giurisprudenza delitti contro il patrimonio2009

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giurisprudenza delitti contro il patrimonio2009
ANNO ACCADEMICO 2008/2009
DIRITTO PENALE -2 PARTE—DIRITTO PENALE SPECIALISTICO
GIURISPRUDENZA RELATIVA AI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO
FURTO
Non è configurabile il furto di fotocopia replicabile, poichè la condotta non arreca al patrimonio del
soggetto passivo alcun danno patrimoniale.
Sez. 4, Sentenza n. 29457 del 25/06/2008 Ud. (dep. 16/07/2008 ) Rv. 241551
Non integra il reato di furto la condotta di chi prenda dalle mani del vigile urbano il bollettario delle
contravvenzioni al codice della strada e ne strappi immediatamente il primo foglio, in quanto
l'azione di impossessamento svolge un ruolo prodromico rispetto a quella di danneggiamento e
difetta il dolo specifico del fine di lucro.
Sez. VI, sent. n. 40351 del 13-11-2001 (ud. del 19-09-2001), Baldi (rv 220313).
Nel reato di furto, il bene oggetto della condotta criminosa non deve essere considerato unicamente
nella sua semplice consistenza materiale, ma è necessario far riferimento anche alla normale
destinazione d'uso di esso, equipollente al profitto illecito che ne trae colui che se ne è
impossessato. (Nella fattispecie, relativa a condanna per tentato furto avente ad oggetto etichette
omaggio staccate da confezioni di pasta esposte sui banchi di un supermercato, la Corte ha
osservato che non è corretto far riferimento soltanto al valore del pezzo di carta, ma occorre
considerare le caratteristiche della cosa, destinata a far conseguire al possessore l'acquisto gratuito
di altro prodotto).
Sez. V, sent. n. 11235 del 26-10-1998 (cc. del 25-09-1998), Di Gioia (rv 212397).
In tema di furto, il reato può dirsi consumato anche se oggetto della sottrazione è un'autovettura
munita di sistema di antifurto satellitare, in quanto tale strumento non esclude che il soggetto
passivo perda, almeno fino al momento di attivazione del sistema di rilevazione satellitare, il
controllo materiale e giuridico sulla cosa sottrattagli. (La Corte ha escluso la configurabilità del
tentativo in considerazione del fatto che il sistema satellitare non assicura una costante vigilanza
durante l'intera fase dell'azione illecita, ma la possibilità di rilevare e seguire gli spostamenti
dell'autovettura è collegata ad una richiesta dell'interessato al centro operativo, cosicché il
successivo rilevamento ha soltanto una funzione recuperatoria di un bene ormai uscito
definitivamente dalla sfera di controllo del possessore).
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Sez. IV, sent. n. 4824 del 03-02-2003 (ud. del 11-12-2002), Talal Alì (rv 223484).
In tema di furto, il reato può dirsi consumato nell'ipotesi in cui la cosa sia sottratta al possessore e
l'agente se ne sia impossessato, anche per brevissimo tempo, sfuggendo alla cerchia di vigilanza di
quest'ultimo; non rileva a tal fine il fatto che l'agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva,
immediatamente dopo la sottrazione, per l'intervento del tutto aleatorio di un terzo estraneo alla
sfera di vigilanza del possessore derubato.
Sez. IV, sent. n. 31461 del 20-09-2002 (ud. del 03-07-2002), Carbone (rv 222270).
Sussiste il reato di furto consumato di benzina, e non già tentato, nell'ipotesi di sorpresa di un
soggetto all'interno di un garage il quale abbia già raccolto in un secchio il carburante asportato da
alcuni veicoli custoditi nell'autorimessa.
Sez. IV, sent. n. 1855 del 17-02-1996 (cc. del 14-12-1995), Burrascano (rv 205199).
In tema di furto, fermo restando che il prelevamento della merce dai banchi di vendita dei grandi
magazzini a sistema "self service" e l'allontanamento senza pagare realizzano il reato di furto, deve
ritenersi che quando l'avente diritto o persona da lui incaricata sorvegli le fasi dell'azione furtiva, sì
da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non è consumato neanche con l'occultamento
della cosa sulla persona del colpevole. Ciò perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di
vigilanza e di controllo diretto dell'offeso. (Fattispecie di furto in supermercato in cui il ladro era
stato sorpreso prima della cassa mentre occultava una bottiglia sotto gli indumenti, qualificato dalla
Suprema Corte quale tentativo di furto).
Sez. V, sent. n. 3642 del 19-03-1999 (cc. del 21-01-1999), Imbrogno (rv 213315).
Costituisce furto consumato e non tentato quello che si commette all'atto del superamento della
barriera delle casse di un supermercato con della merce prelevata dai banchi e sottratta al
pagamento, nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del
supermercato incaricato della sorveglianza.
Sez. 5, Sentenza n. 23020 del 09/05/2008 Ud. (dep. 09/06/2008 ) Rv. 240493
Sussiste il delitto di furto consumato e non tentato allorché le forze dell'ordine, per le caratteristiche
della situazione concreta, non siano libere di intervenire prima del compimento dell'azione
criminosa ma solo successivamente all'impossessamento della "res" da parte del soggetto attivo. (In
applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la statuizione con cui il giudice
di merito ha ritenuto integrato il delitto di furto consumato nei confronti dell'imputato che aveva
asportato un cellulare da un'autovettura sotto lo sguardo dei carabinieri che lo avevano visto
nell'atto di rompere il cristallo della vettura quando la distanza intercorrente rendeva impossibile un
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loro intervento immediato per interrompere l'azione criminosa sicché solo in seguito
all'impossessamento del cellulare da parte dell'autore del furto e mentre quest'ultimo si allontanava
dal luogo del commesso reato è stato possibile raggiungerlo e bloccarlo).
Sez. 5, Sentenza n. 40697 del 23/09/2008 Ud. (dep. 31/10/2008 ) Rv. 241746
In tema di tentativo, il requisito dell'univocità degli atti va accertato ricostruendo, sulla base delle
prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell'agente quale emerge dalle modalità di
estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui
avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello
specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo. (Nella fattispecie, la Corte ha
ritenuto che divellere dal muro la grata di protezione di una finestra al fine di introdursi
nell'abitazione costituisce atto di per sé capace di produrre l'evento del delitto di furto in
abitazione).
Sez. 4, Sentenza n. 7702 del 29/01/2007 Ud. (dep. 23/02/2007 ) Rv. 236110
In tema di reato impossibile il giudizio sull'insussistenza dell'oggetto idoneo ad escludere la
punibilità ai sensi dell’art.49 c.p., capoverso, deve essere effettuato con valutazione "ex ante".
Costituisce pertanto tentativo punibile e non reato impossibile il comportamento di chi si introduce
in una vettura per commettere furto di cose nella stessa contenute posto che, con valutazione "ex
ante", nella vettura sono normalmente contenute cose che possono essere oggetto di furto.
Sez. V, sent. n. 84 del 09-01-1997 (cc. del 09-12-1996), Tansino (rv 206562).
Ai fini di una corretta applicazione dell’art.56 c.p., occorre ricostruire la volontà teleologica
dell'agente utilizzando tutti gli elementi e le circostanze che la accompagnano e che eventualmente
la colorano di univocità. Con riguardo all'intenzione di commettere un delitto di furto e non
semplicemente di introdursi nell'altrui dimora per altri scopi acquistano rilievo la considerazione
che l'introduzione occulta nell'altrui abitazione non può presumersi come fine a se stessa e la
plausibilità delle giustificazioni fornite dall'agente.
Sez. VI, sent. n. 11022 del 20-12-1996 (cc. del 09-10-1996), Marino (rv 206437).
