Tribunale Roma 11 gennaio 2004

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Tribunale Roma 11 gennaio 2004
Sul plagio letterario, artistico e musicale:
la giurisprudenza italiana dal 1856 ad oggi
A cura di Roberto Caso e Giulia Dore
TRIBUNALE DI Roma
11 gennaio 2004
X. Y.
(Sentenza integrale)
Cass. Penale, 2005, 1537
Sul plagio letterario, artistico e musicale: la giurisprudenza italiana dal 1856 ad oggi (a cura di Caso, R., Dore, G.)
Tribunale di Roma
11 gennaio 2004 (dep. 11 aprile 2005) - Est. Roja - Imp. X.Y.
Così riassunti in fatto gli elementi salenti del processo, deve osservarsi che le prove acquisite in
contraddittorio hanno consentito di provare con sufficiente certezza la responsabilità dell'imputato, nei
termini che di seguito si illustreranno.
1) Sull'attribuzione delle opere.
Presupposto materiale delle contestate imputazioni è costituito dall’avvenuta redazione e pubblicazione
da parte di X.Y. di due opere scientifiche monografiche in materia giuridica, recanti quale titolo,
rispettivamente, «Aspetti pubblicistici e privatistici del Mutuo di Scopo», edito nell'anno 1990 dalla Casa editrice
«Cedam», Padova, e «La sfiducia ad un singolo ministro nel quadro dei poteri di indirizzo e controllo del
Parlamento», pubblicato nell'anno 1999 dalla «Giuffré editore», Milano, nell'ambito della collana di Studi
Giuridici della «Luiss Guido Carli».
Trattasi di fatto presupposto del tutto pacifico, fornito di chiara prova documentale, avendo entrambe le
parti processuali offerto copie dei volumi, benché in semplice fotocopia il pubblico ministero, così come
l'imputato ne ha riconosciuto la paternità, sì che nessun dubbio è residuato in punto attribuzione degli
scritti a quest’ultimo.
2) Sulla partecipazione ai concorsi pubblici.
Fatto parimenti condiviso dalle parti e analogamente supportato da idonei riscontri documentali, è
l’utilizzo delle due citate opere nell’ambito di differenziati concorsi universitari cui X.Y. partecipò: avendo
egli, in particolare, offerto all’esame della Commissione per il concorso di professore associato per il
gruppo «n. 041 Diritto Costituzionale ed Istituzioni di Diritto Pubblico», bandito con decreto ministeriale
28 luglio 1990, il testo «Il Mutuo di Scopo» (cfr. domanda dd. 29 dicembre 1990, n. 15 elenco delle
pubblicazioni allegate: doc. 2 della produzione del pubblico ministero); al vaglio della Commissione
giudicatrice, costituita con decreto ministeriale 28 ottobre 1999 per l’esame dei titoli per la conferma in
ruolo, oltre al primo testo, pure l’opera «La sfiducia ad un singolo ministro nel quadro dei poteri di indirizzo e
controllo del Parlamento».
Entrambe le opere vennero, infine, presentate da X.Y. quali titoli di partecipazione al concorso per la
valutazione comparativa ai fini della copertura di un posto di professore ordinario presso la Facoltà di
Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Cagliari - settore N09X «Istituzioni di diritto pubblico» di
cui al bando pubblicato sulla G.U. n. 55 del 14 luglio 2000.
Pacifica e confortata da ampio materiale documentale proveniente da pubbliche istituzioni è, altresì, la
sorte di tali concorsi per X.Y.: conclusosi favorevolmente il primo, con il conseguimento dell'idoneità
didattico - scientifica, pur in concreto non seguita dall'avvio dell'attività di docenza, attesa la classificazione
finale assoluta al nono posto nella valutazione comparativa ponderata dei candidati idonei; definito con la
nomina a professore associato confermato nel settore N09X - Istituzioni di diritto pubblico il secondo,
all'esito del triennio di insegnamento presso la Libera Università degli Studi «Guido Carli».
Più travagliata e controversa fu la vicenda della partecipazione all'ultimo concorso universitario , quando
X.Y., a fronte della pubblicazione di notizie di stampa che contestavano l'originalità di alcune opere
presentate, vi rinunciò con dichiarazione dd. 14 febbraio 2002. Successivamente, a seguito della sua istanza
di esame della posizione con esclusione dalla valutazione dei titoli «Aspetti pubblicistici e privatistici del Mutuo
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di scopo», «Governo parlamentare e sfiducia ad un singolo Ministro», «La sfiducia ad un singolo ministro nel quadro
dei poteri di indirizzo e controllo del Parlamento», la Commissione esaminatrice, che già aveva preso atto della
dichiarazione di rinuncia, informava direttamente la Procura della Repubblica, comunque non dando più
seguito alla formulazione del giudizio sul candidato.
Non si ritiene qui di valutare in alcun modo la correttezza amministrativa e definitività della contestata
esclusione dal concorso di X.Y. piuttosto che la valutazione parziale, pur da lui invocata, depurata dai titoli
allora contestati, sostanzialmente superata dalla Commissione con l’argomento che il conseguimento della
dignità accademica è frutto della valutazione dell'intero percorso scientifico di un candidato e del suo
affinamento, sì che non parve allora possibile una comparazione limitata a parte dei titoli.
Come, infatti, si vedrà, trattasi di circostanza ininfluente sulle decisioni finali di competenza, avuto
riguardo al fatto che il reato contestato al capo B) si consuma con la semplice presentazione da parte
dell'aspirante al conferimento della dignità pubblica dell’opera altrui, essendo il delitto configurato quale
fattispecie di mera condotta e rappresentando il conseguimento del titolo una semplice circostanza
aggravante: evento, che, per quanto ora illustrato sull’interruzione della valutazione del candidato da parte
della Commissione, non risulta qui comunque verificato.
Secondo quanto riferito dal dirigente generale del Ministero dell’Università, anche il titolo di professore
associato confermato (conseguito da X.Y. nell'anno 2000), costituisce autonomo e specifico titolo
accademico: esso, infatti, viene assegnato, sia pur al di fuori di un concorso comparativo, da una
commissione giudicatrice nominata dal Ministro su indicazione del Consiglio Universitario Nazionale, con
il compito di valutare l’attività didattica svolta (attestata da una relazione di facoltà) e l’operosità del
candidato nel triennio, estesa pure alle pubblicazioni scientifiche, con il rischio, in ipotesi negativa, di
ripetizione del triennio.
Il superamento del concorso e la conferma in ruolo comportano, sotto il profilo giuridico, l’attribuzione
di facoltà aggiuntive rispetto a quelle corrispondenti al ruolo di professore associato, consentendo, ad
esempio, la partecipazione alle commissioni di concorso per la conferma in ruolo, riservata ai soli
professori ordinari ed associati confermati (comma 1 art. 23 cit.).
Nessun dubbio, invece, è mai stato avanzato sulla natura di vero e proprio concorso pubblico, gestito in
ambito nazionale direttamente dal Ministero dell’Istruzione, del concorso per professore associato: ciò che
rileva ai fini dell’estensione oggettiva del reato di cui al capo B), là ove questo presuppone l'impropria
attribuzione di opere da parte di aspiranti al conferimento di uffici, titoli e dignità pubbliche.
È stato, infine, acquisito agli atti, su istanza della difesa, un giudizio collegiale di piena maturità
scientifica formulato in sede concorsuale in data 19 settembre 1990, sul candidato X.Y., nell'ambito del
concorso per la cattedra N0412, risalente ad epoca anteriore la pubblicazione di entrambe le opere qui in
esame, come desumibile dalla lettura dei contenuti del giudizio stesso. (Omissis).
