Sindrome metabolica e rischio cardiovascolare

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Sindrome metabolica e rischio cardiovascolare
GIDM
Caso clinico
24, 137-141, 2004
SINDROME METABOLICA
E RISCHIO CARDIOVASCOLARE
R. GIACCO, G. RICCARDI*
Istituto di Scienze dell’Alimentazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Avellino; *Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli
Storia clinica
Descriviamo il caso di un uomo, celibe, di anni 42, funzionario di un’azienda di computer, giunto alla nostra
osservazione perché da qualche mese lamenta sonnolenza postprandiale e dispnea soprattutto quando sale
le scale e/o per sforzi fisici lievi. Negli ultimi 2 anni i suoi
esami di laboratorio hanno mostrato glicemie a digiuno
> 100 e < 126 mg/dL e trigliceridemia > 150 mg/dL.
L’anamnesi familiare è positiva per cardiopatia ischemica, la madre è deceduta all’età di 58 anni per infarto
del miocardio. Il padre di 70 anni gode di apparente
buona salute (a.b.s.) e ha 3 fratelli di cui uno è affetto
da ipertensione arteriosa e lieve sovrappeso, un altro
da dislipidemia mista, il terzo è in a.b.s.
Il paziente ha abitudini di vita sedentarie, fuma circa
10-20 sigarette al giorno, spesso consuma i pasti fuori
casa e beve superalcolici saltuariamente, in genere
quando è in compagnia di amici. Negli ultimi 5 anni il
suo peso è incrementato di circa 2 taglie, ma si è sentito bene fino a qualche mese prima della nostra osservazione quando è iniziata a manifestarsi sonnolenza
postprandiale e dispnea dopo sforzo. Nega di aver sofferto in passato di qualsiasi patologia.
Gli ultimi esami ematochimici praticati dal paziente
mostrano un lieve aumento della glicemia (115
mg/dL) e della trigliceridemia (185 mg/dL) a digiuno e
normali livelli di creatinemia, colesterolemia e transaminasemia. Anche l’esame delle urine è nella norma
con assenza di glicosuria.
L’ECG basale e la radiografia del torace sono nella norma.
Esame obiettivo
Il paziente è alto 178 cm, pesa 98 kg e il suo IMC è 31
kg/m2, la circonferenza addominale è di 108 cm. La
pressione arteriosa è 140/86 mmHg e la frequenza cardiaca 85 b/min con ritmo regolare.
L’esame obiettivo generale e cardiovascolare è nella
norma.
L’inchiesta alimentare rileva che il paziente introduce
circa 2500 kcal/die.
Esami di laboratorio e strumentali
Durante il ricovero il paziente ha praticato una OGTT
(75 g di glucosio per os) che ha mostrato una glicemia
di 118 mg/dL a digiuno e di 160 mg/dL due ore dopo
il carico. La glicemia praticata 2 h dopo il pasto abituale è stata di 146 mg/dL e l’emoglobina glicosilata
(HbA1c) è risultata nella norma (5,2%). Il profilo lipidemico a digiuno ha evidenziato una colesterolemia di
190 mg/dL, una trigliceridemia di 170 mg/dL e un
colesterolo HDL di 30 mg/dL. Il paziente presentava
livelli plasmatici di fibrinogeno di 410 mg/dL e concentrazioni della omocisteinemia e della microalbuminuria nel range di normalità (tab. I).
L’ecografia epatica ha mostrato un fegato di dimensioni lievemente aumentate, a margini regolari ed ecostruttura steatosica di grado elevato con attenuazione
del fascio acustico posteriormente, assenza di lesioni
focali. L’ECG da sforzo è risultato nella norma (tab. II).
