L`Afghanistan del dopo Karzai

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L`Afghanistan del dopo Karzai
L’Afghanistan del dopo Karzai
di Gabriele Maniccia
La fine del 2014 sarà per l’Afghanistan l’inizio di una nuova stagione
in cui si troverà ad affrontare, senza la predominante presenza di
componenti straniere, la propria sorte di stato indipendente e
pressoché autonomo. Dopo trenta anni di guerre e devastazioni, non
tutte dovute a conflitti civili quanto anche a occupazioni ed
interferenze esterne, il paese rinato formalmente con gli Accordi di
Bonn del 2001, all’indomani dell’abbattimento delle Torri Gemelle e
dell’entrata in campo della campagna di Enduring Freedom da parte
americana, oggi, se pur in condizioni di precaria stabilità, si propone
di assumere un assetto di sostanziale identità istituzionale, di fronte
al mondo.
Le forze in campo che per questi tredici anni l’hanno sostenuto, sia
quelle militari come i 24 paesi della NATO attraverso la componente
interna ISAF, sia quelle civili aggregate di circa 48 nazioni impegnate
nell’assistenza e cooperazione economica attraverso programmi delle
Nazioni Unite e programmi bilaterali, stanno gradatamente
smobilitando in attesa che avvenga la nomina del nuovo Presidente
del paese, successore a Karzai. Resterà da chiarire eventualmente, in
termini di obiettivi, la presenza della Coalizione internazionale di forze
di circa 44.000 uomini tutti sotto guida americana, compresa la
componente di Enduring Freedom di 30.000 militari Usa.
Questi aspetti, non solo di forma, ma soprattutto di sostanza, sono
ancora sul tappeto e di non facile soluzione in quanto essi sono parte
di uno stato di fatto strategico, mutato in questi ultimi tredici anni di
presenza in quel territorio ed ancora mutevole, dopo che alla minaccia
talebana si è sostituita oggi la minaccia di un Califfato integralista
musulmano in tutta l’area del Medioriente. Se quindi, fino a ieri un
intervento straniero, poteva essere giustificato dalla lotta alla
componente più radicale musulmana di origini sunnite e fortemente
aderente alla legge della Sharia e che aveva protetto le infiltrazioni
talebane e di Al Qaeda nei territori dai confini montuosi del Kashmir
fino alle aree desertiche a sud di Kandahar, oggi, la nuova minaccia di
sconvolgimenti, si è allargata a tutto il Medioriente sotto forme di
irredentismo religioso apparentemente di natura sciita ma con
disseminazione caotica contro le parti più deboli delle popolazioni
civili ed in forme di massacri difficilmente contenibili attraverso
metodi già applicati in aree di crisi.
Per questo l’Afghanistan, suo malgrado, si ritroverebbe circondato ed
al centro di altre instabilità, che se fossero lasciate a se stesse,
comprometterebbero i risultati per ora sostenibili di questo paese, al
quale anche noi italiani abbiamo dato un valido contributo.
Questa seconda parte del 2014, quindi, si profila determinante per il
futuro del paese considerando anche il delicato momento della
situazione interna dovuto alla successione di Karzai e che vede due
forti contendenti: Abdullah Abdullah e Ashraf Ghani. Ambedue di
etnia Pastun ma, per motivi personali, molto diversi tra loro. Il primo
con moglie tagika, medico, ex combattente Mujaheddin ed amico
personale del leggendario Massud; il secondo, professore
universitario, economista educato negli Stati Uniti e con incarichi
internazionali, è già stato Ministro delle Finanze nel primo Governo
Karzai. Chiaramente appaiono rilevanti i legami con i paesi arabi nel
caso di Abdullah e quelli più filoccidentali da parte Ashraf Ghani.
L’uno e l’altro, potrebbero essere garanti di continuità in caso di
leadership, ma tutto è legato alla revisione dei dati elettorali che
difficilmente saranno contabilizzati a breve. Benché la Nato abbia
sollecitato un Summit sul paese entro Settembre, difficilmente questo
può avvenire.
Da una parte gli USA premono per chiudere la partita in modo che
Obama possa presentarsi alle elezioni autunnali di Mid-Term del
Congresso con qualche risultato ottenuto, dall’altra, gli afghani come
sempre, non mostrano fretta e la loro diatriba interna, su chi sarà il
nuovo Capo dello Stato, quali reali poteri avrà, totali o da condividere
con il secondo arrivato, come vorrebbe la proposta ultima del
Segretario di Stato americano John Kerry, porterà gli accordi alle
lunghe.