In tema di distinzione tra furto e appropriazione indebita, decisiva è l'indagine circa il potere di
disponibilità sul bene da parte dell'agente. Se questo sussiste, il mancato rispetto dei limiti in ordine
alla utilizzabilità del bene integra il reato di appropriazione indebita; in caso contrario, è
configurabile il reato di furto. Conformemente a tale principio, deve ritenersi sussistere il reato di
furto a carico del dipendente di una società operante nel settore della vigilanza privata e del
trasporto valori che sottragga il denaro a lui affidato esclusivamente per l'espletamento di un'attività
di ordine materiale, quale il trasporto, il deposito, la conservazione e la consegna di tale bene, con le
connesse operazioni burocratiche. In tale ipotesi, infatti, l'agente non disponendo autonomamente
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del denaro, nel senso giuridico sopra evidenziato, con la sottrazione di esso se ne "impossessa", così
realizzando la fattispecie criminosa di cui all’art.624 c.p.
Sez. V, sent. n. 2032 del 05-03-1997 (cc. del 15-01-1997), Flosci (rv 208668).
Il delitto previsto dall'art. 624-bis cod. pen. (furto in abitazione o con strappo) costituisce figura
autonoma di reato rispetto a quella di furto semplice di cui all'art. 624 stesso codice e non ipotesi
aggravata di quest'ultimo. (Fattispecie concernente il furto di un'autovettura avvenuto nel cortile
adiacente l'abitazione del proprietario di essa, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto non
corretto il giudizio di comparazione delle attenuanti generiche concesse al colpevole con la ritenuta
circostanza aggravante del furto in abitazione, annullando la sentenza impugnata limitatamente al
solo trattamento sanzionatorio). V. Corte cost., 24 aprile 2003 n. 137.
Sez. 4, Sentenza n. 36606 del 19/09/2006 Ud. (dep. 04/11/2006 ) Rv. 235022
Integra il reato previsto dall’art.624-bis la condotta di colui che per commettere un furto si
introduca nello spogliatoio di un ristorante, poiché il concetto di privata dimora è più ampio di
quello di abitazione e vi rientra ogni luogo non pubblico che serva all'esplicazione di attività
culturali, professionali e politiche.
Sez. IV, sent. n. 18810 del 18-04-2003 (ud. del 26-02-2003), Solimano (rv 224568).
Rientra nella fattispecie di cui all'art. 626, comma primo, n. 3, cod. pen. (furto punibile a querela
dell'offeso, previsto dall'art. 626, comma primo, n. 3 cod. pen.) - che consiste nel fatto di spigolare,
rastrellare o raspollare nei fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto - anche
l'ipotesi in cui, sussistendo segnali concreti della non volontà dell'avente diritto di procedere al
raccolto, l'apprensione abusiva cada esclusivamente su prodotti vegetali (nella specie olive) da
ritenere, comunque, destinati a sfuggire ad una eventuale iniziativa in tal senso, per essere caduti a
terra e per richiedere a causa della loro specifica natura la lavorazione a brevissimo termine.
Sez. 5, Sentenza n. 39965 del 25/09/2007 Ud. (dep. 29/10/2007 ) Rv. 238214
RAPINA
In ordine alla configurazione del reato di rapina (art.628 c.p.), la violenza - come la minaccia - ne
sono elementi costitutivi, e rimangono perciò in essa assorbiti in forza del principio di specialità,
soltanto quando tra essi intercede un nesso causale, con carattere di immediatezza, per cui
l'impossessamento derivi direttamente dalla violenza stessa.
Sez. I, sent. n. 10812 del 31-10-1995 (cc. del 12-09-1995), Mannino (rv 202668).
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Poiché la minaccia che integra il delitto di rapina può essere esercitata mediante qualsiasi
comportamento che, prospettando un male alla persona offesa, ne limiti la libertà di determinazione,
il reato sussiste qualora l'agente, falsamente presentandosi come operatore di Polizia, effettui una
fittizia perquisizione domiciliare - con ciò comprimendo la libertà psichica della vittima - per
impossessarsi dei beni altrui.
Sez. II, sent. n. 2112 del 18-02-1999 (cc. del 15-01-1999), Scalzi (rv 212787).
RAPINA IMPROPRIA
In tema di delitto di rapina, configura la violenza alla persona, quale elemento materiale della rapina
impropria, il frapporre un ostacolo all'autonomia psicofisica della vittima, in modo tale da impedire
alla stessa l'inseguimento del rapinatore, così da assicurare a quest'ultimo il possesso della cosa
sottratta e/o l'impunità. (Fattispecie in cui era stata sbarrata l'uscita al derubato, posizionando
un'autovettura in modo tale da impedire qualsiasi tentativo di inseguimento del rapinatore).
Sez. II, sent. n. 39941 del 26-11-2002 (ud. del 25-09-2002), Strefezza (rv 222847).
È configurabile il tentativo di rapina impropria, per il caso in cui al mancato impossessamento del
bene faccia seguito l'esplicazione di violenza o minacce finalizzate al conseguimento dell'impunità
per quanto commesso, in quanto la norma incriminatrice di cui all'art. 628, comma secondo, cod.
pen., deve necessariamente integrarsi con la norma generale sul delitto tentato.
Sez. 2, Sentenza n. 3769 del 16/12/2008 Cc. (dep. 27/01/2009 ) Rv. 242558
Nel delitto di rapina impropria, il requisito dell'immediatezza che lega la sottrazione all'uso della
violenza o minaccia va inteso non in senso meramente letterale, come assenza di qualsivoglia
intervallo temporale tra le due azioni, ma in riferimento al dato concettuale della flagranza e della
quasi flagranza.
Sez. 6, Sentenza n. 39924 del 16/10/2008 Cc. (dep. 24/10/2008 ) Rv. 242412
Non è configurabile il tentativo di rapina impropria quando la condotta di sottrazione della cosa non
venga completata, dovendovi invece ritenere integrato il tentativo di furto, oltre che altro autonomo
reato che abbia come elemento costitutivo la violenza o la minaccia.
Sez. 6, Sentenza n. 43773 del 30/10/2008 Cc. (dep. 21/11/2008 ) Rv. 241919
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La configurabilità della rapina impropria, alla stregua del testuale tenore della norma incriminatrice
art.628, comma 2 c.p.) presuppone inderogabilmente l'avvenuta sottrazione della cosa. Mancando,
quindi, tale presupposto - come si verifica nel caso in cui l'agente, sorpreso prima di aver effettuato
la sottrazione, usi violenza o minaccia al solo fine di fuggire o di procurarsi altrimenti l'impunità - il
fatto non può essere qualificato come tentativo di rapina impropria dandosi luogo invece alla
configurabilità, oltre che del tentato furto, anche dell'altro autonomo reato che abbia come elemento
costitutivo la violenza o la minaccia.
Sez. V, sent. n. 3796 del 03-11-1999 (ud. del 12-07-1999), Jovanovic (rv 215102).
In tema di rapina impropria, sussiste l'ipotesi del tentativo, e non il diverso reato di tentato furto
seguito da minacce o percosse, allorché l'agente tiene a fini d'impunità una condotta minacciosa o
violenta immediatamente dopo l'azione diretta a impossessarsi della cosa altrui, che non sia però
riuscito a sottrarre.
Sez. V, sent. n. 32445 del 29-08-2001 (ud. del 30-05-2001), Berisa (rv 219719).
Si configura il tentativo di rapina impropria anche quando la violenza o la minaccia siano esercitate
al fine di assicurarsi l'impunità, senza che si sia realizzato l'impossessamento della cosa per
l'intervento di fattori esterni interruttivi dell'azione criminosa.
Sez. II, sent. n. 28044 del 10-07-2001 (cc. del 16-05-2001), Radosavljevic (rv 219629).
In tema di rapina impropria, sussiste l'ipotesi del tentativo, e non il diverso reato di tentato furto
seguito da minacce o percosse, allorché l'agente tiene a fini d'impunità una condotta minacciosa o
violenta immediatamente dopo l'azione diretta a impossessarsi della cosa altrui, che non sia però
riuscito a sottrarre.
Sez. II, sent. n. 13364 del 24-03-2003 (ud. del 04-03-2003), Lucchesi (rv 224303).