4) Sull'opera dell'ingegno.
Momento assolutamente centrale e condizionante del processo è individuazione del concetto di opera
scientifica, cui i due testi attribuiti a X.Y. pretendono di ascriversi, tali essendo stati pure ritenuti dalla
comunità accademica: definizione dalla quale dipende la sorte di entrambe le imputazioni in esame.
Per espresso disposto di legge costituiscono oggetto della normativa sul diritto d'autore, soggette alla
disciplina della 1. 22 aprile 1941 n. 633 succ. mod., «le opere dell'ingegno di carattere creativo che
appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative .... qualunque ne sia il modo o la forma di
espressione», di seguito esplicitando che, in particolare, la protezione si estende, in via esemplificativa e
non tassativa, alle «opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche, religiose, tanto se in forma
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scritta quanto se orale» (artt. I comma 1 e 2 comma I n. I legge cit.): dove alle opere letterarie si ascrivono
tutte quelle espresse con il mezzo verbale, cioè fondate sull'utilizzo della parola, al fine di esprimere e
comunicare dati informativi della più varia natura, elaborati ed organizzati in forma personale ed autonoma
dall'autore (sì da ricomprendere un genere più ampio delle opere letterarie tradizionalmente intese, quali
la poesia, la narrativa, la saggistica: Cass., sez. I civ., 2 dicembre 1993, n. 11953).
Trovano altresì tutela autonoma «le elaborazioni di carattere creativo dell'opera stessa» quali, tra gli
altri, «le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell'opera originaria, gli
adattamenti .... le variazioni non costituenti opera originale»: purché venga rispettato il criterio costitutivo
del diritto su cui si fonda il titolo d'acquisto, cioè «la creazione dell'opera, quale particolare espressione del
lavoro intellettuale» (artt. 4 e 6).
Sulla scorta di tali indicazioni normative, è opinione comune che elemento essenziale per accordare la
tutela prevista dal diritto d'autore sia l'attribuzione di caratteri di creatività, benché minima, ad intendersi
non già un dato di creazione, originalità e novità assolute, non imposte dalla norma, bensì l'individuazione
della sussistenza di un atto creativo, estrinsecato in forma concreta nel modo esteriore, cioè nella personale
ed individualizzata espressione di un'oggettività che appartenga ad una delle categorie esemplificate dall'art.
1 l. n. 633, cit. (Cass., sez. 1 civ., 11 agosto 2004, n. 15496; Cass., sez. I civ., 12 marzo 2004, n. 5089;
Cass., sez. I civ., 10 marzo 1994, n. 2345; Cass., 2 dicembre 1993, cit.; Cass. civ., 6 luglio 1971, n.
2106; Cass., 22 gennaio 1969, n. 175; Cass., 1 febbraio 1962, n. 190 tra le molte).
Non dissimile, d'altra parte, è stata la valutazione autentica del legislatore, che ha sottolineato l'esigenza
che «l'opera abbia un merito, sia pure modesto, perché altrimenti non avrebbe il valore creativo che
giustifica la protezione e che da all'opera la necessaria originalità» (cfr. relazione di accompagnamento al
progetto preliminare).
Pari concordia esegetica vi è nella precisazione e nell'identificazione dell'atto intellettuale creativo, sulla
base del condiviso punto di partenza che qualsiasi manifestazione dell'attività intellettuale umana è il frutto
necessario dell'utilizzazione, più o meno estesa, delle precedenti acquisizioni, costituendo anzi preciso
elemento di apprezzamento positivo la valorizzazione delle pregresse elaborazioni intellettuali, da cui
l’opera dell’ingegno non solo non può affrancarsi ma di cui è debitrice per derivazione, costituendo il
passato la sedimentazione del patrimonio culturale di un popolo in cui la nuova opera si inserisce.
E quindi un dato di evidente esattezza quello portato dalla difesa laddove ha sostenuto la necessità che
l'opera frutto di manifestazione intellettuale, pure di natura scientifica, dia conto del passato e ne renda
omaggio, anche con ampio ricorso a citazioni di autori precedenti, integrando i richiami al pensiero altrui
con un arricchimento personale, sia pur modesto, al fine di far progredire il pensiero scientifico: sì che la
citazione del passato è del tutto corretta dal punto di vista metodologico atteso che originalità non si
identifica necessariamente con innovazione (sul punto, cfr. sostanzialmente altresì sulla rispettiva,
personale esperienza letteraria, esame prof. Amorosino; esame prof. Baldassarre; esame prof. Barbera,
«una cosa è copiare - tra virgolette - cioè significa non fare nessuno sforzo di elaborazione e altra cosa è
seguire o non seguire tesi completamente originali .... l'originalità non significa inventare nuove formule se
no non ci sarebbero più i matematici).
Evidente, tuttavia, che se risulta del tutto apprezzabile e meritorio, se non necessario, il rispetto del
patrimonio culturale disponibile, l'opera dell'ingegno che aspiri ad essere tale non può limitarsi alla sua
mera utilizzazione, atteso che in tal caso non è riconoscibile il beneficio (esclusivo) della protezione
legislativa del diritto a favore di un solo consociato, costituendo quel patrimonio, appunto, un bene
collettivo e generale, disponibile da chiunque, proprio perché rappresenta il frutto del comune progresso
umano: quel che la legge pretende al fine di accordare la tutela è che l'autore di una produzione,
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appartenente alle ontologie razionali esemplificate, rielabori il passato in forma soggettiva autonoma e
personale, apportandovi il contributo della propria cultura, sensibilità, intelligenza, capacità critica e forza
creativa.
E solo sotto tal profilo che i concetti di originalità e di novità coincidono, laddove la novità non è intesa
solo ed esclusivamente con riferimento agli elementi che compongono e formano l'oggetto della
rappresentazione intellettuale, che ben potranno esservi, ma non risultano indispensabili: il novum non deve
riguardare l’idea, il contenuto intrinseco dell'opera o il suo argomento né la creazione deve vertere su
concetti complessi, trovando tutela pure l'opera composta da idee e nozioni semplici, comprese nel
patrimonio intellettivo della cerchia di persone esperte nella materia. Altri, infatti, sono i settori
dell'ordinamento che tutelano produzioni dello spirito o del pensiero umano con riferimento al loro
specifico contenuto sostanziale di innovazione, quale, ad esempio, la disciplina dei brevetti o delle
invenzioni industriali, fondate, queste sì, sul requisito della obiettiva novità intrinseca, intesa quale
sperimentabile progresso e miglioramento della tecnica.
La novità od originalità devono, infatti, attingere nelle creazioni dell'ingegno intellettuale la forma della
rappresentazione utilizzata per comunicare il pensiero ai terzi, cioè il modo in cui quegli elementi di
comune appartenenza culturale sono stati organizzati ed elaborati, atteso che l'opera intellettuale nasce
proprio là dove l'autore organicamente assembla e rielabora quel patrimonio conoscitivo ricevuto in
conformità alla sua cultura, al suo temperamento e alle sue capacità intellettive, in definitiva alla sua
spiccata individualità. D’altra parte, è lo stesso legislatore ad avere esaltato il dato della forma espressiva
piuttosto che il suo contenuto intellettuale con il richiamo al «modo o (al)la forma di espressione» (art. l) o
«(al)la orma scritta o orale» (art. 2 l. n. 633; cfr., oltre alle sentenze citate, estesamente sul punto, Cass.,
sez. I civ., 6 luglio 1942, n. 1898).
