ombre rosse - Partito della Rifondazione Comunista – Bergamo

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ombre rosse - Partito della Rifondazione Comunista – Bergamo
OMBRE ROSSE
Partito della Rifondazione Comunista Federazione della Sinistra
Circolo "Giuseppe Brighenti" di Torre Boldone/Ranica
via Reich n.36 24020 - Torre Boldone - Supplemento ad "ALTRABERGAMO" - Direttore Responsabile: Ezio Locatelli Registrazione: n. 31-17/8/95 del Registro periodici del Tribunale di Bergamo.
marzo 2015
http://www.prcbergamo.it/torre/ - email: [email protected]
FASCISTI ….. SU MARTE
JOBS ACT: RENZI FA I COMPITI
ASSEGNATIGLI DALLA TROIKA.
Lo scorso 21 dicembre i cittadini di Torre Boldone
hanno trovato ad accoglierli, nella piazza dietro la
chiesa, un banchetto di Casapound autorizzato dal
comune.
È la prima volta che Torre Boldone si trova a subire
la presenza di un gruppo dichiaratamente
neofascista. I leader di Casapound, in spregio ai
valori della nostra Costituzione, si dichiarano
“fascisti del terzo millennio” e intendono sviluppare
in maniera organica un “progetto ed una struttura
politica nuova che proietti nel futuro il patrimonio
ideale ed umano che il fascismo italiano ha
costruito”. Ci voleva proprio un sindaco come Sessa
perché questo potesse accadere.
La lotta al fascismo ora più che mai deve dispiegarsi
attraverso un lavoro congiunto di tutte le forze sane
di Torre Boldone: partiti, associazioni, sindacati,
movimenti e semplici cittadini.
Un antifascismo che si declina concretamente nella
solidarietà alle classi meno agiate, agli operai, ai
cassaintegrati, ai precari, ai migranti e agli
emarginati.
Un antifascismo che rifiuta e disprezza l’idea di chi
invece propone la contrapposizioni tra le classi
deboli, di chi alimenta una spregevole guerra tra i
poveri e la caccia al “diverso”.
Ci sentiamo in dovere di denunciare e contrastare
qualsiasi forma di fascismo, autoritarismo,
intolleranza, razzismo, omofobia e maschilismo, in
particolare dopo quanto accaduto nel consiglio
comunale del 14 novembre dedicato alle politiche di
solidarietà nel nostro paese. La solidarietà purtroppo
ha sbattuto contro il sindaco ed i suoi sostenitori che
sta diventando una consuetudine, hanno trasformato
la sala in una arena: interruzioni, urla e offese contro
chiunque presentasse un pensiero diverso dalle loro
convinzioni.
Per questo sollecitiamo una presa di posizione
chiara alle forze politiche e sociali e di tutti i cittadini
che si richiamano ai valori della solidarietà e
dell’antifascismo espressi nella nostra Carta
Costituzionale.
Mentre in Europa il governo greco cerca di
aprire una breccia nelle politiche di austerità, in
Italia Renzi fa i compiti assegnatigli dalla Troika:
riscrive lo statuto del lavoro riducendolo a merce
e cancella decenni di lotte delle lavoratrici e dei
lavoratori. Ovviamente Renzi e il suo apparato
propagandistico sono all’opera nello spiegare
come le riforme creeranno nuovo lavoro,
faranno crescere il Pil, risolveranno la precarietà
e via con le magnifiche sorti e progressive.
Si tratta di falsità evidenti che vanno contrastate
in ogni modo.
I decreti attuativi del cosiddetto Jobs Act non
fanno altro che generalizzare la precarietà e
riportare il lavoro alla condizione servile. Questa
è la verità, come è vero che Renzi fa oggi
quanto neppure i governi Monti e Berlusconi
erano riusciti a compiere. E’ questa la sostanza
dell’operazione, che coerentemente riceve il
plauso convinto di Confindustria.
