Vieni e seguimi.qxp - Francescani dell`Immacolata

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PADRE STEFANO MARIA MANELLI, FI
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IV edizione settembre 2010
“Vieni e seguimi”
© 2010 Casa Mariana Editrice, Frigento (AV)
Con approvazione ecclesiastica
La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con
qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, i film, le fotocopie) nonché la
memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi.
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CASA MARIANA EDITRICE © 2010
Via Piano della Croce, 6
83040 Frigento (AV)
Tel./Fax: 0825/444415
e-mail: [email protected]
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«Vieni e seguimi» (Mc 10,21).
«Ecco, vengo, o Signore!...» (Eb 10,7).
La vita dell’uomo è chiusa in queste due battute,
di cui la prima è di Dio, la seconda è dell’uomo. Domanda e risposta.
Ove la domanda rimanesse senza risposta che vita
sarebbe quella dell’uomo?
Sarebbe una vita fallita e triste.
Il Vangelo riferisce, appunto, la mancata risposta
del giovane ricco alla chiamata di Gesù, e conclude che
il giovane si allontanò da Gesù «triste» (Mt 19,22).
Gesù è amore, è gioia, è vita. Quando Lui sceglie
“i suoi” è per comunicare a loro in esclusiva tutto il
suo amore, la sua gioia, la sua vita. Chi non risponde,
chi non l’accetta, si condanna da sé, come il giovane
ricco, alla “tristezza” della vita
Forse a questo punto può venire in mente qualche
riflessione feconda. Ad esempio: la presenza di tanta
“tristezza” nella vita degli uomini – al di là della fatua
appariscenza dei loro paradisi artificiali – non dipenderà forse dalla mancata risposta di molte creature alle chiamate del Signore? Sembra proprio di sì.
Un’altra riflessione. L’amore verginale, la consacrazione a Dio, la vita religiosa, sono sorgenti di pace,
di gioia, di virtù nell’uomo e fra gli uomini. Il giovane
ricco che non corrispose alla chiamata di Gesù se ne
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andò “triste” e portò la sua “tristezza” fra gli uomini.
Chi invece risponde e “segue Gesù” si riempie di
gioia, e porta con sé, e dona agli uomini la sua gioia.
Pensiamo a san Francesco d’Assisi, san Filippo Neri,
santa Teresina... Per questo la Chiesa tripudia per gli
“eletti”, per i consacrati, e il suo tripudio si spande su
tutta la terra.
Giovane che leggi, ragazzo e ragazza che sei, a te
sono offerte queste pagine, alla tua “vocazione”, al
tuo destino. Non a caso il Signore ti fa capitare questo
libretto fra le mani: esso ti può condurre alla «scoperta» di un tesoro forse sepolto nel campo inesplorato
del tuo cuore: il “tesoro nascosto” della sacra vocazione. Se lo scoprirai, non indugiare, non perdere tempo,
ma affrettati a “vendere tutto” per possedere quel tesoro (Mt 13,44). E quanta ricchezza e gioia, allora,
sgorgheranno dal tuo cuore e dalla tua vita, allietando
tutta la Chiesa terrestre e celeste!
La Madonna sia la stella che ti guidi sui passi di
Gesù.
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QUALE VOCAZIONE?
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Qual è la tua vocazione?
Ai ragazzi e alle ragazze capita ogni tanto di sentirsi
rivolgere questa domanda. E si vede subito che, quasi
sempre, è una domanda a sorpresa, che li mette in qualche imbarazzo per rispondere; intuiscono con rapidità
che è una domanda seria, ma di solito non sanno che
cosa rispondere e cercano di cavarsela con un evasivo
«chi lo sa?», «ci penserò», «vedrò in seguito»...
Forse non hanno mai riflettuto seriamente sulla
parola “vocazione”, e a sentirsela dire così, di colpo,
sembra loro una parola piuttosto strana e misteriosa.
Che cos’è la vocazione?
La parola “vocazione” deriva dal latino vocare,
che significa chiamare. Perciò diciamo che ogni vocazione è una chiamata fatta all’uomo.
Da chi viene questa chiamata?
Questa chiamata viene da Dio, che è il Padrone
della vita e della morte dell’uomo, è Colui che ci dona
l’essere e ci conserva nell’essere, per cui noi «in Dio
viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28).
A che cosa ci chiama Dio?
Dio chiama ogni uomo anzitutto alla vita, e poi a
una missione da compiere nella vita per santificarsi in
modo da meritarsi il Paradiso.
Scriveva molto bene sant’Ignazio di Loyola: «L’uomo è stato creato per lodare, prestare ossequio e servire Iddio nostro Signore, e così, salvare l’anima sua; le
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altre cose che sono sulla faccia della terra sono create
per l’uomo e per aiutarlo al conseguimento del fine
per cui è stato creato».
Questa vocazione alla vita e alla santità è la vocazione universale, è la vocazione di ogni uomo che viene alla luce sulla terra.
In quanto “chiamata” a una missione santificatrice, da realizzare lungo l’arco dell’esistenza, la vocazione determina quindi il giusto stato di vita che ogni
uomo deve far suo. Perciò, chi si sente chiamato al
matrimonio ha la vocazione a sposarsi e deve vivere
nello stato matrimoniale; chi si sente chiamato al Sacerdozio deve vivere la sua vocazione nello stato Sacerdotale; chi si sente chiamato alla vita consacrata
deve rispondere abbracciando lo stato religioso; chi si
sente chiamato alla vita missionaria deve far sua la vita missionaria.
In senso molto più largo, inoltre, si può considerare “vocazione” anche la chiamata a una delle tante
professioni o attività degli uomini specialmente per
coloro che, pur senza consacrarsi a Dio, rimangono
celibi e nubili dedicandosi interamente ed esclusivamente alla loro professione di medico, insegnante, artista, contadino, meccanico...
Tutti i ragazzi e le ragazze hanno la loro personale
“vocazione” da realizzare nella vita per raggiungere il
Regno dei cieli. Tutti hanno una chiamata da Dio a cui
rispondere e corrispondere fedelmente per salvarsi.
Certo non è facile discernere la vera vocazione,
per una giusta scelta da fare. Ma è necessario farlo,
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perché è cosa che riguarda il destino temporale ed
eterno di ogni uomo.
Il papa Giovanni Paolo II ci ammonisce con la sua
solita saggezza paterna: «Ognuno, specialmente se giovane, deve porsi con consapevolezza la domanda fondamentale della propria esistenza cristiana: “A che cosa mi chiama Dio?”».
Forse non sono per niente pochi coloro che questa
«domanda fondamentale» non se la pongono affatto e
vivono alla giornata, come si dice, affidandosi al caso,
avanzando a casaccio, con una superficialità che fa
paura.
Quanti sono coloro – ad esempio – che prima di sposarsi hanno riflettuto sulle parole di san Paolo: «Sposarsi è bene; non sposarsi è meglio» (1Cor 7,38)? Quanti fidanzati e sposati si sono preoccupati di verificare se
Dio ha donato loro ciò che è «meglio» (consacrarsi) anziché ciò che è solo «bene» (sposarsi)?
Un giorno non lontano, forse, si troveranno con
una vita insignificante addosso e si sentiranno spinti
tormentosamente – ma troppo tardi – a chiedersi che
cosa Dio voleva veramente da loro. Somigliano a quella buona e anziana signora che, durante il viaggio, in
pieno oceano Atlantico, chiede finalmente all’ufficiale
di bordo: «Scusi, per favore: è proprio questa la nave
per l’America?».
Quanti amari rimpianti spesso si sentono fare sul
grave sbaglio di non aver considerato bene la strada da
scegliere! Quante vite sciupate per quella mancata «domanda fondamentale» o da farsi a tempo giusto! Aveva
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ragione Seneca di affermare che tanti uomini «una parte della vita la sciupano a fare il male; la parte maggiore la sciupano a non far niente; il resto lo sciupano a fare tutt’altro di quel che si dovrebbe fare...». Perciò
sant’Alfonso, riferendo in un suo scritto il pensiero del
Padre Granata che definisce la scelta dello stato di vita
«la ruota maestra di tutta la vita», così commenta saggiamente: «Come negli orologi, guastata la ruota maestra, è guastato tutto l’orologio, così nell’ordine della
nostra salvezza, sbagliata la scelta dello stato, sarà sbagliata tutta la vita».
Ogni ragazzo e ragazza mediti seriamente su questa esortazione di san Paolo: «Vi esorto, fratelli..., non
conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).
Attenti, quindi a porsi seriamente quella «domanda fondamentale» che esige una risposta altrettanto
«fondamentale» capace di farmi vivere gli anni di vita
terrestre in ascesa verso il Regno dei cieli, qualunque
sia lo stato di vita che Dio abbia stabilito per me. Scultoreamente, sant’Agostino scriveva: «Viviamo inutilmente la nostra vita, se non la utilizziamo a meritare la
vita eterna».
Ricordiamo l’esempio di san Francesco Saverio.
Era studente a Parigi. Era un giovane brillante. Aspirava con passione a restaurare la grandezza del suo
nobile casato decaduto. Viveva solo per questo. Un
giorno incontrò sant’Ignazio di Loyola, che fu suo
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«Ognuno, specialmente se giovane,
deve porsi con consapevolezza
la domanda fondamentale della propria
esistenza cristiana: “A che cosa mi chiama Dio?”».
Giovanni Paolo II
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compagno di camera e di studio. Da sant’Ignazio il giovane Francesco Saverio sentì ripetersi a più riprese
queste parole vigorose del Vangelo: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima
sua?» (Mt 16,26). Questa frase sull’inizio lasciò indifferente il brillante Francesco Saverio. Ma via via gli
scavò nel cuore e fecondò in lui la scelta di Dio e il rifiuto del mondo con tutte le sue seduzioni. Anziché restaurare un casato decaduto, si dedicò alla costruzione
del Regno di Dio nelle anime degli infedeli, lavorando
con passione incredibile nella lontana Asia, divenendo
il celeste Patrono delle missioni d’oriente.
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Giovane che leggi, rifletti su te stesso. Non lasciarti abbagliare dalle seduzioni delle creature o dagli impulsi dei sensi: Guarda innanzi, guarda lontano, pensa all’eternità. «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» (Mt 16,26). È un
segno di chiamata capire il valore dell’anima da salvare e da santificare, andando là dove si può garantire meglio la propria crescita spirituale fino alla misura di Cristo (cf Ef 4,13).
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SEGNI E... SOGNI
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Non raramente i segni di una vocazione appaiono
molto presto, fin dalla prima infanzia. Ne abbiamo
esempi belli e convincenti, come leggiamo in questa
piccola raccolta di testimonianze, fatta da uno studioso contemporaneo.
San Paolo della Croce, fin da piccolo, riuniva nella
casa sua a Ovada i fratellini e le sorelline; poi predicava con tanta unzione la Passione di Gesù che tutti ne
piangevano di commozione. Preludeva al Predicatore
appassionato di Gesù crocifisso, al Fondatore, all’Apostolo che convertì una moltitudine di peccatori.
Santa Teresa di Gesù, da bambina faceva alle monache con le fanciullette della sua età: insegnava loro i
punti della meditazione, il modo di stare raccolte, di
fare il ritiro... E le compagne seguivano puntualmente
i suoi avvisi. In tal modo passò la prima giovinezza
della grande Riformatrice del Carmelo.
San Giuseppe Cottolengo, ancora fanciullo, fu sorpreso un giorno dalla mamma, mentre misurava in
lungo e in largo le stanze della casa. - Che cosa vuoi fare? – gli chiese.
- Sto calcolando quanti letti per malati ci possono entrare...
Più tardi Iddio si servì di lui per fondare la “Piccola Casa della Provvidenza”.
E non si sa che Napoleone, da ragazzo faceva alle
barricate di neve coi coetanei, formava due squadre e
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le disponeva in battaglia; e che la vittoria era sempre
del gruppo comandato da lui?
Lacordaire, fanciullo di quattro anni, saliva sopra
una sedia in casa, e si dava a predicare con tanta foga,
da impensierire i genitori. - Non posso calmarmi! –
diceva – Si fanno troppi peccati, troppi peccati!
Il beato Luigi Guanella (1915), Fondatore dei “Servi della Carità”, dediti alla cura dei derelitti e degli scemi, si divertiva un mondo con la sorellina Caterina, a
raccogliere del terriccio in una cava della roccia che essi avevano riempito di acqua. Rimescolando acqua e
terra per farne una poltiglia, dicevano: - Quando saremo grandi, faremo così la minestra ai poveri.
Giuseppe Verdi, a sette anni, restava estatico nel
sentire suonare il violino da un cencioso ambulante.
Questi disse un giorno ai genitori: - Fategli studiare la
musica: non v’accorgete che la sente?...
Guglielmo Marconi, da giovinetto, passava giornate intere a comporre e scomporre macchine, specialmente quelle elettriche» (FR. REMO DI GESÙ, Virtù in
esempi v. I, p. 966).
Possiamo dire che tali ragazzi sono veramente fortunati, forse più privilegiati degli altri e di solito destinati a compiti o imprese eccezionali.
Ma ciò non è di tutti, è certo. Ordinariamente i segni di una vocazione maturano e appaiono via via con
la crescita degli anni. I sogni dorati della fanciullezza
e quelli audaci dell’adolescenza cedono il posto alla ricerca e alla verifica paziente di un ideale, di un modello di vita da realizzare con dedizione e sforzi costanti.
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Quante volte, allora si scopre... il contrario di ciò che
si pensava o si desiderava prima! Si pensi, ad esempio,
a san Francesco d’Assisi, giovane brillante, già incamminato sulla strada della gloria umana e delle ricchezze terrene, trasformato poi dalla chiamata di Dio in
un uomo tutto evangelico, povero, umile e crocifisso
come Gesù Cristo.
Il papà e la mamma di santa Teresina invece, prima di incontrarsi, amarsi e sposarsi, credevano sinceramente di essere fatti per la vita religiosa in monastero. Fecero la domanda di ingresso al monastero, furono esaminati in profondità, e furono rimandati a casa
perché seguissero la strada comune del matrimonio,
nel quale si santificarono, donando alla Chiesa quel
fiore celestiale di bimba che divenne santa Teresina.
In altri casi, poi, c’è chi fin da piccolo scarta espressamente l’ideale di seguire Gesù, ma tale ideale si fa poi
deciso e potente.
Fu il caso di sant’Andrea Fournet. Da ragazzo, egli
ricevette molte raccomandazioni dalla mamma di pensare al Sacerdozio e di orientarsi su quella strada. Ma
il ragazzo, quasi per tacita protesta, scrisse sulla copertina di un suo libro: «né prete, né frate».
Che cosa avvenne, però?
Egli diventò un bravo militare, e avrebbe continuato la carriera militare se, nella fedeltà alla preghiera quotidiana e conservando la bontà dei costumi, non
avesse avvertito sempre più imperiosa dentro di sé la
«chiamata» di Dio. Allora depose la divisa militare, affrontò gli studi, diventò prete, e diventò Santo, moren13
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do a 80 anni, dopo aver compiuto eroismi di bene che
solo Dio poté enumerare.
Per la vocazione sacra in particolare, bisogna guardarsi dai “fuochi di paglia” di un entusiasmo occasionale e dalle infatuazioni passeggere, che possono avere
tutta l’apparenza di una vocazione ardente.
Interessante, a questo proposito, fu ciò che successe
a san Bernardino da Siena, prima di diventare francescano.
Quando egli conobbe gli Eremiti di sant’Agostino,
ne rimase così colpito che decise lì per lì di dedicarsi
alla vita eremitica, trasportato dall’entusiasmo giovanile. Ma era solo un sogno. Egli stesso ne parlò in una
predica, dicendo: «Mi venne la volontà di vivere come
un angelo, non più come un uomo... Mi venne il pensiero di vivere di acqua e di erbe e pensai di andarmene in un bosco... E così deliberai di fare e, per vivere
secondo Iddio, deliberai anche di comperare una Bibbia... e di cominciare a provare la vita che volevo tenere. E me n’andai fuori di Porta Follonica, e cominciai a
cogliere una insalata di cicerbita e altre erbucce e non
avevo né pane, né sale, né olio... E, col nome di Gesù
benedetto, cominciai con un boccone di cicerbita e
messamela in bocca cominciai a masticarla.
Mastica, mastica, essa non poteva andare giù. Non
potendola ingoiare, io dissi: “Cominciamo a bere un
sorso d’acqua”.
Mieffe! l’acqua se n’andava giù, e la cicerbita rimaneva in bocca. In tutto io bevvi parecchi sorsi d’acqua con un boccone di cicerbita, e non la potei ingoia14
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«Mi venne la volontà di vivere come un angelo,
non più come un uomo...».
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San Bernardino da Siena
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re. Sai che ti voglio dire? Con un boccone di cicerbita
io allontanai ogni tentazione; perché certamente io conosco che quella era tentazione».
Ben diverso, invece, fu ciò che accadde a santa
Francesca Saverio Cabrini, quando era piccina. Un
giorno ascoltò un missionario che parlava della vita
missionaria in Cina. Quel discorso accese nel cuore
della bimba l’ideale missionario, che le resterà impresso nel cuore fino alla morte. Spontaneamente la piccina cominciò e continuò a orientare i suoi giochi, i suoi
sacrifici, le sue preghiere, tutto per la vita missionaria.
Le piaceva giocare alle bambole – come ad ogni bambina –, ma le vestiva tutte da monacelle. Le piaceva
giocare alle barchette di carta, e le riempiva di tante
violette che raffiguravano tante suore missionarie in
partenza per le terre infedeli. Aveva saputo che in Cina non c’erano i... dolci italiani, e allora decise di abituarsi subito a non mangiarli più. Nelle sue preghiere,
il ricordo e la supplica per le missioni non potevano
mancare mai. Così maturò, fin dall’infanzia, costante e
armoniosa, la vocazione religiosa di questa grande
apostola.
Bisogna stare attenti, però, a non cadere nell’altro
eccesso: ossia quello di evitare i “sogni” e i “fuochi di
paglia”, pretendendo di provare costantemente il trasporto sensibile, l’entusiasmo, il fervore bruciante per
la vita consacrata a Dio.
Al contrario ascoltiamo ciò che insegna, con la sua
grande saggezza, san Francesco di Sales: «Per avere
un segno di una buona vocazione, non è necessaria
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una costanza che sia sensibile, ma che sia nella parte
superiore dello spirito; perciò non si deve giudicare
falsa la vocazione se capita che il chiamato non provi
più quei sentimenti sensibili che ebbe al principio, e
anzi senta tali ripugnanze e raffreddamenti, che è portato talvolta a vacillare, parendogli che tutto sia perduto; basta che la volontà resti costante nel non abbandonare la divina chiamata; e basta che vi rimanga
qualche affezione verso di quella. Per sapere se Dio
vuole che uno sia frate o suora, non bisogna aspettare
che Dio stesso gli parli o gli mandi un Angelo dal cielo
a significargli la sua volontà. Né è necessario un esame
di dieci Dottori per vedere se la vocazione si debba seguire o no: ma bisogna corrispondere e coltivare il
primo moto dell’ispirazione, e poi non pigliarsi fastidio, se vengono disgusti e raffreddamenti; perché facendo così non mancherà Iddio di far riuscire tutto a
gloria sua».
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Giovane che leggi, osserva e ascolta attentamente. Forse in te ci sono segni di una “scelta” da parte
di Dio, ma tu li tieni nascosti, sepolti sotto una crosta
di attrazioni diverse, che ti propongono un cammino
nel mondo. Forse tu aspetti segni straordinari di
chiamata da parte di Dio, mentre il Signore vuole
chiamarti alla maniera ordinaria, delicata e soave.
Sta attento! Ripeti spesso come san Paolo, come san
Francesco d’Assisi: «Signore, che vuoi che io faccia?»,
e metti in ascolto il tuo cuore, aperto a compiere incondizionatamente il suo Volere.
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LE DUE VOCAZIONI
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Le vocazioni fondamentali per l’uomo sono due: la
vocazione al matrimonio e la vocazione alla consacrazione a Dio (sacerdozio, vita religiosa, vita missionaria).
Scriveva già a suo tempo il grande sant’Atanasio:
«Due sono gli stati di vita e gli orientamenti fondamentali: quello comune e adatto alle tendenze della vita umana, ed è il matrimonio; l’altro angelico e apostolico, incomparabilmente più elevato: lo stato di verginità e di vita monastica».
Potremmo dire senz’altro, però, che il termine
“vocazione” nel suo senso più stretto esprime la chiamata speciale di Dio al Sacerdozio e alla vita religiosa.
Quando si parla di “vocazione”, cioè, si intende sempre parlare della vocazione sacra. Perché? Per la semplice ragione che la chiamata al matrimonio è chiamata nativa, ordinaria, comune, essendo iscritta nella
carne e nel sangue dell’uomo; si può dire che è data
già per scontata e ha via libera nella vita dell’uomo. La
vocazione sacra, invece, esige un intervento speciale
di Dio che sospinge dall’alto e verso l’alto, che conduce espressamente sulla strada della consacrazione.
«Non a tutti è dato» – disse Gesù, parlando appunto
della consacrazione a Dio – ma solo a quelli che Dio
sceglie e chiama espressamente (Mt 19,11).
Del resto, l’esempio della chiamata di Gesù esplicita, diretta, personale, noi la troviamo nel Vangelo solo
riguardo agli Apostoli («Seguitemi») e al giovane ricco
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(«Vieni e seguimi»), ed è sempre una chiamata alla consacrazione, una chiamata che in un certo senso si inserisce a sorpresa nel corso ordinario della vita di un uomo, una chiamata voluta espressamente da Gesù: «Non
voi avete scelto Me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16).
Ogni ragazzo e ragazza, ogni giovane, ogni uomo
in cerca della sua strada, prima della scelta di uno stato di vita, deve esaminare attentamente quale delle
due vocazioni ha ricevuto dal Signore: «Rendetevi
conto della vostra vocazione», ammonisce san Paolo
(1Cor 1,26).
Non si può andare alla leggera o alla cieca in una
cosa così importante, come la scelta dello stato di vita.
Giustamente san Gregorio Nazianzeno affermava che
«sbagliata la vocazione, tutto è sbagliato nella vita, tutto
va male». E san Filippo Neri raccomanda con saggezza
che «per eleggere lo stato di vita ci vuole tempo, consiglio e orazione».
Quanta incosciente superficialità, invece, è evidente
in molti giovani che si decidono al matrimonio, senza capire letteralmente nulla della «chiamata» di Dio alla
grande missione da svolgere nel matrimonio! E così abbiamo tanti matrimoni di lacrime e rovine.
Di solito, inoltre, non si esamina pressoché mai se
la propria vocazione possa essere quella sacerdotale o
religiosa. Sono in tanti, purtroppo, quelli che escludono per principio ogni possibilità di essere chiamati da
Dio alla vita consacrata a Lui. Molti poi hanno persino... orrore e terrore di una eventuale vocazione
sacra. Vogliono solo i beni terreni e le creature da go19
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dersi in questo mondo, e basta. Non vedono, né ammettono altro.
Eppure lo Spirito Santo ammonisce proprio i giovani con forza: «Dico a voi giovani... il mondo passa
con le sue concupiscenze», mentre solo «chi fa la volontà di Dio rimane in eterno» (1Gv 2,17).
Quanti giovani che si sposano (magari a 18 anni)
sono sicuri di fare la volontà di Dio? Quanti di loro, invece, si sono fatti travolgere dalle concupiscenze della
carne, mentre erano chiamati da Dio a una vita superiore, alla consacrazione?...
San Giovanni Bosco, con la sua straordinaria esperienza di vita in mezzo ai giovani, poteva affermare che
«un terzo dei giovani porta in germe la vocazione sacerdotale e religiosa».
E allora..., come mai i sacerdoti, i religiosi, i consacrati sono così pochi nel mondo? Si vede che l’incorrispondenza alla chiamata di Dio è davvero grande.
Ma che cosa sarà al giudizio di Dio, quando tanti scopriranno di avere sbagliato vocazione e di non essersi
neppure accorti del dono sublime della chiamata di
Dio alla vita consacrata?
Bisogna finirla con i falsi e puerili pregiudizi contro
la vocazione. Si teme che la vita sacerdotale e la vita religiosa siano vita da... prigionieri per i vincoli sacri con
cui la creatura si lega al suo Signore, e non ci si accorge
– incredibilmente – che maggiori e più numerose sono le
schiavitù nella vita secolare (lavoro, famiglia, sesso, divertimenti, fumo, sport...) a servizio non di Dio, ma di
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Dico a voi giovani... il mondo passa
con le sue concupiscenze mentre solo
chi fa la volontà di Dio rimane in eterno.
(cf 1Gv 2,17)
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padroni spesso tutt’altro che meritevoli. San Paolo si
gloriava – giustamente – di essere «prigioniero di Cristo»; ma come potrebbe qualcuno gloriarsi di essere
«prigioniero» del suo ufficio o del padrone di fabbrica
o del direttore di lavoro, degli interessi materiali o degli
impulsi sessuali?...