Al principio della tutela di ogni forma di espressione ed elaborazione nuove, tale da manifestare l'ingegno
o la personalità dell'autore, benché mediati attraverso l'impiego di elementi compositivi non originali se
non notori, e a prescindere dall'originalità del contenuto, la giurisprudenza si è costantemente ispirata: ad
esempio in tema di tutelabilità del titolo di un'opera (Pret. Roma, 16 gennaio 1970); del progetto di
costruzione di una casa di abitazione (Trib. Milano, 16 marzo 1969); o di altro progetto ingegneristico
(Trib. Milano, 16 marzo 1961); di una carta geografica (Trib. Milano, 25 settembre 1967); del disegno di
un'autovettura (Cass., 1 ° febbraio 1967, n. 293); della ideazione di un'etichetta (Cass., 23 gennaio 1969,
n. 175); della creazione di una scenografia che sviluppi le indicazioni dell'autore dell'opera sceneggiata
(Cass., 6 luglio 1942 cit.); dell'utilizzo di test scientifici (Cass., 1 ° febbraio 1962, cit.); della redazione di
massime giurisprudenziali (Cass., 14 dicembre 1959, n. 3544); del sommario commento ad un testo
normativo (Cass., 2 dicembre 1993 cit.); della divulgazione di comuni nozioni scientifiche secondo un
particolare metodo didattico durante un corso di lezioni universitarie (Pret. Napoli, 11 giugno 1959), o
della riproduzione fotografica di un dipinto caso richiamato dal pubblico ministero (Cass., 4 febbraio 1992,
n. 8186; Cass., 26 marzo 1984, n. 1988).
5) Sull'opera scientifica.
Tali principi diffusi e qui condivisi trovano particolare adattamento nel campo delle opere scientifiche,
cui dedica diretta menzione l'art. 2575 c.c.: esso, elencando i settori in cui si inquadrano le opere
dell'ingegno oggetto del diritto d'autore, vi enumera pure «le opere di carattere creativo che appartengono
alle scienze ... qualunque ne sia il modo o la forma di espressione», una volta in più rimarcando che la
creatività e l'originalità devono individuarsi nel «modo o forma di espressione» che l'opera intellettuale
deve implicitamente possedere per venire ad esistenza.
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Il legislatore, pertanto, considera l'opera scientifica alla medesima stregua di ogni altra manifestazione
dell'ingegno, oggetto di tutela paritaria nella misura in cui sia oggettivabile a mezzo della pubblicazione e
riproduzione (cfr. altresì, l'art. 2 comma 1 n. I che estende l'oggetto della protezione e dello sfruttamento
del diritto alle opere scientifiche).
Si intende per opera scientifica quella manifestazione del pensiero diretta all'esposizione e all'incremento
di una qualunque scienza e all'arricchimento del campo del sapere. Per quanto precede, la sua protezione a
norma della disciplina del diritto d'autore attiene non già all'idea tecnica, cioè a quel che di scientifico essa
dice: per la considerazione, ancor più ovvia ed evidente in materia, che il diritto di sfruttamento
economico dell'ingegno personale non può estendersi al contenuto intellettuale intrinseco degli
insegnamenti che dall'opera possono trarsi, atteso che la verità scientifica, nel momento in cui si rivela,
diviene bene comune e viene affidata alla disponibilità di tutti per il progresso delle scienze e della cultura
in generale.
Anche qui, pertanto, l'oggetto della protezione ricade unicamente sulla forma espressiva dell'opera
medesima (cfr. specificamente, Cass., 10 febbraio 1962, cit.).
D'altra parte, ben difficilmente potrebbe attribuirsi una tutela ampia del diritto d'autore là dove
l'originalità fosse intesa quale creazione di nuovi principi o applicazione di soluzioni geniali su principi già
noti, non essendo di certo la genialità, nella sua assoluta eccezionalità oggettiva e soggettiva, il parametro
di riconoscimento della tutela legale (Cass., 4 febbraio 1980, n. 773): men che meno nel settore
strettamente giuridico, ove veri elementi di creazione innovativa possono aversi (forse) solo in presenza di
modifiche legislative, non essendovi settore dell'ordinamento che non sia già stato ampiamente esplorato,
analizzato e studiato dai giuristi del passato, sì che, ove questo fosse il termine di riferimento, non vi
sarebbe spazio per alcuna (nuova) protezione del pensiero creativo.
Diventa, quindi, essenziale precisare il concetto di forma espressiva, cioè il contenuto estetico dell'opera
scientifica, cui anche le opere di giurisprudenza (cui si ascrivono quelle di X.Y. e dei restanti autori citati
nel capo A) di rubrica), secondo l'opinione dei più, appartengono: più precisamente, sorge il problema
della definizione e delimitazione dell'espressione dell'opera scientifica tutelata rispetto al contenuto
scientifico non protetto. In altri termini, quale protezione può essere accordata all'autore di un'opera
scientifica se il contenuto del suo pensiero è liberamente utilizzabile?
Si è sostenuto, con accenti assai suggestivi, che mentre l'arte ha la funzione di rappresentare un
contenuto spirituale nel mondo visibile, traducendo una percezione individuale e soggettiva dell'artista
sulla natura e sulla bellezza, la scienza è una funzione della conoscenza ed è destinata ad arricchire il mondo
delle esperienze tendendo ad offrire un quadro il più possibile vicino alla realtà obiettiva e alla verità:
l'opera estetica, pertanto, ha un contenuto prevalentemente formale e si rivolge ai sentimenti, l'opera
scientifica esprime prevalentemente un contenuto logico e si indirizza all'intelligenza.
Se ne è tratta la conclusione che, libera l'utilizzazione della conoscenza scientifica in sé, di cui frequente
sarà in realtà lo sfruttamento, anche le possibilità di variazioni formali dell'opera risultano estremamente
ridotte atteso il carattere di obiettività insito nel concetto di scienza e nella natura speciale di opera
scientifica, con la conseguente necessità di adottare un criterio largheggiante pure di valutazione della
novità formale del prodotto intellettuale, pur nell'assoluta necessità di mantenere saldo il requisito
dell'originalità della forma, sol tutelata dalla legge.
Si ritiene, pertanto, che elemento di valutazione dell'originalità del pensiero scientifico sia la qualità del
risultato finale, cioè ciò che l'autore mette di personale, individuale ed esclusivo nella sua opera, sotto il
profilo dello sviluppo del pensiero, del modo di presentazione dei concetti, dei criteri usati anche per
raggruppare, classificare od ordinare conoscenze già note, della capacità di rappresentare il risultato di
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quella attività mentale di relazione, associazione e coordinazione delle idee secondo uno svolgimento
organico, in definitiva nell'impronta obiettivata dell'attività creativa dello spirito: tanto, si sostiene, che
un'opera scientifica può costituire oggetto del diritto d'autore solo se le conoscenze che essa espone
possono essere rappresentate diversamente (ciò che deve, ad esempio, escludersi per le formule
matematiche).
L'individuazione del nucleo della tutela del risultato dell'ingegno intellettuale rileva in ragione degli
importanti diritti di sfruttamento, di utilizzazione economica e di attribuzione morale che la I. n. 633
riconosce in via esclusiva all'autore, il cui consenso risulta indispensabile ai fini dell'altrui utilizzo.
In via di eccezionale deroga, come tale insuscettibile di interpretazione analogica, il legislatore riconosce
e permette la libera utilizzazione delle opere tutelate mediante citazione, riassunto o riproduzione di brani
o parti di brani «nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione
economica dell'opera» (art. 70 comma 1 I. n. 633 cit.), al fine di soddisfare l'interesse generale insito nella
diffusione di opere a fini sociali, conoscitivi, educativi e ricreativi: trattasi di norma derogatrice alla regola
generale, che resta soggetta al doppio limite della effettiva esistenza della finalità di critica, discussione e/o
insegnamento, nel senso che le riproduzioni devono costituire la base per l'introduzione di un discorso
critico, didattico o di conoscenza autonomi, fondato sulla rielaborazione e rivisitazione di elementi tratti da
opere altrui, e del rispetto dell'altrui diritto esclusivo di sfruttamento economico del prodotto dell'ingegno
(cfr., in termini, Cass., 19 dicembre 1996, n. 11343).
