquota
imposta
totale
progressivo
imposta
aliquota
marginale
15.000,00
13.000,00
27.000,00
20.000,00
23%
27%
38%
41%
43%
3.450,00
3.510,00
10.260,00
8.200,00
3.450,00
6.960,00
17.220,00
25.420,00
23%
25%
31%
34%
L’aliquota marginale è determinata dal rapporto fra l’imposta lorda complessiva e il reddito lordo.
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sottoposto a tassazione, se pure nella misura della sola rendita catastale, l’immobile destinato ad
abitazione principale del contribuente.
3.2 Gli oneri detraibili
Anche gli oneri detraibili sono spese rappresentate da materiali esborsi finanziari sostenuti dal contribuente ovvero poste a carattere meramente figurativo, che possono essere portati in detrazione
dall’imposta lorda. Nel caso in cui queste detrazioni siano eccedenti rispetto all’imposta lorda non
possono essere riportate nell’anno successivo e il coniuge non può utilizzare le detrazioni eccedenti dell’altro coniuge10. Questi oneri possono essere determinati in misura forfettaria ovvero in
misura proporzionale al reddito.
Spettano detrazioni per:
a) familiari a carico;
b) svolgimento di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa;
c) sostenimento di specifiche spese.
Nei primi due casi si tratta di oneri figurativi la cui misura è determinata rispettivamente forfettariamente e proporzionalmente al reddito prodotto. Nel terzo caso si tratta di vere e proprie spese
sostenute dal contribuente per le quali è riconosciuta una percentuale di detrazione sempre inferiore al 100% e a volte con franchigie ovvero limiti massimi di importi detraibili. Ad esempio le
spese mediche, che sono detraibili nella misura del 19% della spesa e per importi complessivamente superiori a € 129,11; oppure le spese per assicurazioni sulla vita, che sono detraibili nella misura del 19% del premio pagato e, comunque, per un importo non superiore a € 1.291,14.
In questa sede appare inopportuno, oltre che poco utile, fare un elenco di tutti gli oneri deducibili e di tutti gli oneri detraibili, ma soprattutto delle regole di deducibilità e detraibilità (percentuali, franchigie, importi massimi), in quanto non potrebbe mai essere esaustivo e sarebbe anche di
scarsa utilità nel tempo, considerato che il legislatore fiscale può modificare anche da un anno all’altro le regole di deduzione e detraibilità, rimandando quindi all’operatore la verifica caso per caso, sulla base delle istruzioni ministeriali di volta in volta vigenti.
Valgano, tuttavia, due regole di carattere generale e normativamente sempre valide. Affinché l’onere dia diritto alla deduzione dal reddito ovvero alla detrazione dall’imposta, è necessario che ricorrano i seguenti requisiti:
a) deve trattarsi di onere specificatamente previsto dalla legge. L’elencazione degli oneri deducibili è prevista dall’articolo 10 del d.p.r. n. 917/1986, quella degli oneri detraibili è prevista dagli articoli 12 e seguenti del d.p.r. n. 917/1986. Le elencazioni sono tassative;
b) nel caso si tratti di spese sostenute dal contribuente mediante effettivi esborsi di denaro, il pagamento deve essere stato effettuato nell’anno solare di riferimento e deve essere sempre comprovato da idonea documentazione.
Fatte queste premesse su alcuni concetti di riferimento propedeutici, nel seguito si possono comprendere più agevolmente alcune delle questioni “fiscali” più tipiche e frequenti nel diritto di famiglia.
4. Assegno di mantenimento: detraibilità e imponibilità del medesimo
Trattasi di onere deducibile qualificato in forma specifica dall’articolo 10, comma 1, lettera c) del
d.p.r. n. 917/1986, nel quale si legge: “Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili
10 A questo principio generale ricorrono due eccezioni: 1) le spese per interessi passivi sui mutui ipotecari contratti per l’acquisto dell’abitazione principale; 2) le spese sanitarie sostenute per figli affetti da gravi patologie.
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nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal
contribuente: [...] c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al
mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimento dell’autorità giudiziaria”.