A san Francesco di Assisi, mentre correva verso le
Puglie per combattere a servizio di Gualtiero di Brienne, il Signore chiese: «Francesco... che cosa è meglio,
seguire il servo o il padrone?». «Il Padrone» – rispose
san Francesco –. «E allora, perché corri dietro al servo?» – riprese il Signore. Francesco capì, e chiese subito di rimando: «Signore, che vuoi che io faccia?...».
«Torna ad Assisi» – gli disse il Signore.
Sia ben chiaro, quindi: chi ha la vocazione è chiamato a seguire e servire il Padrone, è scelto da Lui e
viene legato a Lui con i vincoli della consacrazione.
Vincoli benedetti e fecondi! Vincoli di puro amore, di
infinito amore, perché è infinito Colui che ci ama e
che ci assicura: «Il mio giogo è dolce e il mio carico
leggero» (Mt 11,28-30).
Se proprio vogliamo, ecco la testimonianza di due
grandi «prigionieri»: un prigioniero di Cristo, san Leonardo da Porto Maurizio, francescano, celebre predicatore; un prigioniero della carne e delle creature, Wolfango Goethe, celebre poeta tedesco.
«Ho 72 anni – esclamava san Leonardo da Porto
Maurizio – e non sono mai stato infelice neppure un’ora...» (nonostante i travagli di un apostolato infaticabile).
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«Ho 72 anni – esclamò pure Wolfango Goethe – e
non sono stato mai un’ora felice...» (nonostante tutte
le coppe di piaceri e voluttà carnali).
Diceva molto bene un altro umile e santo francescano, san Serafino da Montegranaro: «Non darei un
palmo del mio cordone per tutti i beni del mondo»; e
ciò perché, come afferma san Bernardino da Siena:
«Quando un’anima comincia a gustare Gesù, si disgusta necessariamente del mondo». Ma già il Salmista cantava e profetava a suo tempo: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore...» (33,9), «Quanto sono
amabili le tue dimore, o Signore...» (83,1), «Beato chi
abita la tua casa: sempre canta le tue lodi!» (83,5).
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Giovani, attenti a non sbagliare!
«La vocazione – diceva il papa Paolo VI – è una
grazia che non è di tutti; ma può essere ancora oggi
di molti. Di molti giovani forti e puri, di molte anime
che hanno l’ansia della bellezza superiore della vita,
l’ansia della perfezione, la passione della salvezza
dei fratelli».
Preghiamo che sia così. Forse qualcuno che ora
ode questa nostra umile voce di fuori, sente la voce
regale di Gesù?
Preghiamo che sia così: la nostra benedizione è su
quanti «ascoltano la parola di Dio e la custodiscono».
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IL DONO PIÙ GRANDE
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Quando gli Apostoli dissero schiettamente a Gesù
che, se il matrimonio impone i doveri così gravi dell’unità e dell’indissolubilità è meglio non sposarsi, Gesù rispose senza mezzi termini che la vita consacrata a Dio
non è possibile a chiunque, ma solo «a coloro a cui è
concesso» (Mt 19,11).
La vocazione alla vita consacrata per il Regno dei
cieli, quindi, è un dono speciale, un dono personale, un
dono privilegiato concesso da Dio non ai più, ma ai meno. E nessuno può darselo da sé, perché «non voi avete
scelto Me – dice Gesù – ma Io ho scelto voi» (Gv 15,16).
Anche san Paolo avrebbe desiderato che tutti gli uomini vivessero come lui nello stato di consacrazione a
Dio. Anch’egli arrivò a scrivere: «Non sei sposato?...
Non cercare di sposarti!» (1Cor 7,27), e altrove dice che
«sposarsi è bene, non sposarsi è meglio» (1Cor 7,38).
Perché? Perché con la vita verginale il cuore è «indiviso» nell’amare Dio, nel piacere a Lui e nel dedicarsi alle
cose divine conservando «la santità del corpo e dello
spirito» (1Cor 7,34).
Tuttavia lo stesso san Paolo deve concludere che
«ognuno resti in quella vocazione a cui è stato chiamato» (1Cor 7,20), proprio perché i doni più alti non
sono per tutti, ma solo per coloro che «Egli stesso vuole» (Mc 3,13).
Gesù, inoltre, ha magnificato il dono della vocazione alla vita verginale consacrata come una realtà
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del Paradiso, una ricchezza del Regno dei cieli, un anticipo in questo mondo della vita celeste, una incarnazione di vita angelica sulla terra: «I figli di questo
mondo si sposano e si maritano... I figli della resurrezione, invece, saranno come gli Angeli di Dio» (Lc
20,34-5).
Ha ragione perciò sant’Ambrogio di esclamare: «Se
gli Spiriti beati sono i vergini del cielo, i vergini sono gli
Angeli della terra»... E ancora: «La verginità che rende
l’uomo simile agli Angeli è quel che vi ha di più bello
nella natura umana. Ma nei vergini c’è qualcosa che
non si trova negli Angeli: questi non hanno corpo, mentre nei vergini è proprio il corpo che diventa lo strumento del trionfo».
E san Cipriano con pari ardore scrive: «Custodite,
o vergini, custodite ciò che siete. Custodite quello che
sarete... Voi avete già in questo mondo la gloria della resurrezione».
È questa la realtà di grazia sublime della vita consacrata a Dio, della vita religiosa: le creature diventano «come gli Angeli di Dio nel cielo» (Mt 22,30). E
questa angelicità noi la vediamo realmente splendere
in figure come san Francesco d’Assisi, santa Chiara,
sant’Antonio, santa Caterina, san Luigi, santa Bernardetta, san Giovanni Bosco, santa Teresina, santa Gemma, san Massimiliano M. Kolbe... Quanto «candore di
luce eterna» (Sap 7,26) in queste figure di nostri fratelli e sorelle consacrati a Gesù!
Perciò chi ha il dono eccelso della vocazione religiosa non esiti a lasciare tutto per consacrarsi a Dio, per
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donarsi a Gesù in totalità di se stesso, con il cuore «indiviso», in santità «di corpo e di spirito» (1Cor 7,34).
Gesù stesso ci assicura: «Chi avrà abbandonato
la casa... avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29).
Chi si consacra a Dio, chi si dona a Gesù lasciando tutto per Lui è come chi lascia le apparenze per la
realtà, secondo la parola di san Paolo: i beni visibili
(casa, lavoro, padre, madre...) sono caduchi; i beni invisibili (Dio, la grazia, le anime, il Regno dei cieli) sono la realtà perenne.
Quando san Francesco d’Assisi riuscì a disfarsi di
ogni bene terreno e di ogni creatura (anche del papà),
potette esclamare con ardore estatico: «Dio mio e mio
tutto». Si era liberato di alcune creature, e ora possedeva il Tutto. Così è la vita religiosa, questo è lo stato
dei consacrati nei monasteri e nei conventi, negli eremi e nelle case religiose.
San Basilio commenta: «In questo stato privilegiato si fa un felice e ammirabile scambio: si danno le cose della terra per quelle del cielo; le cose passeggere
per quelle eterne; beni di nessun valore per beni inestimabili». E il grande sant’Agostino confessa candidamente che «le parole umane non possono celebrare
degnamente la vita religiosa. Quando mi provo a farlo,
mi sento costretto al silenzio, perché sono incapace di
esaltare una vita tanto sublime e angelica».
In più c’è da riflettere su di una realtà di grazia
legata alla verginità consacrata: ossia, ogni anima
vergine consacrandosi diventa «Sposa di Cristo», come canta la Liturgia della Chiesa. Gesù stesso si è
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«Essere tua sposa, Gesù..., essere,
per l’unione con Te, madre delle anime».
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Santa Teresa di Gesù Bambino
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chiamato Sposo delle vergini prudenti nella parabola
delle dieci vergini (cf Mt 25,1ss). Il profeta Isaia scriveva già a suo tempo: «Sì, come un giovane sposa
una vergine, così ti sposerà il tuo Creatore; come
gioisce lo sposo per la sposa, così per te gioirà il tuo
Dio» (Is 62,5).
Verginità e sponsalità divina, verginità e gioia divina, verginità e maternità spirituale: vanno tutte insieme. L’angelica santa Teresina scriveva con la sua solita grazia: «Essere tua sposa, Gesù..., essere, per l’unione con Te, madre delle anime». Quale incanto di
amore celestiale nella vita di una vergine consacrata!
Questo ha insegnato sempre la Chiesa. Il papa Pio
XII nella splendida enciclica sulla “Sacra Verginità” e
nei discorsi alle anime consacrate ha svolto meravigliosamente questi temi, chiamando le vergini consacrate «vere spose del Signore», sulla scorta dei Santi
Padri che hanno considerato le vergini “spose di Cristo” nel senso più vero e più alto. San Metodio d’Olimpo, ad esempio, così fa pregare una vergine consacrata: «O Cristo tu sei tutto per me. Io mi conservo
pura per Te e, portando una lampada splendente,
vengo incontro a Te, o Sposo mio».
A questo punto credo che non diremo più esagerata santa Maria Maddalena de’ Pazzi, la mistica del
Carmelo, quando afferma che «la vocazione religiosa è
la grazia più insigne che Dio possa fare a un’anima dopo il santo Battesimo».
Né di conseguenza, è esagerato san Luigi Orione
quando scrive: «Avrei a grande grazia se Gesù volesse
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concedirmi, per le vocazioni, di andare mendicando
sino all’ultimo della mia vita».
Inoltre, a questo proposito, sarà bene rivolgere ai
genitori cristiani le ispirate parole del papa Pio XII:
«Qualora Iddio vi facesse un giorno l’insigne onore di
ricercarvi uno dei vostri figli o delle vostre figlie per il
suo servizio, sappiate dunque apprezzare il valore e il
privilegio di tanta grazia, per il figlio o per la figlia
eletta, per voi e per la famiglia vostra. È un gran dono
del cielo che entra nella vostra casa...». Quando il
papà di santa Teresina sentì dirsi dalla figlia Celina
che anch’ella voleva consacrarsi tutta a Gesù nella vita verginale del Carmelo, disse commosso alla figlia:
«Vieni, andiamo a ringraziare Gesù Sacramentato dei
favori che concede alla nostra famiglia e dell’onore
che mi fa scegliendosi delle spose in casa mia! Sì, il
buon Dio mi fa un grande onore prendendosi le mie
figlie».
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Tu, giovane che leggi, entra nel tuo cuore, raccogliti in preghiera, ascolta, ascolta, ascolta... Forse
Gesù ti ha scelto, ti ha prediletto, ti chiama, ti sta
chiamando – «vieni! seguimi!» (Mt 19,21) – ti sta facendo il dono più grande che ti renderà come un
«Angelo di Dio nel cielo» (Mt 22,30).
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SACERDOTE DI GESÙ
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Se la vita religiosa è una vita angelica – «come gli
Angeli di Dio nel cielo» (Mt 22,30) – la vita sacerdotale deve essere vita più che angelica, perché il Sacerdote ha il potere e la missione di compiere ciò che neppure gli Angeli possono fare. Dopo Dio, infatti, solo il
Sacerdote ha il potere e la missione di trasformare il
pane e il vino nel Corpo e Sangue di Gesù, di rimettere i peccati ad ogni peccatore pentito.
Con il Sacerdozio l’uomo supera ogni vertice di
potere e di grandezza creata. Entra nell’increato, nel
divino, nella stessa Persona divina di Gesù: diventa
Gesù che transustanzia il pane e il vino, che toglie i
peccati da ogni anima, che ammaestra, guida e conduce a salvezza.
Forse per questo il Sacerdote è venerato dallo
stesso suo Angelo Custode, che sta alla sua sinistra anziché alla sua destra, e gli dà la precedenza, come ci
assicura san Francesco di Sales. Il Sacerdote riproduce Gesù, continua e prolunga la stessa missione salvifica di Gesù, ha lo stesso destino pasquale di Gesù: crocifissione e risurrezione.
Così parla Gesù ai suoi primi sacerdoti: «Venite,
vi farò pescatori di uomini...» (Mt 4,19). «Come il Padre ha mandato Me, così Io mando voi» (Gv 20,21).
«Prendete... questo è il mio Corpo... questo è il calice
del mio Sangue» (Mt 26,26). «A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, a chi non li rimetterete non sa-
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ranno rimessi» (Gv 20,23). «Andate, ammaestrate
tutte le genti...» (Mt 28,19). «Chi ascolta voi, ascolta
Me, chi disprezza voi, disprezza Me» (Lc 10,16).
«Hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi»
(Gv 15,20). «Voi non siete di questo mondo, come Io
non sono di questo mondo... Perciò il mondo vi
odia...» (Gv 17,14; 15,19).
Noi non possiamo che smarrirci se pensiamo alla
realtà sovrumana del Sacerdozio. Possiamo forse intuirla riflettendo che san Francesco d’Assisi, tutto serafico e celestiale, non ebbe il coraggio di ricevere il
Sacerdozio, e volle restare Diacono. E dalla storia dei
Santi Padri sappiamo che anche sant’Efrem restò sempre e solo Diacono, che sant’Agostino pianse amare lagrime il giorno dell’Ordinazione sacerdotale, che san
Giovanni Crisostomo e sant’Ambrogio si andarono a
nascondere e si resero irreperibili per non farsi consacrare vescovi.
Nel suo celebre Dialogo, santa Caterina da Siena
scrisse che, riguardo ai sacerdoti, un giorno l’Eterna
Sapienza le disse: «Apri l’occhio dell’intelletto tuo, e
riguarda in me, sole di giustizia. Allora vedrai i gloriosi ministri, i quali, avendo mirato il sole, hanno preso
la condizione del sole!».
Il santo Curato d’Ars diceva che se Dio ci illuminasse sul valore del Sacerdozio, nessuno oserebbe farsi consacrare Sacerdote. Ugualmente, se si conoscesse
il valore della Santa Messa, né il Sacerdote oserebbe
celebrarla né il fedele ascoltarla. «Tutte le buone opere
unite insieme – cercava di spiegare il santo Curato –
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non valgono quanto il Sacrificio della Messa, perché
quelle sono opere di uomini, mentre la Messa è opera
di Dio. Anche il martirio non è nulla in confronto: il
martirio è il sacrificio dell’uomo a Dio, mentre la Messa è il sacrificio di Dio per l’uomo!...».
Celebrare la Santa Messa, rimettere i peccati, donare il Corpo e Sangue di Gesù alle anime, spezzare il pane della Parola di Dio a ogni uomo: tutto ciò costituisce
una missione di somma importanza per tutto il Corpo
Mistico di Cristo. Anche l’ultimo e più sconosciuto Sacerdote della terra – come poteva apparire san Giovanni Maria Vianney, allorché si recò nel paesello di Ars – è
artefice di opere prodigiose nel dispensare «i misteri divini» (1Cor 4,1), incrementando la vitalità delle membra del «Corpo di Cristo che è la Chiesa» (Col 1,24).
Ad ogni Sacerdote, in verità, si possono applicare
le parole divine del salmista: «Ti darò in possesso le
genti e in dominio i confini della terra» (Sal 2,8). È
proprio così. Due esempi più recenti fanno comprendere la verità di queste parole in maniera luminosa. San
Massimiliano Maria Kolbe, l’umile e ardente figlio di
san Francesco, non è forse diventato una figura di Sacerdote amato e venerato da tutto il mondo? Non ha
forse egli fondato due meravigliose cittadelle dell’Immacolata, una in Polonia e una in Giappone? Non è stato forse proclamato dal papa Giovanni Paolo II «Protettore speciale dei nostri tempi»? San Pio da Pietrelcina non meno umile e ardente figlio di san Francesco,
non ha forse avuto una «clientela mondiale», come
disse il papa Paolo VI? Non è stato forse vero che le
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Con il Sacerdozio l’uomo supera
ogni vertice di grandezza creata.
Entra nell’increato, nel divino,
nella stessa Persona di Gesù.
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genti «andavano a lui da ogni parte» (Mc 1,45), sul
Gargano? Non ha forse egli dato vita a due mirabili
opere, la Casa Sollievo della sofferenza e i Gruppi di
Preghiera? I poteri più divini, le realtà più sublimi si
trovano nel cuore e nelle mani di ogni Sacerdote.
Leggiamo che cosa scriveva sul Sacerdozio, nel
suo diario personale un santo Sacerdote, Don Giuseppe Canovai, nostro contemporaneo, morto a soli 34
anni: «Sento fremere, palpitare in me immenso, augusto, celeste, il potere del Sacerdozio; lo sento travalicare i limiti della mia anima, giungere fino ai cieli, cui
dona la pace del perdono e la parola della vita, spingersi fino alle soglie della morte, ove salva nella effusione universale della misericordia crocifissa.
Esso sboccia come un albero secolare che ha le sue
chiome nei cieli, ai piedi della Croce dalle zolle bagnate dal sangue di Dio; e le anime redente lo rallegrano
con le gioie della vita».
I sacerdoti sono le creature più indispensabili della terra, le più salutari e benedette. Per quanto deboli
e difettosi essi hanno sempre il potere di donare la
grazia, di donare il Pane di vita eterna, di donare la
Parola del Signore, di confortare gli ammalati, di sostenere i moribondi, di illuminare e guidare gli erranti. Senza la grazia, senza l’Eucaristia, senza la Parola
del Signore come potremmo noi vivere rettamente e
salvarci per l’eternità?
«Lasciate un paese per vent’anni senza sacerdote –
diceva giustamente il santo Curato d’Ars – e gli uomini
adoreranno le bestie!».
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È vero. È talmente vero, che non può esserci disgrazia o castigo peggiore per una nazione, per una
Diocesi, quanto la diminuizione dei Sacerdoti; non può
esserci calamità maggiore per la cristianità e per la società che la diminuizione dei Sacerdoti. E se non si arriva a comprendere questo è segno che il processo di
scristianizzazione marcia a vele spiegate accecando le
menti, ottenebrando ogni ideale specialmente nei giovani, i quali preferiscono restare masse enormi di disoccupati e scalmanati, anziché chiedersi seriamente se
non siano chiamati dal Signore in un campo ben più fecondo e prezioso: il campo del Regno di Dio nei fratelli,
specialmente in quelli più poveri, oppressi, disperati...
È veramente doloroso constatare come tanti giovani disoccupati si consumano nell’infelicità e nell’ozio vagabondo, mentre potrebbero essere portatori di
Dio agli uomini, degli uomini a Dio e di Dio a Dio. «Il
Sacerdozio – scrive splendidamente sant’Efrem – è
nella Chiesa come un volo d’aquile, che lasciano la terra e salgono audacemente verso Dio. Nei potenti loro
artigli portano le cose sacre dell’umanità e le depongono ai piedi del trono della maestà divina. Di là riportano sulla terra le cose sacre di Dio, per santificare le
anime che vorranno accostarsi ai venerandi misteri di
cui è dispensatore».
Giovane che leggi, sappi riflettere: nell’Italia dell’800, con parecchi milioni di abitanti in meno, erano
oltre 150.000 Sacerdoti. Nell’Italia di oggi, con parecchi milioni di abitanti in più, i Sacerdoti sono poco più
di 30.000, e le conseguenze evidenti sono l’ateismo di
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massa, il calo pauroso della pratica dei Sacramenti, l’ignoranza religiosa più crassa, la corruzione galoppante, l’approvazione di leggi degradanti e assassine (divorzio, aborto, droga...).
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Giovane che leggi, rifletti. Mancano «operai nella
messe». Entra dentro di te. Prega, e ascolta, ascolta,
ascolta il Signore. Forse Egli ti chiama, ti ha scelto, ti
vuole rendere «sale della terra e luce del mondo» (Mt
5,13), ti vuol fare «pescatore di uomini» (Mc 1,17).
Forse, meditando queste pagine, potrai sentirti dire
nel cuore: «Il Maestro è qui e ti chiama» (Gv 11,28).
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CHI PUÒ ESSERE CHIAMATO DA GESÙ?
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«Parroco, io voglio farmi suora...».
«Oh bella!... proprio tu, Maria Bertilla, che sei buona a nulla?...».
«Ma io mi sforzerò di imparare a fare qualcosa».
«Va’ va’, piccola “gnocca”, cosa vuoi che se ne facciano di te le suore?...».
Così andò il primo incontro fra il Parroco e la ragazzetta Maria Bertilla Boscardin, quando questa manifestò la sua vocazione a diventare suora .
Qualche giorno dopo, però, il Parroco, preso dallo
scrupolo, fece richiamare Maria Bertilla e le chiese:
«Dimmi con sincerità: sei proprio decisa a farti suora?».
«Sì, Parroco».
«Senti proprio che Gesù ti chiama a diventare per
sempre sua sposa?».
«Sì, Parroco».
«Ma tu sai almeno pelare le patate?...».
«Sì, Parroco».
«Ebbene, vuol dire che andrai in convento a pelare le patate».
Così Maria Bertilla poté entrare fra le Suore Dorotee, in convento, e la povera “gnocca”, entrata per pelare le patate, diventò una splendida santa tutta candore
e sacrificio.
Dopo questo esempio, se ci chiediamo: «Chi può essere chiamato da Gesù?», dobbiamo rispondere: tutti
possono essere chiamati, perché non c’è categoria di
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persone che non possa ricevere la grazia della vocazione. Il Signore conosce tutti e può chiamare chiunque.
«Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna
per nome» (Sal 146,4).
Il Vangelo, infatti, ci dice che Gesù chiamò a seguirlo giovani e adulti, pescatori e operai, impiegati e disoccupati.
San Giovanni Evangelista era giovane. San Pietro
era adulto maturo. Ambedue erano pescatori. San Matteo invece era impiegato all’ufficio delle imposte. San
Paolo lavorava le stuoie. C’è poi da ricordare gli operai
disoccupati, quelli chiamati all’ultim’ora di cui parla
Gesù nella parabola (Mt 20,1-16).
Lungo i secoli di storia del Cristianesimo, Gesù ha
chiamato a seguirLo anche i ragazzi e gli anziani, uomini e donne, innocenti e peccatori, fra tutte le categorie
di ogni ceto sociale.
Erano ragazzi san Benedetto, san Tommaso d’Aquino, san Luigi Gonzaga, san Pio X, san Massimiliano M. Kolbe, sant’Agnese, santa Bernardetta, santa
Teresina...
Erano adolescenti sant’Antonio di Padova, san
Gerardo Maiella, san Gabriele dell’Addolorata, san
Giovanni Berchmans, san Giovanni Bosco, santa Caterina da Siena, santa Veronica Giuliani, santa Maria
Bertilla...
Erano giovani sant’Antonio Abate, san Bernardo,
san Francesco d’Assisi, san Francesco Saverio, sant’Alfonso de’ Liguori, santa Scolastica, santa Chiara, santa
Margherita Alacoque...
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Erano adulti gli Apostoli (eccetto san Giovanni
Evangelista), sant’Agostino, sant’Ignazio di Loyola, san
Camillo de Lellis, santa Maria Maddalena, santa Maria
Egiziaca, santa Margherita da Cortona, la beata Angela
da Foligno...
Gesù non fa riserve per nessuno. Chiama con sovrano amore e libertà; chiama chi vuole, quando vuole e come vuole.
È solo Lui che «ha stabilito alcuni come apostoli,
altri come profeti, altri come evangelisti, altri come
pastori e maestri...» (Ef 4,11).
È Lui che ha chiamato alcuni a diventare celebri
Pontefici, come san Gregorio Magno e san Leone Magno, o celebri Dottori della Chiesa come san Tommaso
e san Bonaventura; ha chiamato altri ad essere umili e
mirabili fraticelli come san Felice e san Crispino; ha
chiamato alcune ragazze ad essere geniali fondatrici
come santa Teresa d’Avila e santa Giovanna Antida o
ad essere dolci e angeliche suore come santa Bernardetta e santa Maria Bertilla.
Se proprio volessimo scoprire una certa sua preferenza, dovremmo dire che Gesù preferisce gli umili,
gli indotti, i deboli, secondo quel pensiero di san Paolo: «Non sono molti sapienti secondo la carne, né
molti potenti, né molti nobili» (1Cor 1,26).
Ma è soprattutto nel cuore dei ragazzi e dei giovani
che ordinariamente Dio depone il germe della vocazione, perché «a dodici anni – afferma Alfonso Gratry – si
capiscono le cose sublimi e generose che a quarant’anni
non si capiscono più».
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Anche il papa Giovanni Paolo II, in un discorso
sulla vocazione, afferma che «Dio chiama tutti a una
missione, chiama a tutte le età, chiama in modo speciale i giovani», e con accento vigoroso continua: «Giovani, adesso è la vostra ora! Tocca a voi rispondere. La
vita è un dono di Dio. Se Cristo vi chiama a essere suoi
collaboratori non esitate un attimo a dire il vostro generoso Sì. Se vi parlo di consacrazione totale a Dio nel
sacerdozio, nella vita religiosa, nella vita missionaria, è
perché Cristo chiama a questa straordinaria avventura
molti tra voi!».
