le paure della francia al voto sulla costituzione europea

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le paure della francia al voto sulla costituzione europea
LE PAURE DELLA FRANCIA AL VOTO SULLA COSTITUZIONE EUROPEA
Uno dei paesi fondatori dell’Europa, la Francia, sta per votare il referendum sulla Costituzione
europea. Mentre altri stati, come l’Italia, hanno deciso di ratificare il testo con voto parlamentare, la
Francia sarà il secondo paese, dopo la Spagna, a pronunciarsi - il 29 maggio. E si appresta a farlo in
un’atmosfera molto speciale: nel paese infatti, se si considerano i sondaggi che sin dall’autunno del 2004
hanno registrato un incremento dell’intenzione di votare “no” al referendum, è sorto un grande timore
nei confronti di questa Costituzione. Come se questo “no”, a sentire le spiegazioni date dalle persone di
diversi ceti sociali intervistate dai giornali, garantirebbe una “sicurezza” o una “protezione” economica,
sociale, o culturale maggiore di quella del “si”, sinonimo più che altro di “rischio”.
Che il 29 maggio il si o il no diventi maggioritario, malgrado i sondaggi, non si può prevedere;
quello che ci sembra importante, in ogni caso, è di cercare di capire come mai il progetto “Europa”
possa provocare tante paure ed è questo argomento che cercheremo di sviluppare qui.
Già al referendum sul “traité de Maastricht” nel 1992 le fazioni per il “no” o per il “si” si erano
schierate. Ma fra i difensori del “no” si vedevano soprattutto i leader conservatori oppure dell’estrema
destra, come Jean-Marie Le Pen, capo del “Front National” (Fronte Nazionale), che sostenevano che il
rafforzamento dell’Europa avrebbe segnato, cancellandola, indebolendola, la fine dell’identità e della
“sovranità” francese. Una posizione che davanti a questo referendum è ancora quella d’un partito come
il “Front National” oggi; ma non è di sicuro l’unico partito politico, come non lo fu nel 1992, ad
opporsi al trattato europeo.
Però la grande differenza, 13 anni dopo Maastricht, è che all’interno dei partiti stessi, che siano
di sinistra o di destra, non si è riuscito a trovare un consenso sull’intenzione di voto; posizione che non
contribuisce a chiarire le intenzioni dell’elettorato.
La Costituzione europea, fin qui argomento piuttosto astratto e distante, è diventato adesso
l’argomento principale (o quasi) sui giornali e nelle discussioni. Questa Costituzione sembrava lontana,
incomprensibile – e forse lo rimane ancora, se si pensa che è composta di 448 articoli che non saranno
stati tutti spiegati o letti… Si è visto gli Spagnoli andare a votare con un po’ di distacco, senza neanche
stupirsi dell’altissimo tasso di astensione – che forse anche in Francia sarà raggiunto. Fra poco, il 29
Maggio, toccherà ai Francesi dare una risposta al referendum; questa volta con una certa effervescenza,
portata dai dibattiti politici, dalle riunioni pubbliche organizzate – soprattutto dai comitati per il “no”;
fino al punto che il Presidente Jacques Chirac si è sentito costretto ad andare in televisione per spiegare
ai concittadini il motivo per cui si doveva votare “si”; fino al punto che l’ex Primo Ministro Lionel
Jospin si è sentito investito del dovere di difendere anche lui questo “si” in televisione – comportamenti
che non sono piaciuti a tutti confermando un’irritazione già diffusa nella “vox populi”: “perché
organizzare un voto se una scelta sola è “giusta”? Se è un referendum, se siamo chiamati a pronunciarsi
sulla Costituzione perché per forza adesso ci sentiamo dire che se non sosteniamo questo testo, le
conseguenze saranno molto gravi? Perché, insomma, una consultazione pubblica diretta, se non si
poteva correre il rischio della risposta delle urne?”.