In tema di rapina cosiddetta impropria ex art.628, 2 comma c.p., "il fine di procurarsi l'impunità"
comprende non soltanto quello di evitare il riconoscimento ma anche il fine di sottrarsi a tutte le
conseguenze penali e processuali del reato commesso, incluse la denuncia e l'arresto. Ed inoltre, il
requisito della "immediatezza", richiesto dalla norma incriminatrice, non deve essere inteso in senso
rigorosamente letterale, ma deve essere posto in relazione allo scopo perseguito di assicurarsi il
possesso della cosa sottratta ovvero l'impunità. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che doveva
configurarsi il reato di cui all’art.628, 2 comma c.p. nel caso di un soggetto il quale aveva usato
violenza nei confronti di un carabiniere per impedirgli di essere arrestato dopo aver commesso, ai
danni dello stesso carabiniere, un furto con strappo).
Sez. VI, sent. n. 2410 del 21-07-1999 (ud. del 25-06-1999), Concas (rv 214926).
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In tema di rapina impropria, il requisito dell'immediatezza della violenza o della minaccia indicato
nell’art.628, comma 2 c.p. non deve essere inteso in senso rigorosamente letterale, e cioè nel senso
che la violenza o la minaccia debbano seguire, senza alcun intervallo di tempo, alla sottrazione, ma
va riferito alla nozione di "flagranza" o "quasi flagranza". (Fattispecie relativa ad illecito
impossessamento, avvenuto in provincia di Firenze, di un'autovettura, guidata sino a Cassino, dove
il conducente, autore del furto, fu costretto a fermarsi dalla Polizia stradale per un illecito
concernente la sua condotta di guida e usò resistenza ai pubblici ufficiali che gli avevano intimato
l'alt; nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha, in ragione del numero delle ore
trascorse fra i due episodi, escluso che nell'episodio ricorresse un'ipotesi di rapina impropria).
Sez. II, sent. n. 12341 del 29-11-2000 (ud. del 26-10-2000), Apicella (rv 217426).
La privazione della libertà personale costituisce ipotesi aggravata del delitto di rapina (e rimane in
esso assorbita) solo quando la stessa si trovi in rapporto funzionale con la esecuzione della rapina
medesima, mentre, nell'ipotesi in cui la privazione della libertà non abbia una durata limitata al
tempo strettamente necessario alla consumazione della rapina, ma ne preceda o ne segua
l'attuazione, in ogni caso protraendosi oltre il suddetto limite temporale, il reato di sequestro di
persona concorre con quello di rapina.
Sez. II, sent. n. 9387 del 02-09-2000 (ud. del 15-06-2000), Pranteddu (rv 216923).
Per la sussistenza del delitto di estorsione non si richiede che la volontà del soggetto passivo, per
effetto della minaccia, sia completamente esclusa, ma che, residuando la possibilità di scelta fra
l'accettare le richieste dell'agente o subire il male minacciato, la possibilità di autodeterminazione
sia condizionata in maniera più o meno grave dal timore di subire il pregiudizio prospettato; se la
minaccia, viceversa, si risolvesse in un costringimento psichico assoluto, cioè in un annullamento di
qualsiasi possibilità di scelta, ed il risultato dell'agente fosse il conseguimento di un bene mobile, si
configurerebbe infatti un vero e proprio "impossessamento" e, conseguentemente, il diverso reato di
rapina. (In applicazione di detto principio la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito
che aveva escluso la configurabilità del delitto di estorsione in una fattispecie relativa a minaccia,
effettuata dal responsabile di un'azienda del latte ad un fornitore, di escluderlo dalla possibilità di
essere scelto fra le ditte fornitrici dell'azienda stessa se non avesse corrisposto una percentuale
sull'importo di uno stipulando contratto).
Sez. II, sent. n. 4308 del 21-01-1996 (ud. del 17-10-1995), Fierro (rv 203773).
ESTORSIONE
Il delitto di estorsione costituisce ipotesi speciale rispetto al delitto di violenza privata, fungendo da
elementi specializzanti, oltre al conseguimento di un ingiusto profitto, il correlativo danno per la
persona offesa.
Sez. II, sent. n. 27040 del 20-06-2003 (ud. del 22-05-2003), Liotta (rv 225161).
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In tema di estorsione, ai fini della configurabilità del reato sono indifferenti la forma o il modo della
minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o
figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle
circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo. La
connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l'elemento strutturale
del delitto di estorsione vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la
personalità sopraffattrice dell'agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l'ingiustizia
della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima, vista come persona di normale
impressionabilità, a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione del soggetto passivo.
Sez. VI, sent. n. 3298 del 12-03-1999 (cc. del 26-01-1999), Savian (rv 212945).
Per la configurabilità del reato di estorsione non basta l'esercizio di una generica pressione alla
persuasione o la formulazione di proposte esose o ingiustificate, ma occorre che l'agente si avvalga
di modalità tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate, facendo sì che non le
venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui pretese o il subire,
altrimenti, un pregiudizio diretto e immediato. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C.
ha escluso che potesse qualificarsi come tentativo di estorsione la condotta del locatario di un
immobile il quale, a fronte di una richiesta di anticipata risoluzione del contratto di locazione da
parte del proprietario, aveva subordinato il proprio consenso al versamento di una somma di danaro
a titolo di "buona uscita").
Sez. II, sent. n. 13043 del 14-12-2000 (ud. del 07-11-2000), Sala (rv 217508).
Integra il delitto di estorsione il fatto del ladro che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di
una somma di denaro come corrispettivo della restituzione della refurtiva, a nulla rilevando che il
pagamento sia successivo alla restituzione; e ciò in quanto la vittima subisce gli effetti della
minaccia originaria che ne contiene una implicita, e cioè quella della rappresaglia in mancanza di
adempimento dell'obbligazione contratta in adesione alla richiesta di danaro rivoltale dal ladro.
Sez. II, sent. n. 12326 del 29-11-2000 (ud. del 11-10-2000), Delle Lenti (rv 217425).
Il profitto dei delitti di furto o di rapina è costituito dal bene oggetto di sottrazione - al momento del
cui impossessamento il reato si perfeziona - e non dalla diversa utilità da esso ricavabile mediante
un'attività successiva, che non può dunque considerarsi assorbita nella condotta precedente. Ne
consegue che quando tale attività consiste nella richiesta di un compenso a chi possedeva,
accompagnata dalla prospettazione della mancata restituzione del bene sottratto, essa non può che
considerarsi tesa a coartare l'altrui volontà a scopo di profitto: colui che sia stato privato
illecitamente di un bene, infatti, conserva il diritto alla restituzione, oltre che l'aspettativa morale di
riacquistarlo, sicché la richiesta di denaro in cambio dell'adempimento dell'obbligo giuridico di
restituire, che incombe sull'agente, influisce sulla libertà di determinazione del soggetto passivo ed
integra, di per sé, minaccia rilevante ai sensi dell’art.629 c.p.
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Sez. II, sent. n. 8309 del 10-07-1998 (cc. del 24-06-1998), Tonarelli (rv 211184).
Colui che assume la veste di intermediario fra gli estorsori e la vittima, anche se per incarico di
quest'ultimo, non risponde di concorso nel reato solo se agisce nell'esclusivo interesse della stessa
vittima e per motivi di solidarietà umana, altrimenti la sua opera contribuisce alla pressione morale
ed alla coazione psicologica nei confronti della vittima e quindi conferisce un suo apporto causativo
all'evento.
Sez. II, sent. n. 9172 del 26-02-2003 (ud. del 04-11-2002), Genova (rv 223702).
È configurabile il delitto di estorsione, previsto dall’art.629 c.p., anche quando la minaccia di danno
è rivolta ad un bene di cui la vittima non ha ancora la disponibilità, essendo sufficiente che l'azione
intimidatrice sia in grado di determinare quest'ultima alla prestazione richiesta, con suo conseguente
danno e con l'ingiusto profitto a favore dell'agente (nel caso di specie, l'imputato avevano
minacciato di far esplodere l'edificio che la vittima, imprenditore edile, avrebbe dovuto realizzare).
Sez. II, sent. n. 24730 del 27-06-2002 (ud. del 05-03-2002), Sassolino (rv 221696).