Si precisa che qualsiasi altra qualificazione o caratteristica dovesse assumere l’obbligo al mantenimento di uno dei coniugi in favore dell’altro, non determina in capo all’obbligato alcun diritto alla detrazione. Al riguardo la Corte Costituzionale, con ordinanza del 22 novembre-6 dicembre 2001,
ha definitivamente chiarito che la deducibilità o meno di oneri e spese non è generale e illimitata,
in quanto solo il legislatore ha il potere di individuare quali siano gli oneri che danno diritto alla
deduzione/detrazione, in considerazione del necessario collegamento tra la produzione di reddito
e il conseguente gettito erariale che ne deve necessariamente derivare.
Infatti se in capo a chi eroga l’assegno di mantenimento sorge un diritto alla deduzioni di un importo corrispondente, in capo a chi lo riceve si determina un reddito imponibile da sottoporre a
tassazione, assimilato a quello di lavoro dipendente11.
Sono, dunque, deducibili unicamente gli assegni effettivamente corrisposti periodicamente al coniuge, limitatamente alla quota prevista per il suo mantenimento e nella misura fissata dal provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Dall’interpretazione letterale della norma discende che dall’intero importo riconosciuto nel provvedimento dell’autorità giudiziaria è deducibile unicamente la quota spettante per il mantenimento
del coniuge, se e in quanto effettivamente erogata e limitatamente alla misura massima stabilita dal
giudice.
Se il provvedimento del giudice non distingue la quota dell’assegno destinata al mantenimento dei
figli, l’assegno si considera destinato al coniuge per metà del suo ammontare (art. 2 del d.p.r. n.
42/1988).
L’assegno deve, inoltre, avere carattere periodico e non deve essere corrisposto in un’unica soluzione.
La corresponsione deve essere, altresì, provata e non solo dovuta12, perché – come detto – la quota di assegno percepita dal coniuge a titolo di proprio mantenimento determinerà in capo al medesimo un reddito imponibile, equiparato ai redditi di lavoro dipendente, sul quale si dovrà calcolare l’imposta dovuta, tenendo conto delle detrazioni d’imposta spettanti13.
4.1 Sulla deducibilità di somme erogate al coniuge
Si passa ora all’esame di alcune questioni che sono state dibattute in dottrina e giurisprudenza e
che, però, hanno sempre trovato soluzione alla luce dei fattori sopra esposti quali unici indicatori
e punti di riferimento per inquadrare la deducibilità o meno delle somme erogate in favore del coniuge.
Se nel provvedimento giudiziale è previsto che un coniuge, in ragione dell’accollo delle rate del
mutuo dell’altro coniuge senza possibilità di chiederne il rimborso, non eroghi alcun assegno di
mantenimento, non potrà portare in detrazione l’importo del mutuo pagato14.
Sono indeducibili le somme corrisposte al coniuge a titolo volontario e non specificatamente de-
11 Non è un caso che nel Modello Unico/Modello 730 in corrispondenza dell’importo indicato quale onere per l’assegno di mantenimento corrisposto al coniuge deve indicarsi anche il codice fiscale del coniuge beneficiario. E ciò al fine di consentire all’amministrazione finanziaria di operare in via automatica e diretta i necessari e corrispondenti controlli nonché eventuali accertamenti di redditi non dichiarati, ovvero di deduzioni non spettanti.
12 Commissione Tributaria Centrale, I Sezione, 16 febbraio 1999, n. 760.
13 Si segnala che la detrazione d’imposta effettivamente spettante diminuisce al crescere del reddito fino ad annullarsi del tutto
se il reddito complessivo supera € 55.000 (Istruzioni Modello Unico 2011, anno d’imposta 2010).
14 Circolare n. 50/E del 12 giugno 2002.
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terminate dal giudice, quali ad esempio anche gli importi derivanti dalla rivalutazione Istat dell’assegno di mantenimento, se non specificatamente previsto nel provvedimento dell’autorità giudiziaria15.
È, invece, deducibile l’assegno formato da una parte fissa e da una parte variabile. A volte nella determinazione dell’assegno periodico di mantenimento è previsto che il coniuge obbligato
versi le imposte dovute sull’assegno di mantenimento; in questo caso la Suprema Corte ha stabilito che è deducibile la parte variabile corrispondente all’imposta dovuta sull’assegno di mantenimento16.
Non appare, invece, ancora risolta la questione del regime fiscale da applicare alle somme ricevute/erogate in un’unica soluzione o anche in via rateale, a seguito di azione esecutiva.