Alcuni esempi splendidi del nostro tempo confermano, ancora di più, questa verità della chiamata dei
giovani alla vita consacrata a Dio.
San Massimiliano Maria Kolbe, figura splendida
di santo francescano e mariano, aveva poco più di dieci anni quando studiava privatamente, per andare
avanti negli studi. Un giorno, ascoltando una predica,
sentì l’annuncio dell’apertura di un seminario francescano, per ragazzi aspiranti a seguire san Francesco
d’Assisi. Illuminato interiormente, chiese subito di poter entrare in quel seminario. Fu accontentato. Entrò
in seminario, andò avanti, e divenne figlio di san
Francesco, cavaliere folle d’amore all’Immacolata,
martire della carità nel campo della morte di Auschwitz, dove offrì la sua vita in cambio di quella di
un papà di famiglia nel 1941.
San Pio da Pietrelcina, altra figura gigantesca di
santo francescano, anch’egli, poco più che decenne,
durante una predica sentì la spinta a consacrarsi a
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«Dio chiama tutti a una missione,
chiama a tutte le età,
chiama in modo speciale i giovani».
Giovanni Paolo II
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Dio e si impegnò a fare tutti gli studi con lezioni private, per poter entrare a quindici anni nel Noviziato
dei cappuccini diventando talmente simile al Padre
Serafico da essere insignito anch’egli delle sacre stimmate di Gesù, che tenne per 50 anni, fino alla morte,
avvenuta nel 1968.
Santina Campana, questo delizioso gioiello di fanciulla, possiamo dire che fin dal Battesimo sia cresciuta talmente “tutta di Gesù” che ben merita di stare accanto a santa Teresina e a santa Gemma Galgani. La
sua vocazione è stata il naturale sboccio di una rosa e
di un giglio, dal profumo fragrante intensissimo. A diciotto anni è novizia, vero angelo di amore e di candore. Ma non concluderà il suo noviziato che in Paradiso, dopo tre anni di dolori lancinanti, morendo come
una piccola e ardente Sentinella della Croce, nell’anno santo 1950.
Considerando i giovani, inoltre, e la predilezione
di Gesù per essi, dobbiamo anche dire che c’è in loro
una generosità e un ardimento non riscontrabile in altre età della vita. Essi sanno essere generosi nell’amare con totalità, sanno essere ardimentosi nel voler fare
anche eroismi. Certamente, quando sono sinceri e decisi, non gradiscono né ammettono mezze misure o
compromessi nella fedeltà agli impegni d’amore. Essi
intuiscono con lucidità che l’amore grande e forte è legato al sacrificio grande e forte. Gesù ci ha amato con
la sua totale immolazione cruenta. E noi?
Leggiamo su di una rivista sacerdotale che una volta «una Superiora Carmelitana descriveva a un gruppo
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di giovani giapponesi convertite, la vita del Carmelo:
lunghe preghiere, rigidi digiuni, vita dura...».
Gli occhi di quelle figliuole brillavano di gioia.
Tuttavia la Superiora disse, a un certo punto, che
la rigorosa regola carmelitana sarebbe stata un po’ attenuata per loro, non abituate a simili penitenze.
La luce si spense negli occhi di quelle giovani, che
si guardarono l’un l’altra molto deluse.
Poi una si fece coraggio e, a nome di tutte, disse:
«Madre, saremmo tanto contente di seguire la Regola
senza attenuazioni perché vogliamo amare molto il Signore».
Per questo il papa Paolo VI in un discorso ai giovani rivolgeva loro parole forti e rigorose come queste: «Giovani, sapete che Cristo ha bisogno di voi? Sapete che la sua chiamata è per i forti, è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante?».
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Giovane che leggi, rifletti e medita. Anche tu,
proprio tu, puoi essere chiamato da Gesù. Vorrai preferire alla sua chiamata le lusinghe di una creatura
o dei beni terreni? Non essere insensato. Chi può
amarti di più, il Creatore o la creatura? Se Gesù ti
chiama, avrai l’infinito bene nel tuo cuore, tua proprietà e ricchezza.
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CHE SIGNIFICA “SEGUIRE GESÙ”?
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Significa vivere la stessa vita di Gesù. Ossia una
vita verginale, povera, obbediente.
Questa è la vita di consacrazione a Dio, che si vive
soprattutto nei luoghi consacrati a Dio: seminari, monasteri, conventi, case religiose sia di uomini che di
donne.
San Benedetto e santa Teresa, san Gerardo e santa
Bernardetta, vissero la vita di Gesù nelle loro case religiose, dopo aver lasciato tutto, proprio tutto per Gesù.
Lo stesso fecero i santi Preti, che non vissero in
convento, ma imitarono Gesù con la loro vita splendente di virtù: tali furono, ad esempio, il santo Curato
d’Ars, san Giuseppe Cafasso, san Pio X.
“Seguire Gesù”, quindi, non è un linguaggio astratto, ma è un’espressione che significa concretamente menare la stessa vita di Gesù vergine, povero e obbediente fino alla morte; corrisponde, cioè, a “vivere
Gesù”, e a viverlo totalmente, unicamente, esclusivamente.
Nella vita di san Paolo della Croce leggiamo che
questo giovane ardente e puro dovette sostenere dure
battaglie, per difendere la sua vocazione a “seguire
Gesù”.
Specialmente uno zio parroco voleva che il nipote
si sposasse. Gli promise, per questo, tutti i suoi beni in
eredità. Gli trovò lui stesso una giovane brava, bella e
ricca. D’accordo con i familiari, gli presentarono que-
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sta giovane come fidanzata, sperando finalmente che il
giovane cedesse e accettasse di sposarsi.
Ma il giovane Paolo non intendeva assolutamente
rinunciare a “seguire Gesù” per una creatura. Di fronte al pericolo, si attaccò ancora più al Crocifisso con
preghiere e lacrime ardenti. E quando lo zio, un giorno,
volle portarlo a visitare la ragazza, Paolo si ricordò dell’esempio di san Francesco di Sales, e di fronte alla ragazza rimase con gli occhi bassi, muto e assorto nell’orazione del cuore.
Lo zio parroco morì, e realmente gli lasciò in testamento tutti i suoi beni, purché si sposasse. Ma Paolo fece subito la rinunzia legale all’eredità dello zio,
tenendo con sé solo il Breviario per recitare la preghiera della Chiesa. Significativa fu, in quella occasione, la sua preghiera di rinuncia ad ogni bene per seguire Gesù e possedere Lui solo: «Signor mio Crocifisso, io mi protesto che di questa eredità non voglio
altro che questo Breviario. Tu solo mi basti. Tu solo
sarai il mio amore ora e sempre».
Ancor più drammatico, in questo senso, fu ciò che
accadde a san Francesco d’Assisi. Giovane ardente e
brillante, egli era partito da Assisi per andare nelle
Puglie a combattere al seguito di Gualtiero di Brienne, aspirando a diventare cavaliere e a passare nella
categoria dei nobili.
Ma a Spoleto, Francesco ebbe una visione, e sentì
rivolgersi questa domanda cruciale: «Francesco, Francesco, che cosa è meglio: seguire il servo o il padrone?». Francesco non ebbe esitazioni e rispose: «Segui45
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re il padrone». «E allora – continuò la voce – perché
lasci il padrone per seguire il servo?». A questo punto, Francesco, illuminato, chiese: «Signore, che vuoi
che io faccia?».
Ecco che cosa significa “seguire Gesù”. Significa
«seguire il Padrone», anziché il servo. Ogni uomo, qualunque uomo non può essere che un «servo» rispetto al
«Creatore», e si capisce allora quale differenza sterminata ci sia fra il seguire, donarsi, legarsi a un «servo», e
il seguire, donarsi, legarsi al «Creatore», al «Padrone».
Una buona mamma di famiglia una volta, così parlava alla figlia adolescente: «Figlia mia, se ti consacri a
Gesù, sarai la Sposa di Gesù; se sposi un uomo, sarai
la serva di un uomo». Questo è il linguaggio della sapienza cristiana. Ogni giovane e ogni ragazza dovrebbero rendersi conto di questa realtà, prima di decidere il proprio avvenire. Ogni giovane e ogni ragazza dovrebbero ricordare e proporre a se stessi l’interrogativo fondamentale: «È meglio seguire il servo o il Padrone?». È meglio donarsi a una creatura o al Creatore? È meglio seguire un uomo o seguire Gesù?
Nella vita di san Vincenzo Maria Strambi leggiamo
che un giorno questo giovane, per comunicare al padre la sua decisione di entrare fra i Passionisti, si presentò e gli disse: «Papà, voglio prendermi la mia eredità». Il padre rimase sorpreso a tali parole che suonavano strane sia perché Vincenzo era il figlio unico,
sia perché non c’era nessun motivo che le giustificasse.
Gli disse, quindi, che, essendo unico erede, tutto il patrimonio della famiglia era già esclusivamente suo.
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Moltissimi ragazzi e ragazze,
pieni di vita, a volte anche pieni di doti
e di ricchezze terrene, rinunciano
generosamente a tutto per “seguire Gesù”.
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Ma Vincenzo non si diede per convinto, e ripeté la
domanda: «Papà, voglio la mia eredità». Nel ripetere
queste parole, però, si inginocchiò davanti a un Crocifisso e disse al padre: «Ecco, padre mio, l’eredità che
vi domando di prendermi. Io non voglio avere altra
eredità che Lui, Gesù Crocifisso. Lui solo voglio seguire, per Lui vivere e morire».
A questo punto, il papà pianse di consolazione,
abbracciò il figlio e lo esortò a prendersi quell’eredità
per seguire Gesù in vita e in morte.
Pensiamo anche alle moltissime ragazze, piene di
vita e di grazia, a volte piene anche di doti e di ricchezze terrene, che rinunciano generosamente a tutto per
“seguire Gesù”, per essere totalmente di Gesù, con il
cuore “indiviso”, con l’anima e il corpo verginali, vere
spose angeliche del Verbo Incarnato.
Ricordiamo, ad esempio, santa Veronica Giuliani,
energica lottatrice contro gli allettamenti dei beni materiali della famiglia e contro le lusinghe delle creature che
volevano distoglierla dal “seguire Gesù”. I giovani che la
corteggiavano la seguirono fin sulla porta della clausura,
nell’estremo tentativo di fermarla: ma la giovane intrepida, sulla porta della clausura, si voltò e gettò il fascio di
fiori che portava esclamando: «A te, mondo seduttore,
questi fiori che presto appassiscono!». Lei, vergine piena di grazia, si donava tutta a Gesù, per unirsi e identificarsi a Lui, fino alla mistica crocifissione cruenta dell’anima e del corpo, per la salvezza delle anime. Anch’ella
portò per lunghi anni le stimmate di Gesù nel corpo,
crocifissa d’amore per l’Amore crocifisso.
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A questi ideali, a queste altezze vertiginose dell’amore divino sono chiamati gli eletti a “seguire Gesù”.
E che cosa ci può essere di più alto sulla terra?
Gesù è tutta la vita, la perfezione, la santità. Chi segue
Gesù, vivendo la sua stessa vita verginale, povera e
obbediente, può riempirsi di tutta la vita divina, elevarsi a ogni perfezione, trasfigurarsi in pienezza di
santità. Basta guardare, ad esempio, a san Francesco
di Assisi, santa Chiara, santa Caterina, san Luigi,
sant’Alfonso, san Giovanni Bosco...
Signore Gesù, come dobbiamo ringraziarTi di
aver chiamato molti a seguirti! Come dobbiamo ringraziarTi perché continui a chiamare molti a seguirti,
senza guardare né a meriti, né ad altro: scegli perché
vuoi dare all’uomo anche l’onore di imitarti in tutto. E
sappiamo che chiami molti, nonostante la mancata risposta di tanti. Che tristezza! Si preferisce seguire la
propria testa e la testa di un’altra creatura, anziché
“seguire Gesù”! Si preferisce vivere come i poveri uomini, si preferisce imitare la vita ordinaria delle creature, anziché vivere Gesù, imitare e riprodurre la Sua
vita, come ha fatto un san Francesco di Assisi e ogni altro santo. Quanta stoltezza, Signore! Ma continua a
chiamare: ti preghiamo...
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Giovane che leggi, rifletti attentamente. Vale anche per te l’interrogativo fondamentale che trasformò il giovane Francesco nel sublime san Francesco d’Assisi: «Signore, che vuoi che io faccia?». Non
evitare questo interrogativo, perché sarà sempre vero
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che solo “servire a Dio è regnare”, e se Gesù vuole
chiamarti a “seguirlo” per farti “regnare” già su
questa terra, sarebbe vera pazzia non volerne sapere
per legarti alla servitù di una creatura, sapendo bene che «sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna
tutti gli uomini...» (Sal 61,10).
“Seguire Gesù”, invece, è seguire Colui che è «la
Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6).
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PERCHÉ GESÙ CHIAMA ALCUNI A SEGUIRLO?
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Gesù chiama per amore.
Gesù ama con infinito amore. Egli è infinitamente
felice perché è infinito amore. E vuole che anche noi
arriviamo alla sua felicità infinita dice san Bernardo.
Ma come arrivare a questa felicità d’amore divino,
se non possedendo l’amore divino in pienezza di vita
d’amore illimitato e totale?
Ecco perché Gesù chiama i «suoi» a seguirlo sulla
strada dell’amore verginale, totalitario, senza riserve.
Questa strada è la sua stessa vita, è la sua stessa Persona, è Gesù stesso: «Io sono la via» (Gv 14,6).
Consacrarsi a Gesù, quindi, significa amare e imitare perfettamente Lui, assimilandolo in misura tale
da trasformarsi in Lui, identificarsi a Lui.
Pensiamo a san Paolo quando arriva a dire: «Il mio
vivere è Cristo» (Fil 1,21), e «Non sono più io che vivo,
ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
Pensiamo a san Francesco d’Assisi che seguì e si
conformò talmente a Gesù, da arrivare alla somiglianza
anche fisica con Lui Crocifisso. E come san Francesco,
ci furono santa Veronica Giuliani, santa Gemma Galgani, san Pio da Pietrelcina. Ma ogni santo è una copia
perfetta di Gesù, come apparve evidente, ad esempio, in
parecchi episodi della vita di santa Caterina o del santo
Curato d’Ars. Una volta capitò a sant’Antonio di Padova di apparire con il volto acceso e straziato del Crocifisso, facendo un’impressione terribile su chi lo vide.
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Quel volto del Crocifisso rivelò anche esternamente,
per attimi, come sant’Antonio fosse nell’intimo trasfigurato in Gesù, «configurato alla sua morte» (Fil 3,10).
Vivere vergine come Gesù, povero come Gesù, obbediente come Gesù: questa è la chiamata alla vita religiosa, a una vita d’amore divino, così radicale e totale
come quello vissuto dall’umanità di Gesù, a cui tutti
dobbiamo conformarci, perché è questo il nostro sublime destino, voluto da Dio Padre: «Diventare conformi
all’immagine del Figlio suo» (Rm 8,29).
Se poi il Signore chiama al Sacerdozio, gli eletti
diventano anche Sacerdoti come Gesù, altri Gesù, con
i suoi divini poteri di consacrare, di amministrare la
grazia, di dispensare i misteri divini, di annunciare la
Parola di Dio.
Quale grandezza e potenza d’amore in Gesù che
chiama i suoi consacrati! Solo l’amore spiega l’esistenza della vita religiosa e del sacerdozio sulla terra. Ogni
altra spiegazione dipenderà sempre da questa. E la risposta dei «chiamati», ugualmente, dovrebbe essere
anzitutto una risposta d’amore riconoscente e generoso, ardente e fedele.
Che dire, invece? Bisogna purtroppo ammettere
che, oggi soprattutto, sono parecchie le defezioni fra i
consacrati. Non solo diminuiscono le vocazioni, ma ci
sono parecchi che hanno rinnegato la loro consacrazione a Dio. Non possiamo nasconderci che c’è stata
una vera ecatombe di vocazioni sacerdotali e religiose,
su cui pesano le tremende parole di Gesù: «Chi mette
mano all’aratro e si volge indietro non è degno del
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Regno dei cieli» (Lc 9,62). Il demonio, il mondo, la
carne – i tre nemici mortali dell’uomo – hanno travolto e distrutto un numero impressionante di consacrati, con grande scandalo e gravi scompigli tra i fedeli.
La prima reazione, al solito, di fronte allo scandalo di un consacrato che tradisce l’amore di Gesù, è
una critica amara e spietata. A volte si impreca e si
maledice, restando con la fede scossa e minacciando
persino di perderla.
Ma non è giusto tutto questo. Perché? Perché dovremmo anzitutto farci un esame di coscienza. Di
fronte alle critiche rivolte ai sacerdoti fuori strada,
san Nicolao della Flüe, Patrono della Svizzera, così ribatteva con coraggio e lealtà: «E tu, quante volte hai
pregato per la santità dei sacerdoti?... E dimmi: che
cosa hai fatto per ottenere alla Chiesa buone vocazioni?... ».
Si potrebbe anche rispondere come rispondeva il
celebre oratore e statista cattolico, Donato Cortes, a
chi gli parlava delle defezioni fra i sacerdoti: «Di
fronte alle eccezioni (i sacerdoti fuori strada), vedo
uno stuolo immenso di anime coerenti a prezzo di sangue; e mi rifiuto di perdere la confidenza negli apostoli, per il fatto che tra essi ci fu un Giuda».
Si rifletta, inoltre, che i consacrati sono la parte
più preziosa di tutta la Chiesa perché sono chiamati
da Gesù a essere l’ossatura della Chiesa. Senza di essi,
la Chiesa non può reggersi, e per questo tutti siamo tenuti a sostenerli con le nostre preghiere e con i nostri
sacrifici, perché essi non ci manchino, perché non
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vengano meno, perché ci siano sempre di guida e di
aiuto a salvarci, perché siano sempre «sale della terra
e luce del mondo» (Mt 5,13).
Il celebre Bing Crosby, diventato fervente cattolico, scrisse una volta un articolo in cui espresse queste
convinzioni che certamente fanno onore ad una fede
leale e coraggiosa: «Nel mio libro queste sono le mie
stelle: il sacerdote, le suore, i religiosi. Sono essi che
fanno la storia. Quanto a noi, gente del cinema e di
Hollywood, facciamo i nostri affari e guadagnamo denaro; dopo un po’ di tempo ce ne andiamo, il denaro
svanisce, e di noi non resta niente. Ma questi altri fabbricano i regni spirituali, edificano e rafforzano le idee
che influenzeranno le generazioni per molti anni».
Una bimba entra in una chiesa con la mamma, vede una grande grata e sente le monache che pregano
in coro. Domanda alla mamma: «Che cosa fanno le
monache?». «Le monache – risponde la mamma – pregano per noi, affinché non sbagliamo la strada che ci
porta in Paradiso».
È proprio così. I consacrati, gli eletti del Signore
sono i battistrada per il Regno dei cieli. Se vengono
meno loro, se essi non vogliono più “seguire Gesù”,
noi ci troveremo sbandati, come «pecore senza pastore» (Mc 6,34), in pericolo serio di smarrirci lontani
dalla via della salvezza.
Realizzare «l’amore sommo a Dio», come insegna
anche il Concilio Vaticano II, e per questo amore a
Dio operare all’edificazione della Chiesa e alla salvezza eterna dei fratelli: ecco il “perché” Gesù chiama al54
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Gesù chiama i «suoi » a seguirlo
sulla strada dell’amore verginale,
totalitario, senza riserve.
Questa strada è la sua stessa vita,
è la sua stessa Persona.
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cuni a seguirlo più perfettamente su una strada speciale, intima, riservata solo ai «suoi», a quelli che
«egli stesso volle» (Mc 3,13).
E gli «eletti» hanno svolto nella Chiesa e per la
Chiesa il compito loro assegnato di incarnare Gesù nei
suoi vari aspetti. Ad esempio, Gesù Sommo Pontefice,
in san Pietro e san Pio X; Gesù Pastore, in sant’Alfonso de’ Liguori; Gesù Sacerdote, nel santo Curato
d’Ars; Gesù Maestro, in sant’Agostino e san Tommaso;
Gesù che predica in sant’Antonio e san Bernardino;
Gesù contemplativo, in san Bernardo e santa Teresa;
Gesù fra gli ammalati, in san Camillo e santa Maria
Bertilla; Gesù fra i ragazzi, in san Giovanni Bosco e
santa Maria Mazzarello; Gesù fra i poveri, in san Vincenzo de’ Paoli e in san Luigi Orione; Gesù che rimette
i peccati, in san Leopoldo e in san Pio da Pietrelcina;
Gesù che ama sua Madre, in san Luigi Grignion di
Montfort e in san Massimiliano M. Kolbe; Gesù che
ama la Chiesa, in san Gregorio VII e santa Caterina.
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Giovane che leggi, rifletti nel tuo cuore. Non ami
tu la perfezione dell’amore? Ma dove la troverai?
Non certo in una creatura, anch’essa fragile e limitata. Ascolta Gesù che dice «Se vuoi essere perfetto, va’,
vendi tutto..., vieni e seguimi» (Mc 10,21). Ascolta in
profondità queste parole divine. Le ascoltarono gli
Apostoli e dopo di loro schiere di santi e sante in ogni
tempo: san Benedetto e santa Scolastica, san Bernardo e santa Geltrude, san Francesco e santa Chiara,
sant’Antonio e santa Caterina, sant’Ignazio e santa
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Teresa, san Giovanni Bosco e Santa Bernardetta, fino
a san Massimiliano M. Kolbe, a san Pio da Pietrelcina, e alla beata Madre Teresa di Calcutta...
Vuoi trovarti in loro compagnia?
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PERCHÉ GESÙ CHIAMA SOLTANTO ALCUNI?
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Non c’è che una risposta: Gesù chiama soltanto alcuni, per una misteriosa predilezione d’amore.
Ogni altra risposta cadrebbe nel vuoto.
Perché Gesù ha prediletto i dodici Apostoli? Perché ha prediletto san Giovanni fra i dodici? Perché ha
amato particolarmente Lazzaro, Maria e Marta?
La risposta è sempre una sola: per una misteriosa
predilezione d’amore.
Al giovane del Vangelo, che chiese a Gesù quale
fosse la via della perfezione, Gesù, prima di rispondergli, «guardatolo, lo amò», e poi gli disse: «Se vuoi
essere perfetto, va’, vendi tutto..., poi vieni e seguimi»
(Mc 10,21).
Prima di chiamare, quindi, Gesù guarda e ama colui che vuol chiamare. Questo sguardo e questo amore
sono un mistero del suo Cuore.
Il papa Paolo VI ha definito appunto «un mistero»
la scelta di alcuni da parte di Gesù. Ed è vero. Non
sappiamo e non possiamo dire altro.
C’è un ragazzo timido e fragile: Gesù lo predilige e
lo sceglie fra tanti ragazzi. È san Domenico Savio.
C’è un giovane ardente, proteso verso l’avvenire:
Gesù lo vuole per la sua gloria, e lo chiama a sé. È san
Gabriele dell’Addolorata.
C’è una ragazza spensierata e pura, che pensa al suo
futuro sognando: Gesù la predilige e la sceglie per sua
sposa e madre di molte anime. È santa Chiara d’Assisi.
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C’è un uomo maturo, navigato negli affari e nelle
vicende di questo mondo: Gesù lo chiama a navigare
sulla barca di Pietro, per essere «pescatore di uomini» (Mt 4,19). È sant’Ignazio di Loyola.
C’è un operaio, un contadino, uno studente, un
professionista.. che sembrano andare sicuri per la loro
strada: Gesù li ferma, li ama, li invita, li sollecita: «se
vuoi esser perfetto...». È san Felice da Cantalice, san
Camillo de Lellis, san Francesco Saverio, sant’Alfonso
de’ Liguori.
C’è una donna che porta avanti un gran lavoro
dentro e fuori casa: Gesù l’attira al suo Cuore, le svela
l’amore infinito, le offre una vita di carità nell’immolazione della pura contemplazione o dell’attività apostolica. È santa Giovanna Francesca di Chantal, santa
Margherita Alacoque, santa Francesca Saverio Cabrini.
Gesù ha i segreti del suo amore, che per noi restano misteri; ma sono sempre amore, amore di predilezione, amore di eccezione, amore di intimità e di pienezza d’amore con la creatura amata.
Per questo la risposta di chi è chiamato dovrebbe
essere ardente e generosa, piena di interminabile gratitudine, a imitazione di quei santi che anche da vecchi baciavano le mura del convento, benedicendo e
ringraziando il Signore del dono sublime della vocazione.