In tema di estorsione, l'elemento costitutivo della minaccia diretta al conseguimento di un ingiusto
profitto in tanto sussiste in quanto il destinatario di essa ne risulti coartato nella libera
determinazione della volontà, trovandosi soggetto all'alternativa di adempiere a quanto richiesto o
di subire il male minacciato; allorquando invece un soggetto, al fine di conseguire una qualsiasi
utilità che gli può derivare dalla conclusione di un negozio giuridico, si induce ad aderire alle
condizioni, quale che sia la loro natura, richieste ed imposte dalla controparte per la conclusione del
negozio, che ben potrebbe rifiutare senza che alcun danno giuridicamente rilevante gliene derivi,
alcun costringimento morale è ravvisabile, proprio perché l'aver sottostato a tali condizioni, anche
se vessatorie, è frutto di una libera determinazione delle volontà, effettuata in base ad una scelta
autonoma, condizionata sì, ma non coartata.
Sez. II, sent. n. 3576 del 17-01-1997 (ud. del 26-09-1996), De Carlo (rv 206858).
Sussiste il concorso di persone nel reato di estorsione anche quando il contributo del correo sia
limitato alla fase finale dell'attività delittuosa, dovendosi escludere la configurabilità del delitto di
favoreggiamento personale, la cui condotta agevolatrice costituisce un "posterius" rispetto alla
commissione del reato. (Fattispecie in cui i correi erano intervenuti solo nella fase di riscossione
della somma frutto dell'estorsione).
Sez. II, sent. n. 10778 del 14-03-2002 (ud. del 25-01-2002), Curto (rv 221123).
In tema di estorsione, anche la minaccia di esercitare un diritto - come l'esercizio di un'azione
giudiziaria o esecutiva - può costituire illegittima intimidazione idonea ad integrare l'elemento
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materiale del reato quando tale minaccia sia finalizzata al conseguimento di un profitto ulteriore,
non giuridicamente tutelato.
Sez. II, sent. n. 16618 del 08-04-2003 (ud. del 16-01-2003), Staniscia (rv 224399).
In tema di "estorsione contrattuale" la minaccia di far valere un diritto assume il connotato
dell'illiceità soltanto quando è diretta ad ottenere un profitto ingiusto, e dunque non una qualsiasi
controprestazione ma un risultato iniquo, perché ampiamente esorbitante ovvero addirittura non
dovuto rispetto a quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto, che viene strumentalizzato per
scopi "contra ius", diversi cioè da quelli per cui esso è riconosciuto e tutelato. Al fine della
configurazione del reato è dunque necessario che il giudice valuti in modo completo e coerente le
pretese contrapposte delle parti ed accerti che il profitto non sia affatto riferibile al diritto vantato e
concretamente azionabile, mediante un apprezzamento di fatto che, ove sorretto da adeguata e
logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità.
Sez. II, sent. n. 12444 del 02-11-1999(ud. del 25-10-1999), Santonicola (rv 214407).
In tema di estorsione, il delitto deve considerarsi consumato e non solo tentato allorché la cosa
estorta venga consegnata dal soggetto passivo all'estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia
predisposto l'intervento della Polizia giudiziaria che provveda immediatamente all'arresto del reo ed
alla restituzione del bene all'avente diritto.
Sez. U., sent. n. 19 del 14-12-1999 (ud. del 27-10-1999), Campanella (rv 214642).
Nel reato di estorsione la minaccia, oltre che palese, esplicita e determinata, può essere anche
larvata o indiretta; essa deve ingenerare in chi la subisce un timore consistente nella paventata
previsione di più gravi pregiudizi, sicché, in tema di tentativo, va considerata la potenzialità della
minaccia stessa ad incutere paura, indipendentemente dal fatto che la vittima ne risulti
effettivamente intimidita.
Sez. VI, sent. n. 10229 del 27-08-1999(ud. del 29-04-1999), Labalestra (rv 214396).
In tema di delitti contro la libertà individuale, se la coartazione da parte dell'agente è diretta a
procurarsi un ingiusto profitto, anche di natura non patrimoniale, con altrui danno - che rivesta però
la connotazione di ordine patrimoniale e consista in una effettiva "deminutio patrimonii" - ricorre il
delitto di estorsione e non quello meno grave di violenza privata.
Sez. I, sent. n. 9958 del 05-11-1997 (cc. del 27-10-1997), Carelli (rv 208938).
SEQUESTRO DI PERSONA A SCOPO DI ESTORSIONE
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I due elementi costitutivi - sequestro di persona ed estorsione - del reato complesso di cui
all’art.630 c.p. si realizzano non appena l'agente ha privato la vittima della sua libertà personale al
fine di ottenere il prezzo della sua liberazione, non essendo richiesto anche il pagamento del
riscatto. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, l'imputato aveva sostenuto che l'omicidio aveva
conservato la propria autonomia e non aveva assunto il ruolo di circostanza aggravante (sì da far
scattare la competenza della Corte d'Assise) in quanto il reato estorsivo non era stato consumato a
causa dell'uccisione del sequestrato).
Sez. II, sent. n. 12260 del 18-09-1989 (cc. del 18-04-1989), Tanzi (rv 182078).
In tema di reati contro il patrimonio commessi in danno di congiunti, la causa di non punibilità e la
condizione di non procedibilità di cui ai commi primo e secondo dell’art.649 c.p. si applicano anche
alle ipotesi tentate dei delitti di cui agli artt. 628, 629 e 630 c.p., che non siano commesse con
violenza alle persone.
Sez. II, sent. n. 11861 del 13-03-2003 (ud. del 30-01-2003), Carotenuto (rv 223903).
Il sequestro di persona a scopo di estorsione è un reato a consumazione anticipata e si realizza nel
momento in cui vengono attuati tutti i suoi elementi costitutivi, fino alla cessazione dello stato di
soggezione della vittima. Accertato, pertanto, il concorso di più persone nella realizzazione del
reato, le condotte dei vari compartecipi si pongono sullo stesso piano e il giudice non ha l'obbligo di
individuare il ruolo di ciascuno di essi nella commissione del reato, avendo tutte le condotte valore
determinante e risolutivo. Ne consegue che non è applicabile al reato in questione l'attenuante della
minima partecipazione di cui all’art.114 c.p.
Sez. II, sent. n. 2611 del 18-03-1993 (cc. del 18-01-1993), Bergamaschi
Per configurare il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione è sufficiente che il soggetto
passivo subisca una limitazione di libertà personale, quale ne sia il grado e la durata, il luogo in cui
avvenga e i mezzi usati per imporla, potendosi il sequestro realizzare, oltre che con la coercizione
fisica che impedisce in concreto ogni libertà di movimento, anche attraverso l'inganno e con motivi
pretestuosi che attraggono la vittima e ne inficiano la volontà di autodeterminarsi. Ai fini della
consumazione del reato deve aversi riguardo al momento della privazione di fatto della libertà di
movimento del soggetto passivo, anche se avvenuta con mezzi ingannevoli e senza violenza o
minaccia, se attraverso essi si è voluto conseguire l'ingiusto profitto, come mezzo della liberazione.
Una volta accertato il momento della privazione di fatto della libertà di locomozione è irrilevante
che il soggetto passivo abbia preso coscienza dell'avvenuto sequestro solo successivamente.
Sez. II, sent. n. 12164 del 18-09-1989 (cc. del 01-07-1988), Nappi (rv 182066).
Se è vero che la semplice consapevolezza della commissione del reato non costituisce concorso
morale, in quanto per questo si richiede almeno il volontario rafforzamento, il contributo ideologico
o, quantomeno, un'incidenza sul determinismo psicologico dell'autore del reato, è però altrettanto
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vero che l'attività del correo può essere rappresentata da qualsiasi forma di compartecipazione, da
un contributo di ordine materiale o psicologico a tutte o ad alcune delle fasi di ideazione,
organizzazione ed esecuzione dell'impresa criminosa. (Nella specie, relativa ad annullamento con
rinvio, la S.C. ha ritenuto che se dagli atti risultava un qualche contributo dato dall'imputato al
protrarsi del sequestro nel tempo, per l'aiuto psicologico offerto al suo datore di lavoro,
accompagnandolo sia pure non frequentemente al luogo di prigione dell'ostaggio, e l'ausilio dato dai
sequestratori, continuando ad esplicare "nello stesso modo" la propria attività lavorativa pur
sapendo che sul terreno sul quale lavorava era in atto un sequestro di persona, e quindi, fornendo
una copertura "all'impresa" criminosa in svolgimento creando una parvenza di "normalità", non
poteva poi escludersi con certezza il concorso del predetto, sia pure quale partecipe e non come
correo).
