il personaggio - Confindustria Genova
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il personaggio Pietro Romanengo Genova in un candito Da quasi duecento anni i prodotti della Ditta Pietro Romanengo fu Stefano, rivestiti dalla inconfondibile carta blu, esprimono lo spirito della nostra città. Pietro Romanengo spiega a Genova Impresa la filosofia della storica Ditta. La ditta Pietro Romanengo fu Stefano nacque a teria di origine orientale, introdotti in Europa a seguito delle Crociate, ma fu grazie ai maestri francesi che si raggiunse, nel ‘700, un grado di raffinatezza sconosciuto fino ad allora. E Stefano si ispirò a Parigi non solo nella preparazione dei prodotti ma anche nella scelta degli arredi del negozio di via Soziglia, ricco di marmi e di legni pregiati. La fama dei prodotti di Romanengo si diffuse presto anche fuori Genova: richieste di forniture giunsero da conti e contesse, da personaggi illustri come Giuseppe Verdi e il principe Umberto, che ordinò “frutti canditi, demisucres, bomboni eleganti e piccole bomboniere in metallo dorato con pastiglie” in occasione delle sue nozze con Margherita di Savoia, nel 1868. Questa era la ditta Pietro Romanengo fu Stefano Genova a metà del ‘700 su iniziativa di Anton Maria Romanengo, che aprì un negozio di droghe e generi coloniali in via della Maddalena. Il figlio Stefano, con una patente di confettiere rilasciata dall’Università di Genova, aprì il negozio in via Soziglia, ancora oggi sede della ditta. Fu Pietro, figlio di Stefano, a iscrivere l’azienda alla Camera di Commercio di Genova con il nome attuale, a creare il marchio della colomba con il ramoscello d’ulivo e a introdurre la carta blu per l’incarto dei prodotti. Stefano prima e poi Pietro impostarono la propria attività sull’antica figura professionale del “confiseur-chocolatier”, che fabbricava prodotti di zucchero, marmellate, frutta candita, sciroppi, liquori. La Genova medievale già eccelleva nella fabbricazione di questi prodotti di confet11 nell’800. Oggi, sotto la guida dei cugini Paolo, Pietro, Giovanni Battista e Delfina, la filosofia che aveva reso celebri i suoi canditi e con essa la nostra città, non è cambiata. Anzi, si è imposta con maggior forza proprio quando il comparto dolciario artigianale aveva cominciato a cedere alla produzione industriale. «Fino agli anni ottanta - racconta Pietro Romanengo - l’azienda aveva cavalcato le variabili di successo dell’artigianato di target alto: negozio di lusso, accoglienza elegante… tutto questo, unito alla qualità, aveva trasformato il nostro prodotto in una specie di emblema della genovesità; la ricchezza della confezione, poi, ne faceva un regalo aziendale di prestigio. Poi, a fine anni ottanta, la grave contrazione del mercato, in particolare dovuta alla crisi della grande industria, ci impose una riflessione sul futuro dell’azienda: trasformarci in piccola industria ed espanderci con alcuni prodotti standard, benché di qualità elevata, oppure ritornare alle origini, a quell’antico negozio di confetteria nel centro storico, favorito dalla vicinanza del porto negli approvvigionamenti di frutta, cacao e zucchero. Scegliemmo di ripartire da quella bottega, di continuare a fabbricare prodotti speciali e di cercare nuovi mercati che li potessero apprezzare». Dal centro di Genova, Pietro Romangeno fu Stefano oggi esporta le sue preziose manifatture - e con esse lo “spirito” genovese - in Inghilterra e in Giappone. «La produttività della nostra azienda - sottolinea Pietro Romanegno oggi è la stessa dell’800. Un sovrintendente del Carlo Felice un giorno mi fece osservare che per rappresentare un’opera di Mozart aveva bisogno degli stessi strumenti musicali utilizzati quando era andata in scena per la prima volta, più di duecento anni fa. Lo stesso accade per i nostri prodotti: gli ingredienti sono sempre gli stessi, così il personale e il tempo necessari per confezionare i canditi o i confetti». Per fare un esempio: la fabbricazione di 60 kg di gocce di rosolio richiedono due giorni di lavoro e l’impiego di tre persone. Per non parlare della cristallizzazione delle violette di Albenga e dei petali di rosa, che consiste nell’immersione dei fiori freschi, appena consegnati in azienda, in una soluzione di zucchero ad altissima temperatura che mantiene il fiore intatto dentro all’involucro di zucchero. «Quindi - conclude Pietro Romanengo - da un lato ci sono la poesia e una filosofia aziendale basata sul rigore di fabbricazione e sulla qualità delle nostre specialità, dall’altra c’è il problema del costo. Ma la nostra missione è conservare l’arte della confetteria, di cui anche Genova, un tempo baluardo, ha dimenticato il sapore». I (P.P.) 12