Altro motivo di malcontento, che serpeggia sicuramente di più fra gli elettori pronti a votare
“no” al referendum, è l’impressione che gli argomenti della campagna elettorale siano stati ben pochi,
che si sia vissuta soprattutto una battaglia retorica fra uomini politici – in poche parole, che il testo della
Costituzione sia rimasto poco concreto (quale sarà il suo impatto sulla vita quotidiana del cittadino?) e
poco chiaro (come saranno gestite, per esempio, le legislazioni nazionali ed europee?). La dimostrazione
di questa mancanza di concretezza si può cogliere nelle parole d’un uomo politico durante un meeting:
“i soli progressi sociali ed ecologisti al livello democratico sono nel trattato costituzionale”.
E poi, ovviamente, quello che è in gioco in questo referendum sulla Costituzione europea
riguarda anche la politica interna della Francia, benché la maggioranza chieda ai cittadini che non sia
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dato un voto per esprimere il proprio gradimento sul governo, ma che sia un voto che risponda al
quesito referendario; nell’opposizione, comunque, si sono sentite delle voci, tra cui quella di Martine
Aubry 1, che invitano la società francese ad “aspettare” il 2007 prima di pronunciarsi sulle questioni
nazionali, dichiarando che l’adozione della Costituzione europea era una sfida troppo importante per
essere fermata da un “voto di sfiducia” al governo francese attuale.
Le divisioni all’interno dei partiti stessi di cui si è parlato prima hanno sicuramente contribuito
ad aumentare la confusione e l’incomprensione fra l’elettorato, che ricorda con una certa paura le ultime
elezioni presidenziali del 2002, in cui c’erano “tanti” candidati a sinistra che si era detto che una parte
dei voti che aveva perso il candidato maggiore della sinistra, Lionel Jospin, era stata “presa” proprio
dall’eccessivo numero di candidati; e forse, all’indomani del voto sul referendum, verrà riprovato ai
partiti di non essere stati in grado di parlare con una sola voce. Di queste ultime elezioni presidenziali
rimangono anche tre punti importanti e traumatizzanti che hanno a che fare col voto sul referendum.
- Il primo è che la gente è stata chiamata nel 2002 a votare per Jacques Chirac (eletto con più
dell’80 % dei voti) al secondo turno per “salvaguardare la democrazia” (come si diceva) e impedire la
vittoria dell’altro candidato che rimaneva in corsa, il leader xenofobo Jean-Marie Le Pen. Si è vissuto un
periodo di manifestazioni, di riunioni, in cui si pensava e si sperava che la coscienza politica si fosse
rifatta viva… Un periodo in cui sono sfortunatamente stati “aggrediti”, dipinti come colpevoli quelli
che non avevano voluto votare per il candidato Jospin e avevano dunque fatto “perdere” la sinistra; un
periodo in cui sfortunatamente quelli che avevano votato per l’estrema destra (fra cui una parte per
disperazione o per rabbia) sono stati criticati con delle parole molto dure, senza che le loro paure o
motivi di sfiducia siano stati tenuti in conto o ascoltati. Per riassumere questo primo “trauma” del “21
aprile” 2002: come si può ancora incoraggiare il cittadino a votare, a fargli pensare che prende parte alla
vita della sua società – e che è suo dovere farlo – se sul suo voto viene calato un giudizio morale; se
sembra che alcuni voti sono accettabili ed altri scandalosi? Il rischio, ovviamente, rispetto alla
Costituzione, è che si vada a votare “no” soltanto per rabbia contro una classe politica o dirigente
troppo sicura di sé e troppo poco all’ascolto.
- Il secondo punto, come si scriveva prima, è che Jacques Chirac è stato rieletto con più di 80 %
dei voti, di cui una parte proveniva da un elettorato che non gli è tanto favorevole, ma l’ha fatto per
impedire la vittoria di Jean-Marie Le Pen. E questo elettorato sicuramente chiede conto al suo
presidente; il voto assai negativo per la maggioranza alle elezioni regionali dell’anno 2004 lo dimostrava
bene. C’è da temere che ci sia una confusione sul referendum fra politica interna e futuro europeo
anche perché il presidente Chirac non avrà, per esempio, voluto prendere in considerazione la ‘beffa’
del 2004, mantenendo al suo posto il poco popolare Primo Ministro, Jean-Pierre Raffarain; una
posizione che sarebbe stata più accettabile se, nel 2002, Chirac avesse preso l’80 % dei voti da un
elettorato convinto. Invece, per questo referendum, il gesto già caratteristico del voto – esprimere le sue
aspettative e le sue delusioni, qualsiasi sia l’argomento dello scrutinio – potrebbe essere rafforzato,
facendo vincere il “no”.