Sez. II, sent. n. 8017 del 16-07-1992 (cc. del 17-06-1992), Ortu (rv 191289).
In tema di concorso nel sequestro di persona a scopo di estorsione, coloro che - pur non avendo
partecipato al sequestro - intervengono successivamente con attività dirette al conseguimento del
prezzo della liberazione quando l'evento del reato-fine non siasi ancora realizzato, rispondono di
concorso nell'intera attività criminosa non per fatto altrui, in violazione del principio della
responsabilità personale penale, bensì in base al principio, costituzionalmente legittimo, sancito
dall’art.116 c.p., in virtù del quale la partecipazione al reato concordato comporta la consapevole
accettazione e, quindi, la responsabilità di tutto ciò che costituisce, nell'ordinario svolgersi e
concatenarsi dei fatti umani, lo sviluppo dell'azione. (Nella fattispecie, è stato ritenuto che il
concorrente, intervenendo successivamente nell'attività delittuosa, con un'attività diretta al
conseguimento del prezzo della liberazione, avendo saputo dell'avvenuto sequestro, ne accettò la
responsabilità anche per le prevedibili conseguenze verificatesi e da verificarsi).
Sez. VI, sent. n. 2445 del 23-02-1991 (cc. del 25-09-1990), Longo (rv 186461).
Poiché i due elementi costitutivi del reato complesso di cui all’art.630 c.p. (sequestro di persona ed
estorsione) si realizzano non appena l'agente ha privato la vittima della sua libertà personale al fine
di ottenere il prezzo della sua liberazione, senza che sia richiesto anche il pagamento del riscatto, in
caso di morte della persona sequestrata non può ritenersi che l'omicidio assuma una propria
autonomia, cessando di configurarsi come circostanza aggravante, sotto il profilo che il reato
estorsivo non sia stato consumato a causa dell'uccisione dell'ostaggio. (In motivazione, la S.C. ha
precisato che dell'evento "morte" del sequestrato rispondono anche i concorrenti che non l'hanno
voluto, non a norma dell’art.116 c.p., bensì a norma del comma secondo dell’art.630 c.p. che
configura la morte dell'ostaggio come circostanza aggravante oggettiva del sequestro a scopo di
estorsione).
Sez. II, sent. n. 2611 del 18-03-1993 (cc. del 18-01-1993), Bergamaschi (rv 193583).
Il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione previstodall’art.630 c.p. è una figura autonoma
di reato, qualificabile come reato complesso, poiché confluiscono in esso, come elementi costitutivi,
fatti che costituirebbero per sé stessi reato, ai sensi dell’art.84 c.p., nel senso che il sequestro di
persona a scopo di estorsione è caratterizzato dall'uso di un mezzo-sequestro di persona finalizzato
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a conseguire un ingiusto profitto, come prezzo della liberazione dell'ostaggio e si consuma
indipendentemente dal conseguimento del profitto. Inoltre, il reato di cui all’art.630 c.p. non può
considerarsi ipotesi delittuosa aggravata del sequestro di persona, dal quale si differenzia per il dolo
specifico, che si concretizza nello scopo perseguito, per sé o per gli altri, di un ingiusto profitto
come prezzo della liberazione.
Sez. II, sent. n. 2837 del 16-03-1992 (cc. del 20-11-1991), Romano (rv 189487).
Il disposto del secondo comma dell’art.630 c.p. trova applicazione tutte le volte in cui la morte non
sia voluta né conosciuta dall'agente, ma sia comunque derivata dal sequestro e ciò perché l'ulteriore
evento è pur sempre ricollegabile alla condotta criminosa tipica del sequestro di persona a scopo di
estorsione. Invero nel momento in cui il legislatore ha recepito un dato sociale - quale la frequenza,
nei sequestri, della morte del sequestrato - ha anche ritenuto di considerare la morte di costui come
conseguenza possibile del sequestro, sicché questa, alla stregua degli attuali normali accadimenti, è
legata al sequestro sotto il profilo del nesso causale e, per tale ragione, va sempre imputata al reo,
anche se non voluta, essendo irrilevante ogni atteggiamento psichico di inerzia (o di comodo
agnosticismo) al cospetto di una realtà, normativa sì ma desunta da un'esperienza condotta su
elementi effettuali, che conferisce al fatto iniziale (sequestro) la potenziale produttività dell'ulteriore
evento; una forza cioè che rientra nella normale prevedibilità da parte dell'agente, quale elemento
soggettivo sufficiente ad integrare in concreto la fattispecie in discorso. (La Cassazione ha altresì
evidenziato che, stante la congiunzione "comunque" che figura nel suddetto comma, la rilevanza
della morte può essere esclusa solo se l'evento sia totalmente al di fuori del nesso causale col
sequestro, come quando ad es. il rapito venga ucciso da persone e per ragioni totalmente estranee al
sequestro e senza che i sequestratori abbiano potuto evitarla pur avendo posto in essere tutte le
difese a loro disposizione).
Sez. V, sent. n. 11407 del 14-11-1991 (cc. del 26-09-1991), Bernasconi (rv 191218).
L'ipotesi prevista dall’art.630, 3 comma c.p., integra gli estremi del reato complesso perché
l'omicidio volontario costituisce una circostanza aggravante del sequestro e dà luogo ad un'unica
fattispecie sottoposta alla disciplina dell’art.84 c.p.; di conseguenza è necessario, perché si renda
applicabile il terzo comma dell’art.630 c.p., che sia stata raggiunta la prova del dolo, che
caratterizza la figura criminosa dell’art.575 c.p.
Sez. II, sent. n. 9084 del 22-06-1990 (cc. del 05-04-1990), Bernasconi (rv 184691).
DISSOCIAZIONE
In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, ai fini della concessione della circostanza
attenuante della dissociazione diretta a far riacquistare al soggetto passivo la libertà, non è richiesto
che la liberazione stessa sia conseguenza di una iniziativa spontanea del dissociato, occorrendo,
invece, da un lato, che la dissociazione sia volontaria e che si realizzi anteriormente alla liberazione
dell'ostaggio prima del pagamento del riscatto, dall'altro, che il comportamento del dissociato si
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traduca in fatti concreti, finalisticamente indirizzati alla liberazione del sequestrato ed
eziologicamente rilevanti per il raggiungimento dello scopo della cessazione del sequestro.
Sez. V, sent. n. 43713 del 30-12-2002 (ud. del 22-11-2002), Malatesta (rv 223504).
In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, la speciale attenuante prevista dall'art. 6 del
D.L.15 gennaio 1991 n. 8, convertito con modificazioni in l.15 marzo 1991, n.82, a favore del
concorrente dissociatosi dagli altri il quale, nell'ambito delle ipotesi già previste dai commi 4 e 5
dell’art.630 c.p., abbia fornito un contributo di "eccezionale rilevanza", richiede, per la sua
configurabilità, che detto contributo sia "eccezionale" nel suo complesso, e debba quindi anche
concorrere, in una qualche misura, pur non necessariamente determinante, ad assicurare l'integrità
personale dell'ostaggio e ad abbreviare la privazione della libertà. (Nella specie, in applicazione di
tale principio, la S.C. ha ritenuto che correttamente fosse stata esclusa la sussistenza della
circostanza in questione in un caso in cui l'apporto del dissociato, pur definito di determinante
importanza, si era limitato alla sola fase delle indagini successive alla conclusione dell'attività
criminosa).
Sez. I, sent. n. 5850 del 12-02-2001 (ud. del 29-09-2000), Cuccuru (rv 218078).