Il giorno della sua Professione religiosa santa
Margherita M. Alacoque, in un impeto di incontenibile
gratitudine e di ricambio d’amore a Colui che l’aveva
tanto prediletta, scrisse queste parole con il suo san59
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gue: «Suor Margherita Maria, morta al mondo. Tutta
di Dio e niente mia. Tutta a Dio e niente a me. Tutta
per Iddio e niente per me».
Devono aver compreso, o almeno intuito, il valore
straordinario di questa “scelta d’eccezione”, come dice il Vaticano II, tutti coloro, grandi e piccoli, che
hanno affrontato gravi ostacoli e sopportato dure tribolazioni, pur di non perdere un tesoro così prezioso.
Pensiamo alle intrepide ragazze santa Chiara d’Assisi e santa Teresa d’Avila che non temettero di scappare letteralmente di casa, per poter entrare in monastero. Lo stesso dovettero fare san Tommaso d’Aquino, inseguito dai fratelli, san Stanislao Kostka, san Gerardo
Maiella. Questi sono esempi belli ed eroici, che testimoniano la potenza dell’amore divino e l’energia invincibile dei cuori vergini.
Non meno belli sono gli esempi di chi ha dovuto
affrontare difficoltà economiche e prove di varie specie, per realizzare la sua vocazione.
Nella vita di san Pio X leggiamo questi particolari
edificanti sulla sua fedele e coraggiosa corrispondenza
alla chiamata di Dio.
A dodici anni, Giuseppe Sarto chiese ai genitori di
poter studiare, per diventare sacerdote. L’altare lo attirava fortemente. Gli piaceva tanto servire la Santa
Messa. La figura del sacerdote che celebrava la Santa
Messa lo affascinava, lo faceva sognare.
I genitori poverissimi, ma ricchi del santo timor di
Dio e della fiducia nella Provvidenza, non esitarono a
concedergli di studiare per entrare in Seminario.
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«Se vuoi essere perfetto, va’,
vendi tutto..., poi vieni e seguimi».
(Mc 10,21)
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Ma come fare? Decisero di mandare il ragazzo a
scuola a Castelfranco Veneto, un paese a sette chilometri da Riese. A sera, al ritorno, sarebbe andato a lezione di latino dal Parroco del paese.
Ebbene, ogni giorno, per tre anni, il ragazzo andava a scuola a piedi sotto il sole o la pioggia, e per
non consumare le scarpe, appena fuori paese, le portava a tracollo, legate a uno spago, insieme all’involtino con un pezzo di pane per mangiare.
A scuola, però, Giuseppe Sarto era il più bravo e
il più buono. Vinceva tutti i premi. Era allegro e caritatevole. I maestri lo guardavano ammirati.
A pensarci, quanti dovettero essere gli eroismi di
questo ragazzo, per corrispondere alla chiamata di
Gesù? Quattordici chilometri a piedi nudi, sotto il sole
o la pioggia, per più anni, con un tozzo di pane... Ragazzo mirabile!
Entrato finalmente in Seminario, cosa avvenne
qualche anno dopo? Morì il papà, lasciando una vedova con otto teneri figlioli. Il momento fu drammatico.
Che cosa fare? Tornare a casa per lavorare e aiutare
la famiglia? No, Giuseppe e sua mamma si affidarono
più alla provvidenza: «Affida al Signore la tua via ed
egli compirà la sua opera» (Sal 36,5). Proprio così.
Giuseppe continuò a studiare in seminario, riportando sempre i risultati più brillanti, con la nota di “eminentemente distinto”. E così andò avanti, sempre povero, ma sempre bravissimo.
Per riferire un altro esempio, ricordiamo le prove
non meno dure, che dovette superare santa Maria
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Giuseppina Rossello nel corrispondere alla chiamata
di Gesù.
«Maria Giuseppina Rossello, figlia di un modesto
artigiano ligure, un giorno fu interrogata dal padre:
- Ma perché sei sempre così seria e pensierosa?
- Papà, vorrei farmi suora – rispose essa.
- Figlia mia – rispose il buon padre, che manteneva la famiglia intrecciando vimini e giunchi per far canestri, e impagliando sedie – sai bene che ci vuole una
dote, come per chi va sposa; e noi siamo poveri...
Maria si rassegnò a entrare come domestica presso
due coniugi anziani e senza figli i quali ben presto le si
affezionarono talmente, da offrire la loro vistosa eredità, ma a una condizione: che non si facesse suora...
Fu una grossa tentazione: diventare ricca con la
possibilità di aiutare i genitori, specialmente il padre,
che ancora intrecciava e impagliava, sebbene molto
malato.
Maria rifletté a lungo sulla lusinghiera proposta;
ma alla fine rinunciò a quell’offerta, per seguire l’ideale lungamente vagheggiato» (Fr. REMO DI GESÙ, Catechesi in esempi, III, p. 1090).
Per la rinunzia a una ricca eredità terrena, l’umile
Maria Giuseppina si consacrò a Gesù e divenne una
grande santa e fondatrice di una Congregazione di
Suore.
Non dimentichiamoci che le parabole del Vangelo,
più direttamente riguardanti il dovere della corrispondenza alla grazia della vocazione, sono quelle del
«tesoro nascosto nel campo» (Mt 13,44) e della «perla
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preziosa» (Mt 13,45). In tutte e due le parabole è
identico il comportamento dei due fortunati scopritori
del tesoro e della perla: ambedue vendono tutto per
possedere il tesoro e la perla.
La vocazione è un tesoro, la vocazione è una perla
preziosa. Chi la riceve sa come deve comportarsi secondo la parola di Gesù: vendere tutto.
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Giovane che leggi: se fossi anche tu uno dei chiamati da Gesù? Vorresti rifiutare questo “tesoro”, questa “perla preziosa” della vocazione? Ti rendi conto
della responsabilità che avresti per un simile rifiuto?
Rifletti bene e ascolta il Signore nel tuo cuore. Forse
Egli ti sta guardando, ti sta amando, sta dicendo anche a te: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto... poi
vieni e seguimi!» (Mc 10,21).
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COME CHIAMA IL SIGNORE ?
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Di solito Gesù chiama i «suoi» nella maniera più
semplice e naturale. Depone nel cuore del ragazzo o
della fanciulla una sottile aspirazione, una tensione
dolce alle cose di Dio, all’amore di Gesù, all’imitazione dei Santi e delle Sante, alla santità anche la più
eroica.
Per convincerci basta pensare a quando erano ragazzi, ad esempio, san Giovanni Bosco, san Pio X, san
Massimiliano, san Pio da Pietrelcina – per citare solo
alcuni più vicini a noi –. Pensiamo anche a quando erano fanciulle santa Bernardetta, santa Teresina, santa
Gemma, santa Bertilla, Santina Campana...
Scopriamo che, in tutti questi cuori di fanciulli e
di fanciulle, era presente e in azione, fin da allora,
quel filo d’oro della vocazione, sviluppatosi poi sempre più consistente e più fulgido.
Dobbiamo subito dire, però, che ogni cuore umano
è un piccolo mondo a sé stante, anzi è un piccolo mistero
noto solo a Dio; perciò in ognuno vi sono caratteristiche
e sfumature particolari incomunicabili. Ciò nonostante,
però, il modo comune, in certo senso universale, di sentirsi chiamato da Gesù sta in quell’attrazione e tendenza
spontanea verso le realtà sacre e divine.
Sarà poi la guida spirituale – sempre necessaria –
a discernere e determinare sia la presenza di una reale vocazione, sia la eventuale giusta maturazione per
una risposta pronta e sollecita. Il Parroco, il Confesso65
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re, il Direttore o consigliere spirituale hanno questa
gravissima responsabilità, perché ad essi principalmente è dato il compito di suscitare, coltivare, far maturare la vocazione e far corrispondere ad essa il più
presto possibile.
Nei giovani e negli adulti, invece, la vocazione si
manifesta con aspirazioni più riflesse e meditate.
Salvarsi l’anima dai pericoli del mondo, santificarsi,
espiare i peccati propri e altrui, imitare perfettamente la vita di Gesù, voler essere apostolo per salvare le anime dei fratelli: sono tutte ispirazioni queste, e aspirazioni soprannaturali, l’una o l’altra delle
quali si radica nella mente e nel cuore, sospingendo
alla rinuncia al mondo per donarsi a Gesù e seguire
Lui.
Quando san Gerardo Maiella scappò di casa, calandosi giù da una finestra, alla mamma che gli gridava «che fai?... dove vai?...», rispose con decisione:
«Mamma, vado a farmi santo!».
San Francesco d’Assisi lasciò tutto, per imitare
Gesù povero e crocifisso. Santa Chiara scappò di casa,
per immolarsi nella contemplazione e nella penitenza.
Sant’Alfonso lasciò la carriera di avvocato del Regno
di Napoli, per consacrarsi all’evangelizzazione dei più
poveri. Santa Francesca Saverio Cabrini sacrificò tutto, per diventare l’apostola degli emigranti.
E così di seguito. Ogni vocazione ha una segreta
molla ispiratrice, che configura la vita del “chiamato”
a quella di Gesù, con il potere di incarnare Gesù nelle
sue virtù e nelle sue opere, in crescendo continuo di
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conformità d’amore trasformante, fino al punto di ripetere con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è
Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
A volte, poi, Gesù chiama in modo imprevisto, occasionale, si direbbe quasi strano.
San Giovanni di Dio, ad esempio, era né più né
meno che uno scapato. Ex soldato, ex pastore, ex venditore ambulante, ex rilegatore di libri... Vagava da un
posto all’altro, da un mestiere all’altro, a casaccio,
senza testa. Ebbene, una sera entrò in una chiesa e
ascoltò una predica di san Giovanni d’Avila. Ascoltò
con attenzione. Rimase colpito. Rientrò in se stesso.
Rifletté profondamente sul suo stato miserevole, e decise con tutte le forze di donarsi subito a Dio. Fu così
rapido e concreto il suo cambiamento che lo presero
per pazzo: e invece stava diventando santo.
Anche la santa Maria De Mattias, Fondatrice delle
Suore del Preziosissimo Sangue, sentì prepotente la
voce di Gesù nel cuore, ascoltando una predica di san
Gaspare del Bufalo e si impegnò subito a realizzare il
dono totale di sé a Dio.
Ricordiamo sant’Ignazio di Loyola costretto all’immobilità da una ferita alla gamba; voleva leggere romanzi, com’era solito fare; ma in quel luogo c’era solo
un libro sulla vita di Gesù e alcune vite di Santi. Per
vincere la noia, sant’Ignazio si mise a leggere questi libri. E avvenne la sua radicale trasformazione.
Lo stesso capitò al beato Carlo De Foucauld: Gesù
lo scosse e lo chiamò per mezzo di un libro spirituale,
che gli folgorò la mente e il cuore.
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Nelle cronache dei Gesuiti si legge che san Francesco Borgia, duca di Gandia, decise di abbandonare i
fasti del mondo e il suo ricco ducato, allorché assistette allo spettacolo ben triste del cadavere in decomposizione della regina Isabella. Quella meditazione sulla
morte lo portò ad abbandonare il mondo e ad entrare
fra i Gesuiti, insieme a molti altri nobili spagnoli.
Un caso, ancora più strano di scoperta della vocazione, è questo. Un papà di famiglia cerca un giovane
istruttore per i suoi figli. Ne incontra uno che gli appare molto buono, anche se molto povero, al punto che
porta avanti gli studi fra continui stenti. Lo prende in
casa, e rimane molto ammirato dalle sue doti non comuni, tanto che gli parla del Sacerdozio e gli promette
ogni aiuto.
Il giovane, però, è esitante perché gli sembra una
cosa troppo grande e sublime. Accetta, comunque, di
consigliarsi con persone esperte e prudenti. I consigli
che riceve sono tutti favorevoli. Allora si decide ed entra in Seminario: diventerà il grande san Vincenzo de’
Paoli.
Il servo di Dio Don Calabria, quando era ragazzo,
figlio di povera famiglia veronese, riuscì a trovare un
posticino di lavoro come garzone in una chincaglieria.
Per disattenzione involontaria, un giorno imbrattò un
diploma mentre lo incorniciava. Il padrone, irritatissimo, lo licenziò su due piedi gridandogli: «Va’ a farti
prete, perché non sei buono ad altro!...».
Il povero ragazzo lo guardò con occhi di pianto, e
poi rispose: «Sicuro, signor padrone, mi faccio prete!».
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Di solito Gesù chiama i «suoi»
nella maniera più semplice e naturale.
Depone nel cuore del ragazzo
o della fanciulla una sottile aspirazione,
una tensione alle cose di Dio...
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Aiutato dalla carità di un buon sacerdote, pur
stentando ogni giorno la vita riuscì a frequentare il
Seminario e a raggiungere il Sacerdozio. In seguito divenne Fondatore dei Poveri Servi della Divina Provvidenza e il papa Pio XII lo definì «campione di evangelica carità».
Per qualcuno, infine, come per san Paolo apostolo, la chiamata del Signore è travolgente, si direbbe
violenta: «La sua voce era simile al fragore di grandi
acque» (Ap 1,15).
Per ogni eletto, comunque, la chiamata del Signore è personale, tutta intima e segreta. È operazione
d’amore divino. Esige apertura di cuore nell’accogliere il dono. Esige gratitudine umile e gioiosa: «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?» (Sal
115,12), «Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci
ha colmati di gioia» (Sal 125,3). Esige generosità e
prontezza della risposta a Colui che ama alcuni con
amore di predilezione: «Presentatevi a lui con esultanza... Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi
atri con canti di lode...» (Sal 99,2-4).
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Giovane che leggi, rifletti. Forse Gesù ti ha già
fatto sentire l’attrazione verso di Lui, verso la sua vita povera, verginale, obbediente. Ma forse tu hai permesso alle tue passioni di soffocare quell’attrazione,
per soddisfare le voglie dei sensi e le tendenze della
natura verso le creature terrene. Apri gli occhi e il
cuore. Non fare un cambio del genere. È fatale! Fai
ancora in tempo, prima che il Signore «si sdegni, e tu
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perdi la via» (Sal 2,12). Se corrisponderai alla sua
chiamata «sarai una magnifica corona nella mano del
Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio»
(Is 62,3).
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QUANDO RISPONDERE
ALLA CHIAMATA Dl GESÙ ?
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Bisogna rispondere s u b i t o.
Subito: questo avverbio di tempo sta scritto due
volte nel Vangelo, proprio quando narra la risposta di
san Pietro e sant’Andrea, di san Giacomo e san Giovanni alla chiamata di Gesù.
Narra il Vangelo che Gesù incontrò i due fratelli
Pietro e Andrea, mentre gettavano le reti in mare. Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». I due fratelli non ebbero un attimo di indugio, ma
«s u b i t o, lasciate le reti, lo seguirono» (Mt 4,18-9).
Poco oltre Gesù incontrò altri due fratelli pescatori,
Giacomo e Giovanni, che stavano rassettando le reti nella
barca, con il loro padre. Gesù chiamò anche loro, ed essi
«s u b i t o, lasciata la barca e il padre, lo seguirono»
(Mt 4,22). «Subito»: così bisogna rispondere alla chiamata di Gesù. Lasciare senza indugi ogni cosa, staccarsi con
prontezza anche dalle cose più care – genitori, casa, lavoro – per donarsi a Gesù. Non può e non deve esserci altro modo di corrispondere alla divina chiamata.
San Paolo, rovesciato da cavallo, accecato da luce
misteriosa, sente il lamento del Signore («Saulo, Saulo,
perché mi perseguiti?...») e gli chiede con prontezza:
«Signore, che vuoi che io faccia?». Alla risposta di Gesù egli, l’ardente e terribile persecutore, diventa docile
e mite, pronto a fare quello che Gesù gli ha chiesto, a
farsi condurre dove Lui ha detto.
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Del resto, che cosa ci può essere di più bello della
chiamata a essere interamente di Gesù, suo ministro o
sua sposa? Non è forse questo il più grande onore che
Dio fa a una creatura, che tanti vorrebbero, ma non
l’hanno?
«Quando Cristo chiama – ammonisce san Giovanni
Crisostomo – esige da noi un’obbedienza così pronta,
che non dobbiamo indugiare neppure un istante». Ogni
indugio o rimando non può venire che dal maligno, e può
essere fatale, come Gesù stesso fece capire a quel giovane
che voleva ritardare un poco a seguirlo, per andare prima a salutare i parenti: «Chi mette mano all’aratro e si
volta indietro, non è atto al Regno dei cieli» (Lc 9,66).
A un altro giovane, poi, che chiese di poter andare
almeno a seppellire suo padre, prima di seguirlo, Gesù
disse queste dure parole: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti!» (Lc 9,62).
Non si può scherzare con la vocazione. È un dono
immenso. Ci viene offerto e ci può essere ritirato anche
al primo indugio, con gravi conseguenze per noi e con
grande dispiacere del Signore. Per questo sant’Alfonso
de’ Liguori dice che «quando Dio chiama a uno stato
più perfetto, chi non vuole mettere in gran rischio la
sua salvezza eterna, deve obbedire ed obbedire subito»;
e ancora: «Le chiamate divine a vita più perfetta certamente sono grazie speciali, e molto grandi, che Dio non
fa a tutti: per questo ha molta ragione, poi, di sdegnarsi
con chi le disprezza».
Ma a quale età conviene lasciare la propria casa?
Orientativamente, l’età dei 15-16 anni è ottima sia per
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i ragazzi che per le ragazze, purché siano consigliati
da una guida spirituale saggia e soprannaturale. Meglio prima, magari, anziché dopo.
A una madre che stava per accompagnare il figlio
quindicenne al Noviziato, un’amica volle dare questo
consiglio: «Rimanda un po’ di tempo: lasciagli prima
conoscere e godere un poco il mondo...».
«Ah, che razza di consiglio mi dai! – rispose la
madre – Così poi offrirò a Dio un frutto guasto...».
Saggia e santa risposta. Ma sono molti, purtroppo,
a ragionare da insensati quando affermano che i loro
figli innocenti, chiamati da Dio, debbono prima conoscere il mondo, rendersi conto del male, e poi decidere. Questa è solo follia! Sentite questo episodio tratto
dalle Cronache giudiziarie di Anversa:
«Una ragazza era stata sempre una giovane buona
e pia. Un giorno, anzi, manifestò al padre il desiderio
di farsi suora; ma egli, per stornarla da tal proposito,
le donò libri osceni: – Leggi prima questi libri, poi deciderai –. Quei libri pervertirono in breve tempo la
giovane, la quale arrivò all’orrendo delitto di uccidere
il padre... La Corte di Assise di Anversa condannò a
10 anni di lavori forzati Maria Smolders, rea di parricidio...» (Su Via Verità Vita, sett. 1954, p. 429).
Non c’è chi non comprenda che sarebbe davvero
brutta ingratitudine se, a un dono di predilezione così
prezioso e raro, anziché rispondere subito e con gioia,
si rispondesse con l’indugio e con il rimando che possono anche compromettere tutto.
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San Tommaso d’Aquino, il Dottore Angelico che
tanto dovette soffrire per poter subito “seguire Gesù”,
ci spiega il dovere della prontezza nel rispondere alla
chiamata di Gesù, dicendo che i lumi speciali del Signore di solito non sono permanenti, ma passeggeri;
per questo «l’invito a una vita più perfetta deve essere
seguito senza ritardo», altrimenti la voce del Signore
passa oltre, e chiama altri.
Quando san Francesco d’Assisi ebbe quel sognovisione a Spoleto, in cui il Signore gli chiese perché
mai lasciasse il padrone, per correre dietro al servo (a
combattere nelle Puglie), san Francesco rispose anch’egli al pari di san Paolo: «Signore, cosa vuoi che io
faccia?». E il Signore a lui: «Torna nella terra che ti
ha visto nascere...». San Francesco obbedì prontamente all’invito e lui, il re della gioventù di Assisi, brillante e ardimentoso come pochi, dovette affrontare con
non minor coraggio il disonore del ritorno ad Assisi
quasi come un vile disertore, senza che nessuno potesse spiegarsi quella apparente diserzione.
Proviamoci ora a immaginare e a chiederci: che cosa mai sarebbe stato di san Francesco se non avesse subito corrisposto all’invito del Signore, ma avesse proseguito per le Puglie?...
Se la vocazione è un dono straordinario, viene da
sé che, lungi dall’indugiare, è necessario affrettarsi
per non rischiare di perdere un bene così grande e
per non tardare neppure di un giorno a vivere nella
casa dello Sposo.
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Aveva compreso bene tutto ciò l’angelica santa Teresina quando rifiutò il dono di un viaggio in Terra
Santa, solo perché le avrebbe fatto ritardare di un mese l’entrata al Carmelo.
Avevano compreso bene tutto ciò le intrepide vergini santa Chiara d’Assisi e santa Teresa d’Avila,
quando organizzarono la fuga dalla loro casa paterna,
per non tardare oltre a consacrarsi totalmente al Signore.
Quando santa Francesca de Chantal, rimasta vedova, ebbe sistemato i figli e la casa, decise di abbandonare tutto per consacrarsi a Dio nella vita religiosa,
sotto la guida di san Francesco di Sales. Il figlio Celso
Benigno, però, non voleva assolutamente questo distacco e, per impedire alla mamma l’uscita dalla casa,
si distese a terra sul vano della porta. L’eroica madre,
a quella vista, pianse lacrime amarissime, ma poi passò sopra al figlio, per seguire la voce di Gesù.
La fuga ardimentosa, lo strappo violento..., tutto
bisogna essere pronti a fare per Colui che «mi ha
amato e ha immolato se stesso per me» (Gal 2,20),
per Colui che ora mi chiama fra «i suoi», perché io sia
interamente, esclusivamente suo, senza il cuore «diviso» (1Cor 7,33), tutto consacrato alla gloria di Dio e
alla salvezza delle anime. Se penso a tutto questo, mi
affretterò davvero e correrò alla chiamata del Signore,
così come si affrettò e corse il piccolo Samuele quando
sentì chiamarsi nel sonno dal Signore, a cui subito rispose: «Eccomi» (1Sam 3,5).
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Tutto bisogna essere pronti a fare per Colui
che mi chiama fra i «suoi»,
perché io sia interamente,
esclusivamente suo...,
tutto consacrato alla gloria di Dio
e alla salvezza delle anime.
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Giovane che leggi, forse una punta di rimorso ti
brucia dentro? Se pensi ai tuoi rimandi a catena, per
esaminarti seriamente sulla tua vera vocazione, comprenderai come stai rischiando brutto. Entra in te,
ascolta, rifletti e medita. Fa presto a dire «eccomi, Signore». Non indugiare e non temere. Confida nel Signore come faceva san Paolo che scriveva: «Tutto
posso in Colui che mi sostiene» (Fil 4,13). Ciò che
adesso ti può sembrare difficile e forse ti fa ritardare, ti sarà reso via via più facile appena ti muoverai,
come dice il Salmista: «Beato chi trova in te la sua
forza e decide nel suo cuore il santo viaggio... Cresce
lungo il cammino il suo vigore» (Sal 83,6 e 8).
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GENITORI BUONI E... NON BUONI
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«Quando Peppino Sarto, a undici anni, il giorno
della Prima Comunione, confidò ai genitori: – Voglio
farmi prete! – la mamma sorrise di gioia; ma il padre,
Giovan Battista Sarto che guadagnava trenta lire al
mese e doveva mantenere otto figli, pensando di non
poter pagare per mantenere il figlio in Seminario, restò turbato e trepidante.
Rincorato dal Parroco che gli faceva notare le disposizioni straordinarie del ragazzo per il Sacerdozio,
chinò il capo e, da cristiano dello stampo antico, rispose tra il rassegnato e il contento: – Se Dio lo vuole,
se lo prenda! È suo...» (FR. REMO DI GESÙ, Virtù in
esempi, I, p. 843).
Ecco un esempio bellissimo di genitori santi che
hanno avuto un figlio santo.
E insieme ai genitori di san Pio X, dobbiamo ricordare i genitori di san Giovanni Bosco, di santa Teresina, di santa Gemma, di san Massimiliano, di san Luigi
Orione, di Santina Campana, di san Pio da Pietrelcina.
Figure di cristiani robusti, adamantini nella fede, esemplari nella vita.
Più indietro nel tempo, ricordiamo soprattutto le
sante mamme come santa Monica, mamma di sant’Agostino; santa Silvia, mamma di san Gregorio Magno;
Macrina, mamma di san Basilio; Antera, mamma di
san Giovanni Crisostomo.
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Nella vita di san Giovanni Bosco leggiamo questo
esempio di una mamma cristiana meravigliosa: «La sera di Ognissanti 1851, Don Bosco tenne la predica nella
Parrocchia di Castelnuovo d’Asti, suo paese nativo.
Lo guidò al pulpito un chierichetto che attirò la
sua attenzione.
Ritornato in sagrestia, lo interrogò su che cosa
pensava di fare nella vita.
- Vorrei venire a Torino con lei per farmi prete!
- Bene! Sentiamo tua madre.
La madre venne: - È vero, Teresa, che voi consentireste a vendermi vostro figlio?