I
decreti
confermano
la
cancellazione
dell’articolo 18 per i nuovi assunti. Sarà
sufficiente etichettare ogni licenziamento con la
motivazione economica perché – anche nel
caso in cui quella motivazione sia falsa e venga
riconosciuta l’illegittimità del licenziamento – il
lavoratore licenziato non abbia più diritto alla
reintegra nel posto di lavoro ma solo ad una
mancia chiamata indennità.
Come si ricorderà anche la controriforma
Fornero aveva provato ad aprire la strada della
piena libertà di licenziamento, laddove sempre
in relazione alla motivazione economica a base
del licenziamento, aveva indicato la sola
possibilità della reintegra nel caso in cui fosse
rilevabile la “manifesta insussistenza del fatto
posto a base del licenziamento”: una
(Continua a pagina 4)
1
V E N T I
D I
G U E R R A
ricchezza e lusso per pochissimi.
Dal benessere alla povertà
Il crollo del muro e la moneta unica
Il mondo occidentale sta sprofondando in un buco
senza fondo. La cosiddetta “crisi”, dapprima
negata dalla politica, poi utilizzata in modo cinico
dal connubio mercati/politica per distruggere
qualsiasi parvenza di stato sociale, ha gettato
tante persone in una condizione esistenziale
insostenibile.
Il mantello nero della povertà ha soffocato fasce
sociali che con un lavoro sicuro, casa di proprietà
e reddito garantito si erano costruite un relativo
benessere. Lo sguardo al futuro era tranquillo e
sereno, garantito per loro e per i propri figli e nulla
sembrava turbare i loro sogni.
L’incubo però si è presentato inaspettato.
Nessuno poteva immaginare cosa potesse
significare ciò che alla fine degli anni 80, dopo la
caduta del muro di Berlino, fu definito in modo
“poetico” in Italia “la Milano da bere”, individuando
in Milano la capitale italiana del liberismo senza
paura. Liberismo
selvaggio e puro che
prometteva ricchezze e bella vita a tutti e che si è
risolto nel suo tragico contrario: disoccupazione,
miseria e povertà per tanti e bellissima vita,
L’Unione Sovietica che aveva funzionato da unico
deterrente per tre quarti del ventesimo secolo, è
implosa; la sua economia invasa e fagocitata dal
capitalismo, è diventata terra di conquista. Le
mani sporche di sangue dei cosiddetti mercati,
hanno potuto iniziare, senza più alcun freno, la
propria azione di saccheggio.
Questo oltre a scatenare subito una guerra feroce
nei paesi dell’ex Jugoslavia con le connivenze e
le tragedie che si è portata dietro e che ben
conosciamo,
ha
aperto
verdi
praterie
inimmaginabili: paesi e infrastrutture da
ricostruire, armi da vendere, bandierine da issare
e soprattutto manodopera a bassissimo costo,
manovalanza senza alcun diritto!
Manna dal cielo per gli imprenditori occidentali,
che, diciamocelo, poveracci non ne potevano più
di fare così poco profitto dovendo pagare salari
equi per non parlare di tutti quei “lacci e lacciuoli”,
(Continua a pagina 5)
UN SALUTO A PUGNI CHIUSI
La sera del 31 dicembre ci ha lasciati il compagno Francesco Bolognini. Aveva 83 anni
Ed era stato tra i primi nel 1991 ad aderire al Partito della Rifondazione Comunista,
dando vita al circolo di Torre Boldone.
Già militante del Partito Comunista Italiano, fu costretto ad emigrare in Svizzera per poter lavorare
e al suo rientro in Italia fu operaio alla Magneti Marelli di Sesto San Giovanni partecipando alle lotte
operaie di fine anni 60 e 70.
Il suo impegno politico non mancò nemmeno a Torre Boldone. Passarono alla storia le lotte dei
pendolari con l’autoriduzione dei biglietti e il blocco a Torre Boldone dei pullman della SAB che
destarono scalpore in tutta la provincia.
Come detto fu tra i fondatori del circolo di Torre Boldone. Soffrì molto per la separazione di alcuni
compagni, con cui aveva condiviso la militanza fin dai tempi del PCI, che nel 1998 passarono al
Partito del Comunisti Italiani, ma il suo impegno in Rifondazione non è venuto meno. Furono gli
anni delle battaglie e della sua partecipazione al comitato che si era costituito in Valle Seriana per il
ripristino del Tram delle Valli.