In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, non ricorre l'attenuante ex art.630, 5 comma
c.p., nel caso in cui un imputato in piena autonomia ed ignorando le confessioni altrui, abbia
collaborato in modo rilevante, ma non decisivo con gli inquirenti, che avevano già individuato e
catturato i concorrenti.
Sez. II, sent. n. 7961 del 25-07-1991 (cc. del 21-03-1991), Cerofolini (rv 187914).
La diminuente speciale prevista in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione per il
concorrente che, dissociandosi dagli altri, aiuti concretamente l'autorità di Polizia o l'autorità
giudiziaria nella raccolta delle prove decisive per l'individuazione o la cattura dei complici postula
non già un qualsiasi contributo utile di raggiungimento della verità, ma un aiuto determinante
all'orientamento delle indagini verso i veri colpevoli; conseguentemente restano esclusi dalla
medesima quei comportamenti successivi che, in un quadro di già avvenuta individuazione dei
concorrenti nel reato, possono contribuire, attraverso l'apporto di ulteriori elementi di prova,
all'accertamento delle singole responsabilità.
Sez. VI, sent. n. 7504 del 02-07-1994 (cc. del 18-03-1994), Bernardoni (rv 199015).
L'attenuante prevista dal quinto comma dell’art.630 c.p. per il delitto di sequestro di persona a
scopo di estorsione può essere applicata anche se la collaborazione del concorrente con l'autorità sia
frutto di un calcolo utilitaristico.
Sez. VI, sent. n. 10376 del 29-10-1992 (cc. del 02-07-1992), Castiglia (rv 192110).
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Nell'ipotesi di sequestro di persona a scopo di estorsione, l'attenuante di cui al quinto comma
dell’art.630 c.p. è applicabile sol quando il concorrente offra un aiuto concreto, sostanziale e
determinante per l'individuazione e la cattura dei correi; occorre inoltre che l'associazione criminosa
sia ancora in atto.
Sez. II, sent. n. 9084 del 22-06-1990 (cc. del 05-04-1990), Bernasconi (rv 184693).
In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione l'attenuante di cui al quinto comma
dell’art.630 c.p. è applicabile solo quando il concorrente offra un aiuto concreto, sostanziale e
determinante per l'individuazione e la cattura dei correi, e sempre che l'associazione criminosa sia
ancora in atto; l'attenuante in questione non può, pertanto, essere concessa a colui che si limiti a
fornire informazioni atte solo a rafforzare il quadro probatorio nei confronti degli altri correi già
individuati ed indagati, se non addirittura tratti in arresto.
Sez. VI, sent. n. 8659 del 23-09-1993 (cc. del 14-04-1993), Soave (rv 195181).
La disposizione dell'art. 6 del d.l.15.1.1991, n.8, convertito nella l.15 marzo 1991, n.82, che
prevede, tra l'altro, un'ulteriore diminuzione di pena per i concorrenti nel reato di sequestro di
persona a scopo di estorsione dissociatisi a norma del quarto e quinto comma dell’art.630 c.p., non
può trovare applicazione allorché il sequestro sia cessato con la morte dell'ostaggio. (In
motivazione, la S.C. ha affermato che l'eccezionalità del contributo fornito dal concorrente
dissociatosi può riscontrarsi anche nell'ipotesi di cui all’art.630, 5 comma c.p., benché di
liberazione della persona sequestrata si faccia menzione solo nel precedente quarto comma).
Sez. II, sent. n. 2611 del 18-03-1993 (cc. del 18-01-1993), Bergamaschi (rv 193584).
TRUFFA
Ai fini della sussistenza del reato di truffa, l'idoneità dell'artificio e del raggiro deve essere valutata
in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle
modalità esecutive dello stesso; tale idoneità non è perciò esclusa dalla esistenza di preventivi
controlli, né dalla scarsa diligenza della persona offesa nell'eseguirli, quando, in concreto, esista un
artificio o un raggiro posto in essere dall'agente e si accerti che tra di esso e l'errore in cui la parte
offesa è caduta sussista un preciso nesso di causalità. (Fattispecie di truffa in danno dello Stato,
relativa a lavori urbanistici, in riferimento ai quali il privato aveva chiesto - infondatamente - ed
ottenuto, nonostante che gli organi tecnici di controllo avessero effettuato i loro accertamenti, la
applicazione di sovrapprezzi, assumendo, contrariamente al vero, che la maggior parte delle opere
sarebbe stata effettuata in zona densamente abitata).
Sez. VI, sent. n. 13624 del 25-03-2003 (ud. del 25-02-2003), Di Rosa Donatella (rv 224495). Nel
medesimo senso: Sez. V, sent. n. 11441 del 07-10-1999 (cc. del 27-03-1999), Longarini (rv
214868).
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L'artificio o il raggiro richiesti per la sussistenza del reato di truffa possono consistere anche nel
silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle
conoscere, la fonte del dovere di informazione potendo risiedere anche in una norma extrapenale
come l’art.1759 c.c. (Responsabilità del mediatore d'affari).
Sez. VI, sent. n. 6791 del 07-06-2000 (ud. del 10-04-2000), Salerno (rv 216711).
In tema di truffa solo la grossolanità o incredibilità dell'artificio o del raggiro possono far dubitare
dell'attitudine del mezzo impiegato ad indurre in errore, mentre la mancanza di diligenza nel
controllo e nella verifica, da parte del soggetto passivo, sugli atti e sui documenti posti in essere dal
soggetto attivo non esclude l'idoneità del mezzo in parola.
Sez. VI, sent. n. 17202 del 07-12-1989 (cc. del 03-12-1988), Tucci (rv 182775).
L'eventuale trascuratezza del soggetto passivo non esclude la configurabilità del reato di truffa
allorquando egli sia incorso in errore in conseguenza degli artifici o raggiri posti in essere
dall'agente.
Sez. II, sent. n. 12152 del 18-09-1989 (cc. del 09-02-1988), Fois (rv 182063).
In tema di truffa, qualora sia accertato il nesso di causalità tra l'artificio o il raggiro e l'altrui
induzione in errore, non è necessario stabilire se i mezzi usati siano, in astratto, genericamente
idonei a trarre in errore, se in concreto essi si siano dimostrati idonei; l'eventuale difetto di diligenza
della persona offesa (nella specie, relativa ad esposizione di disco contrassegno falsificato in un
autoveicolo, ai competenti organi di controllo) non vale ad elidere la sussistenza del reato.
Sez. II, sent. n. 297 del 15-01-1990 (cc. del 14-11-1989), Scarcelli (rv 183020).
La particolare condizione di un soggetto, quale determinata da una sua fragilità di fondo o da
situazioni contingenti, non esclude la configurabilità in suo danno del reato di truffa, anzi ne rende
più agevole l'esecuzione. (Nella specie, alle persone offese fu promessa la soluzione o guarigione
dei loro mali fisici o psichici, o del loro disagio esistenziale, ovvero un "miglioramento della
mente" con una attività di "stimolazione del cervello", il tutto attraverso una "terapia", e non con
l'adesione ad un credo religioso, terapia peraltro pagata, e in situazioni in cui si profilavano condotte
costantemente fraudolente, con la conseguente induzione in errore di soggetti facilmente raggirabili
e danno economico degli stessi, con correlativo profitto ingiusto quantomeno dell'organizzazione, o
chiesa di Scientology, alla quale, a detta dei principali imputati, venivano versati proventi incassati
dal Centro Dianetics).
Sez. II, sent. n. 9520 del 16-09-1992 (cc. del 21-05-1992), Mucci (rv 192506).
In caso di truffa nell'assunzione ad un pubblico impiego, ottenuta mediante false attestazioni e false
dichiarazioni, al fine di stabilire se gli artifici posti in essere dagli autori del reato sono stati in
concreto idonei a trarre in inganno i componenti della commissione, occorre accertare se il
punteggio fraudolentemente conseguito è stato determinante per l'ammissione nella graduatoria
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degli aspiranti vincitori del bando, ovvero se, anche escludendo quel punteggio, gli imputati
avevano ugualmente il diritto di essere assunti, per gli altri titoli presentati.