Risulta, pertanto, illecita la pubblicazione per intero dell'opera altrui, benché avvenuta per i fini e gli
scopi di legge (Cass., sez. I civ., 15 gennaio 1992, n. 412). Parimenti, l'uso di brani, pur parziale, di opere
protette per finalità estranee a quelle tassative indicate nell'art. 70 legge cit., quale lo scopo puramente
illustrativo ed espositivo, non è consentito in quanto concorrenziale rispetto al diritto esclusivo dell'autore
di cui è stato riprodotto parzialmente il pensiero e in contrasto con il principio di stretta necessità imposti
alla deroga; analogamente, illecito diviene l'utilizzo di opere altrui per fini consentiti ma con uso e
sfruttamento economico del risultato (Cass., l ° settembre 1997, n. 8304; Cass., 7 marzo 1997, n. 2089).
Quanto ai limiti quantitativi di tale riproduzione di brani o parti di brani, il legislatore nulla ha disposto
al di fuori del caso peculiare delle antologie a uso scolastico e della riproduzione di volumi a mezzo
fotocopia per fini personali, rinviando nel primo caso al regolamento per la fissazione della misura e la
determinazione, al contempo, dell'equo compenso, sull'evidente presupposto da un lato della intrinseca
necessità in capo agli autori delle antologie di fare ampio utilizzo, citazione e riproduzione, per fini di
divulgazione scolastica e di didattica, di opere dell'ingegno altrui non rielaborate; dall'altro lato della
diffusa prassi di riprodurre per uso diretto volumi o periodici (art. 70 comma 2; cfr. altresì per la
precisazione di tale misura, il r.d. 18 maggio 1942, n. 1369, che ha fissato in dodicimila lettere il limite
per la prosa e in centottanta versi quello per la poesia, «con un ulteriore margine di altri trenta versi ove
ciò si renda necessario per assicurare al brano riprodotto un senso compiuto»; art. 68 comma 3 I. n. 633
succ. mod., che ha indicato nel massimo del quindici per cento il diritto di riproduzione a mezzo di
fotocopiatore o sistema analogo di qualsiasi pubblicazione cartacea, salvo la corresponsione di un compenso
da parte di chi vi provveda in via professionale, cioè i centri di riproduzione).
Nei restanti casi, cioè al di fuori dei testi con finalità didattica, la necessaria finalizzazione agli scopi di
critica, discussione od insegnamento, ha indotto a proporre il criterio, cui rinvia l'art. 10 della
Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche (ratificata con I. n. 20 giugno
1978, n. 399), della citazione dell'opera altrui «conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo
scopo, e (richiede che) la riproduzione parziale di un'opera, per poter essere considerata quale lecita
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citazione della stessa, si inserisca funzionalmente in un discorso, quale premessa o quale mezzo di convalida
odi critica delle tesi sostenute» (così, Cass., 7 marzo 1997, cit.).
Conseguente a tale regime protettivo forte del diritto di esclusivo sfruttamento dell'opera, benché
oggetto di apposita previsione, è la richiesta di menzione «del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore e
dell'editore» (comma 2 art. cit.), pur nelle ipotesi di uso consentito, affinché comunque sia esplicitata ed
individuata l'altrui proprietà intellettuale, costituente diritto soggettivo prevalente rispetto ai diritti degli
altri soggetti (cfr. C. cost. sent. n. 108/95).
6) Sul metodo adottato di valutazione dell'opera scientifica.
L'esposizione che precede sul concetto vivente di creatività d'autore tutelata e sui suoi adattamenti in
relazione alle produzioni scientifiche per l'essenza d'obiettività del concetto di scienza e l'importante debito
con il patrimonio culturale in cui le nuove opere di settore si inseriscono, segna i binari della metodica che
qui verrà adottata per l'analisi delle due monografie di X.Y., dei testi posti in sua comparazione, di ciò che
di essi risultava utilizzabile e di quanto, invece, era coperto da tutela, e per l'esame critico dei molti
argomenti offerti dalle parti.
Evidente pare, in tale prospettiva, l'irrilevanza della originalità o meno delle tesi da lui sviluppate, atteso
che questa ancor non basterebbe a definire non creativa un'opera quando al mancato rinnovamento della
capacità assertiva si accompagni comunque l'uso di un personale e creativo percorso logico per presentare
nozioni non nuove o una forma di loro espressione peculiare. Così come risulta inconferente l'argomento,
pur molto sottolineato dal pubblico ministero, di una indifferenza della comunità scientifica, se non di una
sostanziale inutilità pratica, tanto delle problematiche del mutuo di scopo quanto dell'analisi della sfiducia
ministeriale individuale, nel momento storico in cui i libri vennero rispettivamente pubblicati (cfr. ad es.,
prof. Allegri, sull'attualità della sua opera nel 1984, in relazione alla vicenda Isveimer; analogamente, prof.
Zimatore, sulla perdita di interesse nel dibattito scientifico per il venir meno dei finanziamenti pubblici alle
imprese dopo i primi anni `80 esame prof. Cicconetti, «una volta che la Corte costituzionale ha deciso ...
bisogna prendere atto, poi le speculazioni astratte resterebbero tali ... quello che dice la Corte è
definitivo»): trattasi, infatti, di aspetti pertinenti al mercato economico e commerciale delle opere, alla
loro importanza per il pubblico degli addetti e, al più, di valutazione (già sottolineata di segno opposto),
del mondo accademico, chiamato ad apprezzare il rilievo di quei titoli in sede di concorso universitario.
Ancor meno qui si discuterà, oltre che dell'utilità, del fondamento teorico e degli argomenti posti a base
delle opere stesse.
Né la valutazione di originalità può formularsi sulla condivisione, anche estesa, di idee e conclusioni
comuni nel mondo accademico ben potendo esservi coincidenza, anche ampia, di vedute su singoli temi o
problemi: atteso che, in tal caso, ciò che conta è la diversità del risultato per la creatività soggettiva che
ciascun autore spende per pervenirvi. Così come indifferente risulta l'importanza del numero dei rinvii al
pensiero altrui, che renderanno l'opera meno interessante o meno innovativa, ma non per questo non
creativa, laddove dallo sviluppo funzionale del pensiero altrui derivi un'elaborazione organica personale, sia
pur minima nei suoi risultati strettamente scientifici.
All'inverso, non pare apprezzabile neppure l'argomento difensivo di una originalità dell'opera (nel caso,
sulla sfiducia al Ministro) per il semplice fatto di essere l'unica intervenuta dopo il precedente storico della
Corte costituzionale (sent. n. 7/96): come anticipato, infatti, quel che è essenziale è ciò che un autore dice
e, soprattutto, il modo in cui lo esprime, per cui il semplice fatto della cronologia di pubblicazione di
un'opera scientifica ancor non risulta decisivo laddove, in ipotesi, quel fatto storico sia stato puramente
incidentale, fortuito od occasionale, e non abbia inciso in alcun modo sugli argomenti usati.