- A vendervelo? Oh, no! Da noi i ragazzi si danno
in regalo; ma non si vendono…
Don Bosco guardò quell’umile contadina, che denotava una grandezza d’animo non comune; poi disse
risoluto: - Accetto il regalo!
Le vere mamme cristiane non solo donano volentieri i figli al Signore, ma trepidano e pregano perché i
figli siano fedeli alla chiamata di Dio. E quante volte
proprio le mamme hanno salvato la vocazione dei figli
in momenti cruciali? Così capitò a san Massimiliano
Maria Kolbe. Alla vigilia della vestizione religiosa, una
brutta suggestione del demonio l’aveva convinto ad
andare dal Superiore, per rifiutare la vestizione dell’abito di san Francesco. Proprio mentre stava andando, però, arrivò la mamma per una visita: subito la
mamma si rese conto dello stato d’animo del figlio, e
bastarono poche parole per fugare quella brutta suggestione, ridonando la serenità al giovane.
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Che cosa dire della mamma di san Giovanni Bosco? Per far studiare il figlio come seminarista, ella si
toglieva letteralmente il pane di bocca; ma era contenta della povertà e non esitava ad ammonire il figlio:
«Quando sarai prete, se per tua disgrazia diventassi
ricco, io non verrei a farti nemmeno una visita!».
Gli esempi dei genitori che hanno saputo donare
con gioia i loro figli a Dio, premurosi della loro vocazione, sono davvero commoventi. Soprattutto perché è
garanzia, questa, che essi non hanno generato e allevato i loro figli solo fisicamente, ma anche spiritualmente, formandoli alla pietà, alla visione cristiana della vita. Talvolta hanno saputo creare, in seno alla famiglia, un’atmosfera impregnata molto più di cielo che
di terra.
Sentiamo, ad esempio, che cosa dice santa Teresina della sua famiglia che ogni sera recitava il Santo
Rosario e ascoltava le parole del papà e della mamma:
«Udendo i nostri genitori parlare di eternità e di cose
sante, ci sentivamo disposte a considerare le cose del
mondo come tante vanità, quantunque avessimo ben
pochi anni di età...».
La vocazione è un seme d’oro. Forse il Signore
getta qualche seme in ogni famiglia cristiana. Ma che
terreno è la famiglia?... È terreno simile alla strada? È
terreno pietroso? È terreno spinoso? O è terreno fertile e fecondo? (Lc 8,4-15). Quale responsabilità per
ogni famiglia cristiana, e in primo luogo per i genitori.
Ma il primo grande bene, per i genitori veramente
cristiani, è quello di avere una bella famiglia numero81
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sa. I genitori veramente cristiani sanno accettare come
doni di Dio tutti i figli che Dio manda loro, aborrendo
giustamente ogni mezzo che possa soffocare il cammino
della vita di una creatura, sia prima che dopo il concepimento. Ed è proprio alle famiglie numerose che si deve, in primo luogo, la fioritura delle vocazioni nei tempi passati. Non solo, ma quanti Santi e Sante (oltre che
tanti geni dell’arte e della scienza) noi non avremmo
mai avuto senza le famiglie numerose? Da una statistica, sia pure molto limitata, abbiamo questo elenco di
Santi e Sante appartenenti a famiglie numerose:
5 figli:
6 figli:
7 figli:
8 figli:
9 figli:
10 figli:
11 figli:
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13 figli:
15 figli:
16 figli:
17 figli:
22 figli:
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santa Giovanna d’Arco, san Vincenzo de’ Paoli,
santa Margherita M. Alacoque.
san Carlo Borromeo, san Tommaso d’Aquino,
santo Curato d’Ars.
san Bernardo, sant’Alfonso de’ Liguori.
san Vincenzo Ferreri, san Luigi Gonzaga,
san Roberto Bellarmino, san Luigi Grignion,
santa Bernardetta, san Pio X, san Pio.
santa Teresa di Gesù Bambino, santa Raffaella
del Sacro Cuore, Santina Campana.
san Giovan Battista De La Salle.
san Luigi Re, santa Teresa d’Avila,
santa Caterina Labourè.
san Ignazio di Loyola.
san Giuseppe Benedetto Labre.
san Paolo della Croce.
san Francesco Borgia.
santa Caterina da Siena.
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Le famiglie numerose sono normali vivai di sante
vocazioni. Come non capiscono ciò i genitori di oggi?
Bisogna constatare, purtroppo, che molti genitori, ritenuti cristiani seri all’esterno, sono capaci solo di gridare che la società va male e che il mondo è corrotto,
mentre anche essi profanano il matrimonio perché
non vogliono più di due (o tre) figli, e sono pronti a
qualsiasi vergognosa degradazione dei rapporti coniugali, per anni e anni, pur di impedire l’arrivo della vita, del dono di Dio. Quanto a dare, poi, uno dei due figli a Dio... mai sia!... I due figli devono servire solo all’egoismo dei genitori.
Diceva giustamente il papa Pio XII: «Noi crediamo di non andare errati, se consideriamo il disordine
che sconvolge largamente a fondo il matrimonio e l’istituto della famiglia, come il cancro della società moderna e la rovina per la salvezza delle anime».
Ma che cosa direbbe lo stesso papa Pio XII oggi
che la famiglia ha ogni libertà legalizzata di usare la
contraccezione, di ricorrere all’aborto, di frantumarsi
con il divorzio?... In ogni famiglia, oggi, sono facilmente operanti la bestialità (con la contraccezione),
l’assassinio (con l’aborto), l’autodistruzione (con il
divorzio): tutto con l’aiuto e con la protezione dello
Stato!
Che realtà desolante!
E non è finita. Bisogna anche parlare di tutti quei
genitori che, anziché accettare la vocazione di un figlio – una volta accertata tale vocazione –, la ostacolano e la combattono in tutti i modi.
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A questo riguardo, diciamo anzitutto, con i grandi
maestri di spirito, fra i quali primeggiano san Tommaso d’Aquino e sant’Alfonso de’ Liguori, che i propri
parenti, se non siano persone di fede a tutta prova
(come quelli di santa Teresina o di san Pio X, ad esempio), non sono mai i migliori consiglieri riguardo alla
vocazione e anzi, quasi sempre, sono i primi nemici
(anche nel senso – rarissimo – che vogliano per forza
un figlio prete o una figlia suora).
La carne e il sangue accecano facilmente e irragionevolmente le menti e i cuori dei parenti, pronti anche
a giurare e a spergiurare che non si tratta per nulla di
vocazione, ma che il loro figlio (o figlia) è stato influenzato, è stato plagiato, è stato soggiogato da questo
o quel sacerdote (o suora). Farneticano anziché ragionare. Parlano solo secondo la carne e il sangue, anziché parlare secondo la fede, da veri cristiani.
Si arriva talvolta al punto che, dopo aver fatto
ogni sforzo possibile per ottenere il consenso dei genitori prima di abbandonare la famiglia, quando questi
si mostrassero ingiustamente ostinati e inflessibili, il
figlio o la figlia non possono più obbedire a loro su
questo punto e sarà lecito, anzi doveroso, abbandonarli anche con la fuga dalla casa paterna, come fecero, ad esempio, san Francesco e santa Chiara, santa
Teresa d’Avila e san Gerardo Maiella.
«Bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini»
(At 5,29). È ovvio. E se lo strazio dell’abbandono della
famiglia sarà ancora più violento per la lotta e per la
fuga, Gesù ha previsto anche questo con le sue fiam84
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Le famiglie numerose sono normali vivai di sante vocazioni.
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meggianti parole: «Non sono venuto a portare la pace, ma la guerra. Perché sono venuto a dividere il figlio dal padre...» (Mt 10,34).
Come non ricordare qui la vicenda terribile e le
sofferenze laceranti di san Francesco d’Assisi e del suo
papà? Infelice padre! Deluso nei suoi sogni terreni sul
figlio, si scatena contro di lui con furore misconoscendolo come figlio, diseredandolo come erede, facendolo
cacciare dalla sua terra. E Francesco, povero e nudo,
può ripetere col cuore in alto in alto: «Padre nostro
che sei nei cieli...».
Sant’Alfonso de’ Liguori confidò che la prova più
dolorosa da lui sostenuta in vita fu quella che patì quando comunicò al padre la decisione di lasciare il mondo,
per consacrarsi a Dio. Appena il papà conobbe la decisione del figlio, se lo strinse fra le braccia e piangendo lo
tenne così per tre ore, ripetendogli di continuo: «Figlio
mio, non mi abbandonare! O figlio, figlio mio, io non merito questo trattamento!».
Ma sant’Alfonso, con il cuore non meno straziato,
si tenne forte fino all’ultimo, pensando alle divine parole di Gesù: «Chi ama il padre o la madre più di Me,
non è degno di Me» (Mt 10,37).
Anche santa Teresa d’Avila, ragazza meravigliosa
per bontà e per doti, mise tutta la sua volontà a convincere il buon papà perché la lasciasse entrare in Monastero. Ma il papà rimandava e rimandava, incapace di
privarsi di quel fiore di figlia primogenita, conforto e sostegno della numerosa famiglia. Alla fine Teresa dovette
scappare di casa, con una sofferenza tale che, sulla por86
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ta del Monastero, si sentiva slogare tutte le ossa! Il papà,
dapprima amareggiatissimo, fu poi sempre più felice.
Stiano attenti i genitori che ostacolano la vocazione
dei loro figli! Ripetiamo qui la frase di san Gregorio
Nazianzeno: «Sbagliata la vocazione, tutto è sbagliato
nella vita, tutto va male». Quando si ostacola la vocazione a un figlio o figlia, lo si costringe a sbagliare strada, a essere un infelice, a diventare uno spostato. Non
si scherza con la volontà di Dio. E ogni castigo è possibile, prima o poi, sui genitori e su chi non corrisponde.
Valga per tutti i genitori questo episodio impressionante, tratto dalla vita di san Giovanni Bosco.
«Un giorno si recò a visitare Don Bosco la contessa D... L..., accompagnata dai suoi quattro figliuoli e lo
pregò di volerli benedire. Poi chiese:
- Mi dica, Don Bosco, che cosa sarà dei miei figli?
- L’avvenire lo sa solo Iddio!
- Capisco – replicò la nobil donna –, ma mi dica
qualche cosa, almeno come augurio...
Allora il Santo, scherzando, passò in rassegna i
quattro ragazzi dicendo:
- Questi diverrà un generale; di quest’altro faremo
un grande uomo di Stato; Enrico sarà dottore di grido...
La donna gongolava per sì felici pronostici.
Ora veniva il turno del quarto figlio.
- Di questo faremo un ottimo sacerdote – disse
san Giovanni Bosco.
A queste parole, la madre si esasperò di colpo, perché piena di pregiudizi sulla vocazione sacerdotale ed
esclamò:
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- Giammai! Prete?... Lo vorrei piuttosto veder
morto!
Don Bosco si ritirò freddo, freddo.
Alcuni mesi dopo, Don Bosco fu chiamato d’urgenza nella casa della signora, perché il figlioletto era
gravemente ammalato. Vi andò molto a malincuore,
giusto per le reiterate istanze.
Il piccolo, ormai spacciato dai medici, ricordò alla
mamma le parole dette quel giorno a Don Bosco, il
quale confermò:
- La sua parola, signora, è stata da Dio fissata,
quando fu pronunciata!
Il decreto divino fu irrevocabile.
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Giovane che leggi, rifletti e renditi conto delle
tue responsabilità. Ascolta il Signore nel tuo cuore, e
se ti fa sentire la sua chiamata alla consacrazione,
non farti prendere dalla paura né temere gli ostacoli
che potrebbero venirti dai genitori contrari alla tua
vocazione. Ricorda san Francesco e santa Chiara
d’Assisi nella loro eroica e vittoriosa fuga, per andare incontro al Signore. Abbi coraggio, e non indugiare a imitarli, se necessario. Quando il Signore chiama sa rendere le anime aquile che svettano nei cieli.
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PREGHIERA E VOCAZIONI
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«Pregate il Padrone della messe perché mandi
operai nella sua messe» (Mt 9,38).
Dalle parole divine di Gesù appare evidente che il
dono delle vocazioni è legato alla preghiera, è frutto
della preghiera. Si può dire senz’altro che la preghiera è la genitrice delle vocazioni. Ogni altro mezzo,
ogni altra industria, ogni altra cura e premura per ottenere vocazioni, non valgono né possono mai sostituire la preghiera, la vera genitrice di ogni vocazione.
Si può anche dire, senz’altro, che là dove ci sono
vocazioni è segno che c’è preghiera, mentre là dove
non ci sono vocazioni è segno che non c’è preghiera o
non ce n’è a sufficienza.
Nelle famiglie, nei seminari, nei conventi, nei monasteri, negli Ordini e nelle Congregazioni, se non ci
sono vocazioni o ci sono soltanto con il contagocce, è
segno che la preghiera è poca o insufficiente, è segno
che l’orazione ha ceduto il posto all’azione, con il risultato di perdere solo tempo; è segno che, anziché
pregare, si preferisce battere le vie dell’attività cosiddetta vocazionale (piani, centri, studi, ricerche, esperienze...).
Quanto si è ingenui! Vogliamo forse saperne noi
più di Gesù? Se Lui ci ha raccomandato solo la preghiera per ottenere vocazioni, non è forse evidente
che la preghiera è sostanziale, mentre tutto il resto è
solo marginale?
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San Massimiliano M. Kolbe diceva: «L’attività è
buona cosa, ma rispetto alla preghiera è secondaria e
ancora meno che secondaria...». E proprio lui dimostrò la fecondità primaria della preghiera edificando
due Città dell’Immacolata con schiere foltissime di
frati.
Con la preghiera al primo posto, con la preghiera
intensa, lunga, sofferta, si possono anche usare altri
mezzi, per aiutare le vocazioni; ma senza la preghiera
o con la preghiera a scartamento ridotto, tutti gli altri
mezzi faranno solo fiasco più fiasco.
Non per niente, uno specialista in materia, sant’Annibale di Francia, fondò l’Istituto “Rogate”, ispirandosi appunto alla frase di Gesù: «Pregate il Padrone della messe...». La fioritura di vocazioni apparve
evidente, in rapporto immediato con l’abbondanza della preghiera.
Vogliamo altri esempi della fecondità dell’orazione
in fatto di vocazioni?
Chiediamoci: perché i grandi Patriarchi e Fondatori – san Benedetto e san Bernardo, san Francesco e
santa Chiara, san Domenico e sant’Ignazio, santa Teresa e sant’Alfonso, beata Madre Teresa di Calcutta –
hanno avuto tante vocazioni? Come hanno fatto?... La
risposta fondamentale è una sola: si sono messi anzitutto in ginocchio a pregare, essi e i loro compagni:
pregavano a lungo, per ore e ore ogni giorno, sempre
ardenti e penitenti. Era anzitutto vita di preghiera la
loro vita. «Le ore più importanti nelle mie comunità –
diceva la beata Madre Teresa di Calcutta – sono le
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quattro ore di preghiera comunitaria ogni giorno». E
i frutti della preghiera sono le vocazioni.
Ma chiediamoci ancora: come hanno fatto molte
famiglie cristiane ad avere una e anche più vocazioni?
La risposta è ancora la stessa: molta preghiera genera vocazioni.
Al principio del secolo scorso, ogni giorno una giovane signora faceva un’ora di adorazione al Santissimo
Sacramento, per ottenere che almeno qualcuno dei figli
che le nascevano – e ne nacquero dieci – si consacrasse
a Dio. Perseverò per anni e anni in questa ora di adorazione giornaliera. Ebbene: su dieci figli, nove si consacrarono al Signore e tra essi ci fu colui che divenne
celebre cardinale e scrittore, il Card. Nicola Patrizio
Wiseman, autore dello splendido libro Fabiola.
Un’altra signora, anch’essa inglese, fece ugualmente, per venti anni, un’ora di adorazione al Santissimo
Sacramento, perché il Signore le concedesse figli e figlie consacrati a Lui. Sapeva bene che ogni vocazione
è una sorta di miracolo, e per questo perseverava con
coraggio nella preghiera giornaliera.
Quali i frutti? Le cinque figlie si fecero suore della
carità; sei degli altri otto figli divennero sacerdoti, dei
quali due furono Vescovi e uno Cardinale di Londra, il
card. Umberto Vaughan, venerato anche dagli anglicani. Il figlio Cardinale, parlando della mamma, rivelò
che era un modello di sublimi virtù, innamorata particolarmente del Sacro Cuore, dell’Eucaristia, della Madonna. Egli stesso ricordava di averla vista in ginocchio, per ore intere, davanti al Santissimo Sacramento:
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e questo esempio edificava profondamente tutta la famiglia.
Chi può dire, inoltre, a quante preghiere nascoste,
ignote, non si debbano tante vocazioni sbocciate qua e
là, anche dove nulla sembrava favorirle? Potenza della
preghiera che opera invisibilmente là dove Dio vuole!
A questo proposito, sull’Osservatore Romano del
24 maggio 1929 apparve una testimonianza impressionante su Mons. Ketteler, Vescovo di Magonza: «Celebrando la Santa Messa in un monastero, Mons. Ketteler, vescovo di Magonza (1811-87), rimase stranamente colpito, nel distribuire la Santa Comunione, alla vista di una suora. Quel sembiante gli era apparso altre
volte, ma in circostanze diverse.
Finita la Messa, espresse il desiderio di parlare alla Comunità: tutte le religiose si adunarono in coro;
ma il Vescovo non vi ritrovò quella che tanto l’aveva
impressionato. Chiese se tutte fossero presenti, e seppe
che mancava una vecchia suora, che lavorava in cucina, e desiderava essere dispensata dalle visite.
Venne chiamata, e comparve quando le altre si
erano già allontanate. Interrogata come potesse rendersi ancora utile alle anime, rispose che il lavoro di
cucina l’assorbiva tutta: ma che offriva a Dio le sue
azioni e sofferenze: un’ora per il Papa, una per il Vescovo, una per le Missioni; e che, a notte inoltrata, dedicava un’ora per la conversione di quei giovani intelligenti che sarebbero stati chiamati al sacerdozio, ma
che trascurano la loro vocazione.
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Il dono delle vocazioni è legato alla preghiera, è frutto
della preghiera. La preghiera è la genitrice delle vocazioni.
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Ancora più impressionato, il Vescovo esorta la Suora a continuare il suo meritorio apostolato e la congeda,
benedicendola. Poi narra alla Superiora: “Io debbo la
mia conversione da una vita frivola a questa Suora.
Una notte, nella foga della danza e dell’eccitazione, vidi improvvisamente dinanzi un volto che mi fissava
con intensa pietà. Ne rimasi sbalordito. Meditai su
quella strana apparizione, compresi la leggerezza del
mio operare, e cambiai vita entrando in seminario.
Stamane, nel distribuire la Comunione, ho riconosciuto
inaspettatamente le sembianze, apparsemi in quella
notte, proprio nell’ora nella quale essa prega per i giovani leggeri, che trascurano la loro vocazione. Lasciamola nell’ignoranza del gran bene che mi ha fatto. Essa non ha bisogno di incoraggiamenti, per continuare
nel suo fruttuoso apostolato”».
Quanto è importante, quindi, pregare per le vocazioni, anche senza sapere a chi gioverà la nostra orazione!
Qualcuno potrebbe chiedere: chi non ha la vocazione, può pregare per ottenere la vocazione a se stesso?
Certamente. Se la vocazione è un dono speciale,
Dio può farlo in ogni momento, a qualunque età. Basti
pensare a tutti coloro che hanno cominciato a seguire
Gesù da adulti più che maturi.
In particolare, però, c’è da pensare a tutti quei
giovani (anche già maturi) incerti e vacillanti, che non
si risolvono mai a prendere una decisione, perché dicono di non riuscire a sapere con sicurezza quale via
prendere, quale stato di vita abbracciare: sposato?
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Prete? Monaco? Frate? Suora? Contemplativa? Missionaria?... Che confusione, e che martirio! È un’altalena di stati d’animo tutti incerti. Che cosa fare? È necessario liberarsi presto da tale situazione, perché altrimenti si corre davvero il grave rischio di restare
per tutta la vita in quell’altalena perenne. Ma come
liberarsi?
Si ascolti il suggerimento di un grandissimo maestro
di vocazioni, sant’Alfonso de’ Liguori. Egli consiglia a
questi tali di ritirarsi in un monastero o in un convento,
per otto o dieci giorni di intensa preghiera.
Nel raccoglimento e nella meditazione, innalzino
ogni giorno ferventi suppliche al Signore e alla Madonna. «Mostrami, Signore, la tua via, perché nella
tua verità io cammini» (Sal 85,11), «Fammi conoscere la strada da percorrere... Insegnami a compiere il
tuo volere» (Sal 142,8,10).
Alla fine dei giorni di preghiera prendano una risoluzione, quale che sia, e la mantengano perché è frutto
della preghiera, e il Signore non permette che si resti
ingannati dalla preghiera.
«Se non sei chiamato, fa’ in modo che tu sia chiamato», insegna sant’Agostino. È così. La lunga preghiera può ottenere questo, e talvolta lo ottiene anche in
maniera sorprendente, come avvenne a un giovane
americano, di cui parlò l’Osservatore Romano del 31
luglio 1954: «Un giovane americano sulla ventina, già
capitano dell’esercito, laureato della Scuola di Commercio di Fordham, con una buona posizione alla General Motors ove percepiva uno stipendio molto allet95
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tante, frequentò un piccolo ritiro spirituale presso i Padri Trappisti.
Il primo giorno disse a un compagno: - Questo
non è certo posto per me.
Il secondo giorno fece questa osservazione: - Beh,
dopotutto, non è mica tanto male!
Il terzo: - Bisogna che vada a trovare l’Abate.
Il quarto giorno venne da me. Gli spiegai la vita
del convento e specificai: - Caro Enrico, per dormire
la notte, posso offrirti un solo materasso di paglia, collocato su due tavole di legno. Noi ci corichiamo alle 7
di sera, per alzarci all’1 e mezza di notte. La domenica
ci alziamo prima, perché cantiamo tutti i responsori
alle lezioni di Mattutino.
Come religioso di coro passerai 6-7 ore al giorno in
chiesa, per l’Ufficio cantato e la Messa conventuale...
C’è poi un tempo dedicato alla lettura spirituale e
alla preghiera privata. Anche se diventi Sacerdote,
dovrai sbrigare il lavoro manuale nei campi o nell’officina, come l’Operaio di Nazaret. In altre parole, dovrai fare un olocausto completo di te stesso a Gesù.
E conclusi: - Vedi, Enrico: non si tratta di dare il
95% e neppure il 99,50%, ma il 100%.
Enrico rispose: - Voglio darmi al cento per cento:
voglio dare tutto. Questo pensiero ferve nell’anima
mia. Tornerò qui fra sei mesi.
Tornò dopo tre mesi».
Infine, dobbiamo anche aggiungere che la preghiera è necessaria, è indispensabile per un’altra cosa, ossia
per conservare la vocazione fino alla morte. «Tieni sal96
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do quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona»
(Ap 3,11). Ma da chi può venire la «saldezza» se non
dal Signore? «Sulle tue vie – prega il Salmista – tieni
saldi i miei passi e i miei piedi non vacilleranno...»
(Sal 16,4).
Se tanti consacrati avessero perseverato nella fedeltà alla lunga preghiera quotidiana, non avrebbero
mai tradito il loro Signore.
L’amore si nutre d’amore. L’amore personale si nutre di amore personale. La vocazione è amore personale da parte di Gesù che sceglie. La preghiera è l’incontro, il rapporto di amore personale con Gesù da parte
dell’eletto. Se manca questo rapporto, l’amore si esaurisce, si spegne, la vocazione non può più reggersi.
Per questo si può ben dire che la celebre massima
di sant’Alfonso de’ Liguori: «Chi prega si salva – chi
non prega si danna», va applicata particolarmente ai
consacrati, così: «Chi prega conserva la vocazione –
chi non prega la perde».
Con la preghiera la vocazione è al sicuro non solo,
ma diventa sempre più solida, come vuole e ci raccomanda san Pietro: «Fratelli, cercate di rendere sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione» (2Pt 1,10).
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Giovane che leggi, rifletti nel tuo cuore. Perché
non fai una prova anche tu? Forse non l’hai mai fatta. Mettiti a pregare con intensità. Magari cerca un
luogo di raccoglimento e impegnati in un’esperienza
di preghiera eccezionale, perché tu possa ricevere la
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luce dall’alto e veder chiara la tua via. Ricordati che
è necessario pregare il Signore «perché ci indichi le
sue vie e noi possiamo camminare per i suoi sentieri»
(Is 2,3). Solo Gesù è la Via al Regno dei cieli. «Guardate a Lui e sarete raggianti» (Sal 33,6). Nella preghiera potrai scoprire la tua anima radiosa come
“eletta del Signore”.