Commento ai risultati e diagnosi
Il paziente è francamente obeso, l’IMC è di 31 kg/m2 e
l’eccedenza ponderale è di circa 19 kg. La distribuzione
del grasso è prevalentemente addominale (circonferenza addominale > 102 cm). Gli esami ematochimici, in
particolare l’OGTT, hanno indicato una ridotta tolleranza al glucosio e, quindi, un elevato rischio di sviluppare
in futuro il diabete tipo 2. Anche la trigliceridemia, la
fibrinogenemia e la pressione arteriosa sono risultati più
alti dei valori auspicabili, mentre i livelli plasmatici di
colesterolo HDL sono risultati inferiori ai limiti di norma-
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Tab. I. Risultati degli esami ematochimici
effettuati al ricovero e dopo 6 mesi di follow-up
Esami di laboratorio
Al ricovero
Glicemia 2 ore dopo il pranzo
(mg/dL)
146
HbA1c (%)
5,2
Follow-up
Valori
normali
Componente
Obesità addominale
< 140
5,0
Tab. III. Diagnosi clinica di sindrome metabolica
(tre o più delle seguenti anomalie) (1)
118
100
< 100
160
124
< 140
Colesterolemia (mg/dL)
190
185
< 200
Trigliceridemia (mg/dL)
170
125
< 150
HDL-colesterolo (mg/dL)
30
34
> 35
Fibrinogeno (mg/dL)
410
360
160-350
Omocisteina (µmol/L)
11
10
5-16
Microalbuminuria (µg/mL)
20
18
< 30
Circonferenza addominale
F > 88 cm
M > 102 cm
> 150 mg/dL
F < 50 mg/dL
M < 40 mg/dL
Pressione arteriosa
elevata
Pressione arteriosa
ambulatoriale
PAS > 130 mmHg
PAD > 85 mmHg
Glicemia a digiuno
elevata
Glicemia a digiuno
> 110 mg/dL
Dislipidemia
– Glicemia a 2 ore (mg/dL)
Valore
Trigliceridi
HDL-colesterolo
< 6,0
OGTT (75 g di glucosio):
– Glicemia basale (mg/dL)
Parametro
L’assenza di familiarità per diabete non esclude che la
malattia si possa sviluppare, infatti, essa è influenzata
da fattori sia genetici sia ambientali, in particolare,
dallo stile di vita troppo sedentario e da un’alimentazione scorretta.
Terapia
Tab. II. Risultati degli esami strumentali
effettuati al ricovero
ECG da sforzo
Tracciato normale
Ecografia epatica
Fegato di dimensione lievemente aumentata, a
margini regolari ed ecostruttura steatosica di
grado elevato con attenuazione del fascio acustico
posteriormente; assenza di lesioni focali
lità. L’ecografia epatica ha evidenziato segni di steatosi
compatibili con l’ipertrigliceridemia e l’insulino-resistenza. La normalità dell’esame radiologico del torace e
dell’ECG a riposo e dopo sforzo hanno escluso problemi
a carico dell’apparato respiratorio e cardiaco. La dispnea
è verosimilmente una conseguenza dell’obesità.
Sulla base dei parametri antropometrici, ematochimici
ed emodinamici è stata posta diagnosi di “sindrome
metabolica” in quanto il paziente presentava almeno 3
delle anomalie che caratterizzano tale condizione:
obesità addominale, iperglicemia a digiuno, ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL e aumento
della pressione arteriosa (tab. III).
Il rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari del
nostro paziente è alto, se si considera che oltre alle anomalie della sindrome metabolica presenta anche un’alta fibrinogenemia.
Il paziente è stato dimesso con la seguente terapia:
• dieta ipocalorica da 1500 kcal/die ricca in fibre e a
basso indice glicemico, grassi totali < 30%, acidi
grassi saturi < 10% delle calorie totali giornaliere e
colesterolo < 300 mg/die, moderata in NaCl;
• attività fisica: almeno 30 min per 5 volte a settimana
di cammino a passo svelto o di altra attività fisica
equivalente;
• astensione dal fumo di sigarette.
Follow-up
Dopo 6 mesi il paziente è dimagrito di 7 kg, ha raggiunto un IMC di 28,7 kg/m2 passando dalla categoria
di obesità a quella di sovrappeso. La riduzione della circonferenza addominale a 100 cm ha indicato una perdita del grasso prevalentemente a livello addominale.
La pressione arteriosa si è normalizzata (130/82
mmHg). La curva da carico orale di glucosio è risultata
normale e la trigliceridemia è rientrata nei valori normali, il colesterolo HDL è rimasto, tuttavia, più basso di
quello auspicabile e la fibrinogenemia lievemente
superiore alla norma.
Il paziente riferisce di sentirsi meglio, non avverte più la
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sonnolenza postprandiale e può salire le scale e praticare attività fisica lieve-moderata senza che compaia
dispnea. Fuma ancora da 10 a 20 sigarette/die.