In qualsiasi modo si modifichino le situazioni, di fatto non è nemmeno
certo che, alla fine del 2014, a nomine avvenute da parte del
Parlamento afghano del nuovo Presidente, rimangano in Afghanistan
circa 15.000-18.000 presenze tra militari e consiglieri come
ufficialmente dichiarato, oppure oltre 80.000, come vorrebbero gli
Usa.
Al momento sono stati discussi e temporaneamente accettati, ma non
firmati dal Presidente Karzai, una serie di punti nell’ambito di un
Accordo di Sicurezza Bilaterale (Bilateral Security Agreement between
the United States and the Islamic Republic of Afghanistan) che verte su
due fondamentali aspetti: quello dell’assistenza militare e sicurezza e
quello del sostegno finanziario allo sviluppo economico del paese per i
prossimi 10 anni.
Il documento, se pur approvato dal grande Consiglio della Loya Jirga
che prelude il voto parlamentare, come voluto da Karzai ancora in
esercizio, presenta tuttavia forti fattori di contrasto da ambo le parti.
Il punto chiave risiede non solo sulla quantitativa presenza delle forze
americane, quanto sul loro ruolo, posizionamento strategico e sulle
loro garanzie in fatto di operatività. Benché la gran parte dei
contenuti si richiami al fondamentale Accordo Strategico di
Partnership firmato nel Maggio del 2012 tra Obama e Karzai
(Enduring Strategic Partnership Agreement between the United States
of America and the Islamic Republic of Afghanistan) e benché lo stesso
Obama, in un messaggio personale del 20 Novembre 2013 al
Presidente Afghano, avesse sottolineato l’impegno americano alla
salvaguardia della popolazione ed al rispetto della sovranità ed
autonomia dello Stato afghano, i rapporti tra i due tradizionali alleati,
si sono bloccati su forti punti di divergenza.
Il punto fondamentale sul quale le parti governative per ora hanno
concordato in linea di massima è stato quello sul ruolo futuro che le
forze americane dovrebbero avere nel sostegno all’Afghanistan, sia in
termini di sicurezza che di addestramento delle forze afghane. In
realtà, se questo sostegno che da parte americana si aggira in termini
finanziari intorno a quattro miliardi di dollari l’anno, per ora, da parte
di Karzai, esso viene inteso come diretto finanziamento al Governo per
il potenziamento militare e lo sviluppo economico unitamente ad una
forte cooperazione militare e di condivisione delle informazioni
d’intelligence CIA con i propri servizi di sicurezza, la NDS.
Da parte americana invece sussistono forti resistenze a cooperare
bilateralmente e si vorrebbe mantenere una marcata autonomia
operativa per quanto riguarda soprattutto il controllo delle
informazioni strategiche, i servizi segreti, le operazioni antinsurgents e
le relative trattative con le frange talebane disponibili ad una tregua.
Fino a qualche tempo fa, Karzai, temendo di essere estromesso prima
del tempo, si era dimostrato molto avverso alle posizioni americane,
tanto da richiedere per risposta, la liberazione degli ultimi prigionieri
afghani di Guantanamo con la minaccia di mandare a monte le
trattative intraprese e di lasciare tutto l’onere della firma al suo
successore, come di fatto sta avvenendo.
Gli USA a loro volta, facendo forza sul considerevole impegno
economico e sulla impossibilità a rinunciare al loro posizionamento
strategico in tutta l’area mediorientale, continuano tutt’oggi a
sostenere la loro presenza, se pur in forma alquanto ridotta rispetto ai
periodi di maggiore impegno. L’obiettivo più importante ed abbastanza
discusso tra le parti, dal punto di vista militare, risiede nella
permanenza e controllo di almeno 9 basi militari strategiche in 8
province ( Kabul, Bagram, Mazar-i-Sharif, Herat, Kandahar, Shorab,
Shindad, Gardez e Jalalabad. Altri punti di permanenza sarebbero
dislocati tra le altre numerose basi operative: quali Camp Dwyer e
Camp Leatherneck in Helmand, Fob Delaram sotto il controllo dei
Marines Corps) ed altre minori attorno alle postazioni avanzate di
Enduring Freedom. Ovviamente, da parte americana, queste posizioni
sono considerate strategiche per rispondere o intervenire in qualsiasi
momento di crisi ai confini dell’Iran, del Pakistan e delle regioni russo
cinesi a nord ed est ed inoltre per garantirsi le attuali vie di traffico e
di uscita, quali quello di Tokham nel famoso Kyber Pass nella
provincia di Nangarhar alle frontiere del Pakistan, quello di Spin
Boldak nella provincia meridionale di Kandahar, quello di Torghondi
sulla via di Herat verso l’Iran e quelli a nord di Hairatan nel Balk ed
Ella Khan Bandar nella provincia di Kunduz.