- Il terzo punto è la presenza continua dei sondaggi: si è molto parlato nel 2002 del ruolo che
quest’ultimi avevano svolto – nessun sondaggio o quasi aveva previsto la sconfitta del leader socialista
Jospin e la presenza di Le Pen al secondo turno; alcuni si sono chiesti se questi sondaggi non avevano
in un certo modo spinto gli elettori un po’ indecisi ad astenersi, per esempio, avendo l’impressione che
questo scrutinio non fosse altro che una consultazione fra le “classiche” destra e sinistra per l’lezione di
un presidente. Oggi, da settembre e soprattutto da gennaio, sondaggi che “dovrebbero” riflettere le
intenzioni dei francesi sono tornati prepotentemente e si susseguono in un modo frenetico, al punto da
influenzare o stancare anche l’elettore più neutro che si possa immaginare.
Ma sarebbe impossibile pensare che il voto si spieghi soltanto da un contesto politico e dalle
ultime esperienze vissute da un popolo, anche se sicuramente le presidenziali del 2002 avranno
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Socialista, iniziatrice della riforma sui 35 ore settimanali di lavoro.
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profondamente turbato l’elettorato e la società francesi. E qui intendo dire che fra le paure più ribadite
si sente spesso parlare di povertà, economia, malessere sociale: situazioni vissute, anticipate o proiettate.
Secondo uno dei suddetti sondaggi, il 75 % degli operai si opporrebbero alla Costituzione, mentre
sarebbero soltanto il 15 % fra i ceti alti2 ; un dato relativo, ma che può riassumere quanto l’Europa sia
vissuta diversamente secondo la posizione sociale. Ma qualsiasi sia questa posizione, appare ovvio che il
passaggio all’euro – che ha reso assai ‘tangibile’ l’esistenza dell’Europa – ha spinto ognuno a fare il
bilancio, a valutare ciò che aveva vinto o perso – valutazione limitata e parziale perché l’Europa non
significa certo soltanto l’euro. E nel fare questo conto, non è detto che la gente sia stata molto aiutata
dagli uomini politici che praticano abbastanza bene il “flou artistique” intorno alle responsabilità. Cioè,
le risposte alle domande come queste non saranno state sempre chiare. Cos’è che ha abbassato il potere
d’acquisto: l’euro o una crisi economica francese o europea? Gli spostamenti di imprese all’estero, con
cui sono stati soppressi tanti posti di lavoro, sono dovuti a un cambiamento generale del mondo del
lavoro (europeo, mondiale) o a una mancanza di previsioni economiche (francesi e europee)? Si può
dire che sia colpa del precedente governo socialista e dell’instaurazione delle tante discusse 35 ore (che
pure hanno offerto alle imprese una flessibilità incredibile secondo parecchi osservatori) se l’economia
francese attraversa un momento delicato? Domande, insomma, che interrogano gli orientamenti presi o
da prendere.
Nel bilancio che si può fare, due anni dopo il passaggio ufficiale all’euro, verrà inoltre preso in
considerazione un tasso di disoccupazione del 10 % che tocca soprattutto i giovani – loro che erano
probabilmente fra i più ottimisti nei confronti dell’Europa. Giovani che al massimo sentiranno parlare
da parte dei loro genitori dell’ormai mitico “lavoro a tempo indeterminato”; che sicuramente avranno
poca fiducia perché hanno davanti un futuro con poche certezze – vengono in mente le analisi
internazionali, secondo cui vivremmo in una “nuova” economia, che impone di adeguarsi e saper
adattarsi, sviluppando la nozione di intraprendenza; valutazioni che non possono non suscitare
legittime paure nel così detto “uomo della strada”. Paure che la Costituzione europea non aiuta a
fugare, essendo stata molto criticata nei dibattiti pubblici da parte dei suoi contraddittori proprio per la
mancanza di garanzie sociali e l’ultra-liberalizzazione che autorizzerebbe.