Il suo contributo, la sua passione politica, la sua esperienza sono sempre stati di stimolo per gli altri
compagni del circolo. Ha continuato a partecipare agli incontri più importanti anche negli ultimi anni
quando l’età e gli acciacchi hanno cominciato a pesare. Negli ultimi mesi, quando ormai non gli era
più possibile uscire la sera, gli faceva molto piacere incontrarci a casa sua ed era sempre prodigo
di consigli stimolandoci ad insistere nella battaglia dei comunisti per la costruzione di un soggetto
unitario della sinistra anticapitalista.
CIAO FRANCO, SARAI SEMPRE NEI NOSTRI CUORI.
2
LA BUONA SCUOLA DI RENZI
L A S C U O L A - A Z I E N D A È S E R V I TA
imprese.
Non
solo
con
l’esaltazione
dell’alternanza
scuola-lavoro
ma
con
l’incredibile previsione della costituzione di
“laboratori per l’occupabilità” in collaborazione
con enti e imprese private attraverso
“l’orientamento
della
didattica
e
della
formazione ai settori strategici del Made in
Italy”.
Non poteva mancare, ovviamente, l’ennesima
incostituzionale elargizione di fondi alle scuole
paritarie private, sollecitata da un manipolo di
deputati della maggioranza che, con grande
spregio del senso del ridicolo, sono arrivati ad
iscrivere d’ufficio nelle schiere dei sostenitori
delle scuole private Don Milani, Maria
Montessori e Antonio Gramsci. Altri 200 milioni
di euro che si aggiungono al fiume di denaro
che, direttamente o indirettamente, Stato,
Regioni ed Enti Locali versano nelle casse delle
scuole private.
Un discorso a parte merita la questione
dell’assunzione dei precari. Il documento diffuso
dal governo per la finta consultazione
prometteva 148.100 assunzioni tra i docenti con
tanto di tabelle dettagliate a dimostrazione di
una presunta accuratezza di calcolo. Dopo il tira
e molla dei giorni scorsi i numeri si sono
fortemente ridimensionati, arrivando, forse, si e
no a 100.000 unità. Sembrano una enormità,
dopo anni di assunzioni con il contagocce, ma
non arrivano nemmeno a coprire tutti i posti
effettivamente disponibili e, a quanto pare,
potrebbero essere effettuate solo in parte per il
prossimo anno scolastico mentre il resto
sarebbe rinviato a quello successivo.
Senza contare che una parte di queste
assunzioni sarebbero legate al finto organico
funzionale, con meno tutele e meno diritti. Di
fatto insegnanti di serie “B”. Una beffa per i tanti
precari che avevano sperato nella fine delle loro
peregrinazioni da una scuola all’altra cui
annualmente sono costretti per garantire il
funzionamento del sistema.
Infine, tra gli elementi più pericolosi contenuti
nel disegno di legge c’è il ricorso alla delega per
una quantità infinita di materie senza indicazioni
stringenti sui limiti della delega stessa, come
Dopo mesi di annunci, finte consultazioni,
notizie contraddittorie, ripetuti rinvii, il governo
ha varato il suo disegno di legge di
controriforma del sistema scolastico. Come era
prevedibile, non c’è ancora un testo ufficiale,
soltanto l’immancabile profluvio di slide illustrate
nell’altrettanto immancabile conferenza stampa
trionfalistica del presidente del Consiglio. Ma da
quello che si sa, grazie anche a qualche testo –
ufficioso ma sicuramente attendibile – che
comincia a circolare, è roba da rabbrividire.
La scelta del governo è netta: trasformare
definitivamente le nostre scuole in aziende,
capeggiate da un preside-manager dotato di
poteri enormi sia sulla gestione del personale
che sugli stessi contenuti della didattica, con il
definitivo azzeramento delle prerogative degli
organi collegiali democratici ridotti al più ad
organismi da “sentire” o da “consultare”.