Si pensi al caso in cui un coniuge, per il recupero degli assegni non versati spontaneamente, debba dare luogo a un’azione esecutiva, come per esempio un pignoramento presso terzi dello stipendio del coniuge tenuto al mantenimento, o alla vendita esecutiva, mobiliare o immobiliare. La questione va oltremodo complicandosi laddove il ricavato dell’azione esecutiva tenesse conto anche
della quota spettante per il mantenimento dei figli o addirittura non fosse capiente per il soddisfacimento del credito complessivamente maturato, tanto per il mantenimento dei figli, quanto per
quello del coniuge.
A parere della scrivente, trattandosi normalmente di riscossione di somme arretrate e non già di incasso periodico dell’assegno, la riscossione così realizzata dovrebbe ritenersi innanzitutto destinata agli urgenti fabbisogni della famiglia e, in particolare, dei figli che si sono visti sacrificare il giusto mantenimento, magari anche per diversi anni, e non dovrebbero esserci, quindi, ulteriori detrazioni di somme per le corrispondenti imposte.
A tal riguardo, con riferimento all’articolo 1193, comma 2, c.c., si ritiene di poter ragionevolmente
sostenere che tra i due debiti vale a dire il mantenimento del coniuge e il mantenimento dei figli,
entrambi ugualmente garantiti, quello nei confronti dei figli debba essere considerato più oneroso,
in quanto per il soggetto che lo eroga non dà diritto ad alcun abbattimento dell’imposta dovuta.
Come visto, la quota di assegno di mantenimento nei confronti del coniuge consente invece una
deduzione dal reddito di importo corrispondente, con un indubbio beneficio fiscale, che rende così il debito nei confronti del coniuge complessivamente meno oneroso.
Si ritiene, pertanto, che il ricavato dell’eventuale azione esecutiva che il coniuge dovesse essere costretto ad affrontare dovrebbe innanzitutto attribuirsi alla quota di mantenimento dei figli complessivamente non riscossa negli anni e, solo dopo aver completato il recupero dell’intero importo spettante a tal fine, si dovrebbe imputare le residue somme recuperate all’assegno di mantenimento in
favore del coniuge.
Infine, si ritiene che il coniuge, che ha diritto sia all’assegno di mantenimento per se stesso – a norma dell’art. 156 c.c. o all’assegno divorzile, a norma dell’art. 4 della legge sul divorzio – sia all’assegno di mantenimento per i figli a lui affidati o con lui conviventi in seguito alla pronuncia di separazione e/o alla sentenza di divorzio, sia tenuto, necessariamente, a imputare il pagamento ricevuto dal coniuge onerato, magari in maniera parziale e frazionata, innanzitutto all’adempimento
dell’obbligazione di mantenimento per i figli che trova il suo fondamento primario anche nei princìpi generali di ordine pubblico che regolano il nostro ordinamento, laddove la Costituzione con
l’art. 30 stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere i figli.
Qualora si accogliesse, comunque, l’ipotesi che le somme via via percepite, o incassate definitivamente in un’unica soluzione, siano riferibili, seppure in quota parte, anche all’assegno di mantenimento del coniuge, a giudizio della scrivente si dovrebbe considerare che le somme così acquisite possono essere equiparate ad arretrati percepiti in forza di sentenze e quindi con natura paragonabile a quella degli altri redditi, di cui all’articolo 50 del d.p.r. n. 917/1986.
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 21 del d.p.r. n. 917/1986, questi redditi sono soggetti a tassa-
15 Risoluzione 19 novembre 2008, n. 448/E.
16 Cass. 3 maggio 2005, n. 9148.
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zione separata nella ragionevole considerazione che trattandosi di riscossione di redditi che si sarebbero dovuti assoggettare a tassazione in anni d’imposta differenti nei quali, quindi, potrebbero
essere state in vigore anche differenti norme di determinazione del reddito imponibile e dell’imposta netta, non sarebbe corretto assoggettare a tassazione detti redditi interamente nell’anno in
cui si sono finalmente percepiti. Sugli arretrati, infatti, l’imposta si determina applicando all’ammontare percepito l’aliquota corrispondente alla metà dell’ammontare globale dei redditi percepiti nel
biennio precedente17.