Da queste posizioni, gli USA continuerebbero ad esercitare, secondo
gli accordi proposti, una pressione militare costante, da una parte
per contenere ad ovest le mire e l’influenza iraniana sulle aree sciite,
dall’altra, a sud, ai fini di repressione nei confronti delle aree tribali
pastun e sunnite legate ad Al Qaeda, che tutt’ora si estendono dalle
regioni di Helmand a quelle del Waziristan, confinanti con il Pakistan.
Punto centrale di controllo primario resterebbe la base di Bagram, a
meno di cinquanta chilometri da Kabul, dove sono detenuti la gran
parte dei terroristi o prigionieri antigovernativi afghani. Fin quando,
nuovi equilibri geopolitici, derivanti dalle guerre vicine, non rimettano
in discussione questi propositi.
Un altro punto di contrasto che Karzai lascia ai suoi successori e che
trova la gran parte della popolazione afghana in maggioranza
d’accordo al di là delle diversità politiche ed etniche, è la condanna
nell’uso dei drone nelle azioni di eliminazione dei santuari talebani e
che, in realtà, avrebbero causato molti morti tra la popolazione civile
come effetti collaterali delle azioni aeree. A questo, si affianca il rigetto
da parte della Giustizia afghana del principio di giurisdizione primaria
da riconoscere ai militari americani presenti sul territorio afghano, nel
senso che eventuali reati da parte degli stessi, sarebbero perseguibili
secondo la giustizia americana e negli Usa, piuttosto che secondo le
leggi, i codici, i tribunali e le prigioni dello Stato afghano dove è
avvenuto il reato o l’incidente contestato. E’ quindi comprensibile il
comportamento rigido del Presidente afghano di fronte a queste
componenti che lo vorrebbero vedere uscire dalla scena politica, dopo
12 anni, con senso di rivalsa nei confronti dei vecchi alleati, i quali a
suo tempo, in molte loro azioni militari, lo hanno messo più volte in
difficoltà, facendolo considerare scarsamente autorevole nei confronti
della pubblica opinione, sia interna che internazionale.
Karzai ha ormai chiuso il suo secondo ed ultimo mandato di
presidente, ma la coda di frustrazioni e dissapori resta, e questo lo
mette, fino alla fine, in una posizione difficile e poco duttile. Se da una
parte deve assicurare una continuità per il sostegno allo Stato
afghano tramite la Comunità internazionale - che significa 8 miliardi
di dollari l’anno - dall’altra non vuole lasciare il potere con l’immagine
di chi ha ceduto agli americani alla fine della storia.
Al momento la situazione politico economica afghana è in una
condizione di ulteriore travaglio ed incertezza. Con la riduzione delle
presenze straniere, gli affari si sono ridotti notevolmente e le richieste
di assistenza sono aumentate. Collateralmente sono aumentati gli
attacchi delle forze talebane, antigovernative e quelle in attesa di
saldare i conti, una volta ridotta la presenza militare americana e
quella di peacekeeping internazionale. Questo spiega perché Karzai
stia giocando le sue carte al rialzo, come la richiesta di liberazione di
tutti prigionieri afghani di Guantanamo, la fine dei voli senza
controllo sul territorio afghano ed in special modo dei drone nelle aree
ai confini pakistani. Ma tutto questo sarà, in ogni caso, materia di
accordi e di conflitti tra il nuovo Presidente e le forze in gioco.
A conclusione del suo mandato tuttavia, Karzai ha avviato una serie
di accordi con le regioni confinanti: di tipo militare con il Pakistan
riguardo al controllo della guerriglia nelle aree di confine, di tipo
economico con il Turkmenistan ed il Tagikistan per lo sfruttamento di
zone petrolifere di confine, di scambi commerciali con la Cina la quale
oltre a continuare a sfruttare miniere di rame sta entrando nel settore
delle costruzioni ed infine con l’India con la quale si stanno portando
a termine accordi per lo sfruttamento di miniere di ferro, di acciaierie
e conseguenti alle costruzioni di strade e di stazioni e linee elettriche
già avviate.
Ovviamente, niente è deterministico in Afghanistan soprattutto di
fronte all’era del dopo-Karzai, perché, per concludere attraverso una
visione geopolitica, ancora oggi dopo quasi cento anni di storia,
l’Afghanistan è un paese senza frontiere e se esso esiste, esiste in
quanto esistono attorno ad esso degli stati-confine quali: il Pakistan,
l’Iran, l’India, i paesi ex-impero sovietico di carattere musulmano a
nord, e più oltre ma non meno imponenti: la Cina, la Russia, gli Usa
ed i Paesi Arabi.