L’intervento terapeutico ha indotto un calo ponderale
del 7% del peso corporeo iniziale e ha corretto in gran
parte le anomalie della sindrome metabolica. Il paziente deve però continuare la terapia dietetica volta a mantenere il peso raggiunto (dieta ipocalorica da 18002000 kcal ricca in fibre) e il livello di attività fisica (almeno 30 min di cammino a passo svelto o di altra attività
fisica equivalente per 5 giorni a settimana) perché i
benefici ottenuti con il calo ponderale scompaiono se il
paziente recupera peso. L’astensione dal fumo di sigarette è fondamentale perché il fumo causa e peggiora il
danno vascolare e contribuisce a innalzare il livello sierico di fibrinogeno nonché i lipidi plasmatici.
Discussione
Il riscontro anamnestico di lieve iperglicemia a digiuno
imponeva una diagnosi differenziale tra ridotta tolleranza glucidica e diabete mellito tipo 2. Inoltre, la presenza contemporanea di ipertrigliceridemia e di obesità addominale poneva il sospetto che l’alterazione glucidica non fosse un’anomalia isolata, ma rappresentasse una delle manifestazioni cliniche della sindrome
metabolica, una condizione di alto rischio cardiovascolare il cui meccanismo patogenetico è una ridotta insulino-sensibilità. Giacché la diagnosi di “sindrome metabolica” si pone quando un soggetto presenta contemporaneamente almeno 3 delle seguenti anomalie: obesità addominale, iperglicemia a digiuno, ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL e aumento della
pressione arteriosa (tab. III) (1), abbiamo misurato tutti
questi parametri nel nostro paziente ed essendo almeno 3 di essi alterati abbiamo posto diagnosi di sindrome metabolica. Nonostante l’ECG al ricovero fosse nei
limiti della norma, la familiarità positiva per cardiopatia
ischemica e la presenza di anomalie multiple del metabolismo glicolipidico, giustificano un approfondimento della funzione cardiaca mediante ECG da sforzo per
escludere un’eventuale cardiopatia ischemica clinicamente silente.
Alcuni recenti studi condotti in pazienti diabetici e in
individui con ridotta tolleranza al glucosio (RTG)
hanno dimostrato che la glicemia postprandiale e l’instabilità quotidiana della glicemia rappresentano
potenziali fattori di rischio cardiovascolare indipendenti dal valore della stessa emoglobina glicata, parametro utilizzato per valutare il compenso glicemico
degli ultimi mesi. Per questo motivo il paziente è stato
sottoposto a misurazione della glicemia postprandiale
oltre che della emoglobina glicata. I pazienti obesi,
soprattutto se l’adiposità è localizzata a livello viscerale, presentano una ridotta insulino-sensibilità che
causa non solo alterazioni del metabolismo glicolipidico, ma anche dei fattori della coagulazione (per es., il
fibrinogeno sierico), dell’omocisteina, della microalbuminuria che non sono misurati routinariamente,
ma contribuiscono a innalzare il rischio di complicanze cardiovascolari nei soggetti già ad alto rischio. Per
tale motivo tali parametri sono stati investigati nel
nostro paziente. È evidente quindi che il solo soffermarsi sui livelli plasmatici di colesterolo e trigliceridi
rappresenta una visione limitata del rischio cardiovascolare nel soggetto obeso con adiposità viscerale.
Il nostro paziente presentava, infatti, anche un incremento della fibrinogenemia. Bisogna inoltre valutare
se esiste una compromissione epatica di tipo steatosico come spesso si osserva nei soggetti obesi in quanto essa è espressione di insulino-resistenza, infatti, esistono forti evidenze che l’accumulo epatico di trigliceridi, così come a livello muscolare, riduce la sensibilità
insulinica di questi tessuti.
Per prevenire e/o curare le anomalie del metabolismo
glicidico (RTG, diabete) e la sindrome metabolica è
necessario correggere lo stile di vita. I fattori correlati
allo sviluppo di questa patologia sono: 1) sovrappeso,
2) sedentarietà, 3) alto consumo di glucidi ad alto indice glicemico e basso consumo di fibre e 4) eccessivo
consumo di acidi grassi trans o a basso rapporto insaturi/saturi.
Questi fattori sono molto diffusi tra le popolazioni
dell’Occidente, pertanto, l’impatto di un intervento
diretto alla loro correzione è potenzialmente enorme,
giacché uno studio osservazionale, condotto su donne
americane, ha dimostrato che solo il 3,4% della popolazione osservata si trova nella categoria di basso
rischio per lo sviluppo di diabete tipo 2 in relazione alle
proprie abitudini di vita. Si stima che la correzione di
abitudini di vita erronee riduca l’incidenza di diabete
nella popolazione di oltre l’87%.