5. Detrazioni per figli a carico
Si chiarisce innanzitutto che in linea generale per i figli, anche se non conviventi, con un reddito
personale complessivo non superiore a € 2.840,51 (limite vigente per l’anno d’imposta 2010), il
contribuente ha diritto a una detrazione d’imposta a carattere figurativo stabilita dalla legge in misura forfettaria. La detrazione spetta a prescindere dall’età del figlio ed è al 50% per ciascun genitore o al 100% per genitore con il maggior reddito. Rispetto a precedenti periodi di imposta non è
più possibile una ripartizione in percentuali differenti (ad esempio 70% e 30%). In tal senso è anche la Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 16 marzo 2007, n. 15/E. Per la ripartizione della detrazione tra i coniugi bisogna fare anche una distinzione sulla base della specifica situazione familiare degli stessi:
a) genitori non legalmente ed effettivamente separati: la detrazione deve essere ripartita al 50% tra
ciascun genitore oppure, previ accordi tra i genitori, può essere attribuita anche interamente al
genitore con il reddito più alto;
b) genitori separati: la ripartizione è variabile in base al tipo di affidamento stabilito nel provvedimento del giudice:
• affido a uno solo dei genitori: la detrazione spetta interamente al genitore affidatario. Con diverso accordo può però stabilirsi anche una ripartizione al 50%, ovvero al 100% al coniuge
che ha il maggior reddito. Si segnala una recentissima sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari (n. 128/15/11), nella quale si legge che la detrazione per carichi di famiglia spetta per intero al genitore affidatario dei figli, anche se l’altro ha fruito per il 50%
della stessa detrazione. Nel caso in esame, l’affidamento dei figli a uno solo dei genitori era
stato disposto dal Tribunale per i Minorenni e tale atto legittimava correttamente la detrazione per intero, indipendentemente dal fatto che l’altro genitore avesse fruito del 50% del beneficio;
• affidamento congiunto o condiviso: la detrazione è ripartita tra i genitori al 50%, salvo sempre un diverso accordo con cui la detrazione può essere usufruita al 100% dal coniuge con
il maggior reddito;
c) genitori non coniugati: si applica la medesima disciplina prevista per i genitori separati, qualora siano stati adottati specifici provvedimenti di affidamento. Mentre in assenza di provvedimenti in tal senso, la detrazione spetta al 50% per ciascun genitore, fatta sempre salva la possibilità di accordo tra le parti di lasciare la detrazione al 100% in favore del genitore con il maggior
reddito;
d) coniuge mancante o che non ha riconosciuto i figli: in questo caso per il figlio di età anagrafica
maggiore si applicano le detrazioni previste per il coniuge a carico, ove più convenienti. Per i
figli successivi si dovrà tener conto del numero dei figli a carico, comprendendo nel conteggio
anche il primo.
A differenza di quanto esposto precedentemente riguardo all’impossibilità di recuperare in anni
17 In tal senso, Commissione Tributaria Regionale di Roma, XIV Sezione, 24 novembre-1 dicembre 2009, n. 427/14/2009.
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successivi o trasferire sull’altro coniuge gli oneri detraibili che non trovano capienza nell’imposta,
la detrazione per figli a carico per i genitori separati, che non trova capienza nell’imposta di uno
dei due genitori, può essere invece devoluta in favore dell’altro genitore. La rinuncia da parte del
genitore con imposta incapiente a fruire della detrazione spettante in favore dell’altro non opera
però automaticamente, ma deve essere portata a conoscenza dell’altro genitore.
Le spese sostenute per figli a carico (quali, per esempio, spese mediche, spese per l’istruzione eccetera), per le quali si ha diritto alla detrazione dall’imposta lorda di un importo corrispondente alla spesa sostenuta (si ricorda che la detrazione è sempre però in percentuale, con franchigie e importi massimi), seguono le medesime regole di ripartizione sopra esposte.
Non si deve però dimenticare il principio generale in virtù del quale la detrazione spetta se la spesa è stata effettivamente sostenuta dal contribuente.
Pertanto, nel caso di affido congiunto, qualora si sia scelta una ripartizione della detrazione d’imposta per figli a carico nella misura del 50% ciascuno, le spese sostenute per i figli verranno ripartite nella stessa misura se pagate da entrambi i genitori oppure potranno essere portate in detrazione, anche nella misura del 100%, solo dal genitore che le ha effettivamente sostenute e non se
le è viste rimborsare per quota dall’altro coniuge.