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Deve, dunque, ribadirsi che l'unico criterio di valutazione qui adottato si sostanzia nella ricerca
dell'attitudine dell'opera a distinguersi dalle precedenti, in qualche modo innovando, e nell'individuazione
di un'attività mentale che apporti al mondo intellettuale e culturale elementi che prima non esistevano, in
ragione del valore di posizione degli argomenti, della loro coordinazione o del particolare procedimento
utilizzato per presentare le conclusioni esposte, pur appropriandosi di dati di verità già posti da altri
(l'originalità «è nel modo di mettere insieme gli argomenti significa che non sia un lavoro di pedissequa
copiatura», esame prof. Barbera; sull'importanza delle argomentazioni usate dall'autore, «se non
dovremmo dire che quasi tutte le opere giuridiche non arrivano a conclusioni originali ... spesso si
riprendono favorevolmente tesi altrui, l'importante è citarle», prof. Baldassarre.
All'estremo opposto si colloca quello che, con termine estraneo alla legge, viene definito plagio,
consistente nell'attività di riproduzione totale e, più spesso, parziale, degli elementi creativi di un'opera
altrui con usurpazione della paternità, così distinguendosi dalla contraffazione, che rappresenta invece lo
sfruttamento dei diritti economici nascenti dall'opera senza il consenso dell'autore.
Diverse risultano le forme nelle quali il plagio si può realizzare: dalla riproduzione non creativa, totale o
parziale dell'opera originaria, attraverso un'elaborazione non originale, oppure creativa ma in realtà
abusiva, in quanto mascherata e coperta da un lavoro di ritaglio, di trasferimento o di modifica di elementi
unicamente formali, sì da tentare di camuffare con tali aggiustamenti la (non) originalità del pensiero.
Pacifico è, comunque, che nel plagio vi rientra anche la parziale riproduzione dell'opera altrui (Cass., 27
aprile 1961, cit., anche per l'affermazione che «il plagio non viene meno per l'aggiunta di elementi
secondari e accessori, diretti solo a dissimulare l'intervenuto plagio e a simulare una creazione originale
dell'ingegno»; Trib. Napoli, 15 marzo 1972; Pret. Roma, 10 maggio 1971).
Né potrà sostenersi, come pur affermato dalla difesa, che il carattere di innovatività di un'opera possa
fondarsi sull'originalità delle note che corredano il testo: dove il sunto dell'elaborazione personale che
esprime la soggettività dell'autore non può che ricavarsi da quella parte topografica dello scritto che tale
organica rielaborazione creativa dovrebbe esprimere, cioè il testo esplicativo del pensiero dell'autore
sull'istituto trattato, assumendo le note valenza di chiarimento di alcuni punti sviluppati nell'opera e,
soprattutto, come pure avviene nei due libri di X.Y. di assolvimento di quel debito culturale (ma pure di
obbligo morale e giuridico) al pensiero altrui sotto forma di bibliografia e di riferimenti testuali, posto a
pena di liceità del loro utilizzo dall'art. 70 comma 2 I. n. 633, a mezzo della citazione degli autori le cui
conclusioni vengono presupposte, criticate o incidentalmente esaminate.
Ad ogni buon conto, il concetto di nota reca in sé un carattere di subordinazione, di secondarietà ed
accessorietà al pensiero principale, che non può certo sostituire interamente questo né prevalere nelle
valutazioni imposte in tema di creatività intellettuale, soprattutto in opere monografiche qual quelle in
esame.
Ne consegue che, ammessa (ma non del tutto condivisa, come si vedrà) l'originalità delle note, ciò ancor
non basta ad attribuire carattere creativo ad un'opera scientifica che non risponda ai requisiti di novità e di
arricchimento del pensiero scientifico detti: pena il riconoscimento di novità ad un'opera che, pur
riproducendo testualmente e letteralmente l'altrui pensiero, si limiti ad integrarlo ed illustrarlo con note a
piè di pagina. (Omissis).
12) Sul concorso materiale dei delitti.
Astrattamente corretta sotto il profilo tecnico appare la concorrente contestazione da parte del pubblico
ministero sia della fattispecie sanzionata dall'art. 171 I. n. 633 sia del delitto contemplato dall'art. 1 1. n.
Cass. Pen., 2005, 1537
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App. Milano, 11 gennaio 2004, X. Y.
475/25, in applicazione dei consueti criteri interpretativi che consentono di differenziare il concorso
materiale dei reati rispetto a quello apparente.
Diverse, infatti, sono le obiettività giuridiche tutelate dalle due norme: laddove la prima protegge il bene
della creazione intellettuale originale nel momento stesso in cui questa si manifesta rispetto a tutte le
successive, illecite violazioni e riproduzioni che si esprimono in una qualsiasi delle eterogenee condotte
elencate nell'art. 171 cit.; mentre il secondo tutela la genuinità degli elaborati presentati dagli aspiranti ad
un qualsiasi titolo, professione, dignità, ufficio o impiego al fine di ostacolare l'attività delle commissioni
giudicatrici, ingannate dalla presentazione di un'opera che non consenta di saggiare le personali qualità del
candidato.
D'altra parte, i fatti contestati sub A) e B) risultano realizzati in momenti diversi, con condotte oggettive
e soggettive differenziate, autonomamente apprezzabili, laddove l'avvenuta pubblicazione dei testi
presentati da X.Y. in sede di concorsi accademici costituisce un mero antefatto storico rispetto all'ipotesi di
reato di falsa attribuzione di lavori altrui (sul concorso dei delitti, Cass., 1° marzo 1979, n. 2139).
13) Sull'elemento oggettivo dei reati.
Ha sostenuto la difesa quanto al capo sub A), che, anche ammessa ed accertata la riproduzione non
consentita di brani di opere coperte dal diritto d'autore, si verserebbe comunque in un' ipotesi priva dei
caratteri di tipicità e tassatività richiesti dall'art. 171 comma 1 lett. a) I. n. 633, che sanziona la sola
riproduzione o trascrizione di un'opera altrui, ad intendersi questa nella sua interezza: avvalorando la tesi
con il rilievo che laddove il legislatore ha ritenuto di attribuire rilievo a condotte parziali, aventi cioè ad
oggetto (anche) parti di opere, l'avrebbe espressamente previsto.
Ritiene chi scrive che si tratti di un'errata lettura della disposizione: sia per motivi logici, atteso che, in
tal modo interpretata, la norma consentirebbe una facile e comoda elusione con qualsiasi condotta di
integrale e pedissequa trascrizione di un'opera tutelata, con eccezione, ad esempio, di un brano e, persino,
di una sola riga dell'opera originale, ciò che all'evidenza non può sostenersi; sia per motivi sistematici,
posto che il contenuto della condotta penalmente rilevante non può, che trarsi dall'intero impianto della
legge, ivi comprese le sezioni che definiscono in positivo le opere protette dal diritto d'autore (capo I) e
quelle che lo delimitano in negativo, disciplinando le libere utilizzazioni (capo V). Sotto tal profilo, è certo
che la creazione dell'opera, frutto del lavoro intellettuale, si identifichi sia con il minuto e progressivo
sviluppo di tale creatività, sia con l'intera opera finale nella sua globalità: sì che trovano tutela tanto le
singole parti componenti il testo (laddove il mezzo espressivo sia la forma scritta), sia questo nel suo
insieme. Entrambe ben possono definirsi opera altrui, tale concetto non definendo necessariamente il solo
risultato finale ed in esso potendo ricomprendersi pure qualsiasi, anche parziale, risultato originale
dell'elaborazione personale, laddove scindibile dall'intero.
Analoghe conclusioni si traggono dalla norma di cui all'art. 70 legge cito laddove, consentendo
eccezionalmente l'uso a date condizioni di brani o di parti di opera, comporta l'illiceità di ogni condotta
esulante dai suoi limiti a carico di chiunque, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma, riproduce o trascrive
opere senza averne diritto, ad intendersi sia l'utilizzazione dell'intero prodotto della creazione intellettuale
sia di singole parti, paritariamente tutelate.