Del resto, per non rassicurare i giovani francesi, è stato instaurato da poco tempo – marzo - una
nuova forma di contratto, il “contrat d’avenir” (contratto di avvenire). Una bella formula per questo
contratto “sociale” nato con l’intenzione di permettere l’integrazione, dato che dopo due anni dovrebbe
trasformarsi in un contratto fisso a tempo indeterminato. Con un unico particolare, però: nei primi due
anni si lavorerà 26 ore alla settimana per uno stipendio di circa 650 euro mensili... e con il fondato
timore che venga poi disatteso, rendendo di fatto il lavoro sempre più precario. Forse queste paure
hanno reso i giovani più scettici verso l’Europa, una novità che notava sul Corriere della Sera del 26 aprile
scorso Gilles Martinet3: “i sondaggi hanno rivelato anche una frattura sociologica fra la Francia più
aperta e internazionalizzata e la Francia più tradizionalista, ripiegata su se stessa, che non parla lingue
straniere. La stessa Francia che avrebbe voluto bocciare Maastricht con la differenza che oggi si sono
uniti al coro anche molti giovani e borghesi” – secondo le intenzioni di voto, infatti, il 50% fra i 18 e 24
anni voterebbero “no” al referendum, mentre sarebbero il 55 % fra i 25 e 34 anni.4
Ultimo ostacolo a far nascere l’entusiasmo verso questa Costituzione europea potrebbe essere
probabilmente un insieme di eventi che non sono stati abbastanza spiegati all’opinione pubblica
francese. Per esempio, l’ingresso nel maggio 2004 dei paesi dell’Europa dell’Est è stato considerato
soprattutto un’adesione economica e non si è ben compreso quali radici culturali si potevano
condividere – punto che può far dubitare dell’idea d’un identità europea, o della volontà di svilupparla –
e senza capire nemmeno perché una parte di questi paesi sembravano più vicini politicamente agli Stati
Uniti che non all’Europa (si veda la questione della guerra in Iraq). Inoltre, la campagna del presidente
Chirac contro l’ingresso della Turchia nell’Europa avrà provocato una certa confusione, anche se
Sondaggio pubblicato sul quotidiano Libération del 25 aprile 2005, secondo un inchiesta Louis Harris per Libération e
i>Télé realizzato i 15 e 16 aprile.
3 Ex direttore del settimanale francese Le Nouvel Observateur ed ex ambasciatore in Italia.
4 Ibid.
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l’opinione pubblica lo ha piuttosto appoggiato: se un paese non deve entrare in Europa a tutti i costi
(per motivi culturali, storici, politici…) ma lo farà comunque, come non interrogarsi sulla legittimità
dell’attuale Europa? E come garantire ai cittadini che la volontà di quello che hanno scelto come
presidente potrà opporsi a quella d’un istituzione, l’Europa, vissuta come entità estranea?
“Un Europeo ha due patrie: la sua e la Francia”, dichiarava l’olandese Frits Bolkestein sul
quotidiano francese Libération del 25 aprile, citando una vecchia frase di suo padre, con un evidente,
manifesto riferimento alla Rivoluzione francese e alla Dichiarazione dei Diritti Umani”… Ma questo
passato mitico potrebbe essere il nuovo punto di partenza o di rinascita della volontà degli Europei di
fare parte dell’Europa con entusiasmo: mettendo al centro l’essere umano, idea che sembrava bella 200
anni fa. Ma oggi, che la Costituzione possa garantire questi diritti forse ai cittadini di paesi più giovani
della comunità europea non è, si può temere, il punto che porterà a scegliere il “si” piuttosto del “no”.
Molto più probabilmente il voto del 29 maggio rifletterà più le paure sociali ed economiche dei Francesi
che le loro aspettative del e per l’Europa. Ma l’alto numero di libri venduti che spiegano il contenuto
della Costituzione europea e lo sforzo dei giornali che moltiplicano i punti di vista, cercando di chiarire
qual è l’essenza del testo, possono testimoniare che l’interesse per la “cosa europea” non si è perso…
Laure Stephan
giornalista
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