Sez. II, sent. n. 2228 del 10-03-1984 (cc. del 24-10-1983), Mercandini (rv 163096).
Deve ravvisarsi il reato di truffa nell'ipotesi di assunzione ad un pubblico impiego quando a seguito
di false dichiarazioni si sia fraudolentemente conseguito un punteggio determinante per
l'ammissione nella graduatoria dei vincitori.
Sez. II, sent. n. 7555 del 21-07-1986 (cc. del 11-03-1986), Urcinolo (rv 173408).
La truffa è reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della
condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto
passivo.
Sez. II, sent. n. 10558 del 06-03-2003 (ud. del 21-02-2003), Toldo (rv 223627).
In tema di truffa, quando l'agente si è procurato, inducendo taluno in errore con artifici e raggiri, un
ingiusto profitto in danno di altri, il delitto sussiste anche se il soggetto passivo abbia agito per una
causa immorale, delittuosa o altrimenti illecita, giacché non vengono meno l'ingiustizia del
profitto e l'altruità del danno, né vengono meno l'esigenza di tutela del patrimonio e della libertà del
consenso dei negozi patrimoniali, che costituisce l'oggettività giuridica del reato. (Fattispecie in cui
le parti offese erano state indotte in errore, mediante artifici e raggiri, da un generale dei carabinieri
che, assumendo fraudolentemente l'impegno di stabilire un contatto con elementi della malavita allo
scopo di ottenere notizie utili per favorire la liberazione di un sequestrato, aveva in tal modo
ottenuto dai parenti del rapito la somma di un miliardo di lire).
Sez. II, sent. n. 10792 del 16-03-2001 (ud. del 23-01-2001), Delfino (rv 218673).
Poiché la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla
realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la "deminutio patrimonii"
del soggetto passivo, nell'ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto
passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della "datio" di un bene economico,
ma nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la
definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l'oggetto materiale
del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello
dell'acquisizione da parte dell'autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o
utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell'agente e nel
contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa.
Sez. U., sent. n. 18 del 01-08-2000 (cc. del 21-06-2000), Franzo (rv 216429).
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La truffa, quale delitto di danno, presuppone che l'agente miri a realizzare un ingiusto profitto,
cagionando correlativamente al soggetto passivo la perdita di un diritto soggettivo o la lesione di
esso. Detti elementi vanno individuati, facendo astrazione dall'esistenza o meno di una
proporzionalità od equivalenza economica delle reciproche prestazioni. Il danno penale da un lato
non va identificato con quello civile risarcibile, e dall'altro non costituisce una conseguenza del
reato, ma è insito nel reato medesimo: ogniqualvolta viene colpito o menomato il bene giuridico
tutelato, "ipso facto" viene leso anche l'interesse del soggetto al godimento ed alla conservazione di
quel bene.
Sez. VI, sent. n. 274 del 14-01-1983 (cc. del 15-06-1982), Cattano (rv 156894).
In tema di truffa il profitto, costituente uno degli eventi consumativi del reato, deve ravvisarsi tanto
nel caso di effettivo accrescimento di ricchezza economica a favore dell'agente quanto nel caso di
mancata diminuzione del suo patrimonio per effetto del godimento di beni, quindi anche senza un
aumento esteriore di ricchezza, analogamente al possibile atteggiarsi della "deminutio patrimonii"
in senso economico, subita dal soggetto passivo, come danno emergente o come lucro cessante. Il
carattere dell'ingiustizia è attribuito al profitto dal fatto di essere stato conseguito "sine iure", sì che
l'arricchimento in cui esso si risolve risulta realizzato "sine causa", per l'assenza di un titolo
giuridico che lo giustifichi.
Sez. VI, sent. n. 470 del 20-01-1992 (cc. del 07-11-1991), Cerciello (rv 188933).
Allorché un soggetto venga assunto in un pubblico impiego mediante documentazione falsa, il
profitto va individuato nel vantaggio, anche di natura economica, derivante dall'assunzione (o dalla
anticipata assunzione) e il danno consiste nel pregiudizio derivante alla Pubblica Amministrazione
per l'assunzione di persona diversa da quella che ne avrebbe avuto diritto. Questo pregiudizio ha
carattere economico quanto meno in relazione agli oneri finanziari sostenuti dall'Amministrazione
medesima per istruire la domanda e perfezionare l'assunzione. (Fattispecie in tema di truffa).
Sez. II, sent. n. 10111 del 29-09-1986 (cc. del 24-06-1986), Lucitti (rv 173844).
L'artificio ovvero il raggiro, da cui non sia derivato, o che, comunque, siano inidonei a cagionare,
un danno ingiusto avente contenuto patrimoniale, non integrano il delitto di truffa. Ne deriva che
l'illegittimo conseguimento di un ufficio da parte di un soggetto cui lo stesso non competa, ma che
sia in possesso dei requisiti professionali richiesti, può comportare l'annullamento del
provvedimento con il quale venga conferito, ma non costituisce il reato di truffa. (Nella specie, si
trattava di atti diretti all'illegittimo conseguimento dell'ufficio).
Sez. V, sent. n. 16304 del 27-11-1989 (cc. del 20-09-1989), Pizzichetta (rv 182649).
In tema di truffa negoziale, elemento caratterizzante del reato è il dolo iniziale dell'un contraente,
tale da falsare il processo volitivo dell'altro e da determinarlo alla stipulazione del negozio appunto
in virtù dell'errore in lui generato mediante artifici o raggiri.
Sez. II, sent. n. 4423 del 12-05-1984 (cc. del 16-12-1983), Nigi (rv 164164).
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L'elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente
ad oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l'inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti
dall'agente come conseguenze possibili, anziché certe, della propria condotta, e tuttavia accettate nel
loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio; per cui è priva di rilevanza la
specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l'agente a realizzare l'inganno.
Sez. VI, sent. n. 470 del 20-01-1992 (cc. del 07-11-1991), Cerciello (rv 188934).
Il momento consumativo del delitto di truffa, anche agli effetti della competenza territoriale, è
quello dell'effettivo conseguimento dell'ingiusto profitto, con correlativo danno alla persona offesa,
e tale momento si verifica, più precisamente, all'atto dell'effettiva prestazione del bene economico
da parte del raggirato, con susseguente passaggio dello stesso nella sfera di disponibilità dell'agente.
Sez. I, sent. n. 2338 del 08-01-1983 (ud. del 17-11-1982), Camillucci (rv 156836).
L'evento nel reato di truffa consiste nel conseguimento del profitto con altrui danno, elementi
collegati tra loro in modo da costituire due aspetti di un'unica realtà, la quale viene quindi in essere
con l'effettivo conseguimento del bene da parte del reo e la definitiva perdita di esso da parte del
soggetto passivo. In tal modo si perfeziona il reato.
Sez. II, sent. n. 10002 del 22-11-1983 (cc. del 12-05-1983), Poledrelli (rv 161360).
Il momento consumativo della truffa va fissato all'atto della effettiva, concreta e definitiva lesione
del bene tutelato, che non si verifica con l'assunzione, a seguito degli artifici o raggiri,
dell'obbligazione della dazione di un bene economico, ma solo con la diminuzione patrimoniale del
soggetto passivo ed il correlativo arricchimento dell'agente, che si realizzano con l'adempimento di
tale obbligazione. Pertanto allorché l'oggetto materiale sia costituito da titoli di credito momento
consumativo del reato di truffa è quello dell'acquisizione da parte dell'autore del reato della relativa
valuta.
Sez. II, sent. n. 1136 del 29-01-1998 (cc. del 28-10-1997), Stabile (rv 209671).
TRUFFA C.D.CONTRATTUALE
In tema di truffa contrattuale, la sussistenza dell'ingiusto profitto e del correlativo danno non sono
esclusi dal fatto che il raggirato abbia corrisposto il prezzo del servizio fornito quando risulti che
esso sia stato acquistato per effetto di raggiri.
Sez. II, sent. n. 14801 del 28-03-2003 (ud. del 04-03-2003), De Francesco (rv 224759).