Attualmente due studi d’intervento, condotti in individui con ridotta tolleranza glucidica e quindi ad alto
rischio di sviluppare diabete tipo 2, hanno valutato gli
effetti di un approccio multifattoriale, basato su riduzione ponderale e incremento dell’attività fisica, nella
prevenzione del diabete (2-4). Questi studi dimostrano
che una moderata riduzione ponderale (5-7%) e un
lieve aumento dell’attività fisica (almeno 30 minuti al
giorno) riducono di circa il 58% l’incidenza di diabete
tipo 2. Inoltre, l’attività fisica rappresenta un modo efficace per aumentare i livelli di colesterolo HDL, la frazione lipoproteica che ha un ruolo protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari.
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In questo caso c’è l’indicazione a una dieta ipocalorica
(1500 kcal/die, cioè ridotta di circa 1000 kcal rispetto a
quella abituale calcolata dall’analisi del 7-day food
record del paziente). La riduzione di 1000 kcal/die induce un calo ponderale di circa 1 kg di peso a settimana.
Tale perdita di peso è dovuta a un dispendio energetico
di circa 7000 kcal (ossidazione di tessuto adiposo e
massa magra) che divise per i 7 giorni della settimana
significano un deficit calorico giornaliero di 1000 kcal. Il
paziente per raggiungere un IMC normale, cioè di 25
kg/m2, deve perdere circa 19 kg, ciò però non è necessario nella maggior parte dei casi in quanto, come prima
menzionato, gli studi disponibili dimostrano che una
riduzione ponderale moderata (5-7%) è in grado di
migliorare la gran parte delle alterazioni metaboliche
associate al sovrappeso. Il paziente deve astenersi dal
consumo di bevande alcoliche non solo per ridurre l’introito calorico, ma anche per correggere l’ipertrigliceridemia che è fortemente influenzata dall’alcol.
Il consumo di grassi va limitato sia perché ad alto valore calorico sia perché un aumento del consumo di grassi totali, in particolare un aumento del consumo di
acidi grassi saturi, si associa a incrementi significativi
dei livelli del colesterolo plasmatico, a un peggioramento dell’insulino-sensibilità e, quindi, a un aumento
del rischio cardiovascolare. Viceversa gli acidi grassi
polinsaturi e gli acidi grassi monoinsaturi della dieta,
questi ultimi presenti nell’olio d’oliva (importante
componente della dieta mediterranea), esercitano un
effetto protettivo nei riguardi delle malattie cardiovascolari; ovviamente questo effetto protettivo è presente quando gli acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi
vengono sostituiti a quelli saturi. Si raccomanda, inoltre, un consumo di pesce almeno 3 volte la settimana
perché tale frequenza di consumo si associa a un più
basso rischio cardiovascolare (5, 6).
La dieta deve contenere alimenti ricchi in fibre vegetali,
particolarmente del tipo solubile, in quanto è dimostrato che l’aumento di almeno 5 g di fibre solubili al giorno, riduce del 10% l’incidenza e la mortalità per malattie cardiovascolari e lo sviluppo di diabete tipo 2.
L’effetto benefico della dieta ricca in fibre sul rischio di
diabete e delle malattie cardiovascolari è dovuto sia a
un migliore controllo della glicemia, soprattutto nel
periodo postprandiale sia a una riduzione della colesterolemia (7, 8). Essa migliora il compenso glicemico nel
paziente con diabete conclamato, infatti, la maggior
parte degli alimenti ricchi in fibre vegetali solubili hanno
un basso indice glicemico, in genere inferiore a 50. La
dieta ricca in fibre aiuta anche a ridurre il peso corporeo,
infatti, le fibre non sono digerite, non apportano calorie
e aumentano il senso di sazietà. Inoltre, l’aumentato
consumo di fibre migliora anche la sensibilità insulinica.
L’alterata sensibilità insulinica è importante nei pazienti
diabetici, e anche nella popolazione generale, perché
essa determina un aumento del rischio cardiovascolare
mediato in gran parte dall’associazione dell’insulinoresistenza con la sindrome metabolica. Anche il contenuto di sale della dieta va moderato, in quanto il sodio
induce un aumento dei livelli di pressione arteriosa che
contribuisce ad aumentare il rischio cardiovascolare,
soprattutto nei soggetti sodio-sensibili.