D'altra parte, come già in precedenza illustrato, la giurisprudenza mai ha dubitato dell'ipotizzabilità e
rilevanza di un plagio parziale (cfr. capo 6), che, anzi, appare quello più frequente dal punto di vista
statistico per l'ovvia considerazione che ad esso sempre si accompagna da parte dell'autore l'inserimento di
un quid apparentemente nuovo e tale da dissimulare l'illiceità dell'operazione: che necessariamente
Cass. Pen., 2005, 1537
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App. Milano, 11 gennaio 2004, X. Y.
presuppone l'apparente manipolazione e la non completa riproduzione dell'opera intellettuale altrui
tutelata.
Le motivazioni esposte confortano altresì in fatto la correttezza oltre che la veridicità e fondatezza delle
modalità della condotta materiale così come contestata dal Pubblico Ministero e qui verificata: il reato sub
A) si è realizzato a mezzo delle condotte materiali di riproduzione, ad intendersi la realizzazione della copia
di intere parti delle scritture altrui, e di trascrizione, cioè di copiatura, intesa in forma ancor più precisa e
diligente.
Parimenti l'elemento dell'abusività («senza averne diritto») è comprovato dall'assenza di qualsiasi
consenso preventivo degli autori sull'uso del diritto acquisito con le rispettive pubblicazioni e dallo
sfruttamento del loro pensiero, nella parte in cui risultava coperto da tutela legale, in modi e forme
assolutamente estranee ai principi di legge («per avere pubblicato come propri i testi giuridici»).
Un falso problema si rivela, infine, quello dell'uso in imputazione del concetto di pubblicazione, in
ipotesi non previsto né sanzionato autonomamente in alcuna delle numerose fattispecie elencate nell'art.
171 I. n. 633: trattasi, infatti, di ulteriore elemento di delimitazione della illiceità della condotta qui
analizzata, non esplicitato direttamente dalla norma penale (e, in quanto tale, persino indicato in maniera
ultronea, ma non certo errata, dal pubblico ministero) atteso che tutta la disciplina delle libere utilizzazioni
delle opere protette (artt. 65 ss.) presuppone e regolamenta la diffusione al pubblico indistinto delle forme
di manifestazione della creatività che si avvalgono di contributi altrui, in questo carattere di pubblicità
ravvisando l'essenziale caratteristica di offensività alla tutela patrimoniale e morale degli autori (cfr. art. 68
comma 1 I. cit. sulla libera riproduzione di opere o brani di opere «per uso personale dei lettori, atta a
mano o con mezzi di riproduzione non idonei a spaccio o diffusione dell'opera nel pubblico»; art. 68
comma 3, sulla libera riproduzione di opere dell'ingegno stampate effettuata mediate fotocopia, xerocopia
o analogo sistema di riproduzione con il doppio limite della misura massima del 15% e dell'«uso
personale»).
Sotto tal profilo, la specificazione della pubblicazione delle due opere di X.Y., pur formalmente non
necessaria, altro non fa che colorare un altro elemento costitutivo in negativo della fattispecie, cioè il
requisito dell'uso non privato o riservato o il fine di scienza personale della riproduzione degli elementi
protetti presenti nelle opere richiamate in comparazione, in quanto tali soggetti alla disciplina dell'art. 70,
alle cui modalità di materiale utilizzo, implicitamente ma necessariamente rivolte ad altri interlocutori
(sotto forma di critica, discussione o insegnamento), si sono appellate.
D'altra parte, tutte le distinte condotte materiali esplicitate nella lettera a) del comma 1 dell'art. 171
ruotano intorno al presupposto della diffusione in pubblico o, comunque, nella messa in circolazione con la
diffusione sul mercato intellettuale ed economico di un'opera che violi i disposti di legge.
Quanto, invece, alla materialità del delitto sub B), non ve ne è mai stata contestazione, avendo il X.Y.
presentato in tre distinti concorsi universitari una o entrambe le opere qui vagliate, in tal modo integrando
la condotta di falsa attribuzione di lavori altrui da parte di un candidato ad un pubblico concorso: dove la
falsità rappresenta un concetto peculiare e speciale, involgendo sia la provenienza documentale dello
scritto (falso inteso come mancanza di genuinità del documento), sia la provenienza dell'elaborazione di cui
quella esposizione è frutto (falso inteso quale mancanza di veridicità), riassumendosi nella falsità commessa
dal candidato con la dichiarazione implicitamente espressa di paternità dell'opera sottoposta al vaglio della
Commissione giudicatrice con la presentazione del compito o dell'opera.
Né appare necessario, ai fini dell'integrazione del concetto dell'altruità dei lavori presentati al pubblico
concorso, che l'opera proposta sia integralmente d'altri o che difetti qualsiasi elemento di genuinità o di
rielaborazione critica di argomenti tratti da opere di autori diversi: sia perché la norma, così interpretata, si
Cass. Pen., 2005, 1537
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App. Milano, 11 gennaio 2004, X. Y.
presterebbe a facili aggiramenti, a mezzo di insignificanti variazioni di opere altrui, sia perché la ratio della
disposizione è quella di consentire la valutazione della capacità elaborativa degli aspiranti a lauree, diplomi,
titoli o dignità pubbliche, sì che rileva sia la presentazione di uno studio, un lavoro, un'opera che siano
integralmente frutto del lavoro intellettuale altrui, sia quella riproduzione, sia pur parziale, di opere di
altri, che sia tale, comunque, da non evidenziare alcun contributo di originalità espositiva del candidato
(cfr., sul rilievo specifico ai fini della norma in esame della riproduzione di brani di un testo, Cass., 2
dicembre 1980, ric. Volpone).
Trattasi quindi di un'ipotesi eccezionale e derogatoria rispetto alla previsione dell'art. 483 cod. pen. di
falso ideologico in scrittura privata, la cui ratio deve ravvisarsi nell'interesse alla genuinità dell'elaborato o
dei titoli presentati al concorso pubblico, evitando che un candidato possa presentare come da lui eseguito
un lavoro privo di profili di originalità «o mediante l'elaborazione di una teoria o anche più semplicemente
mediante la riproduzione del pensiero altrui che il candidato dimostri di avere esattamente compreso e
valutato al punto da fame una. esposizione ragionata e probante della sue capacità di apprensione e di
esposizione» (in tal senso, Cass., 2 dicembre 1980, cit., in tema di riproduzione a memoria di un'opera
altrui da parte di un candidato).
Essendo una fattispecie cosiddetta di «delitto-ostacolo», mirante ad impedire la commissione del reato di
falsa attribuzione della paternità di un'opera altrui, è altresì integrato dalla mera presentazione da parte
dell'aspirante al conferimento del pubblico incarico dei lavori, a prescindere dalla commissione del reato
fine e, persino, dalla messa in pericolo del bene giuridico tutelato, sì da poter essere escluso solo in ipotesi
di assoluta inidoneità della condotta, valutabile ex ante, e nel caso smentita in fatto dal positivo
apprezzamento delle pere avute da parte di ben due diverse Commissioni giudicatrici (cfr. Cass., 6
novembre 1984, n. 9673).
Del tutto irrilevante risulta, invece, come già chiarito, il conseguimento dello scopo di vittoria del
concorso, trattandosi di reato di mera condotta, pur obiettivamente e subiettivamente finalizzata ad un
evento antigiuridico quale il conferimento del pubblico impiego: questo, peraltro, nella struttura della
fattispecie assumendo il ruolo di mera aggravante (art. 1 comma 2 l. 475/25; Cass., 6 novembre 1984,
cit.).