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CHIAMATA ALLA SANTITÀ
E PERICOLI NEL MONDO
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Lo sai tu che su cento Santi, settanta sono monaci, frati e suore; venti sono Papi, Vescovi e Preti; cinque o sei sono laici consacrati nel mondo; tre o quattro sono sposati?
I veri vivai di Santi sulla terra, quindi, sono i monasteri, i conventi, le case religiose.
Ricorda e rifletti bene: il 70% dei Santi viene da
quelli che hanno la vocazione religiosa, che ascoltano
la chiamata di Gesù:... «va’, vendi tutto... vieni e seguimi!» (Mc 10,21).
Non ci vuol molto a concludere, allora, che chi
«segue Gesù» diventa Santo più facilmente che se resta nel mondo come laico o come sposato. San Pio da
Pietrelcina diceva saggiamente che «nel mondo poco
si raccoglie e poco si conclude».
Con questo, sia chiaro, non si vuole assolutamente
negare la possibilità di diventare santo nel mondo, da
semplice laico o nello stato matrimoniale. Basti pensare ai molti Santi laici e sposati. Per fare qualche nome, ricordiamo qui san Luigi Re di Francia, sant’Elisabetta Regina d’Ungheria, il beato Colombini, la beata Anna Maria Taigi: figure splendide di sposi e spose,
di padri e madri di famiglia.
Resta però vero che deve essere maggiore e molto
più grave la difficoltà di santificarsi nel mondo, se si
pensa che su cento Santi solo tre o quattro sono di quelli
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sposati. D’accordo, proprio perché non è impossibile,
resta vero che per sé tutti gli sposi cristiani potrebbero e
dovrebbero santificarsi. Di fatto, però, la maggior parte
fa naufragio in quanto a santità, anche se c’è chi raggiunge gradi notevoli di bontà, e senza escludere che
tutti possano almeno salvarsi dall’inferno.
In ogni caso, comunque, la realtà della condizione
dei cristiani nel mondo deve impegnare la riflessione di
chi ha da interrogarsi sulla sua vocazione, e quindi sulla strada da scegliere. La cosa è veramente grave e merita una seria presa di coscienza, se si riflette che la
santificazione di ogni cristiano non è... a libertà o a piacere, ma è un preciso dovere, un dovere universale.
Ho detto dovere universale di santificarsi. Difatti
è proprio questo il volere universale di Dio, come dice
luminosamente san Paolo: «Questa è la volontà di
Dio, la vostra santificazione» (1Ts 4,3). Nessuno è
escluso da questo dovere nobilissimo, e sarebbe solo
colpevole puerilità sfuggirlo con il pretesto che non si
è né prete, né frate, né suora, come se solo i consacrati
fossero tenuti a santificarsi.
Il bello, o il brutto, sta proprio qua: anche io,
semplice cristiano che vivo nel mondo, anche io sposato, anche io impegnato nelle vicende di questo mondo,
anche io, insomma, che non ho avuto nessuna chiamata alla consacrazione a Dio..., anche io ho lo stesso,
identico dovere di farmi santo, perché «questa è la
volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Ts 4,3).
Tale dottrina è stata fortemente ribadita dal Concilio Ecumenico Vaticano II in un intero capitolo della
Costituzione sulla Chiesa.
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«Questa è la volontà di Dio,
la vostra santificazione» (1Ts 4,3).
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A questo punto, considerando le miserie enormi
del mondo, verrebbe proprio da scoraggiarsi, non soltanto, ma il solo parlare di santificarsi nel mondo appare pressoché follia, dal momento che è già un... miracolo quando nel mondo si riesca a stare senza il peccato mortale nell’anima! Insomma, guardando il mondo così come è – scandaloso, seduttore, ingannatore –
il vero assillo di chi ci vive dentro non è certo quello
di santificarsi, ma è quello di non dannarsi.
È ben vero tutto questo purtroppo. E solo così, forse, si comprende perché il giovane san Bernardo, spaventato dai pericoli del mondo, lasciò le grandi ricchezze della famiglia e si ritirò nell’Abbazia di Citeaux, attirando con l’esempio e con le parole anche i suoi cinque
fratelli, lo zio, altri trenta parenti e amici, e infine anche il settantenne papà.
Adesso forse si può comprendere meglio perché il
famoso “re dei versi”, Guglielmo Divini, incoronato
poeta in Campidoglio, quella volta che si imbatté in
san Francesco d’Assisi e lo sentì predicare sulle vanità
insensate del mondo, al termine della predica si gettò
ai piedi di san Francesco, pregandolo con trasporto:
«Conduci anche me lontano dagli uomini, e consacrami a Dio. Toglimi questa veste del mondo e ricoprimi
con quella del paradiso». San Francesco gli fece presto indossare il saio, lo cinse di ruvida corda, e lo
chiamò fra Pacifico perché – finalmente – gli aveva
fatto trovare la vera pace del cuore.
Guardando «il mondo con le sue concupiscenze»
(1Gv 2,17), si può comprendere tanto meglio la prezio-
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sità della vocazione religiosa e sacerdotale, della consacrazione a Dio che favorisce al massimo lo sforzo della
santificazione, ossia il compimento del dovere universale di santificarsi.
Per usare un’immagine di san Giuseppe Cafasso,
la vita sacerdotale e, ancor più, la vita religiosa di chi
lascia il mondo può essere paragonata al fiume, che se
ne sta tranquillo nel suo letto e conserva le sue acque
limpide e pure. La vita nel mondo, invece, è paragonabile al fiume che straripa e corre furioso per le campagne: le acque limpide si trasformano in acque torbide
e fangose, che trascinano con sé immondizie e rovine
d’ogni sorta.
Nella vita di santa Francesca Saverio Cabrini si
legge che la Santa, considerando le brutture del mondo «posto tutto sotto il maligno» (1Gv 5,19), riteneva
così grande il dono delle vocazioni religiose, che si
prendeva somma cura di salvarle tutte, anche quelle
che potevano essere considerate vocazioni “mediocri”
e “di scarto”, bisognose di tanta più pazienza nella
formazione. La Santa arrivò al punto di ottenere, anche da altri Istituti di Suore, di mandare a lei le novizie “da scartare”; e, quasi sempre, la Santa stessa le
formava e le portava a grande perfezione.
A questo punto bisognerebbe rivolgersi soprattutto a quei giovani, uomini e donne, che tentennano nella loro risposta al Signore o sono incerti della loro sacra vocazione, concludendo, magari con troppa faciloneria: «In fondo, si può essere nel mondo un buon
papà di famiglia, una buona mamma di famiglia».
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Si può: è vero, è giusto dire così. Ma si faccia attenzione, per carità. Anzitutto, se si è chiamati al matrimonio, non bisogna diventare “buon papà” e “buona mamma”, ma “santo papà” e “santa mamma”. La santità è
ben di più che la semplice bontà. Inoltre, si può diventare “santo papà” e “santa mamma” se si è chiamati al
matrimonio; ma se il matrimonio non è la strada segnata
da Dio, allora sposandosi si è fuori strada, e sarà perciò
ben più difficile pensare di poter diventare neppure un
“buon papà” e una “buona mamma”. Infine è da ingenui rifugiarsi nel “si può” diventare santi nel mondo,
quando si sa che, purtroppo, di santi sposati contemporanei ce ne sono talmente pochi che se ne desidererebbe
davvero qualcuno, almeno uno!
Ecco che cosa scrive sant’Alfonso con la sua solita
sapienza: «Gli uomini del mondo non si fanno scrupolo di dire ai poveri giovani chiamati allo stato religioso
che, in ogni parte, anche nel mondo, si può servire
Dio. E la meraviglia è che simili frasi escono alle volte
anche dalla bocca di Sacerdoti, e persino di Religiosi
ma di quelli che o si saran fatti Religiosi senza vocazione o che non sanno più che cosa sia la vocazione.
Sì, è vero, in ogni luogo può servire Dio colui che non
è chiamato alla Religione; ma non già chi è chiamato e
vuol restare nel mondo per suo capriccio; costui difficilmente farà buona vita e servirà Dio».
Chi è tentato di vacillare o di essere a lungo incerto sulla sua vocazione, consideri bene che cosa rischia
di perdere per sempre, restando nel mondo: il «tesoro
del campo», la «perla preziosa», beni evangelici di
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inestimabile valore, che collocano la creatura privilegiata nella via regale della santità.
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Giovane che leggi: forse sei anche tu del numero
degli indecisi e vacillanti nella vocazione? Il mondo,
le creature ti seducono? È vero, tu non pensi di usarne male, né del mondo né delle creature. Ma intanto
sai bene che, nel mondo e fra le creature, ti sarà forse
più facile dannarti che santificarti. Perché correre
questo rischio? Supera l’incertezza guardando in alto: Dio ti vuole Santo, come Gesù.
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VOCAZIONE ATTIVA E CONTEMPLATIVA
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Voglio consacrarmi totalmente a Dio.
In quanti modi potrei farlo?
Parrebbe una domanda quasi superflua. E invece
non è così. Non basta consacrarsi a Dio in una qualunque maniera. È necessario consacrarsi a Lui come egli
gradisce. C’è un discernimento delle caratteristiche di
ogni sacra vocazione, a cui è per lo meno pericoloso rinunziare. Se Dio mi vuole consacrato nel mondo, non
faccio bene a consacrarmi in una Trappa. Se Dio mi
vuole consacrato in una Trappa non faccio bene a consacrarmi nel mondo.
Per avere un piccolo quadro sintetico delle possibili maniere di consacrarsi a Dio, seguiamo questo ordine che appare il più semplice.
1. Nella misura minima tutta intima la prima forma di consacrazione è quella del voto privato di verginità o di castità, restando laici nel mondo, con il proprio lavoro domestico o professionale. Fu il caso questo, ad esempio, di santa Gemma Galgani e di san Giuseppe Moscati.
2. La seconda forma di consacrazione a Dio, più
impegnativa e stabile, è quella dei cosiddetti Istituti secolari di perfezione, maschili e femminili, in cui si fanno i tre voti di Obbedienza, Povertà e Castità, pur restando nelle proprie famiglie, con gli impegni di lavoro
dentro e fuori casa. Sono gli Istituti approvati dal papa
Pio XII quale, ad esempio, quello della Regalità.
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3. La terza forma di consacrazione è quella sacramentale del Prete diocesano che vive con i familiari o
da solo in Parrocchia, con il sacro celibato e l’obbedienza al Vescovo, ministro di Dio, dispensatore dei misteri divini.
4. La quarta forma di consacrazione è quella del
Religioso e della Religiosa di vita mista, ossia di vita
contemplativa e attiva, vissuta con i tre voti comunitariamente, nel proprio Convento o Casa religiosa con
possibilità anche della vita missionaria.
5. La quinta forma di consacrazione è quella del
Monaco o della Monaca di vita pura contemplativa
(o di vita prevalentemente contemplativa), vissuta nei
Monasteri, con i tre voti e con una forma di vita comunitaria più austera e forte, fino alle punte massime
della vita Trappista, della vita degli Eremiti camaldolesi o della vita in una Certosa. Alla vita pura contemplativa appartiene anche la vita strettamente eremitica.
A questo punto possono apparire sufficientemente
abbozzate le diverse forme di vita dei consacrati, nelle
linee generali.
Scendendo ai particolari, però, bisogna dire che, a
parte la vita consacrata nel mondo (Istituti laicali e
voto privato) e quella del Prete diocesano, – che appaiono più semplici e visibili per la loro stessa forma o
struttura, l’orientamento e la scelta vocazionali diventano più laboriosi per quanto riguarda le due forme di
vita attiva-contemplativa (vita religiosa) e vita solo
contemplativa (vita propriamente monastica).
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Gli Ordini e le Congregazioni sono davvero tanti!
Per citarne solo alcuni: Benedettini, Francescani, Domenicani, Carmelitani, Serviti, Gesuiti, Lasalliani, Camilliani, Passionisti, Salesiani..., buona parte dei quali hanno anche il ramo femminile. Le Congregazioni solo femminili, poi, sono una vera miriade, da san Vincenzo de’
Paoli in poi. Più recenti sono le famiglie (maschili o femminili o ambedue) che si ispirano a Charles de Foucauld, e quelle fondate da don Alberione, da san Luigi
Orione, beato Guanella, Madre Speranza, beata Madre
Teresa di Calcutta...
Per gli Ordini monastici di pura contemplazione si
pensi ai Benedettini Trappisti, Certosini e Camaldolesi
(eremiti), alle Benedettine, alle Clarisse, alle Carmelitane, alle Monache della Visitazione, Passioniste...
Inutile dire che questa fioritura non solo non disturba, ma arricchisce la vita di consacrazione nella Chiesa.
C’è davvero posto per tutti e per tutte le aspirazioni!
Chi sente l’attrazione per la vita evangelica di san
Francesco d’Assisi, di sant’Antonio di Padova, di san
Pasquale Baylon, di san Massimiliano M. Kolbe, entri
fra i Francescani.
Chi sente la passione per gli ammalati, i sofferenti
e bisognosi, si rivolga ai figli di san Camillo de’ Lellis o
di san Giovanni di Dio o del beato Guanella...
Chi sente l’attrazione per i giovani e i ragazzi, entri fra i Salesiani o i Lasalliani, grandi maestri della
gioventù.
Chi cerca le mirabili ascensioni dello spirito nel
silenzio, nella solitudine, nel nascondimento, ricorra a
una Trappa o ad una Certosa.
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La vita contemplativa è una vita religiosa
da vertice, da «anticamera del Paradiso»...;
una vita d’amore celestiale che costituisce
il cuore della Chiesa intera.
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Chi vuole una forma di vita religiosa più impegnata nello studio e nelle lotte della Chiesa si accosti ai
Domenicani e ai Gesuiti.
Chi aspira alle Missioni entri là dove gli venga offerta la possibilità di andare in terra di missione.
Le ragazze che siano incantate dalla vita religiosa
di santa Bertilla e di sant’Agostina Pietrantoni, vergini
dolcissime di carità e di candore fra gli ammalati, entrino nella Congregazione che offre loro simile vita di
servizio agli ammalati.
Quelle che preferiscono dedicarsi ai piccoli e alla
gioventù da educare, si rivolgano a una delle tante
Congregazioni impegnate in tale campo.
Chi sente il fascino della vita missionaria e vuole
raggiungere le terre pagane, scelga una Congregazione
missionaria che assicuri tale possilità.
Chi vuole condividere la condizione dei più poveri
e assisterli e confortarli scelga Le Piccole Sorelle di
Gesù e, soprattutto, le Suore Missionarie della Carità
della beata Madre Teresa di Calcutta.
Le ragazze, infine, che sentono l’attrazione potente
all’immolazione d’amore più intima e totalitaria nella
«vita nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3), come quella di santa Chiara, di santa Veronica, di santa Teresina,
chiedano di entrare nei monasteri di perfetta clausura
(Clarisse, Carmelitane...).
Una cosa però, si raccomanda a tutti e a tutte: non
entrare dove non si è sicuri che si viva la perfetta fedeltà ai Fondatori e alle regole, che hanno fatto i Santi
di quell’Ordine. Oggi questa raccomandazione è più
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che mai dolorosa, ma tanto più doverosa. È insensatezza entrare là dove si vive nell’infedeltà, nell’inosservanza, nel rilassamento che distrugge la sostanza stessa
di una vita, votata per natura sua al sacrificio e all’immolazione quotidiana. Meglio cercare altrove, dice
sant’Alfonso de’ Liguori, meglio non entrare: il Signore
custodirà la grazia della chiamata nei cuori retti e fedeli, in attesa di trovare una famiglia religiosa fedele e
feconda.
Altra raccomandazione: la scelta della vita pura
contemplativa esige maggiori cure e particolare prudenza. Si tratta di una vita religiosa da vertice, da
«anticamera del Paradiso», come dice santa Teresina
del Carmelo; una vita menata sulle vette delle virtù
cristiane e religiose; una vita d’amore celestiale che
costituisce il cuore della Chiesa intera. Qui l’immolazione è radicale: di anima e di corpo. Qui nulla è concesso all’umano, perché tutto diventi sovrumano nell’eroismo costante quotidiano. La preparazione e le
disposizioni interne debbono essere quelle di chi affronta un martirio d’amore a fuoco lento, diurno e
notturno.
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Giovane che leggi: rifletti e medita con attenzione. Se il Signore ti chiama, sappi scegliere con generosità e prudenza la famiglia religiosa, che dovrà
aiutarti a santificarti presto. Non scegliere alla leggera! Ogni vita consacrata deve essere capitalizzata
in amore e sacrificio eroico.
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VOCAZIONE MISSIONARIA
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Negli Atti degli Apostoli, leggiamo che una volta san
Paolo in una visione notturna vide un pagano macedone
che gli gridò: «Venite fino a noi e aiutateci!» (16,9).
Dalle terre di missione, dai popoli pagani, dalle
genti infedeli, noi cristiani dovremmo costantemente
sentirci arrivare quello stesso grido: «Venite fino a noi
e aiutateci!».
Essi hanno diritto di chiamarci, perché a noi è stato
comandato dal Signore di andare da loro: «Andate in
tutto il mondo e predicate il Vangelo a tutte le genti...»
(Mc 16,15). E la Chiesa non si stanca di esortare a rispondere con generosità alla chiamata di Dio che spinge
ad andare a «far conoscere Cristo dove non è ancora
conosciuto e piantare la Chiesa dove ancora non esiste»
(Ad Gentes, 6).
Purtroppo anche in questo caso le chiamate del
Signore molto spesso cadono nel vuoto, non sono
ascoltate, non vengono corrisposte.
Una volta san Francesco Saverio, dopo aver predicato ai giapponesi sull’immenso amore di Dio nel donarci il suo Unigenito Figlio, sentì farsi questa grave
obiezione: «Come mai Iddio, se è così buono come tu
dici, ha aspettato tanti anni a farci conoscere i misteri
del Cristianesimo?».
A questa domanda, san Francesco Saverio gemette
nel cuore, poi si fece coraggio e rispose: «Volete saperlo?... Ecco: Iddio aveva incaricato molti cristiani di
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venire ad annunziarvi la Buona Novella; ma molti di
essi non hanno voluto obbedire...».
È proprio così. Noi lo sappiamo bene: «Dio vuole
che tutti gli uomini siano salvi e conoscano la verità»
(1Tm 2,4), e per questo non può mancare di chiamare
gli annunciatori del Vangelo a salvezza dei fratelli senza fede, e anzi, le sue chiamate non possono essere che
sovrabbondanti, perché, come dice san Giovanni Crisostomo, «nessuna cosa sta tanto a cuore a Dio, e nessuna gli fa più piacere quanto la salvezza delle anime».
Molti chiamati, però, «non hanno voluto obbedire», disse con tristezza san Francesco Saverio. E questa disobbedienza è gravida di responsabilità.
La vocazione missionaria è una delle più alte vocazioni della Chiesa. È paragonata, giustamente, al martirio, ed è in sostanza una vocazione al martirio. Basti
pensare, ad esempio, ai missionari martiri nel Marocco, nel Giappone, nelle Filippine, in Turchia, in Uganda... E se oggi è meno facile essere martirizzato, la vocazione missionaria, però, conserva sempre l’aspirazione e la disposizione all’immolazione totale, il missionario può sempre ripetere con san Paolo: «Io sarò
speso tutto per le anime vostre» (2Cor 12,15), disposto anche a morire da solo su un’isola, come san Francesco Saverio; o a reclinare il capo su una pietra, come
san Giustino De Jacobis; o a essere strangolato come i
beati Francesco Clet e Gabriele Perboyre; o a essere
crocifisso, come i Martiri del Giappone; o a essere decapitato per mano dei tagliatori di teste delle Filippine, o come san Teofano Venard, nel Tonchino...
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La vocazione missionaria è la vocazione degli arditi, dal cuore grande e coraggioso, di fede intrepida e
incrollabile, perché il Regno dei cieli si conquista e si
fa conquistare con la forza! (cf Mt 11,12).
Per questo è anch’essa una vocazione di elezione e
non è di tutti, anche se il problema missionario è un
problema che deve interessare tutta la Chiesa, “luce e
salvezza delle genti”.
In ogni tempo, dopo gli Apostoli, la Chiesa ha
avuto grandissimi missionari che hanno evangelizzato
interi popoli e nazioni, come san Remigio che evangelizzò la Francia, san Martino la Svizzera, il monaco
sant’Agostino l’Inghilterra, san Bonifacio la Germania, i santi Cirillo e Metodio la Boemia e l’Illiria,
sant’Adalberto la Russia e la Polonia, senza dire dei
grandi Santi laici che aiutarono l’evangelizzazione, come santo Stefano per l’Ungheria, san Venceslao per la
Boemia.
In seguito, gli Ordini e le Congregazioni religiose,
dai Francescani in poi – con san Francesco per breve
tempo in Siria; con sant’Antonio di Padova che non
poté raggiungere la Mauritania, per un naufragio –
hanno mandato missionari in ogni continente, dall’Africa, all’Asia, dal medio all’estremo Oriente, con figure splendide di primo piano come quelle più recenti di
san Damiano Veuster, apostolo fra i lebbrosi nelle isole
Molokai, il card. Massaia, san Giustino De Jacobis, san
Daniele Comboni, e tanti altri.
Bisognerebbe leggere gli Annali della Fede o delle
Congregazioni Missionarie per conoscere qualcosa
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dello sforzo missionario della Chiesa, con episodi spesso commoventi, a volte eroici e magari incredibili.
Ricordiamo, ad esempio, la richiesta che la Fondatrice delle Suore Francescane Missionarie di Maria,
suor Maria della Passione, fece a tutte le sue Suore, di
mandare nei lebbrosari della Birmania un gruppetto
di sei Suore. Chi si offriva?...
Oltre mille Suore risposero all’appello, desiderose di
partire! Mille cuori nobili e generosi. Fu una consolazione immensa per la Fondatrice, che mise insieme quelle
mille risposte, e ripeteva spesso: «È il mio libro d’oro!».
Si legga ora questa stupenda lettera di un missionario morto martire nell’Amman, san Teofano Venard.
Scrive qualcosa delle sue incredibili vicende alla sorella Melania, poco tempo prima del martirio.
«Mia diletta sorella, quest’anno abbiamo avuto un’inondazione straordinaria. L’acqua è entrata nella mia
casa fino all’altezza d’un piede. Ho veduto pesci, rospi,
rane, granchi, serpenti, trastullarsi nella mia stanza,
mentre io stavo seduto sopra alcuni assi, sollevati di tre
o quattro centimetri sull’acqua...
Tu fremi di sicuro, sorella mia, ma devi sapere che
c’è stato di peggio: i topi sono venuti a dormire sulla
mia stuoia, e una notte ne schiacciai disgraziatamente
uno; il poverino mi ha fatto sobbalzare, ma mi ha anche salvato da un gran pericolo, perché nello smuovere la coperta, ho scoperto una vipera velenosa a strisce bianche e nere, che, senza far rumore, era salita
sul mio lettino, accovacciandosi proprio nell’angolo,
dove io allungavo i piedi...».
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Questa breve lettera è un magnifico saggio delle
vicende, dei rischi, delle avventure, dei timori e delle
grazie del missionario. Non si può fare a meno di commuoversi di fronte a questi arditi dell’amore di Cristo
che sembrano giocare a ogni passo con la morte e con
la gloria del martirio, per salvare le anime dei fratelli.
Di quale sublime grandezza essi hanno aureolato la
vocazione missionaria!
Eppure, la nota triste che risuona nella Chiesa,
oggi ancora più di ieri, è questa: i missionari sono pochi, troppo pochi, e stanno diminuendo, anziché aumentando! Con grande amarezza, nell’Anno Santo
1975, il papa Paolo VI si lamentava del «fenomeno
doloroso, che è da qualche tempo sotto gli occhi di
tutti. Intendiamo il diminuito numero delle vocazioni
missionarie, che si verifica proprio nel momento in
cui più necessario è l’apporto di forze nelle nostre
missioni...».
Risuonano tanto più opportune e drammatiche
oggi le gravi parole che il papa Pio XI, il Papa delle
Missioni, rivolse una volta ai Dirigenti delle Opere
Missionarie Pontificie: «Un grande – disse il Papa –
che, durante l’ultima guerra occupava un posto non di
altissimo comando, ma di una certa responsabilità,
con molti uomini ai suoi ordini, ebbe a dirmi: “Lei
non può immaginare che pena, che desolazione, che
quasi disperazione dover comandare degli uomini,
portarli avanti, sapendo che non si può avanzare, perché mancano le munizioni, manca l’attrezzatura, perché la produzione che dà il paese non è sufficiente...”.
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«Dio vuole che tutti gli uomini
siano salvi e conoscano la verità» (1Tm 2,4)
...ma «la messe è molta,
gli operai sono pochi» (Lc 10,2).