Il paziente può consumare i pasti fuori casa purché la
scelta delle pietanze rientri tra quelle indicate. Un utile
accorgimento è quello di evitare primi piatti a base di
panna, besciamella e di altri salse ricche in grassi animali, di preferire pietanze semplici e contorni abbondanti di verdure che possano essere condite a tavola
con olio extravergine d’oliva, preferire secondi piatti a
base di pesce o carne magra ed evitare di consumare
bevande alcoliche e zuccherate (a eccezione di un bicchiere di vino ai pasti), concludere il pasto con frutta
fresca piuttosto che con un dolce o un gelato.
Il fumo di sigarette va abolito perché è un altro fattore
di rischio cardiovascolare che si aggiunge a quelli già
presenti (ridotta tolleranza glucidica, ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL e obesità).
In accordo alle raccomandazioni dell’American
Diabetes Association per la prevenzione del diabete
tipo 2 (9) e del Third Report of the National Cholesterol
Education Program Expert Panel on Detection,
Evaluation and Treatment of High Blood Cholesterol in
Adults (Adult Treatment Panel III) (1) per la correzione
delle anomalie metaboliche della sindrome metabolica, abbiamo sottoposto il paziente a un intervento di
modifica dello stile di vita che è risultato efficace a
ridurre il peso corporeo e a controllare la maggior
parte delle anomalie metaboliche. Tale intervento, per
i suoi benefici globali sulla salute dell’uomo, rappresenta attualmente l’intervento di prima scelta. Infatti,
tale intervento è molto più efficace a prevenire e/o
ritardare la comparsa del diabete tipo 2 rispetto al trattamento farmacologico con metformina o acarbose.
Inoltre, la terapia con farmaci ha lo svantaggio di dover
essere monitorata, non è scevra da effetti collaterali e,
spesso, in alcuni pazienti è controindicata. Nel caso poi
della sindrome metabolica, la correzione farmacologica delle anomalie metaboliche, richiede, rispetto all’intervento sullo stile di vita, l’utilizzo di più farmaci, per
esempio l’associazione di un antipertensivo e di un ipolipidemizzante ecc., con lo svantaggio di esporre il
paziente a un maggior numero di effetti collaterali e di
aumentare la spesa sanitaria. C’è anche il rischio che il
paziente, rassicurato dalla terapia farmacologica, non
aderisca al regime dietetico consigliato e perseveri in
uno stile di vita sedentario.
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In conclusione, esistono sufficienti evidenze cliniche
che suggeriscono di utilizzare la terapia farmacologica
solo quando necessario, come supporto all’intervento
sullo stile di vita e mai in sua sostituzione.
Flow-chart diagnostico-terapeutica
Uomo di 42 anni che da qualche mese lamenta sonnolenza postprandiale e dispnea soprattutto quando sale le scale, ma anche per lievi sforzi fisici
Bibliografia
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Anamnesi
Negli ultimi cinque anni incremento ponderale e
negli ultimi due anni rilievo saltuario di lieve iperglicemia e ipertrigliceridemia a digiuno. Fumatore
di circa 20 sigarette/die
Esame
obiettivo
IMC di 31 kg/m2, circonferenza addominale di
108 cm
Esami di
laboratorio
e strumentali
OGTT: glicemia basale di 118 mg/dL e, due ore
dopo il carico, di 160 mg/dL. Trigliceridemia 170
mg/dL, colesterolo HDL 30 mg/dL e fibrinogeno
sierico 410 mg/dL. Rx torace ed ECG da sforzo
nella norma; all’ecografia epatica steatosi di grado
elevato
Diagnosi
Terapia
Dieta ipocalorica e incremento dell’attività fisica.
Sospensione del fumo di sigarette
Follow-up
Calo ponderale del 7% del peso corporeo iniziale.
Normotolleranza alla curva da carico orale di glucosio. Trigliceridemia nella norma e colesterolo
HDL basso
Corrispondenza a: Prof. Gabriele Riccardi, Dipartimento di
Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università degli Studi di
Napoli Federico II, Via Pansini 5, 80131 Napoli
Pervenuto in Redazione l’8/9/2004 – Accettato per la pubblicazione il 15/9/2004
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