6. Abitazione principale: benefici fiscali a seguito del provvedimento di assegnazione
Sotto il profilo fiscale, si definisce abitazione principale quel fabbricato che risulti idoneo ad alloggiare singole persone o nuclei familiari, catastalmente classificato o classificabile nelle categorie da
A/1 ad A/11 esclusa la categoria A/10 (uffici e studi privati), che il contribuente destina alla residenza propria e/o dei propri familiari. Si considera principale l’abitazione in cui il contribuente o
un suo familiare, compreso il coniuge separato (ma non divorziato), ha la propria dimora abituale che, salvo prova contraria, coincide con la residenza anagrafica. Il possesso di abitazioni adibite a tale scopo dà diritto a non scontare alcuna imposta sul relativo reddito fondiario per tutto il
periodo in cui permangono i suddetti requisiti, attraverso il meccanismo dell’imputazione di una
deduzione dal reddito lordo (calcolato tenendo conto anche del valore dell’abitazione principale)
di un importo corrispondente alla rendita catastale rivalutata dell’immobile stesso. Come visto questo diritto spetta anche per l’abitazione che, a seguito dell’emanazione del provvedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, venga assegnata all’altro coniuge che non ne è proprietario o non ne è proprietario al 100%.
Ai fini dell’Imposta comunale sugli immobili (Ici), a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 1 del
d.l. n. 93/2008 convertito con legge 126/2008, sono considerate esenti tutte le unità immobiliari
aventi uso abitativo e le relative pertinenze18 adibite ad abitazione principale del possessore. Si segnala che l’esenzione, prevista dalla norma generale, può essere estesa sulla base dei Regolamenti comunali di autonoma emanazione anche ad altre abitazioni che vengono assimilate all’abitazione principale19. Secondo un’interpretazione successiva dell’Amministrazione finanziaria, a carattere
più restrittivo20, si ritiene invece che l’esenzione possa essere estesa ad altri immobili solo al ricorrere delle seguenti condizioni:
1) quando l’immobile viene concesso in uso a un proprio parente in linea retta o collaterale entro un determinato grado di parentela;
2) quando l’immobile è posseduto a titolo di proprietà o usufrutto da anziani o disabili che acqui-
18 L’esenzione si applica a condizione che l’abitazione non rientri nelle categorie catastali A1 (abitazioni civili), A8 (ville) e A/9
(castelli) e relative pertinenze.
19 In tal senso: Risoluzione 12/2008/DF; Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia 2008/2009 e Sezione
regionale di controllo per l’Emilia Romagna 4/2009.
20 Risoluzione 4 marzo 2009, n. 1/DF.
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FOCUS
siscono permanentemente la residenza in istituti di ricovero o sanitari e l’abitazione non venga
concessa in locazione a terzi.
Rimanendo nell’ambito di riferimento che qui interessa, si segnala che l’abitazione coniugale così
come sopra definita – che viene assegnata all’altro coniuge, che non è proprietario dell’immobile o
è proprietario solo in quota, sulla base del provvedimento dell’autorità giudiziaria a seguito del provvedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio – è comunque esente per il coniuge non
assegnatario, in quanto l’immobile così destinato viene assimilato all’abitazione principale. L’esenzione è riconosciuta, però, solo a condizione che il contribuente non dimorante, in quanto non assegnatario, non sia titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale su un altro immobile destinato ad abitazione principale nello stesso Comune. Al riguardo si confronti sempre la Risoluzione
ministeriale 5 giugno 2008 n. 12/DF, in base alla quale risulta riconosciuta l’esenzione anche se il titolare dell’immobile assegnato all’altro coniuge è proprietario di un altro immobile situato in un Comune diverso, oppure situato nello stesso Comune, ma non destinato ad abitazione principale.
