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n° 358 - gennaio 2013
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Direttore Responsabile Lorenzo Gualtieri - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via W. Tobagi, 8 - 20068 Peschiera Borromeo (MI) - www.fondazione-menarini.it
Luci e ombre della realtà
È la lunga storia dell’arte pittorica per cercare gli strumenti più idonei a rappresentare i volumi nello spazio, per giungere poi, in molti casi, al suo superamento
Dipingere, o comunque riprodurre
su un piano immagini prese dalla realtà, pone problemi molto complessi:
questioni di colore e variazione tonale, di studio delle luci e delle ombre, di illusione dello spazio. Il chiaroscuro è la tecnica che può aiutare
a risolvere parte di questi aspetti. Con
questo artificio l’artista riesce a dare
l’idea dei volumi e dei materiali, di
come sono collocati nello spazio e colpiti dalla luce e far acquistare alle
figure disegnate plasticità e tridimensionalità. Esistono vari metodi d’esecuzione, tra questi l’ombreggiatura,
con cui si riproducono le ombre tramite un tratteggio incrociato o con
sfumature di passaggi graduali oppure, al contrario, si può riprodurre
la qualità della luce con la lumeggiatura, cioè schiarendo le parti illuminate con rapidi tocchi di tonalità
vicine al bianco nelle parti scure.
Ripercorrendo la storia dell’arte, però,
si osserva come non sempre sia stata
data importanza alla raffigurazione
degli effetti chiaroscurali portati dalla
luce. A volte le immagini, sia pur raffinatissime, non sono andate oltre all’esser dei disegni colorati come per
esempio accadeva nell’arte egizia.
Certi espedienti tecnici sono, infatti,
strettamente legati a fenomeni culturali: diventano importanti e necessari ogni qualvolta si verifichi un particolare interesse verso una raffigurazione della realtà nella sua concretezza, attraverso l’insieme degli
elementi percettivi. È una civiltà come
quella greca, che cerca nella mimesi
l’imitazione della natura come riproduzione veridica della realtà sensibile, che affida all’attento studio della
luce e delle ombre il realismo delle
raffigurazioni. Gli studi riconoscono,
intorno al V sec. a.C., ad Apollodoro,
detto appunto skiagràphos cioè “pittore delle ombre”, la paternità della
Rilievi nel tempio di Hatshepsut - Egitto, Valle dei Re
Albrecht Dü rer: Mani in preghiera
Vienna, Graphische Sammlung Albertina
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Ermafrodito e Sileno - Napoli, Casa di Cecilio Giocondo
Pompei, Museo Archeologico Nazionale
tecnica chiaroscurale che ebbe larga
diffusione in epoca ellenistica e romana, come attestano le pitture e i
mosaici giunti fino a oggi.
Al contrario nell’Alto Medioevo, e
quindi in un periodo in cui il metodo
era già ampiamente padroneggiato,
il chiaroscuro rimase una semplice caratteristica tecnica. Generalmente era
poco usato, giusto mediante un tratteggio a trama più o meno fine o con
la grisaglia nelle vetrate. Questo si
verifica perché alla rappresentazione
della realtà veniva data la precedenza
all’aspetto simbolico. Per questo motivo sono venuti meno tutti gli accorgimenti necessari a una raffigurazione
realistica, da quelli chiaroscurali
appunto, a quelli cromatici o prospettici.
È verso la fine del XIII secolo che si
rivaluta la questione della luce e del
modo in cui questa illumina e modella le figure e le diverse materie.
Attraverso l’opera di Cimabue si comincia a riscoprire la delicatezza della
sfumatura. Un processo di riappropriazione della tecnica che viene mirabilmente portato avanti da Giotto
e Duccio fino a Masaccio, con il recupero della più ampia varietà cromatica per avvicinarsi il più possibile
alla realtà.
Virgilio detto romano: Miniatura V secolo - Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana
Quella del chiaroscuro è stata una vera
rinascita che è durata a lungo affinandosi sempre di più. Ha toccato vette
mirabolanti, si pensi agli inganni del
trompe l’oeil, e ha caratterizzato la pittura almeno fino all’Ottocento, fino
a quando le Avanguardie hanno recuperato interesse per le campiture
piatte e geometriche, superando di
nuovo la ricerca della tridimensionalità.
Anche i materiali usati influiscono
sull’evoluzione della tecnica. La morbidezza, la plasmabilità e anche i tempi
di lavorazione più lunghi della pittura a olio sicuramente rendono possibile il perfezionamento dello “sfumato” e del chiaroscuro così come
lo ha concepito Leonardo da Vinci.
