Le navi dei folli

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Le navi dei folli
Le navi dei folli
In ricordo di Fernanda Pivano, Ivan Della Mea, Alda Merini.
L’ANNO CHE SE NE VA HA VISTO SPEGNERSI LE VITE di tre naviganti: due donne e un uomo di
mare. Nel solcare oceani hanno aperto orizzonti e a loro, anime audaci, dobbiamo la scoperta di
nuovi mondi, il fragrante sapore delle parole, e questo saluto vagabondo.
Fernanda Pivano (Genova, 1917 – Milano, 2009) scrittrice, giornalista, nota traduttrice della
Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e di numerosi classici americani fra cui i romanzi di
Ernest Hemingway (Addio alle armi le procurò un arresto per i contenuti antimilitaristi e lesivi
l’onore delle ForzeArmate dal regime fascista), Francis Scott Fitzgerald, William Faulkner, ha
traghettato in Italia gli scrittori della beat generation. Direttamente dagli Stati Uniti Allen Ginsberg,
Jack Kerouac, William Burroughs, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, giungono a noi negli anni
Sessanta col beat della beatitudine, della ribellione, del battito, del ritmo. La rottura dei modelli
prestabiliti, la ricerca di una propria dimensione mistica, esistenziale, attraverso il viaggio
sperimentato in tutte le sue forme, approdano grazie alla giovane amica e traduttrice di questi autori,
in un’Italia che allora cominciava a sentirne il bisogno. Non a caso la rivista“Mondo Beat”, fondata
nel 1966 da Melchiorre Gerbino e altri intellettuali, prende ispirazione per il titolo proprio da lei e da
quello che la scrittrice contribuì a far circolare in quegli anni nel Bel Paese… La navigazione di
Fernanda Pivano, sino alle più recenti segnalazioni di nuovi scrittori americani alla critica e al
pubblico italiano, è stata una vera importazione di ideali, storie e racconti letterari intrisi di
speranza e libertà.
Fernanda Pivano con Fabrizio De
Andrè, Milano 1997 (foto Guido Harari)
Dalla fine degli anni Cinquanta, sempre a Milano, comincia il suo percorso politico-musicale Ivan
Della Mea (Torre Alta di Lucca, 1940 – Milano, 2009), cantante, giornalista, direttore dal 1996
dell’Istituto per le tradizioni popolari Ernesto de Martino. Iscritto al PCI nel 1957, operaio
metalmeccanico, di lì a poco entra a far parte dell’onda di musicisti e militanti che hanno creduto
nella costruzione di una cultura viva, attiva, attraverso la canzone di protesta. Fondando nel ‘62
insieme ad altri artisti e studiosi il gruppo e la rivista musicale Il Nuovo Canzoniere Italiano, fa
rinascere la tradizione del canto sociale italiano e della tradizione partigiana. Con le battaglie
politiche degli anni ‘60 e ‘70, la canzone che esce dai testi di Della Mea trasuda la forza di un
momento storico con l’urgenza di urlare le contraddizioni del sociale, di entrare nel privato col
desiderio che fosse politico e di chiamare forse a raccolta le “anime beat” che avessero il coraggio di
sentirsi tali, per un viaggio lontano dalle briglie di una società grigia e alienante, almeno con la
fantasia: E disse «Andiamo si va per partire il vento già spacca già gonfia le vele e l’àncora-angoscia
per mille e più braccia già leva dal fango di mille miserie» / «Non posso» – risposi – «le mille valigie
di questa partenza mi legano al mondo; io per partire le devo lasciare però senza quelle per me non
c’è volo» / Mi disse: «Il bagaglio di mille paure per mille d’angosce di vecchie certezze per mille
speranze di cane deluso che resta bastardo tra mille carezze» / Mi disse: «È questo che devi lasciare
sul molo del tempo per una speranza raccogli il tuo sporco e tienilo stretto ché altro non serve per
fare allegria» /…È piena la nave dei cani delusi rimasti bastardi tra mille carezze è bello vederli coi
pugni ben chiusi tenersi lo sporco, lasciar le promesse dei mondi civili dei mille ritratti quadrati
perfetti del senso comune… La nave dei folli eletta a “ragione” per segno diventa parola e poesia
diventa creazione per rivoluzione per l’attimo solo, ma di fantasia… (La nave dei folli, Ivan Della Mea,
1974).
Alda Merini, dal sito
www.paolomarzola.com
Ma ecco il volo del poeta, il tragitto che dalla superficie affonda negli inferi, nel l’assenza,
nell’essenza delle forme oltre i limiti dei corpi.
Alda Merini (Milano, 1931-2009), poetessa dall’età di quindici anni, ha viaggiato nel buio illuminante
di dimensioni troppo intime per essere nominate:
(…) non venire tu quindi al mio passato, non aprirai dei delta vorticosi, delle piaghe latenti, degli
accessi alle scale che mobili si danno sopra la balaustra del declino; resta, potresti essere Orfeo che
mi viene a ritogliere dal nulla, resta o mio ardito e sommo cavaliere, io patisco la luce, nelle ombre
sono regina ma fuori nel mondo potrei essere morta e tu lo sai lo smarrimento che mi prende pieno
quando io vedo un albero sicuro. (La Terra Santa, 1984)
Un grido commosso esce dalla gola, come quando si corre verso la banchina del porto, a salutare chi
salpa. Sul molo delle partenze un nodo al cuore e la disarmante concretezza della loro scia di parole.
Arrivederci compagni, e grazie degli infiniti viaggi che grazie a voi possiamo tutti ancora vivere.
Viola Lilith Russi