È il compimento del disegno regressivo avviato,
dapprima
timidamente,
con
l’autonomia
scolastica e, in seguito, con ben maggiore
determinazione con le controriforme Moratti e
Gelmini. Anzi, la proposta del governo si spinge
perfino oltre l’indecente disegno di legge Aprea,
approvato da una delle Camere nella passata
legislatura grazie all’apporto determinante del
PD e bloccato dalle mobilitazioni di studenti,
insegnanti e cittadini.
Il potere assegnato al dirigente scolastico,
infatti, è pressocchè illimitato: è lui ad elaborare
il Piano dell’offerta formativa “sentito il Collegio
dei docenti e il consiglio d’istituto”, è lui a
scegliere per chiamata diretta gli insegnanti del
cosiddetto organico funzionale da un albo
distrettuale, è sempre lui il titolare della
valutazione dei docenti, è ancora lui a scegliersi
il suo staff e ad elargire premi economici ad una
parte dei docenti. Un vero e proprio “dominus”
assoluto della scuola.
Concetti come partecipazione e condivisione
sono in tutta evidenza sconosciuti al nostro
presidente del consiglio e al suo governo,
ancora più sconosciuti – o meglio, considerati
pericolosi impacci da evitare – i concetto di
diritti, regole e democrazia.
A completare il disegno, c’è l’asservimento di
interi pezzi dell’istruzione alle esigenze delle
(Continua a pagina 4)
3
saldamente ancorata alla Costituzione e che
per fare ciò bisogna battere il disegno
reazionario del governo.
Immediatamente gli studenti hanno riempito le
piazze di moltissime città con una piattaforma di
mobilitazione chiara e netta che, tra l’altro,
dichiarava il sostegno incondizionato alla Legge
di iniziativa popolare (LIPScuola), alternativa
chiara, frutto di un percorso democratico e
condiviso, alla scuola renziana.
Il successo di queste manifestazioni è un dato
confortante al quale c’è da sperare, e lavorare
perchè accada, si possa aggiungere una
mobilitazione ancora più larga che coinvolga gli
insegnanti in un movimento di massa. Le
mobilitazioni proclamate dalla FLC Cgil e dagli
altri sindacati “rappresentativi” di categoria, alle
quali si aggiungeranno quelle non meno
importanti che sicuramente saranno indette dai
sindacati di base, vanno in questa direzione.
Sta a tutti essere consapevoli che la scuola è
specchio del paese che si vuole, e che da lì
passa il futuro delle nuove generazioni, e
assumere gli impegni conseguenti.
Noi di Rifondazione Comunista, come sempre,
faremo la nostra parte.
(Continua da pagina 3) La buona scuola di Renzi
già è avvenuto con il Jobs Act. Di fatto, una
delega in bianco a riscrivere l’insieme delle
regole che presiedono al governo delle scuole.
Tra queste, quella relativa alla “istituzione del
sistema integrato di educazione e di istruzione
dalla nascita fino a sei anni” che riprende
l’impostazione di un disegno di legge della
Puglisi, parlamentare e componente della
segreteria del PD. Con questo anche la scuola
dell’infanzia, unico segmento scolastico che
grazie alle lotte di insegnanti e genitori era
rimasta immune dalla furia devastatrice della
Gelmini, verrà di fatto trasformata in un servizio
a domanda, dopo i decenni trascorsi da quando
il movimento democratico aveva fatto sì che si
emancipasse dalla condizione di “scuola
materna” per diventare a pieno titolo parte del
sistema scolastico.
C’è molto altro ancora di negativo nel progetto
del governo, ma già questo basta a delineare
un quadro a tinte fosche.
Occorre quindi apprestarsi ad una dura
battaglia di opposizione, nelle piazze e nelle
scuole, coalizzando le forze di quanti, e sono
tantissimi, pensano che la scuola debba
Frammentando, colpendo una parte e poi
livellando tutti alle condizioni peggiori.
Peraltro, verso la precarietà nei rapporti di
lavoro fa un salto di qualità anche “in ingresso”.