14) Sull'elemento soggettivo dei reati.
Le modalità con cui la condotta materiale si è realizzata e la testuale riproduzione di numerosissimi brani
di opere protette, con trascrizione nel loro preciso ordine delle parole, della punteggiatura e persino, in
molte occasioni, delle virgole, rende materialmente impossibile la casualità, la fortunosità ed
incolpevolezza della riproduzione: sì che l'unica ragionevole e consentita spiegazione consiste nella
cosciente, volontaria e intenzionale ripresa di brani tratti dagli autori riprodotti, attuata nella piena
consapevolezza dell'assenza di titolo e della illiceità insita nelle concrete modalità prescelte, che non può
che appartenere ad un soggetto che si fregia del titolo accademico, costruito pure su pubblicazioni
scientifiche, come provato dall'elenco prodotto in allegato alle domande di partecipazione ai concorsi.
Anzi, il tentativo di mascheramento e camuffamento della provenienza degli estratti da cui sono
essenzialmente composte le sue opere, soprattutto quella sulla sfiducia individuale, frutto di inserti e di un
collage sapiente di brani di colleghi, con il rinvio incompleto, parziale, casuale se non completamente
errato alle opere di riferimento non può che avvalorare la deliberata e maliziosa intenzione di sfruttare il
pensiero altrui in formatale da rendere più complessa l'identificazione dell'operazione attuata.
Irrilevante appare, invece, lo scopo della sua condotta, trattandosi di fattispecie a dolo generico:
peraltro, la concreta utilizzazione che egli ha impresso alle proprie monografie, (anche) presentandole ai
Cass. Pen., 2005, 1537
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App. Milano, 11 gennaio 2004, X. Y.
noti concorsi accademici, rende ragione della sussistenza dell'aggravante comune del nesso teleologico
contestato al capo A) di rubrica.
Né l'imputato ha mai seriamente messo in discussione e contestato la trascrizione o riproduzione del
pensiero di altri, parlando direttamente, come si è visto, di ripresa fedele, di fotografie di pezzi, di collage
di pezzi, ancora di fotografia trasparente (capo 11 della motivazione), limitandosi ad avanzare una sua (non
credibile) buona fede insita nel mero completamento del pensiero altrui con note o citazioni: fatto in alcun
modo sostenibile, sia alla luce delle pratiche modalità scelte, cui è sottesa una consapevole manipolazione
volta a presentare apparentemente qualcosa di originale e creativo che tale non è; sia perché, comunque,
quand'anche fosse veritiero quanto da lui sostenuto a sua difesa, sarebbe incorso in un errore di diritto
sull'interpretazione dell'uso consentito del pensiero altrui, irrilevante e inescusabile in ragione delle sue
concrete condizioni personali e della sua professionalità.
Del tutto irrilevante e neppur bisognevole di spiegazione in questo contesto è il fatto che X.Y. ha inviato
copie omaggio del testo sulla sfiducia individuale a due degli autori ritenuti imitati (in particolare, ai prof.
Cicconetti e Chiola): tale è l'importanza delle trascrizioni accertate che tale condotta, pur anomala, mai
consentirebbe di attribuirgli un improbabile stato di buona fede e di positiva convinzione della correttezza
della metodologia adottata nella stesura del libro, non fosse altro per la già illustrata irrilevanza di un
errore di diritto sul punto (al di là del fatto che nessuno dei due destinatari si rese conto del plagio
nell'immediatezza).
Quanto, invece, al delitto di cui al capo B), appare sufficiente la volontaria, cioè libera e cosciente
presentazione alle due ultime Commissioni giudicatrici delle suddette opere, accompagnata dalla
consapevolezza che si tratta di elaborazioni sostanzialmente non proprie: situazione psicologica che deve
reputarsi dimostrata sia in base alla domane di partecipazione ai concorsi accademici redatte
autenticamente da X.Y., sia in base a quanto illustrato in precedenza, per ciò che concerne il profilo
dell'altruità dei testi proposti. (Omissis).
17) Sull'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 5 commi 1 e 2 l. n. 475/25.
La l. n. 633/41 non contempla misure accessorie specifiche o, comunque, provvedimenti sanzionatori se
non a richiesta dell'offeso del reato che si sia costituito parte civile (art. 174 in relazione agli artt. 159 e
160): in assenza attuale di parti civili non vi è, dunque, spazio per la loro irrogazione.
Resta l'argomento controverso dell'applicabilità delle sanzioni accessorie previste dall'art. 5 commi 1 e 2
I. n. 475, domandata dal pubblico ministero e imposta nelle sentenze di condanna e in quelle che accertano
la sussistenza del fatto, a prescindere dalla punibilità dell'imputato: trattasi, infatti, secondo i pochi
contributi rinvenibili sul punto, di statuizioni accessorie, svincolate dall'accertamento del reato, tanto da
accedere pure alle pronunce di proscioglimento in quanto compatibili con la tutela della pubblica fede che
le ispira, ma comunque fondate sull'accertamento materiale della falsa attribuzione dell'opera altrui (Cass.,
4 ottobre 1989, n. 626; Cass., 17 ottobre 1986, Uccheddu).
Il parametro codicistico, di cui l'art. 5 1. n. 475 rappresenta un'applicazione specifica al tema delle
pubblicazioni scientifiche, è costituito per ciò che concerne le modalità esecutive, dal rinvio alle norme
dell'art. 576 c.p.p. del 1913, allora vigente, quindi sostituito dagli artt. 480 e 481 del c.p.p. del 1930, ora
art. 537 del vigente codice di procedura: esso impone al giudice in via obbligatoria la declaratoria di falsità
di documenti, ogni qualvolta questa sia stata accertata dal punto di vista obiettivo, al fine di eliminare
materialmente dalla circolazione documenti lesivi della pubblica fede ed evitare che la collettività possa
essere pregiudicata in futuro da essi.
Cass. Pen., 2005, 1537
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App. Milano, 11 gennaio 2004, X. Y.
Ne deriva che anche una pronuncia assolutoria sull'elemento psicologico non impedirebbe la declaratoria
in oggetto, atteso che il giudice è qui chiamato a svolgere non la tipica funzione giurisdizionale soggettiva
attinente all'imputato, ma un'azione penale oggettiva, che mira a rimuovere una situazione in fatto
antigiuridica.
Di conseguenza, il riconoscimento della sussistenza materiale del fatto sub B), commesso in data 2
dicembre 1990 (con concorso ultimato in data 5 agosto 1996), e addirittura la sua piena verificazione in
tutti gli elementi costitutivi, se non consente l'irrogazione della pena criminale per i raggiunti limiti
temporali all'applicazione della sanzione punitiva, impone la declaratoria di sussistenza del medesimo fatto
contestato, ai sensi dell'art. 5 comma 11. n. 475.
Assai più problematica e nuova appare la questione dell'irrogazione dell'ordine di «cancellazione del
provvedimento che ne sia derivato», costituente (apparente) pronuncia automatica e necessaria rispetto sia
a tale vicenda sia al restante fatto accertato al capo B): ad intendersi nel caso non già la (normale)
cancellazione delle opere false, quanto piuttosto del provvedimento, cioè dell'atto proveniente dal
pubblico potere produttivo di modificazioni giuridiche rilevanti sulla posizione di X.Y., in quanto fondante
l'attribuzione dell'ufficio pubblico. Si fa, dunque, riferimento al decreto dd. 5 agosto 1996 del Ministro
dell'Università e della Ricerca Scientifica di riconoscimento dell'idoneità didattico scientifica per la docenza
universitaria; e al decreto dd. 20 marzo 2000, che ha conferito il titolo di professore associato confermato,
adottato dal Rettore della LUISS sulla base delle proposte della Commissione giudicatrice, originati dalla
riconosciuta, irregolare partecipazione ai concorsi di X.Y. in data 29 dicembre 1990 e, rispettivamente, 12
novembre 1999.