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Di queste frasi, dette con terribile realtà di sangue
e di morte, mi rimane la più penosa impressione che si
rinnova ogni qualvolta mi viene ricordato quel colloquio. Orbene: da esso bisogna trarre un insegnamento.
Che cosa vi può essere di più penoso, di più tragico,
per il Missionario che deve arrestarsi o retrocedere,
perché mancano le risorse?...».
Bisogna scuotersi, una buona volta. Se si è cristiani, bisogna farsi coscienti del grave problema missionario. Ci sono masse sterminate di uomini da evangelizzare, da nutrire con il pane della verità e della vita
eterna, ma «non c’è chi glielo spezzi» (Lam 4,4).
È necessario pregare molto. «La messe è molta,
gli operai sono pochi. Pregate il Padrone della messe
perché mandi operai alla messe» (Lc 10,2). È urgente
supplicare il Signore perché voglia donare molti missionari alla sua Chiesa.
Se poi si è chiamati da Dio alla vita missionaria,
non si faccia i sordi, non ci si tiri indietro, non si rifiuti una vocazione sublime, tutta forza e sangue d’amore
divino.
E non si dica che la prima missione è quella da fare nel proprio paese. Si pensi, piuttosto, che neppure
il cinque per cento di tutte le forze della Chiesa sta
operando all’evangelizzazione di miliardi di non cristiani. È inconcepibile, perciò, che si possa arrivare a
sottrarre anche una sola vocazione al piccolo gruppo
dei missionari impegnati a salvare i quattro quinti dell’umanità, mentre una sola quinta parte degli uomini è
curata da quasi mezzo milione di sacerdoti!
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Diceva bene san Francesco Saverio nel suo appello
ai giovani universitari: «Come vorrei giungere alle
università di Parigi e della Sorbona per fare conoscere
a tanti uomini più ricchi di scienza che di zelo, il grande numero di anime che, per loro negligenza, sono prive della grazia e forse vanno all’inferno. Sono milioni
di infedeli che forse si farebbero cristiani se ci fossero
missionari».
Ricordiamo le accorate parole di Gesù: «Ho altre
pecore che non sono di questo ovile: anche quelle devo
condurre, perché si faccia un solo ovile con un solo Pastore» (Gv 10,16). Meditando su queste parole di Gesù si
comprendono tutti gli eroismi dei missionari, si comprendono le aspirazioni di fuoco dei due celesti Protettori delle Missioni: «Salpare per mari infidi, salvare
un’anima: e poi morire!» (san Francesco Saverio); «Vorrei essere stata missionaria dalla creazione del mondo, e
continuare ad esserlo fino alla consumazione dei secoli»
(santa Teresina).
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Giovane che leggi ascolta e medita. Non avverti
la grandezza di una vita consacrata alla salvezza dei
fratelli infedeli? Se fossi tu al loro posto, quanto brameresti l’arrivo e l’incontro con un missionario che
annunci la Buona Novella! Eppure, forse il Signore ti
chiama, ma tu non rispondi, e preferisci essere un
cristiano “disoccupato”, anziché andare a lavorare
nella vigna del Signore (cf Mt 20,lss).
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Rifletti nel tuo cuore. Sta attento a queste splendide parole di Gesù, che possono valere come ultimo
richiamo proprio a te e a molti giovani come te: «Alzate i vostri occhi e mirate i campi che già biondeggiano per le messi» (Gv 4,35).
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LA MADONNA E LA VOCAZIONE
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Quando san Massimiliano Maria Kolbe era fanciullo di sette anni aveva l’argento vivo in corpo. Era molto
buono e laborioso, ma era vispo e anche bollente di vivacità. Un giorno dovette combinare una grossa birichinata, se la sua buona mamma gli rivolse queste accorate parole: «Figlio mio, che sarà di te se continui così?...». Inaspettatamente, queste parole della mamma
fecero presa così dolorosa sul fanciullo che, da quel
momento, egli divenne triste e silenzioso, ci pensò sopra
ci pianse, ci pregò. Ai piedi dell’altare, il ragazzo chiedeva alla Madonna di rispondere Lei alla domanda angosciosa della mamma.
A quelle preghiere innocenti, la Madonna rispose
di persona. Apparve al piccolo Raimondo (così si chiamava Massimiliano quando era a casa) e gli apparve
con due corone in mano, una bianca e una rossa facendogli capire che la corona bianca significava la vita
verginale consacrata mentre la corona rossa significava il martirio. La Madonna chiese al piccolo quale delle due corone volesse, ma il fanciullo protese le manine per prenderle tutte e due. La Madonna gli sorrise e
scomparve.
Queste furono le radici mariane della vocazione di
san Massimiliano, ossia di questo affascinante cavaliere
dell’Immacolata suo apostolo ardente, capace di “marianizzare” tutto ciò che pensava e faceva, audace nel
servirsi di ogni mezzo lecito, grande o piccolo, per por121
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tare dovunque l’Immacolata come aurora di salvezza
per ogni anima, come Genitrice di Gesù in ogni cuore
che batte sulla terra.
Per la sua splendida esperienza, san Massimiliano
potrà affermare e confermare con forza che la Madonna è la Madre delle vocazioni, è la Madre dei consacrati, è la Madre dei Sacerdoti, è la Formatrice dei
Santi.
Noi non conosciamo direttamente la nascita di ogni
vocazione, ma sappiamo che la Madre della grazia è veramente Madre di questa grazia elettissima, e nessuna
“chiamata” può avvenire senza la diretta partecipazione della Madonna.
Se potessimo scoprire i particolari più segreti della nascita della vocazione in ogni Santo, in ogni “chiamato”, vedremmo sempre l’azione materna di Maria
che opera con ogni cura.
Sappiamo, ad esempio, che san Francesco d’Assisi
scoprì la sua più genuina vocazione evangelica nella
chiesetta di Santa Maria degli Angeli. Da quella chiesetta mariana, come dal Cuore dell’Immacolata, si diffuse l’Ordine francescano per tutto il mondo, e in
quella culla mariana san Francesco volle concludere la
sua missione serafica sulla terra.
Tante volte la Madonna ha suscitato e poi ha accompagnato il cammino di una vocazione, salvandola da
sicura perdita. È il caso di san Gabriele dell’Addolorata, di questo giovane ardente che stava rischiando di
perdere il “dono” di Dio. Ebbene, durante una processione dell’icona della Beata Vergine, a Spoleto, il giova122
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ne si sentì guardato, fissato dagli occhi materni di Maria, e udì queste parole scandite da Lei nel suo cuore:
«Francesco, Francesco, il mondo non è per te; ti aspetta la Religione». Questo richiamo materno scosse Francesco Possenti, lo illuminò sul suo cammino pericoloso
nel mondo, lo spinse a una decisione risoluta: entrare
fra i Passionisti. Vi entrò, e in pochi anni divenne san
Gabriele dell’Addolorata.
E come non ricordare la salvezza della vocazione
sacerdotale del santo Curato d’Ars? Per quanto studiasse con impegno, il santo Curato d’Ars era poco
preparato scolasticamente, e, quando si presentò agli
esami per l’Ordinazione sacerdotale, non soddisfece
per nulla i professori di teologia che lo ritennero inadatto al Sacerdozio. Ma il Padre Rettore conosceva
una cosa molto importante di questo candidato: conosceva che amava molto la Madonna e recitava molto
bene il Santo Rosario.
Parlò di questo ai professori e ottenne che il candidato fosse ammesso al Sacerdozio proprio per questo: perché amava la Madonna e recitava bene il Santo
Rosario.
Non meno dolorosa fu la vicenda di san Stanislao
Kostka per salvare la sua vocazione religiosa, e altrettanto evidente fu la presenza della Madonna, che lo
guidò nei momenti più critici. Fu la Madonna ad apparirgli, una volta, e a ordinargli di non attendere oltre,
ma di recarsi da Vienna a Roma, per entrare nella Compagnia di Gesù. Lungo la via, Ella lo protesse dall’inseguimento del fratello che voleva impedire, a tutti i costi,
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quell’entrata di Stanislao fra i Gesuiti. Per gratitudine
filiale, san Stanislao fu innamoratissimo della Madonna
negli anni di vita religiosa. E la Madonna lo santificò e
lo chiamò presto in Paradiso proprio il 15 agosto, giorno solennissimo della sua Assunzione in Cielo.
Altro esempio di salvezza della vocazione da parte
della Madonna è quello che leggiamo nella vita di san
Pietro Chanel, martire dell’Oceania. A quindici anni,
Pietro studiava con impegno nel Seminario, ma non
rendeva. Stava ormai per scoraggiarsi di fronte agli insuccessi scolastici, e pensava già di rinunciare agli studi
per far ritorno alla casa paterna. Si confidò, per caso,
con una pia persona che gli chiese con premura: «Prima di abbandonare, hai consultato la Madonna?». Pietro rispose di no. «Ebbene, gli disse quella, va’ prima in
chiesa a pregare la Madonna». Pietro ascoltò il consiglio, si recò in chiesa, e pregò a lungo ai piedi della Madonna. Poi tornò da quella persona tutto sereno e ardente. Le disse: «Ho pregato la Madonna, e resto!». La
Madonna aveva salvato la sua vocazione al Sacerdozio e
al martirio. San Pietro fu sempre così grato alla Madonna, che una volta si fece uscire una goccia di sangue,
vi bagnò la penna e scrisse: «Amare la Madonna e farla
amare!».
Talvolta la grazia della vocazione viene insieme a
quella della conversione da una vita disordinata. La
Madonna converte e chiama al servizio di Dio nello
stesso tempo. Così successe a san Camillo de’ Lellis, che
menava una vita scapata, senza riuscire a mettersi a posto una volta per sempre. Ma un giorno, tornando da
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Se potessimo scoprire i particolari
più segreti della nascita della vocazione
in ogni Santo, in ogni “chiamato”,
vedremmo sempre l’azione materna
di Maria che opera con ogni cura.
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San Giovanni Rotondo a Manfredonia a metà strada sul
Gargano, fu colpito improvvisamente da una luce folgorante, che lo illuminò interiormente sul suo stato pietoso di peccatore e gli provocò un pentimento così bruciante che egli si fermò a lungo a piangere lacrime cocenti. Da quell’ora risolse di cambiare vita radicalmente e di consacrarsi tutto a Dio. Ma volle chiedersi come
mai proprio quel giorno avesse ricevuto una grazia così
straordinaria, e si ricordò che quel giorno era il 2 febbraio, festa della Purificazione di Maria Santissima. Allora esclamò fuori di sé dalla commozione: «Adesso so
chi mi ha impetrato tanta grazia!».
La Madonna vegli su tutti i suoi figli, ma in modo
speciale su quelli che Gesù vuole scegliere come “suoi”.
Se i “chiamati” sono i prediletti di Gesù, non possono
non essere anche i prediletti di Maria. E chi mai potrà
dire le cure materne e delicate della Madonna verso gli
“eletti” di Dio, i “ministri” del Signore, le “spose” di
Gesù?
Concludiamo con gli esempi dolcissimi di due angeliche vergini consacrate, santa Bernardetta e santa
Teresina, coltivate dalla Madonna come due gemme di
sublime bellezza.
La vocazione di santa Bernardetta non è forse tutta segnata e illuminata dalla presenza dell’Immacolata? Perché Bernardetta si sentì spinta all’immolazione
della vita religiosa? Solo perché «quando si è vista la
Madonna non si desidera più nulla della terra».
È sufficiente la visione della Madonna per accendere in un cuore il bisogno di consacrarsi a Dio. Così
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avvenne anche alla piccola Melania, veggente di La Salette; così è avvenuto anche alla veggente di Fatima
suor Lucia.
Lo stesso avvenne a santa Teresina, quando a dieci
anni vide il sorriso celestiale della Madonna che la
guarì da un male inesorabile. Da quel «sorriso» della
Madonna santa Teresina ebbe anche la rinnovata certezza che la Divina Madre vegliava con premura sul
suo «piccolo fiore» ed era attenta a «raddrizzarlo e
fortificarlo in modo tale che, cinque anni dopo, questo
si apriva sulla fertile montagna del Carmelo».
A questo punto possiamo anche aggiungere che la
Madonna non solo veglia su ogni vocazione, ma è stata
Ella stessa la celeste ispiratrice di Ordini e Istituti religiosi che si gloriano, giustamente, di essere “mariani”. I
Carmelitani e i Serviti, ad esempio, affondano le loro
origini direttamente in Maria ed esistono per Lei. E del
resto, è all’Immacolata che ogni anima consacrata deve
rifarsi come alla sua radice, perché Ella è stata la «piena di grazia» (Lc 1,28) per tutti noi, come dice san Bernardo, Ella è stata la prima eletta, la prima consacrata,
la prima seguace di Gesù, la prima religiosa di Dio, la
prima “ministra” della Redenzione, la prima Sposa di
Dio, la prima Vergine Madre di Dio e dell’umanità.
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Giovane che leggi, ascolta e medita. Se vuoi la vocazione perché non ce l’hai, ricorri alla Madonna. Se
hai la vocazione e vuoi custodirla perfettamente, affidala alla Madonna. Se sei in pericolo di perdere la vocazione, ricorri subito alla Madonna: Ella farà anche
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miracoli per salvarti il “dono” di Dio, purché tu ricorra a Lei con fiducia e affetto di figlio. Su Lei riponi
ogni speranza, perché ti faccia raggiungere il Paradiso
per la sua stessa strada: la consacrazione a Dio.
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DOMANDE SPICCIOLE... RISPOSTE UTILI
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- A chi bisogna rivelare per primo l’aspirazione a
“seguire Gesù” come sacerdote, o frate, o suora?
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Di solito, bisogna rivelarla al proprio Confessore
o Direttore spirituale. Non ai genitori o ai parenti, a
meno che non si sia del tutto certi della loro buona disposizione riguardo alla vocazione sacerdotale e religiosa.
- Se il sacerdote Confessore si manifestasse subito
e sempre contrario, è lecito andare a consigliarsi da
un altro?
Con molta prudenza, sì, spiegando, però, gli eventuali motivi contrari dell’altro. In casi particolari, è
chiaro, si può anche cambiare del tutto il Confessore,
andando da chi voglia prendere in esame e aiutare a
discernere la vocazione.
- Quale è il periodo di età migliore per seguire la
chiamata di Dio ?
C
L’arco di tempo migliore è il decennio che va’ dai
15 ai 25 anni di età. Prima dei quindici anni c’è molta
incertezza in più per il futuro. Dopo i venticinque anni c’è molta difficoltà in più di modificarsi e lasciarsi
plasmare.
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- Allora, chi ha 30 anni, o più, deve rinunciare in
partenza a consacrarsi a Dio?
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Non deve affatto “rinunciare in partenza”. Esistono ed esisteranno sempre eccezioni alla regola, né
sono tanto pochi i trentenni consacrati a Dio e diventati grandi Santi. Ma da 30 anni in poi si fanno sempre
più gravi le difficoltà di inserimento in un impianto
diverso di vita, di assimilazione di una visione diversa
delle cose. L’immagine classica più espressiva è sempre
quella della pianta che quando ha preso una direzione
diversa, finché è ancora virgulto si può piegare e raddrizzare, quando invece è diventata tronco, si può più
facilmente... spezzare che piegare. In effetti, chi entra
in età avanzata deve essere disposto a più grandi rinnegamenti, se vuole davvero santificarsi.
- Se la vocazione comincia a manifestarsi quando
si frequenta il primo liceo classico o il primo anno di
università, che cosa conviene fare?
C
Tocca alla guida spirituale decidere la migliore
scelta di tempo per seguire la chiamata di Dio abbandonando tutto. Di solito, per chi si trova al primo liceo
si potrà aspettare l’esame di maturità, sia per dare
tempo di approfondimento e solidità alla vocazione,
sia per completare un corso di studi già avviato.
Per chi si trova al primo anno di università, invece,
bisogna considerare più cose: anzitutto, l’effettiva maturazione della vocazione che può richiedere il tempo
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degli anni di università; inoltre, il tipo di consacrazione
scelta, che può avvantaggiarsi o meno degli studi universitari: altro è il sacerdozio, altro è la vita pura contemplativa; altro è un Ordine religioso impegnato nel
campo degli studi, altro un istituto missionario o caritativo; infine, senza aspettare il termine degli studi universitari, può convenire entrare subito, quando ci sia la
possibilità di continuare l’università anche dall’interno
dell’Istituto, posto che i superiori richiedano ciò per la
missione da svolgere.
- Quali sono le qualità morali che si richiedono
per consacrarsi a Dio ?
C
a) Rettitudine di intenzione: non si entra in seminario o in convento per paura, per interessi, per sistemazione, per delusione, per avventura.
b) Onestà di costumi: non si tratta di essere “innocenti”, ma di avere una virtù che dia garanzie di
perseveranza e di crescita.
c) Buona coscienza morale: una coscienza che non
solo eviti gli estremi (scrupolosità e rilassatezza), ma
che si dimostri equilibrata e assennata negli impegni.
d) Discrete capacità mentali: almeno! Non un’intelligenza geniale, ma un’intelligenza capace di apprendere le cose essenziali sul senso e sul valore della consacrazione a Dio, sui doveri da osservare, sui compiti
da svolgere. Per il Sacerdozio, è ovvio, si esige la capacità di portare avanti gli studi filosofici e teologici.
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- Quali condizioni di salute si richiedono per entrare in seminario o in convento ?
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È necessaria una buona salute ordinaria. I pesi
della vita sacerdotale o religiosa non sono certamente
trascurabili. La buona salute è necessaria per essere
fedeli ai propri doveri e per svolgere la propria missione. Ma non è certo necessaria la salute di... Sansone!
- Ci sono malattie che costituiscono impedimento
preciso alla vita del prete, del frate, della suora?
Almeno qualche esempio.
Qualche esempio. Le malattie mentali – ovviamente di natura grave, inguaribili. L’equilibrio psico-fisico
è di primaria importanza per una vita consacrata al
servizio di Dio e dei fratelli.
Ci sono poi le altre malattie, quali la cecità, la paralisi, l’epilessia, la sifilide, e ogni altro malanno inguaribile di organi vitali dell’organismo.
- È grave controindicazione morale alla vita sacerdotale o religiosa l’inversione di tendenza sessuale
sia di uomini che di donne? O forse potrebbe essere
uno dei modi più adatti per guarire l’anomalia?
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La Chiesa ha sempre ritenuto grave controindicazione quella dell’omosessualità e del lesbismo. Le ragioni sono intuitive, e basterebbe pensare al pericolo
di scandali forse irreparabili.
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Un grande medico e psicologo disse che la pretesa
di guarire un giovane omosessuale in un istituto maschile è identica a quella di guarire un donnaiolo mettendolo in un istituto femminile.
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- A chi bisogna rivolgersi per poter entrare in Seminario ?
Di solito, al proprio Parroco, il quale potrà dare
tutte le indicazioni pratiche necessarie per l’entrata.
Oppure, ci si rivolge direttamente al Rettore del Seminario.
- Quale titolo di studi è necessario, e quanti anni
di studio si fanno per il Sacerdozio?
Di norma il titolo di studi per accedere ai corsi filosofici e teologici, indispensabili al Sacerdozio, è il
diploma di scuola media superiore (licenza liceale, diploma magistrale, di ragioneria, di geometra, ecc.): in
effetti, è necessario lo stesso titolo richiesto per accedere all’università statale.
Gli anni di studio filosofico e teologico per il Sacerdozio sono sei.
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- Per entrare in convento, a chi bisogna rivolgersi
e quali “carte” bisogna presentare ?
Bisogna chiedere anzitutto al Sacerdote che fa da
guida spirituale. Potrà provvedere lui stesso a parlare
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direttamente o potrà dare le indicazioni per andare a
parlare con il Superiore o la Superiora dell’Istituto
religioso che si è scelto.
Quanto ai documenti, di solito occorrono: certificato di nascita, di Battesimo, di Cresima, di residenza, di stato libero, di buona salute (medico), di buona
condotta (Parroco o Padre Spirituale), il titolo di
studio, il foglio di congedo dal servizio di leva già
prestato.
- Quanto agli Istituti di vita religiosa, c’è diversità di gradi nell’approvazione da parte della Chiesa?
Sì: ci sono gli Istituti religiosi approvati solo dal
Vescovo della Diocesi, e quelli approvati dalla Santa
Sede. I primi si dicono Istituti di diritto diocesano; i
secondi, di diritto pontificio. Ogni Istituto religioso
che si sviluppa con rigoglio diventa più facilmente di
diritto pontificio.
- Quali sono, e quando si fanno i “voti” nella vita
religiosa?
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I voti sono tre: obbedienza, povertà, castità.
I voti si emettono di solito in due tempi: a) al termine dell’anno di noviziato – e si chiama Professione temporanea; b) al termine del periodo di voti temporanei
che va da un minimo di tre anni a un massimo di nove
anni –, e viene chiamata Professione perpetua.
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- È necessario qualche titolo di studio per entrare in convento come fratello converso?
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Di norma si richiede la licenza media. Ma capita
che non sempre ciò sia possibile, per ragioni di età o
di altro. In tal caso, è richiesta una maturazione adeguata.
- Chi è figlio unico o figlia unica, può abbandonare i genitori per entrare in seminario o in convento?
Può, certamente: purché i genitori siano ambedue
d’accordo. Il caso è serio, e la Chiesa, appunto, esige il
consenso dei genitori, altrimenti non ritiene di dover
accettare il candidato o la candidata. Sono così pochi,
però, i genitori coraggiosi che sanno offrire a Dio il loro unico figlio o figlia!
- Come fare per avere la sicurezza di essere chiamato o chiamata da Dio?
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Bisogna seguire la strada stabilita dalla Chiesa,
ossia, farsi guidare e confermare dal padre Spirituale,
dopo accurato esame. Di solito, non c’è nessuno migliore di lui in questo campo. Non serve andare a destra e a sinistra, di qua e di là, da questo o da quello:
quasi sempre si perde tempo e si guadagna in confusione.
Tanto meno bisogna aspettarsi segni miracolosi o
rivelazioni straordinarie. Molta preghiera, un certo
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tempo di riflessione e la guida del padre Spirituale, sono la migliore garanzia della chiamata di Dio.
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- E se i genitori sono decisamente contrari e vogliono impedire a tutti i costi l’entrata di un figlio o
di una figlia in convento?
Basti ricordare gli esempi di san Francesco e di
santa Chiara di Assisi, che dovettero fuggire di casa
per consacrarsi a Dio. Anche san Tommaso d’Aquino e
santa Teresa d’Avila dovettero fuggire dalla casa paterna.
Quando i genitori si oppongono ostinatamente,chi
è chiamato deve ricordare le parole di san Pietro e san
Giovanni: «Bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini», e le altre parole di Gesù: «Chi ama il padre o la
madre più di me, non è degno di me».
- Quale pensiero dominante nel cuore dovrebbe
avere chi veramente vuole “seguire Gesù”? Può indicare almeno qualche pensiero?
C
A me piace moltissimo questo pensiero vigoroso e
sublime di san Paolo apostolo: «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita
a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una
perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di
Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura,
al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3,7-8).
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- Dove consiglia di entrare in convento, a me, giovane di venti anni?
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Se ti attrae l’ideale di san Francesco vissuto da san
Massimiliano M. Kolbe, puoi entrare da noi, in una
delle comunità dei Frati o delle Suore Francescani dell’Immacolata. Puoi venire per diventare sacerdote,
fratello religioso o suora. Troverai una comunità mariana e francescana, composta quasi tutta di giovani
frati o suore, e camminerai sui passi di san Francesco
e di san Massimiliano, sotto gli occhi materni di Maria
Immacolata.
- Che cosa devo fare per venire in una delle vostre comunità?
C
Devi cominciare a scrivere o a telefonare. Poi verrai
e vedrai la nostra vita per un certo periodo di tempo.
Infine, dopo aver deciso, verrai accettato definitivamente e farai prima il postulandato e poi il noviziato per diventare frate o suora nella nostra Famiglia religiosa, sui
passi del Serafico Padre san Francesco.