Il primo decreto Poletti aveva già sancito il
possibile utilizzo generalizzato dei contratti a
termine per le assunzioni, eliminando la
necessità di indicare “la causale” cioè il motivo
che giustificasse il ricorso al lavoro temporaneo.
A questo si aggiunge oggi l’estensione
dell’utilizzo dei voucher, i buoni-lavoro
acquistabili anche dal tabaccaio, la forma
massima di lavoro “usa e getta” e la licenza a
impiegare le false partite IVA con grave danno
per i lavoratori e per gli istituti previdenziali.
Quanto alla vantata eliminazione delle
collaborazioni, siamo in presenza di una nuova
operazione di propaganda. Non solo le
collaborazioni restano nel settore pubblico, ma
il criterio indicato per l’individuazione delle false
collaborazioni e per la loro riconduzione al
lavoro subordinato non risolve affatto i casi in
cui il lavoratore ha qualche margine di
(Continua da pagina 1) Jobs Act
formulazione con cui si voleva impedire ogni
ruolo del giudice che non fosse di mera presa
d’atto. Quel tentativo era stato tuttavia
fortemente
limitato
proprio
in
sede
giurisprudenziale, svuotando significativamente
la controriforma del 2012. Il Jobs Act “rimedia”
ai pasticci del 2012 e ne porta a compimento gli
obiettivi. Il testo conferma anche la
manomissione delle norme sui licenziamenti
collettivi che anch’essi saranno utilizzabili per
“dismettere” i lavoratori indesiderati, giacchè
alla violazione di procedure e criteri
corrisponderà solo il pagamento dell’indennità.
Il risultato è la ricattabilità totale di ogni
lavoratrice e di ogni lavoratore che pure sia
assunto
a
tempo
indeterminato,
la
restaurazione del dominio pieno dell’impresa
nei rapporti di lavoro. Ovviamente tra qualche
tempo si dirà che non è giusto che i nuovi
assunti abbiano diritti inferiori ai vecchi e partirà
l’offensiva per estendere le nuove norme a tutti.
E’ così che è andata avanti in questi anni la
sistematica
distruzione
di
ogni
diritto!
(Continua a pagina 5)
4
anni. Il lungo processo di erosione dei diritti del
lavoro non ha fatto altro che affermare un
modello produttivo ed economico che,
all’opposto della propaganda profusa a piene
mani, è all’origine della marginalizzazione
crescente
dell’Italia
nella
divisione
internazionale del lavoro.
Il Jobs Act va contrastato in ogni modo,
rilanciando le mobilitazioni e lavorando fin d’ora
alla costruzione di un ampio schieramento
referendario, assunto peraltro come possibilità
dalla stessa Cgil nel suo ultimo direttivo.
(Continua da pagina 4) Jobs Act
autonomia nella concreta esecuzione del lavoro
ma è dipendente di fatto, perché la propria
sopravvivenza materiale è legata a quel
rapporto di lavoro.
I decreti infine danno il via libera alle norme
gravissime sul demansionamento dei lavoratori,
riscrivendo codice civile e Statuto dei diritti dei
Lavoratori.
Il Jobs Act non porterà un solo posto di lavoro
in più, come è dimostrato dalla storia degli ultimi
L’affare delle armi
(Continua da pagina 2) Venti di Guerra
Lo Stockholm international peace institute,
think tank svedese specialista del settore, ha
rilevato come, nel 2010, le cento più grandi
aziende produttrici di armi del mondo, escluse
quelle cinesi, abbiano intascato 411,1 miliardi di
dollari (+1% rispetto all’anno prima). Una cifra
tutto sommato contenuta se si pensa che i budget
per la Difesa della sola area Asia-Pacifico
supereranno quelli di Stati Uniti e Canada entro il
2021 per raggiungere la quota di 501 miliardi di
dollari (+35% di crescita attesa) all’interno di un
mercato globale delle armi dal valore stimato di
1.650 miliardi di dollari (+9,3% rispetto al 2013).
Per quanto riguarda l’Italia nello scenario
macroeconomico e finanziario a tinte fosche, “la
quota italiana del mercato complessivo è salita
dal 2,6 al 3,4 per cento”, con operatori di primo
piano come Finmeccanica che si piazza al terzo
posto in Europa e al nono posto nella classifica
dei primi dieci operatori dell’industria mondiale
della Difesa.