Vero è che il legislatore, ad una prima lettura, pare avere istituito un automatismo tra qualsiasi
pronuncia che non affermi l'insussistenza del fatto materiale, accertando cioè in positivo la genuinità
dell'elaborato o del titolo proposto dal candidato alla Commissione esaminatrice, e l'ordine di
cancellazione in questione.
Ritiene, tuttavia, chi scrive che la ratio e, persino, lo stesso contenuto letterale della norma, consentano
una diversa e preferibile lettura: sulla base della prima osservazione che la legge non pare affatto avere
prescritto l'ordine di cancellazione in forma incondizionata e quale derivazione necessaria
dell'accertamento della falsità delle opere che il candidato ha presentato al fine di ottenere il conferimento
della dignità pubblica, ma ha piuttosto imposto un nesso causale tra le opere falsamente auto attribuitesi dal
candidato e le valutazioni della Commissione («del provvedimento che ne sia derivato», art. 5 comma 2 I.
cit.).
Inoltre, trattandosi di misura sanzionatoria eccezionale, imposta al Giudice penale in deroga al più
generale principio della riserva in capo alla pubblica amministrazione del potere di annullamento e revoca
degli atti (art. 4 I. 20 marzo 1865 sul contenzioso amministrativo), deve essere restrittivamente
interpretata: nel senso, cioè, di un accertamento rigoroso della decisività delle opere ideologicamente false
sul giudizio espresso dalla Commissione giudicatrice, in virtù dei poteri di sindacato esclusivi ad essa
attribuiti, si che potrà pervenirsi alla caducazione del provvedimento amministrativo solo a fronte
dell'acquisizione della prova della natura essenziale di quella falsità rispetto alle valutazioni conclusive
dell'organo a ciò preposto.
Di conseguenza, se dubbio non vi sarebbe nella adozione necessaria dell'ordine di cancellazione del
provvedimento amministrativo finale laddove l'opera ideologicamente falsa presentata dal candidato
assorba ed esaurisca la valutazione concorsuale, come certamente si verifica nell'ipotesi di presentazione di
elaborati non propri ad esami universitari o a concorsi pubblici, quali quelli per uditore giudiziario o
avvocato, o di una tesi altrui ad una discussione di laurea, questo non risulta sostenibile quando il giudizio
Cass. Pen., 2005, 1537
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App. Milano, 11 gennaio 2004, X. Y.
concorsuale sia complesso e composito, sostanziandosi in valutazioni ponderate di numerosi elementi, di
cui l'opera o le opere non proprie costituiscono una minor parte.
Anche nel caso di specie, i giudizi discrezionali rimessi alle Commissioni esaminatrici nominate con
D.M. 5 luglio 1993 e D.M. 28 ottobre 1999 sulla preparazione professionale e scientifica di X.Y. all'atto
della domanda di primo conferimento della dignità accademica e, rispettivamente, dopo il triennio di
insegnamento, non possono qui formare oggetto di riesame giurisdizionale: se è vero, infatti, che la
presentazione di lavori scientifici viene espressamente richiesta e fonda il conseguimento del titolo, non è
affatto dimostrato che egli divenne professore associato con il determinante contributo dell'opera «Aspetti
pubblicistici e privatistici del mutuo di scopo», né che ebbe la conferma in ruolo in virtù di esso e
dell'opera, nel frattempo pubblicata, «La sfiducia ad un singolo Ministro nel quadro dei poteri di indirizzo
e controllo del Parlamento».
A tali conclusioni potrebbe pervenirsi solo laddove fosse provato che egli avesse partecipato ai concorsi
solo con quei titoli o laddove il legislatore avesse preassegnato un valore preciso alle opere o, comunque,
prescritto la loro presentazione quale condizione indispensabile per il conseguimento delle dignità
accademiche in questione.
Sembra piuttosto vero il contrario: sia perché prima della pubblicazione di entrambe le opere contestate
il X.Y. già aveva conseguito quel giudizio di piena maturità scientifica che costituisce il presupposto per il
conferimento del titolo accademico, sulla base di una produzione letteraria già reputata sufficiente e
apprezzabile al tempo dalla Commissione esaminatrice; sia perché in sede di concorsi universitari egli
corredò il suo curriculum culturale con ampio materiale documentale, di cui ha offerto traccia anche nel
presente processo con la produzione originale e integrale dei suoi elaborati; sia perché entrambi i concorsi
in cui venne giudicato idoneo sono integrati pure dalla valutazione di prove didattiche, da svolgersi
contestualmente innanzi ai commissari quanto al concorso per professore associato, tratte da una relazione
della Facoltà sull'attività di docenza nel triennio quanto alla conferma.
Parimenti, i giudizi espressi dalle due Commissioni d'esame risultano globali, attinenti a tutti i profili
culturali e didattici del candidato e, comunque, tali da non consentire di concludere nel senso
dell'essenzialità delle due opere monografiche di X.Y. sulle sorti delle decisioni: formulata in termini di
«approfondita trattazione dei temi dell'informazione e buone capacità dialettiche e didattiche» il primo;
così come «soddisfacente attività didattica ... dall'insieme delle pubblicazioni sottoposte ... si evince altresì
come il candidato abbia dato prova di continuità nella ricerca scientifica, attraverso la pubblicazione di 22
contributi originali dai quali traspare un possesso più che adeguato delle metodologie scientifiche e degli
strumenti di analisi» il secondo.
Pertanto, non essendo consentita a questo Ufficio un'attribuzione discrezionale di punteggio o di valore
alle due monografie rispetto ai giudizi forali né la legge offrendo dati certi sul punto, le valutazioni espresse
dalle commissioni giudicatrici, trasfuse nei provvedimenti di nomina, si pongono come obbligatorie e non
sindacabili per il giudice penale, men che meno per vizi di legittimità formale: e da esse non è desumibile
in alcun modo la derivazione causale necessaria del giudizio favorevole e dei conseguenti provvedimenti di
conferimento delle dignità accademiche dalle opere qui riconosciute non genuine, in assenza di prova sul
fatto che X.Y. non sarebbe comunque risultato idoneo in entrambi i concorsi anche in assenza dei due noti
titoli (per un precedente in termini, cfr. Pret. Cagliari 26 settembre 1967, Uccheddu, confermata da
Cass., 17 ottobre 1968, cit.).
In altri termini, un giudizio virtuale di estromissione ipotetica delle due opere dalle valutazioni delle
rispettive Commissioni esaminatrici fa ritenere ininfluente, sulla base dei due giudizi finali, il loro esame e
peso qualitativo (cfr. in conformità, prof. Barbera, membro della seconda Commissione esaminatrice, sulla
Cass. Pen., 2005, 1537
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App. Milano, 11 gennaio 2004, X. Y.
superfluità della produzione di testi scientifici in sede di esame di conferma, avendo la Commissione
apprezzato pure articoli brevi).
Ad ogni buon conto, l'assenza di prova certa sul punto e l'equivalenza processuale di tale situazione a
quella più ampia dell'assenza di prova o della positiva prova del contrario, in virtù dei più generali principi,
impone di astenersi dal pronunciare la caducazione dei due provvedimenti amministrativi di attribuzione
dei titoli di professore associato e associato confermato.
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Cass. Pen., 2005, 1537