Vieni! Non indugiare. Gli indirizzi e i numeri telefonici delle “Case Mariane” e delle “Case dell’Immacolata” in Italia sono i seguenti:
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FRATI FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA
Via San Pasquale, 11 - 82100 BENEVENTO – Tel. 0824/24818-0824/25252
Casalucense - 03049 SANT’ELIA F.R. (FR) -–Tel. 0776/350272
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Via Madonna delle Grazie, 5 - 03030 VILLA SANTA LUCIA (FR) – Tel. 0776/463104
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Santuario BVM del Buon Consiglio - 83040 FRIGENTO (AV) – Tel. 0825/444122
Via Palazzolo, 2 - 00040 ROCCA DI PAPA (RM) – Tel. 06/91717982
Via Boccea, 590 Loc. Casalotti - 00166 ROMA – Tel. 06/61561672
Via Liberiana, 27 - 00185 ROMA – Tel. 06/69880158
Via Lungotevere Vaticano, 1 - 00193 ROMA – 06/68801049
Via Maria SS. di Quintiliolo, 4 - 00019 TIVOLI (RM) – Tel. 0774/335158
Via Cagiata, 101 - 60027 CAMPOCAVALLO DI OSIMO (AN) – Tel. 071/7133003
Piazzale P. Cassiano, 2 - 44022 COMACCHIO (FE) – Tel. 053/381234
Borgo Ognissanti, 42 - 50123 FIRENZE (FI) – Tel. 055/2398700
Via di Lucigliano, 1 (loc. Bosco ai Frati) - 50037 SAN PIETRO A SIEVE (FI)
Tel. 055/848111
Via S. Caterina, 17 - 18100 IMPERIA (IM) – Tel. 0183/62783
Piazza Rovere, 4 - 18016 SAN BARTOLOMEO A MARE (IM) – Tel. 0183/405451
Via Castellani, 7 - 41012 CARPI (MO) – Tel. 059/692161
Via Barcara, 2 - 54011 AULLA (MS) – Tel. 0187/408519
Vico Lungo Sant'Agostino degli Scalzi, 6 - 80136 NAPOLI – Tel. 081/5490704
Voc. Canoscio, 12 - 06012 CANOSCIO di Città di Castello (PG) – Tel. 075/854284
C
Via Libertà, 31 - 19025 LE GRAZIE (SP) – Tel. 0187/790054
Viale Pontelungo, 89 - 17031 ALBENGA (SV) – Tel. 0182/50700
Porta Romana, 66 64100 TERAMO (TE) – Tel. 0861/243926
Convento S. Francesco Piazza P. Alberto Daga, 1 01016 TARQUINIA (VT)
Tel. 0766/840848
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SUORE FRANCESCANE DELL’IMMACOLATA
Via Falconella, 24 - 00040 FRATTOCCHIE (RM) – Tel. 06-9311268
Via Riella - 82020 PIETRELCINA (BN) – Tel. 0824-991158
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Via Montecassino, Km. 5 - 03043 CASSINO (FR) – Tel. 0776-465599
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Via G. Zanardelli, 16 - 00186 ROMA (RM) – Tel. 06-68192587
Piazza San Biagio, 21- 03040 SANT’AMBROGIO (FR) – Tel. 0776/985011
Via dell’Immacolata - 83040 FRIGENTO (AV) – Tel. 0825-444015
Via Castelluccio - 83040 FRIGENTO (AV) – Tel. 0825-444473
Via XXIV Maggio, 44 - 83040 FONTANAROSA (AV) – Tel. 0825-475040
Via Caduti in guerra, 32 - 70027 PALO DEL COLLE (BA) – Tel. 080/624591
Chiesa SS. Annunziata Via Belenzani, 53 - 38100 TRENTO – Tel. 0461-1900352
Via Rivolti, 4 - 37010 RIVOLI RIVONESE (VR) – Tel. 045/7238123
Via De Nunzio, 12 - 71013 SAN GIOVANNI ROTONDO (FG) – Tel. 0882/456589
Piazza Don Giovanni Sorbellini, 4 - 60027 CAMPOCAVALLO DI OSIMO (AN)
Tel. 071/7132126
Piazzale P. Cassiano Missionario, 1 44022 COMACCHIO (FE) – Tel. 05/33313445
Borgo Ognissanti, 42 - 50123 FIRENZE – Tel. 055/285077
Via Traversa, 12 - 18016 SAN BARTOLOMEO A MARE (IM) – Tel. 0183/880551
Strettola S. Teresa degli Scalzi, 4 - 80135 NAPOLI (NA) – Tel. 081/5441364
COLOMBAI
DELL’IMMACOLATA
(CASA DI CONTEMPLAZIONE PER LE SUORE)
C
Via dei Lanari, 2 - 06012 CITTÀ DI CASTELLO (PG) – Tel. 075/8555779
Via Adelasia, 20 - 17021 ALASSIO (SV) – Tel. 0182/644230
RITIRO MARIANO (CASA DI CONTEMPLAZIONE PER I FRATI)
Via Abbadia, 1 - 63021 AMANDOLA (AP) – Tel. 331/8796995
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Appendice
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FRATI FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA
Casa Mariana “Maria SS.ma del Buon Consiglio”
SUORE FRANCESCANE DELL’IMMACOLATA
Casa dell’Immacolata “Madre del Buon Consiglio”
C
FRIGENTO
due comunità religiose
di frati e di suore
che vivono
che propongono
ai giovani d’oggi
ideali ardimentosi
di vita evangelica francescana
vissuta «nella luce dell’Immacolata»
sui passi di san Francesco d’Assisi
e di san Massimiliano Maria Kolbe
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PROGETTO D’AMORE
DIVINO
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Frigento si trova in provincia di Avellino su un altopiano dei monti irpini, a vista di Montevergine e del
Cervialto, dominando la piana attraversata dal fiume
Calore.
Su questo altopiano si trovano la Casa Mariana
“Maria Santissima del Buon Consiglio” dei Frati Francescani dell’Immacolata, e la Casa dell’Immacolata,
“Madre del Buon Consiglio”, delle Suore Francescane
dell’Immacolata.
In queste due Case religiose vivono un gruppo di
giovani Frati Francescani dell’Immacolata e un gruppo di giovani Suore Francescane dell’Immacolata,
sempre pronti all’accoglienza di altri giovani e ragazze
che vogliono trascorrere giornate di ritiro e di esperienza vocazionale.
Brevi note storiche
C
La storia di questa famiglia religiosa dei Frati e delle Suore Francescani dell’Immacolata è quella stessa del
piccolo seme che cresce e si sviluppa divenendo spiga
dorata nel vasto campo della messe di Dio. Questa famiglia religiosa iniziò in Italia il 2 agosto 1970 con un’esperienza particolare di due frati sacerdoti: padre Stefano Maria Manelli e padre Gabriele Maria Pellettieri.
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Questi due frati si erano sentiti provocati a questa
esperienza dal Decreto conciliare Perfectæ charitatis
che richiamava tutti i religiosi a un concreto «ritorno
alle fonti» (PC 2) da far rivivere oggi, con la «più esatta osservanza della regola e delle costituzioni» (PC 4).
I due frati prepararono un regolamento di vita
chiamato Traccia mariana di vita francescana e ottennero il permesso di avviare l’esperienza di una vita
francescana più vicina alle fonti e perciò più mariana,
perché più vicina a Santa Maria degli Angeli, culla del
francescanesimo.
Essi scelsero come Casa Madre un piccolo convento-Santuario dedicato alla Madonna del Buon Consiglio, situato sui monti, in luogo aspro e solitario, a Frigento (AV), uno dei molti paesi della zona di sottosviluppo del sud-Italia.
Il 2 agosto 1970, festa di Santa Maria degli Angeli,
la “Porziuncola” di san Francesco d’Assisi, i due frati
presero dimora in quel convento povero e dimesso di
Frigento, con un Santuario tutto dissestato dal terremoto del 1962.
I due frati, padre Stefano Maria Manelli e padre
Gabriele Maria Pellettieri, non solo non si persero
d’animo, ma, al contrario, esultarono, perché avevano
trovato ciò che cercavano: un luogo davvero francescano, adatto per un’esperienza rude e forte. E fin
dall’inizio, imponendosi un’orario di vita molto austero, essi si sforzarono di modellare la loro vita religiosa
su quella delle primitive comunità francescane e delle
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La famiglia religiosa dei frati e delle suore
Francescani dell’Immacolata iniziò in Italia
il 2 agosto 1970 con un’esperienza
particolare di due frati sacerdoti:
padre Stefano Maria Manelli
e padre Gabriele Maria Pellettieri.
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comunità più recenti create da san Massimiliano M.
Kolbe sia in Polonia che in Giappone.
Per ogni francescano dell’Immacolata, frate o suora che sia, san Francesco d’Assisi con Santa Maria degli Angeli costituisce la radice sempre viva e feconda
della vita evangelica tutta serafica e tutta mariana.
San Massimiliano M. Kolbe, poi, con le sue “Città
dell’Immacolata” costituisce uno dei frutti più genuini
di quella radice tutta serafica e tutta mariana. Le “Case
Mariane” e le “Case dell’Immacolata” dei Frati e delle
Suore Francescani dell’Immacolata vogliono sforzarsi
di realizzare la continuità e la fioritura più vitale delle
comunità di Santa Maria degli Angeli e delle “Città dell’Immacolata”.
Questo è l’ideale ardimentoso da realizzare con
dedizione e passione sempre ardenti, sotto la guida
dell’Immacolata Mediatrice di salvezza e di ogni grazia, nella fedeltà pura e costante alla santa Regola, alla
Traccia mariana e alle Costituzioni dell’Istituto, che
formano il “Libro della santificazione” di ogni membro delle comunità dei Frati e delle Suore Francescani
dell’Immacolata.
Per questo la vita di preghiera, di povertà, di penitenza, di lavoro e di apostolato, in queste novelle comunità di Frati e di Suore Francescani dell’Immacolata, trae i suoi motivi spirituali conduttori dalla vita e
dagli insegnamenti di san Francesco d’Assisi e di san
Massimiliano M. Kolbe, nella docilità costante al Magistero della Chiesa e alle direttive del Vicario di Cristo,
sforzandosi di mantenere sempre un livello ben alto di
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testimonianza viva che non scada mai nella mediocrità
e si protenda, piuttosto verso quell’eroismo che fa
camminare sui crinali della piena conformità a Gesù
“povero e crocifisso”, nel rinnegamento di ogni tentazione di compromesso o di rilassamento sempre in agguato.
Una preziosa novità
C
Una preziosa novità di questa famiglia religiosa
dei Frati e Suore Francescani dell’Immacolata è costituita dal Voto mariano della consacrazione illimitata
all’Immacolata. Questo è il primo dei voti che i frati e
le suore fanno nella loro Professione religiosa. Insieme al Voto mariano essi fanno gli altri tre voti di obbedienza, povertà e castità, che sono comuni a tutti gli
altri Ordini e Istituti religiosi.
Il Voto mariano riveste e riempie di “marianità”
tutta la vita evangelica francescana e porta ad assimilare ogni “Casa Mariana” e ogni “Casa dell’Immacolata” a Santa Maria degli Angeli, la “Porziuncola” di Assisi, dove i frati con san Francesco, sotto gli occhi materni di Maria, vivevano una «vita veramente angelica», come scrive il primo biografo di san Francesco, il
beato Tommaso da Celano. Il Voto mariano porta, ancor più, a trasformare i frati e le suore nell’Immacolata Mediatrice, per essere Sua presenza di grazia dappertutto, impegnandoli a cooperare alla stessa missione di Mediatrice universale dell’Immacolata.
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Missionarietà su tutta la terra
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Uno dei frutti primari del Voto mariano è la missionarietà a tutto campo per raggiungere ogni uomo a
cui donare Colei che è la Genitrice di Cristo in ogni
cuore che batte sulla terra.
È appassionante questa aspirazione e tensione a
salvare tutte le anime attraverso l’Immacolata Mediatrice, magari spostandosi da un continente all’altro per
aprire nuove stazioni missionarie di Frati e di Suore
Francescani dell’Immacolata.
Per questo i frati e le suore hanno già aperto diverse case missionarie nelle Isole Filippine e in Brasile, negli Stati Uniti e in Africa, in Australia e in Russia; e sono in progetto nuove Case missionarie in Cina
e in Terra Santa, in Messico e in India, senza dimenticare i diversi paesi dell’Europa così bisognosa di rievangelizzazione.
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Se vieni anche tu, ragazzo o ragazza, vivrai nelle
nostre comunità e sarai anche tu, come san Francesco
d’Assisi e san Massimiliano M. Kolbe, costruttore del
Regno di Dio nel cuore degli uomini attraverso l’Immacolata!
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...Salvare tutte le anime attraverso
l’Immacolata Mediatrice, spostandosi
da un continente all’altro per aprire
nuove stazioni missionarie...
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Cinque punti fermi
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1. La vita mariana
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La “marianità” è la caratteristica singolare di queste comunità di frati e suore Francescani dell’Immacolata. La marianità è l’eredità di Santa Maria degli Angeli donataci da san Francesco d’Assisi, è il patrimonio
spirituale lasciatoci da san Massimiliano M. Kolbe.
L’Immacolata è l’aurora di ogni salvezza per il singolo e
per l’umanità intera. Far vivere l’Immacolata in noi e
portare l’Immacolata «in ogni cuore che batta sulla terra»: questo era l’ideale di san Massimiliano M. Kolbe e
questo è l’ideale di ogni Casa Mariana e di ogni Casa
dell’Immacolata, con le comunità dei frati e delle suore
segnate dal mirabile dono del Voto mariano.
2. La vita di preghiera
C
La preghiera è l’alimento primario e indispensabile
della comunità dei frati e delle suore. Specialmente la
preghiera in comune. In ogni Casa Mariana e in ogni
Casa dell’Immacolata la preghiera comunitaria deve essere ben solida e ben curata. Cinque ore al giorno di
preghiera comunitaria: sono la norma. Si inizia, ogni
giorno, dalle prime ore del mattino (tra le quattro e le
cinque). Il silenzio e il raccoglimento, poi, vengono salvaguardati dalla clausura e dall’esclusione di ciò che
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3. La vita di povertà
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può introdurre il chiasso e le dissipazioni del mondo (in
specie, la radio e la televisione).
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La povertà evangelica, la povertà di spirito deve
essere vissuta dai frati e dalle suore anche nella sua
concretezza visibile (nelle celle, nelle suppellettili, nel
vestiario, negli strumenti da lavoro). Deve essere vissuta nell’insicurezza economica con l’esclusione di
qualsiasi rendita fissa e di ciò che sia solo voluttuario
(particolarmente il fumo). La vita di povertà va animata di fiducia illimitata nella divina Provvidenza e
nella materna assistenza della Madonna, che non vengono mai meno. Fin dagli inizi, nelle Case Mariane e
nelle Case dell’Immacolata si cerca di mangiare solo
ciò che manda la Provvidenza, senza acquisto di cibo.
4. La vita di penitenza
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La penitenza deve essere sia interiore che esteriore, vera e forte, come quella del Serafico Padre san
Francesco e dei suoi figli migliori. La vita francescana
non può essere tale se non è modellata sul Padre Serafico, «immagine perfettissima di Gesù Crocifisso», come lo chiama la Chiesa nella Liturgia.
La penitenza della fedeltà pura alla vita comunitaria, la penitenza del dovere compiuto con ogni perfe150
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zione, la penitenza nelle forme francescane più caratteristiche e concrete: digiuno, disciplina, piedi nudi,
abito sempre indosso, capelli corti, niente vacanze né
altri comforts: questa deve essere la penitenza vissuta
nelle comunità dei frati e suore Francescani dell’Immacolata.
5. La vita di apostolato
Apostolato e lavoro debbono impegnare le nostre
energie senza riserve, per cooperare con lo zelo del Serafico Padre all’«edificazione del corpo di Cristo che è
la Chiesa» (Ef 4,12). Alla scuola di san Massimiliano
che volle servirsi, per l’apostolato, di ogni mezzo grande
o piccolo (stampe, radio, televisione, arte, cultura medaglia miracolosa, volantini, arte, cultura...), ogni frate
e suora è impegnato a donarsi all’apostolato attivo in
ogni campo di lavoro apostolico e senza esclusione di
mezzi, privilegiando, possibilmente, i mass-media, per
affrettare l’avvento del Regno di Cristo nel mondo «attraverso l’Immacolata Mediatrice».
Comunità in crescita
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Sulle basi solide di una vita religiosa attiva e contemplativa, povera e penitente, le comunità dei frati e
delle suore Francescani dell’Immacolata crescono via
via in numero di vocazioni e di attività apostoliche a
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I Francescani dell’Immacolata, frati e suore,
si sforzano di mantenere sempre un livello ben alto
di testimonianza viva che non scada mai nella mediocrità
e si protenda verso quell’eroismo che fa camminare
sui crinali della piena conformità
a Gesù “povero e crocifisso”.
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raggio sempre più vasto, aperti all’evangelizzazione
missionaria nelle terre degli infedeli di ogni continente.
Nella Chiesa, intanto, la comunità dei frati, cresciuta nei suoi membri, è stata canonicamente eretta,
“per decisione del Santo Padre”, prima in Istituto religioso di diritto diocesano il 23 giugno 1990, festa del
Cuore Immacolato di Maria, e poi in Istituto religioso
di diritto pontificio il 1° gennaio 1998, solennità della
Madre di Dio.
La comunità delle suore, invece, ha avuto la prima erezione in Istituto religioso di diritto diocesano il
2 agosto 1993, festa di Santa Maria degli Angeli, e il
riconoscimento come Istituto di diritto pontificio il 9
novembre 1998, festa della dedicazione della Basilica
Lateranense.
Vocazioni... vocazioni...
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Verrebbe subito da chiedersi come mai molti giovani e ragazze chiedono di entrare nelle nostre comunità, da dove vengono questi giovani e che cosa li attragga particolarmente, sapendo bene che ai nostri
tempi la crisi delle vocazioni religiose si fa sentire dolorosamente nella Chiesa soprattutto dell’Occidente.
Rispondiamo subito e confessiamo candidamente
che i nostri frati e suore non si sono mai affidati alle
propagande vocazionali, anzi si può dire che ignorino
tutte le cosiddette tecniche della pastorale vocazionale
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messe in atto da molti istituti maschili e femminili. Eppure, tra frati e suore, si è quasi in ottocento!
Già fin dagli inizi, nella Casa Madre “Madonna
del Buon Consiglio” alla spicciolata, di tanto in tanto,
qualche giovane veniva a visitare i frati, chiedendo di
condividere la stessa forma di vita. Una volta, più volte, e poi magari la decisione di entrare in comunità
per sempre. E così sono venuti parecchi giovani, e anche alcuni meno giovani. Si accettano a uno, a due, o a
tre per volta, per un po’ di giorni, in ogni periodo dell’anno.
Condividendo in tutto la vita della comunità, di
solito i giovani, con i frati, e le ragazze, con le suore,
restano colpiti dalla vita comunitaria compatta e serena, dalla vita di preghiera intensa e raccolta, dalle austerità della penitenza, della povertà, del silenzio, pur
tra le attività a ritmo serrato per i lavori interni e per
l’apostolato nei vari campi di evangelizzazione (stampa, catechesi, emittente radio, stazione televisiva, animazione liturgica, assistenza ai gruppi, aiuto ai Parroci, attività caritativa...).
Apostolato... apostolato...
C
L’apostolato delle nostre comunità deve essere
proporzionato alla preghiera. Se si prega molto, si deve fare anche molto apostolato. Così è stato e così è,
difatti. E la Madonna aiuti a conservare sempre questa armonia di proporzione che è grazia veramente vi154
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tale e feconda di frutti salutari per i membri delle comunità e per le anime.
L’apostolato è iniziato dal poco ed è cresciuto via
via in misura gigante nei diversi campi di lavoro. Da
un iniziale volantino mariano, nella Casa Madre del
Buon Consiglio, fin dai primi anni, l’attività stampa
dei frati in tipografia è arrivata alla produzione di libri, opuscoli, quaderni e riviste, con tirature anche altissime. Attualmente i frati e le suore in Italia hanno
una “Casa Editrice” dislocata in diverse sedi e con un
catalogo proprio. Nelle Isole Filippine e negli Stati
Uniti le suore hanno la Libreria mariana.
Ugualmente, da poche medaglie miracolose, ai primi tempi, si è passati via via alla confezione e distribuzione di milioni di medagline plastificate con cartoncino scritto in più lingue.
Ancora più importante, poi, è il lavoro apostolico
delle radio religiose e delle stazioni televisive che i frati
e le suore gestiscono in Italia e nelle Isole Filippine, in
Brasile e in Africa, con grandi frutti di apostolato e di
carità fraterna verso i molti fratelli emarginati che stanno in attesa di una parola di speranza e di sostegno.
Unità nell’ideale
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La comunità dei frati è costituita da sacerdoti,
chierici studenti, fratelli religiosi, novizi, postulanti.
In tanta varietà, l’unità nell’ideale soprannaturale e
nella spinta d’insieme verso la santificazione crea l’ar155
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L’apostolato è cresciuto via via nei diversi campi
di lavoro, soprattutto nel campo dei mass-media:
stampa, radio, televisione, internet.
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monizzazione dei membri radunati in una sola famiglia, sia tra i frati che tra le suore.
Chi entra in una comunità dei frati o delle suore
Francescani dell’Immacolata non tarda molto a comprendere che la vocazione è chiamata a una comunione di vita con Dio e con i fratelli, è chiamata all’inserimento in un corpo vivo nel quale si è compaginati, per
la vita e per la morte, con Cristo Gesù Capo e con i
fratelli o le sorelle che sono le membra del Corpo Mistico. La presenza della Madonna, poi, Madre e Regina della comunità a Lei consacrata illimitatamente
con il Voto mariano, serve magnificamente a creare
un’atmosfera di famiglia che spesso incanta di dentro
e di fuori.
In sostanza, si può affermare che è sempre il richiamo alle cose forti che smuove gli animi dei giovani
rimasti ardimentosi, ragazzi o ragazze che siano. La
santità, le vette mistiche, i sacrifici eroici, le conquiste
apostoliche: tutto questo appare luminoso dalla vita
dei santi di ogni tempo, incarnazione viva di Gesù e del
suo Vangelo. Ebbene, tutto questo colpisce i giovani e
le ragazze che vogliono donarsi a Dio e li spinge alla ricerca di una forma di vita capace di far sprigionare le
loro energie in slancio e audacia d’amore divino.
La vita di san Francesco d’Assisi e dei Santi francescani, la vita di san Massimiliano M. Kolbe, in particolare, esercita oggi un fascino potente sui cuori giovani, sui cuori delle vergini, desiderosi di compiere imprese spirituali e apostoliche. Nelle comunità dei frati
e delle suore Francescani dell’Immacolata, con il Voto
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mariano, si è provocati costantemente a seguire questa
“traccia” eroica così alta e nobile.
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«L’arnia dell’Immacolata»
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Con una splendida immagine san Massimiliano M
Kolbe volle definire un giorno la sua «Città dell’Immacolata», chiamandola «arnia dell’Immacolata». In essa i frati (o le suore) sono le api industriose e laboriose nel produrre il dolcissimo miele dell’amore alla Madonna da donare alle anime bisognose di vera felicità:
«L’Immacolata vi farà felici!» – esclamava san Massimiliano.
Anche le Case Mariane dei frati Francescani dell’Immacolata e le Case dell’Immacolata delle suore
Francescane dell’Immacolata si sforzano, pur nella loro pochezza e con le loro debolezze, di rendersi «arnie
dell’Immacolata». Così voleva san Massimiliano M.
Kolbe; così speriamo che ci faccia diventare proprio
lui, «patrono speciale di questi tempi difficili», come
dice il papa Giovanni Paolo II, e protettore specialissimo di queste Case Mariane dei frati e delle Case dell’Immacolata delle suore.
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A queste «arnie dell’Immacolata» siete forse chiamati anche voi giovani e voi ragazze che leggete queste
pagine. La grazia di leggere queste parole può essere
già un segnale, un richiamo, un’occasione per scoprire
il “dono” speciale della vocazione alla vita verginale,
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alla vita consacrata, che produce il miele dell’amore
divino, dell’amore all’Immacolata, da donare a tutti
per la loro salvezza e felicità.
Se l’Immacolata ti chiama, affrettati e corri!
Ella ti attende e ti accoglie nelle comunità di
questi frati e di queste suore, che sono sua prediletta
“proprietà” d’amore sulla terra e nei cieli!
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I Frati e le Suore Francescani dell’Immacolata
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Vestizioni e professioni perpetue dei Frati Francescani dell’Immacolata
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Vestizioni e professioni perpetue delle Suore Francescane dell’Immacolata
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Apostolato
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Buona Stampa
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Televisione
Radio
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e tante, tante, tante altre cose...
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INDICE
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Prefazione
pag. 3
Quale vocazione
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5
Segni e sogni
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11
Le due vocazioni
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18
Il dono più grande
“
24
Sacerdote di Gesù
“
30
Chi può essere chiamato da Gesù
“
37
Che significa “seguire Gesù”?
“
44
Perché Gesù chiama alcuni a seguirlo?
“
51
Perché Gesù chiama soltanto alcuni?
“
58
Come chiama il Signore?
“
65
Quando rispondere alla chiamata di Gesù? “
72
Genitori buoni e non buoni
“
79
Preghiera e vocazioni
“
89
Chiamata alla santità e pericoli nel mondo “
99
Vocazione attiva e contemplativa
“ 106
Vocazione missionaria
“ 112
La Madonna e la vocazione
“ 121
Domande spicciole... risposte utili...
“ 129
Appendice
“ 141
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Finito di stampare
l’8 settembre 2010
Festa della Natività Beata Vergine Maria
presso
<INK&PAPER= Srl
Cercola (NA)