In definitiva il commercio globale delle armi
(export e import fra Paesi) sta crescendo
significativamente
a
dispetto
della
crisi,
aumentando al tasso del 30% fra il 2008 e il 2013
da 56,5 miliardi di dollari a 73,5 miliardi di dollari.
Questo ci porterebbe a pensare che lo scenario di
guerra, che sta sempre più prepotentemente
affermandosi in tutto il medio oriente ma anche
alle porte dell’Europa con la crisi Ucraina, sia
dovuto alla necessità di utilizzare oltre che
sperimentare al vivo, le nuove micidiali armi che i
paesi produttori fabbricano ed esportano con
tanto profitto.
Sicuramente, tra le varie ragioni c’è anche questa,
ma non è la sola. Difficile per noi capire a fondo
tutti gli scenari di guerra aperti in vari territori.
Ogni conflitto ha ovviamente una sua specificità
chiamati chissà perchè “diritti”,che i lavoratori
occidentali si erano conquistati e pretendevano.
Iniziano in quegli anni, soprattutto in Italia, favorite
dalla politica neo liberista, le cosiddette
delocalizzazioni. Intere aziende che trasferiscono
macchinari e produzione all’estero, creando
migliaia di disoccupati difficilmente ricollocabili,
gettando
intere famiglie sul lastrico senza
appello.
Inoltre il fare soldi sui soldi, speculazioni e azzardi
finanziari diventano una specie di sport che
coinvolge non più solo i grandi capitalisti che con
l’alta finanza ci sono sempre andati a nozze, ma
anche piccoli capitalisti, arrivando al tragico
paradosso di spingere i lavoratori a rischiare i
propri risparmi in spregiudicate operazioni
finanziare oscure ai più. La memoria ci riporta a
uno dei crac più clamorosi dei nostri tempi, e cioè
a quello della Parmalat. Crac devastante per
l’economia di tanti piccoli risparmiatori che hanno
visto letteralmente bruciare i propri sudatissimi
risparmi spesso frutto di liquidazioni, pensioni o
stipendi di lavoratori che sono stati mandati sul
lastrico.
L’arrivo dell’euro, in un’ Europa solo mercantile e
non politica determina nei paesi con un’economia
più fragile l’inasprimento dell’erosione dello stato
sociale e dei diritti che viaggia pari passo con la
disoccupazione sempre più dilagante e con la
precarizzazione del mondo del lavoro.
Arrivando ai giorni nostri lo scenario è ben chiaro
dal punto di vista economico e sociale: crescita
della povertà, disoccupazione, precarietà e tagli
sempre più incisivi alla spesa pubblica, soprattutto
nei settori che sono i pilastri della società
democratica: istruzione e sanità. C’è un unico
settore che non ha subito tagli, ma che anzi
chiude sempre i suoi bilanci in attivo, ed è quello
dell’industria mondiale delle armi.
(Continua a pagina 6)
5
disoccupazione. In questo desolante scenario,
l’unica vera soluzione che il capitale ha peraltro
che si lega anche alle problematiche del territorio
sempre adottato in questi casi è una guerra.
ove si verifica.
Le occasioni certo al capitale non mancano,
intervenire o provocare conflitti in paesi poco
La crisi del 29 e i giorni nostri
democratici o asserviti alle grandi potenze, è
gioco facile. Salvo poi farsi sfuggire di mano la
Possiamo però notare che la compressione dei
situazione. L’ex segretario di Stato americano,
salari, la totale mancanza degli stessi, provoca un
Hillary Clinton, ha rilasciato un’intervista dove
arretramento dei consumi, che in una società
accusa la propria amministrazione di avere prima
capitalistica rappresentano la spinta economica
finanziato e armato i cosiddetti Freedom Fighters,
che fa avanzare una nazione.