Nella truffa contrattuale gli elementi dell'ingiusto profitto e del danno altrui vanno individuati,
indipendentemente da uno squilibrio tra i valori delle controprestazioni, nel vantaggio e nel
pregiudizio rispettivamente derivanti alle parti dalla stipula del contratto, che, senza gli artifici e i
raggiri, non sarebbe stato concluso dalla parte offesa.
Sez. II, sent. n. 6557 del 14-07-1983 (cc. del 13-12-1982), Gava (rv 159923).
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Sussiste il reato di truffa "contrattuale" indipendentemente dal fatto che il "deceptus" abbia pagato il
giusto corrispettivo della controprestazione effettivamente fornitagli, realizzandosi l'illecito per il
solo fatto che si sia addivenuti alla stipulazione di un contratto che, senza gli artifici e raggiri posti
in essere dall'agente, non sarebbe stato stipulato.
Sez. II, sent. n. 12027 del 23-12-1997 (cc. del 23-09-1997), Marrosu (rv 210456).
La truffa, quale delitto di danno, presuppone che l'agente miri a realizzare un ingiusto profitto,
cagionando correlativamente al soggetto passivo la perdita di un diritto soggettivo o la lesione di
esso. Detti elementi vanno individuati, facendo astrazione dall'esistenza o meno di una
proporzionalità od equivalenza economica delle reciproche prestazioni. Il danno penale da un
lato non va identificato con quello civile risarcibile, e dall'altro non costituisce una conseguenza del
reato, ma è insito nel reato medesimo: ogniqualvolta viene colpito o menomato il bene giuridico
tutelato, "ipso facto" viene leso anche l'interesse del soggetto al godimento ed alla conservazione di
quel bene.
Sez. VI, sent. n. 274 del 14-01-1983 (cc. del 15-06-1982), Cattano (rv 156894).
L'elemento differenziale tra il furto aggravato dal mezzo fraudolento e la truffa, nei quali coesistono
i due elementi modali della "vis" e della "fraus", va ricercato nell'elemento causale prevalente nella
fattispecie concreta. Tale elemento consiste in un'espressione di energia fisica nei delitti contro il
patrimonio mediante violenza alle cose e alle persone, e nell'inganno nei delitti contro il patrimonio
mediante frode. Ne consegue che l'occultamento di un oggetto in una confezione contenente
originariamente un altro oggetto di minor valore, così da corrispondere un minor prezzo
all'operatore di cassa di un supermercato, va qualificato come truffa, in quanto è l'artificio e non
l'appropriazione mediante violenza sulla cosa l'elemento causale prevalente.
Sez. IV, sent. n. 40457 del 29-11-2002 (ud. del 26-09-2002), Galli (rv 223199).
Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, allorquando il fatto è connotato dalla
minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta
lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva del soggetto passivo: ricorre la prima ipotesi
delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente
direttamente o indirettamente da chi lo prospetta in modo che l'offeso non è coartato nella sua
volontà, ma si determina alla prestazione costituente l'ingiusto profitto dell'agente perché tratto in
errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l'estorsione se il male viene
indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, onde l'offeso è posto nella ineluttabile
alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. (Nella
specie la Corte ha ritenuto che dovesse configurarsi il delitto di estorsione e non di truffa nella
condotta di due imputati i quali avevano prospettato il pignoramento ed il sequestro dei beni al
soggetto passivo per conseguire, a fronte di un credito di lire quattrocentomila, il pagamento della
somma notevolmente superiore di lire tremilioni e cinquecentomila, in quanto la condotta degli
imputati non si era concretata nella ventilazione di un male immaginario, bensì nella minaccia di un
male concreto che aveva coartato la volontà del soggetto passivo).
Sez. II, sent. n. 26272 del 27-06-2001 (ud. del 21-05-2001), Pirovano (rv 219943).
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Sussiste il reato di estorsione e non quello di truffa aggravata ai sensi dell’art.640 c.p., capoverso, n.
2, quando l'artificio usato dal soggetto attivo non può considerarsi un semplice mezzo fraudolento,
ma costituisce un vero e proprio mezzo di coercizione sul soggetto passivo, nel senso che il danno è
prospettato come certo e sicuro ad opera dello stesso autore del reato, o anche di altri, per il caso in
cui non si ottemperi alla consegna del denaro o di altra utilità; sicché il soggetto passivo o la
persona comunque offesa dal reato è posta nell'alternativa ineluttabile di consegnare all'agente il
voluto profitto o di subire il danno minacciato.
Sez. II, sent. n. 185 del 11-01-1983 (cc. del 26-04-1982), Tumbarello (rv 156867).
ART.640-bis
La truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche prevista dall’art.640-bis c.p. costituisce una
circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all’art.640 c.p. e non figura autonoma di reato. (In
applicazione del principio la Corte ha ritenuto corretta la declaratoria di prescrizione pronunciata
dal giudice di merito previa concessione di attenuanti equivalenti alla circostanza aggravante).
Sez. II, sent. n. 16952 del 10-04-2003 (ud. del 27-02-2003), Marmo (rv 224635)
L’art.640-bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) prevede una
figura autonoma di reato e non una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all’art.640
c.p. stesso.
Sez. II, sent. n. 11077 del 27-10-2000 (ud. del 20-10-2000), Biffo (rv 217130).
USURA
In tema di delitto di usura, la riscossione degli interessi dopo l'illecita pattuizione integra il
momento di consumazione e non costituisce un "post factum" penalmente irrilevante. (La Corte ha
precisato che il delitto di usura si atteggia a delitto a consumazione prolungata, che perdura nel
tempo sino a quando non cessano le dazioni degli interessi).
Sez. 2, Sentenza n. 34910 del 10/07/2008 Cc. (dep. 08/09/2008 ) Rv. 241818
Il reato di usura appartiene al novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata
perchè i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il
fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono
qualificabili come "post factum" non punibile della illecita pattuizione.
Sez. 2, Sentenza n. 26553 del 12/06/2007 Cc. (dep. 09/07/2007 ) Rv. 237169
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In tema di usura, per l'individuazione della natura usuraria degli interessi, nel caso in cui tra il
soggetto agente e la vittima sussista una complessità di rapporti economici, occorre avere riguardo
ai singoli episodi di finanziamento e quindi alle specifiche dazioni o promesse, non potendosi
procedere al conteggio globale degli interessi dovuti in virtù della pluralità dei prestiti.
Sez. 2, Sentenza n. 745 del 04/11/2005 Ud. (dep. 11/01/2006 ) Rv. 232985
In tema di usura, lo stato di bisogno consiste in una situazione che elimina o comunque limita la
volontà del soggetto passivo e lo induce a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da
viziare il consenso. (La Corte ha precisato che la prova dello stato di bisogno può aversi anche
soltanto in base all'evidenza dell'aver fatto la vittima ricorso ad un prestito a condizioni tanto
inique).
Sez. 2, Sentenza n. 45152 del 13/11/2008 Cc. (dep. 04/12/2008 ) Rv. 241978
In tema di delitto di usura, la rilevante entità della misura degli interessi pattuiti o corrisposti dà
prova anche dello stato di bisogno della persona offesa e della consapevolezza di tale stato da parte
dell'agente
Sez. 2, Sentenza n. 44899 del 30/10/2008 Ud. (dep. 02/12/2008 ) Rv. 241967
Il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie destinate strutturalmente l'una ad assorbire l'altra con l'esecuzione della pattuizione usuraria - aventi
in comune l'induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in
corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l'una è caratterizzata dal
conseguimento del profitto illecito e l'altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso
preordinato. Ne consegue che nella prima il verificarsi dell'evento lesivo del patrimonio altrui si
atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all'eventuale
rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell'illecito il quale, nel caso di integrale
adempimento dell'obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella
seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene
mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell'obbligazione rimasta inadempiuta. Ne
deriva, in tema di prescrizione, che il relativo termine decorre dalla data in cui si è verificato
l'ultimo pagamento degli interessi usurari.
Sez. 2, Sentenza n. 38812 del 01/10/2008 Ud. (dep. 14/10/2008 ) Rv. 241452
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