Con lo “sfumato”, Leonardo ha annullato la linea di contorno, tanto cara
ai suoi contemporanei fiorentini, con
la quale si “disegnavano” le figure,
attenuandone il risalto plastico, ma
allo stesso tempo favorendone la compenetrazione nell’atmosfera. È la diretta conseguenza delle sue osservazioni allo scopo di ottenere una maggiore somiglianza con la realtà. Sfumando i contorni delle figure con sottili gradazioni di colore che impercettibilmente si fondono con la scena,
ha dissolto il contorno netto. La stessa
Cimabue: Crocifisso - Firenze, Museo dell’Opera
di Santa Croce
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operazione l’ha spostata anche sul
chiaroscuro vero e proprio, così che
l’effetto del volume si possa risolvere
con molteplici gradazioni di colori
amalgamate. A Leonardo non va solo
il merito di aver affinato tale tecnica,
ma anche quella di averla diffusa, specialmente in Veneto e Lombardia,
dove venne raccolta, studiata e sviluppata da artisti come Giorgione,
Tiziano o Lotto, fino a dar vita alla
cosiddetta “pittura tonale”.
Intanto la luce nelle raffigurazioni
lentamente comincia a diminuire a
favore di un’oscurità chiamata però
solo a enfatizzarla. Le fonti luminose
si riducono, addirittura diventano
candele o, come spesso accade nella
pittura sacra, la stessa santità del Cristo raffigurato.
La tecnica preparata da Leonardo e
Raffaello diventa il punto di partenza
per una nuova tendenza che tra Manierismo e Barocco, proprio attraverso
il chiaroscuro, è andata alla ricerca
dell’effetto drammatico riconoscendo
i suoi sommi maestri in Caravaggio
e Rembrandt.
Buona parte della rivoluzione di
Caravaggio consiste in quella particolare atmosfera creata da una teatrale
luce radente che fa letteralmente guizzare i corpi dal buio assoluto. In questo modo evidenzia drammaticamente
i protagonisti con forti contrasti e rapidi passaggi tra luce e ombra, lasciando il resto della scena nella più
totale oscurità, tanto che raramente
dipinge gli sfondi. La portata della
sua opera è stata vastissima e ha ispirato il cosiddetto Tenebrismo, particolarmente diffuso in Spagna dove
ebbe grande seguito.
Fino al XVIII secolo, in Europa, la
tecnica del chiaroscuro è stata regolarmente utilizzata, Goya in Spagna,
Fragonard e David in Francia, Füssli
in Inghilterra, solo per citare alcuni
artisti, ne danno ampia testimonianza.
È nel XIX secolo che la tradizione
nell’uso del chiaroscuro si interrompe,
cioè nel momento in cui viene messo
in discussione il concetto di arte come
rappresentazione della realtà, per diventare piuttosto un mezzo espressivo di sentimenti ed emozioni. Dapprima gli impressionisti, che hanno
abbracciato una pittura fatta di luce
dall’alto in senso orario
Leonardo da Vinci: Madonna dei fusi
collezione privata
Christoffel Pierson: Trompe l’Oeil con strumenti
per la caccia con il falcone
e colore, ribaltando le consuetudini
pittoriche attraverso la stesura di tocchi di colore puro con l’abolizione del
nero nelle ombre sostituito da colori freddi. Successivamente i cubisti, che hanno recuperato forme geometriche piatte aprendo la strada alla
ricerca di “alternative” al chiaroscuro
fino ad arrivare al completo abbandono come nel caso di alcune opere
di Matisse.
Il chiaroscuro resiste egregiamente
in tutte quelle espressioni in cui è richiesto un qualsiasi, anche menzognero, attaccamento alla realtà, si
pensi ai surrealisti o ai metafisici e
anche oggi, non si può certo dire che
la tecnica sia stata abbandonata. È
un’abilità sempre insegnata nelle
scuole d’arte, fa parte del bagaglio
tecnico necessario all’artista, ma è diventata una qualsiasi scelta espressiva
non più “obbligata”, ma semmai
“utile”, nei casi in cui si ricerchi o si
inganni la mimesis.
francesca bardi
Salvador Dalì:
Cristo de San Juan de la Cruz - Glasgow,
Kelvingrove Art Gallery
Claude Monet:
Spiaggia a Trouville - Londra, National Gallery
Gherardo delle Notti: Adorazione dei pastori
Colonia, Wallraf-Richartz Museum