in Siria per contrastare Assad, salvo poi
Nel frattempo le merci prodotte ma mai
accorgersi che questa “guerriglia” era formata
acquistate, si accumulano (a chi naviga in rete
anche, in buon numero, da islamisti che hanno
sarà capitato di vedere le immagini sconvolgenti
dato poi vita (ben armati e con i soldi americani)
di milioni di automobili, di tutte le marche e
all’Isis che tanto ora ci fa giustamente orrore e
modelli invendute e parcheggiate in enormi aree
spavento.
comprate o affittate, consumando tra l’altro
Altro fronte aperto alle porte dell’Europa è la crisi
vastissime zone di suolo, dalle varie industrie
Ucraina. Crisi creata ad hoc fomentando umori
automobilistiche in tutto il mondo, lasciate lì a
nazionalistici mascherati da istanze europeiste.
marcire perchè nessuno le acquista più). Questo
Obama sta cercando in realtà di rompere gli
inquietante fenomeno riguarda oggi un po’ tutti i
accordi economici tra Europa e Russia perchè gli
beni
di
consumo
e
si
chiama
Usa vorrebbero un’Europa totalmente dipendente,
“sovrapproduzione”.
ad esempio, sul piano energetico, dall’America.
Nel 1929 il mondo precipitò, come oggi, in una
C’è una crisi della globalizzazione dentro la crisi
crisi generale che coinvolse i paesi capitalisti, e
economica, perchè stanno emergendo potenze
che determinò profonde trasformazioni nei
che mettono in discussione la centralità degli Usa,
rapporti tra stato ed economia. Questa fu per
come la Russia, la Cina, l’India, l’America latina
l’epoca una crisi diversa dalle altre che l'avevano
con il Brasile. Ricostruendo le condizioni di una
preceduta, per tre motivi: lunga durata, portata
guerra fredda sul piano economico contro la
mondiale, intensità senza precedenti. I principali
Russia e la Cina, gli Usa pongono le condizioni
indicatori economici crollarono fino alla metà del
per una ridivisione dei blocchi che è anche
1932; seguì, fra molte oscillazioni, una lieve
militare: non è un caso che Obama se ne vada in
ripresa fino al 1937, ma il 1938 fu nuovamente un
giro per l’Europa a dire che bisogna investire
anno di crollo. Soltanto l'inizio della seconda
almeno il 2 per cento del Pil in spese militari
guerra mondiale porterà al superamento della
crisi.
L’Europa è incapace di opporre un’alternativa
unitaria alla politica estera degli Stati Uniti e di
La "grande depressione", così venne chiamata,
esercitare una propria soggettività ma, anzi, è
era in buona sostanza stata determinata da:
sempre più schiacciata sulle posizioni americane.
1. salari in ritardo rispetto alla crescita economica
Il riarmo di Kiev grazie all’afflusso dei capitali
(la domanda non riusciva a tenere il passo
americani
avviene nel quadro di uno scenario
dell'offerta);
internazionale
di forte instabilità: la pulizia
2. sovrapproduzione e speculazione.
etnica dei palestinesi a Gaza, il califfato in Siria
Lo stesso scenario, si presenta oggi, in un mondo
e in Iraq, la destabilizzazione dell’Egitto, la
globalizzato e schiacciato sulla logica del
deflagrazione della Libia. Eventi ai quali si va ad
capitalismo più sfrenato: sovrapproduzione,
aggiungere il neo terrorismo islamico che
deflazione, salari sempre più bassi e
promette attentati in tutto l’occidente e che
ha visto proprio nei giorni scorsi, una capitale
S I A M O A N C H E S U FA C E B O O K !
europea colpita nei suoi valori di libertà di
Per avere con voi un rapporto più costante espressione e di democrazia.
Spirano gelidi venti di guerra, la terza guerra
abbiamo creato in facebook una nostra pagina.
mondiale non sembra poi così lontana …
Cercate: RIFONDAZIONE TORRE BOLDONE.
(Continua da pagina 5) Venti di Guerra
Aggiungete: “mi piace”. Sarete costantemente
informati sulle nostre iniziative!
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Una grande donna, Rosa Luxemburg, lo
aveva detto “Socialismo o barbarie!”…. non
aveva poi tutti i torti!