Con riguardo, infine, ad altre detrazioni connesse con il possesso di immobili adibiti ad abitazione
principale che vengono assegnate a uno solo dei coniugi, non proprietario o proprietario solo in
quota parte, si ritiene utile in particolare riferirsi alla sorte della detraibilità degli interessi sui mutui
ipotecari contratti per l’acquisto o per la ristrutturazione dell’abitazione principale. Si chiarisce innanzitutto che, ai sensi dell’articolo 15 del d.p.r. n. 917/1986, spetta una detrazione d’imposta corrispondente al 19% degli interessi sul mutuo contratto per l’acquisto o per la ristrutturazione dell’abitazione principale. Per aver diritto alla detrazione devono però, coesistere le seguenti condizioni:
1) deve esistere un contratto di mutuo finalizzato all’acquisto/ristrutturazione dell’abitazione principale. La detrazione spetta anche se il mutuo è finalizzato all’acquisto di un’ulteriore quota dell’abitazione principale21. Non danno diritto alla detrazione gli interessi corrisposti per altri contratti di finanziamento diversi dal mutuo (aperture di credito, cessioni dello stipendio eccetera).
La finalità può risultare o dal contratto di mutuo o dal contratto di acquisto dell’immobile oppure anche da altra documentazione che la Banca abbia considerato idonea22;
2) l’immobile deve essere offerto in garanzia ipotecaria. Si segnala che può offrirsi in garanzia anche altro immobile e il diverso immobile può essere anche di altri soggetti23;
3) il mutuante deve risiedere in Italia o in uno Stato della Comunità europea;
4) nell’atto di mutuo devono essere riportati gli estremi dell’atto di acquisto del relativo immobile. L’Amministrazione finanziaria ha precisato che l’annotazione va fatta sul documento che attesta il pagamento degli interessi24.
Sono beneficiari della detrazione tutti gli acquirenti l’immobile che siano anche intestatari del mutuo, entro limiti massimi di importo pagato per interessi, che da un anno all’altro può anche variare (per l’anno d’imposta 2010 l’importo è stato fissato in € 4.000).
Il diritto alla detrazione si può perdere se nel corso dell’anno muta la destinazione dell’immobile.
In particolare, la detrazione si può perdere se la variazione di destinazione avviene a seguito di
scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili. In questi casi bisogna fare però dei distinguo e precisamente: il coniuge intestatario del mutuo che continua ad
abitare nell’immobile mantiene il diritto alla detrazione, anche se in quota, mentre l’altro coniuge
perderebbe questo diritto25. Di diverso avviso è risultata l’Amministrazione finanziaria con successiva Circolare n. 55 del 14 giugno 2001, nella quale sembra permanere il diritto, per intero o pro
quota, se nell’immobile risiede un familiare del coniuge non assegnatario e comunque fino alla sentenza di divorzio.
21 Risoluzione 14 novembre 2007, n. 328/E.
22 Circolare 20 aprile 2005, n. 15/E.
23 Circolare 26 gennaio 2001, n. 7/E; Commissione tributaria centrale 5 maggio1992, n. 3250 e 5 maggio 1992, n. 3253.
24 Circolare 2 giugno 1982, n. 29/9/1449.
25 Circolare 15 maggio 1997, n. 137/E.
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AIAF RIVISTA 2011/3 • settembre-dicembre 2011
7. Conclusioni
Tutte le questioni fin qui trattate certamente non esauriscono in maniera completa le problematiche fiscali che hanno un risvolto determinante nel caso in cui lo stato di famiglia del contribuente
varia a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio e che, quindi, devono essere attentamente considerate dal contribuente stesso nell’esercizio d’imposta di riferimento e nei successivi. Tuttavia, si può ragionevolmente affermare che esse accendono un riflettore su temi che senz’altro hanno un impatto dirompente sulla migliore soluzione economica del giudizio di separazione/divorzio. Infatti se, come fin qui evidenziato, si considera che alcuni benefici fiscali possono variare a seguito della separazione dei coniugi, a seconda delle scelte effettuate dalle parti e ammesse nel provvedimento dell’autorità giudiziaria, si comprende facilmente come anche le problematiche relative alla quantificazione del più equo ammontare dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge, ovvero l’assegnazione o meno dell’abitazione coniugale, possano essere influenzate anche da queste valutazioni.
Pertanto può risultare utile fare, sempre nel rispetto della prioritaria e imprescindibile tutela economica e psicologica dei figli e ove le condizioni processuali complessive lo consentano, una valutazione dell’impatto fiscale delle condizioni di separazione da sottoporre all’autorità giudiziaria,
effettuando così una più conveniente pianificazione complessiva degli aspetti reddituali e patrimoniali dei coniugi coinvolti.
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